Come prescritto dal mio terapeuta, mi accingo a dare inizio alla stesura di un diario, in cui annoterò, sempre su previo consiglio del già citato luminare, ciò che avviene durante le mie giornate, i miei pensieri, sogni e remore, per cercare, con questa auto analisi, di capire le origini del mio disturbo.... Come se non sapessi l’origine di ogni mio male. Ah, che perdita di tempo.
E sia, teniamo contento quel cialtrone tutto sorrisini irritanti. DUNQUE.
Mi chiamo Hachi Kacchan Yamanaka, nato a Konoha il 3 ottobre 231DN, da Hadaka Kyosuke e Kyoko Yamanaka. Mio padre è morto durante l’assalto a Konoha da parte del Nukenin Ryu Yotsuki. Mia madre, invece, gestisce un negozio di fiori, circondata dall'affetto dei suoi cari. Si, vabbè, ste stronzate sullo stato familiare sono facilmente reperibili negli schedari del villaggio, quindi ciccia.
Seriamente dovrei scrivere riguardo me? Ah, che rottura... E sia, ma sappi, te stupido coglione che mi stai costringendo a scrivere tutta questa pantomima, che sarò prolisso, pesante... e mi metto pure a scriverlo in maniera striminzita e illeggibile, per il semplice gusto di farti cadere le palle a terra e vederle rotolare sotto il comodino che tieni sotto la finestra. O vicino al letto. Non mi importa dove sia ubicato sto cazzo di comodino, basta che abbia uno spazio dal pavimento tale per cui sia impestato di polvere e che ti renda impossibile recuperare le palle che ti saranno cadute li sotto.
Ordunque dicevo... Il mio nome è Hachi Kacchan, 18 anni, scorpione, pessimista di natura e per scelta di vita. Non che abbia potuto scegliere di essere così, sia ben chiaro, ma a giudicare dal mondo in cui viviamo, pensarla in maniera diversa mi sembra davvero impossibile. Pensi che tutto fili liscio, che vada per il meglio e sei li, pronto a goderti la tua vita felice, quando BAM! Ecco che sbuca fuori un dio famelico che vuole fagocitare il mondo intero, o un vecchio pazzo a cavallo di una lucertola obesa che, a quanto pareva, non aveva niente di meglio da fare che mettere a ferro e fuoco il paese. Ah, e non dimentichiamoci delle Bestie Codate e di quei gruppi di fanatici al loro seguito, non sia mai che ci dimentichiamo dell’ultima piaga che ammorba questa vita ormai straziata e dilaniata che, disperata, cerca soltanto di porre fine alle sue immeritate sofferenze.
Ecco, per far capire per bene il mio modo di pensare e approcciarmi alla vita, farò sfoggio di una citazione colta, di un vecchio filosofo straniero che, probabilmente, nessuno conosce, ma per quel che ne può sapere il lettore, povero sfigato, che sta leggendo questo scritto, potrei anche aver inventato di sana pianta, qui su due piedi.
« La vita è come un pendolo che oscilla incessantemente tra il dolore e la noia, passando per l'intervallo fugace, e per di più illusorio, del piacere e della gioia. »
Chiaro, semplice e pulito. Facile no? Bene, ora prendi questo piccolo concetto e mettilo da parte, perché servirà dopo. Quando non ti è dato saperlo.
Purtroppo per me non ho ereditato granché da mio padre. Ho ereditato dal ramo materno. Yuppidù, che bellezza.... Fermo. Prima che tu, lettore, possa fare considerazioni affrettate, no, non ho alcun problema con mia madre, anzi. È di una dolcezza unica, ed è stata una roccia, per me, quando è morto papà. Devo ringraziare i Kami di averla come madre, però... Quello che non sopporto, ed è quindi causa del mio male, è il suo bagaglio genetico. E no, non sto parlando delle capacità innate del mio clan, che di per se sono la cosa che reputo più.... Oddio, temo di esser in contraddizione, perché si, è figo avere capacità psichiche fuori dalla norma, ma sai che gran rottura è non riuscire a separare i propri pensieri da quelli degli altri?
Comunque sia, il problema non è quello.... Il problema è, come stavo dicendo, il bagaglio genetico di mia madre, che è una sorella gemella, gemella di un fratello maschio, che, per maledizione dei Kami mannaggia a voi e dove state, è il padre di mio cugino. Quel cazzone di mio cugino. Quello stramaledettissimo cugino che in famiglia è amato ed ammirato da tutti, preso a paragone per qualsiasi cosa e mannaggia ai Kami cos'altro.
Ecco, signori, qual è il problema della mia esistenza. LUI. Mio cugino. È da quando son nato che non posso scampare al venir rapportato con lui, nonostante sia più grande di me di una decina d’anni. Già la mia nascita mi ha segnato, perché non solo i miei genitori hanno avuto la bella idea di darmi il suo stesso nome, e qui mi chiedo se mia madre fosse ubriaca o se mio padre si sia drogato, in quel frangente, MA GLI ASSOMIGLIO PURE, PORCO JASHIN!
“Oh, ma guarda che carino il piccolo Hachi, ha gli stessi capelli biondi e lucenti di suo cugino Hachi.” Avevo cinque anni quando mi tinsi i capelli di nero, solo per evitare che li rapportassero ancora con i suoi. Peccato che quando i miei lo scoprirono papà rise di gusto, mentre mamma, in preda ad una crisi isterica, mi rasò a zero. E dire che avevo pure usato un pigmento naturale estratto da una delle sue piante.... Che male c’era?
Comunque sia, tingerli ogni volta che si sarebbe rivista la ricrescita, è uno sbattimento enorme, così ho lasciato perdere, preferendo invece tenerli disordinati e pieni di dreed e treccine colorate. L’antitesi perfetta del capello lindo e pulito di mio cugino, tiè.
Credo sia stato allora che ho iniziato a farmi chiamare, e presentarmi, col nome di Kacchan.
“Oh, Kacchan, a scuola vai davvero bene! Sono sicura che otterrai ottimi risultati proprio come tuo cugino Hachi” Mi sono fatto bocciare, per ben due volte, all'esame Genin, per due anni di seguito. Ricordo che, la prima volta, l’istruttore, nel vedere il mio nome sul registro, si meravigliò e si augurò di vedere gli stessi risultati che aveva conseguito il mio stramaledettissimo omonimo cugino del cazzo. Sul compito che consegnai gli scrissi un gigantesco “Muori cretino”, con tanto di sua rappresentazione grafica in cui veniva sodomizzato da una marea di icone falliche. Anche quel giorno mio padre rise di gusto, mentre mia madre, in preda ad una crisi isterica, mi diede tanti di quei sculaccioni che i macachi, al confronto, avevano un sederino chiaro e roseo. La seconda volta mi limitai a lasciare il foglio in bianco.
Alla terza, la volta buona, presi il massimo del punteggio. Anche perché mi ero rotto il cazzo a lasciare in bianco certe domande tanto elementari, mentre per le prove fisiche feci lo stretto indispensabile per prendere la sufficienza, il minimo necessario per ottenere il rango di Genin. Ah, ottimo! Finalmente la pecora nera della famiglia aveva iniziato a metter la testa a posto!
Beh, si, diciamo che da piccolo sono stato parecchio scapestrato. E vi faccio ben immaginare del perché di tale scelta, ma ormai credo lo abbiate capito. Se non l’hai capito, caro lettore, sei una testa di cazzo tale e quale a mio cugino.
Ora, ricordi quando ti avevo riassunto la mia visione della vita in quella citazione tanto allegra quanto sconosciuta? Bene, riprendiamola adesso, perché sarà fondamentale per capire gli sviluppi avutisi dopo il superamento dell’esame Genin.
È stato in questi anni, fatti di gavetta che solo un neo ninja può fare, insieme a due altre anime disperate, capitanate da uno stronzo che faccio fatica a capacitarmi di quanto sia fancazzista, che ho capito una cosa: la vita fa schifo. Dico sul serio. Schifo proprio. Eppure.... Dico io, possibile che non si possa avere un briciolo di gioia? Anche una piccolina... Zero proprio? È mai possibile?
Ed è qui che ho pensato: se la vita fa così schifo, possibile che non ci sia un modo per cambiare questo stato delle cose o, quanto meno, renderle più... Sopportabili, ecco. Era diventata la mia vocazione: cercare un modo per rendere sopportabile e alleviare il peso delle sofferenze che la vita ci mette davanti. E avevo pure capito come riuscirci... Peccato che, anche in questo caso, RIENTRI SEMPRE QUELLA SPINA NEL FIANCO DI MIO CUGINO! Maledetta Inari e tutti i suoi chicchi di riso...
Ti starai chiedendo, lettore che ormai non ne può più di sta lamentela continua, “Ma Hacchan, cosa mai centra tuo cugino in questo adesso?” Centra, purtroppo centra. E sapete perché? Seguendo il mio nindo, io vorrei fare il medico. Il Medico di Recupero. E indovina? Si. Mio cugino. Anche lui è un Medico di Recupero. IL Medico di Recupero.
In questo momento, mentre scrivo, sto chiamando i Kami uno per uno, sperando tanto che cadano dal cielo in cui risiedono e si schiantino al suolo di testa. Ma te stai leggendo, che ti frega... Quindi capisci il mio dramma? Capisci dove sta il problema di fondo di ogni mio male? Vivo costantemente nell'ombra di mio cugino. E non ne posso più.
Però. Però. Però. Penso di aver trovato un modo per uscirne. Solo, mi toccherà ingoiare parecchi bocconi amari... Direi che per oggi può bastare, mi sono rotto di scrivere. Penso che non scriverò altre pagine di sto diario. Una mera perdita di tempo, ecco cos'è.
Ah, e si. Se non l’hai capito, mio cugino è quel cazzone di Hachi Yamanaka, il Capo della Sezione di Medicina di Recupero del Villaggio. E si, mi chiamo Hachi Yamanaka anche io. Porco....
Sospirando mestamente, il giovane si gratta distratto l’accenno di barba che si sta facendo crescere, per poter mascherare, a detta di una sua lontana parente “i lineamenti delicati simili a quelli di suo cugino Hachi”. Gli occhi dalle iridi blu scure scrutano le due ragazze che, sedute sul suo letto, leggono imperterrite il contenuto del diario che sono riuscite facilmente a strappare di mano all’amico.
Ridono sotto i baffi, alzando lo sguardo di tanto in tanto, distaccandoli dalle parole scritte in una grafia fin troppo ordinata per esser quella di un ragazzo, per scrutare il giovane, indispettito per quella invasione della sua privacy, e poi tornare nuovamente alla lettura.
Una delle due ragazze, quella più minuta delle due, inizia a ridere sguaiatamente, dimenandosi e lasciandosi cadere all’indietro, abbandonando ogni qual si voglia compostezza, facendo sbuffare innervosito il ragazzo, mentre l’altra, imbarazzata, inizia a grattarsi una guancia paffuta, ridando indietro il diario all’amico d’infanzia.
«Beh, dai, alla fin fine rispecchia il tuo modo di essere...»«Fin troppo direi! Cavolo, Kacchan, ma seriamente hai intenzione di consegnarlo? Con questa ti dai la zappa sui piedi, sappilo. Già ti sei giocato la promozione a Chunin, ma con questa.... Cavolo, chissà che faccia farà lo psicanalista quando lo leggerà! Ahahahahaha.»«Natsuko, smettila, non sei d’aiuto così....» Prova ad intervenire la ragazza più in carne, ma è inutile, perché l’amica continua a ridere e dimenarsi, trovando l’intera situazione più comica di quanto non sia.
«Come te la diverti te, solo perché sei stata promossa senza problemi. E poi l’ho voluto io, il non esser promosso.» Asciugandosi una lacrima all’angolo dell’occhio pallido e leggermente rosato, la ragazza si rialza, sorridendo ammiccante mentre si avvicina al giovane. Gli posa una mano sulla spalla, issandosi sulla punta dei piedi scalzi per poter avvicinare il viso al suo, le labbra rosee vicinissime al suo orecchio addobbato da innumerevoli piercing e orecchini. «Oh, Kacchan, quante cose ti ostini a non voler fare. E solo per soddisfare il tuo stupido orgoglio.» Un bacio sulla guancia, indugiando più del dovuto, mentre preme il petto contro il suo braccio, cosa che irrigidisce visibilmente il giovane e, con una piroetta lascia la stanza, salutando con una mano i due compagni. E solo allora Kacchan si permette di respirare nuovamente, lasciandosi cadere a peso morto sul letto, di faccia nelle lenzuola stropicciate, di fianco all’amica che, a confronto del giovane, è davvero imponente.
«Tu che dici Chiyo? Dovrei davvero consegnarlo?» Domanda, la voce distorta dal tessuto. La ragazza sospira, cercando di mettersi comoda, mentre si gratta una guancia spruzzata di lentiggini. «Beh, si vede che l’hai scritto di getto.... Fossi in te cercherei di... Lo sai, no? Addolcirlo un po’?» Il giovane volge lo sguardo su di lei, bieco e imbronciato, così la giovane, che stando allo stemma che porta sulla giubba, è un’Akimichi, tenta subito di correggersi, arrossendo visibilmente. «Non dico di cambiare completamente il contenuto, ma sai... Eviterei improperi ed imprecazioni....»
Kacchan, però, si limita ad emettere un muggito esasperato, continuando a rimanere disteso, sconsolato. «Valutazione psicologica, e solo perché ho rifiutato una promozione.» «Direi che il problema sia stato il come.... Sai, urlare contro un superiore, sbattendogli la giubba in faccia, non credo sia stato il modo migliore per farlo...» Ammise, tirandosi su e mettendo in mostra il suo mastodontico metro e novanta.
«Capisco che per te non sia facile, ma pensaci bene. Se davvero vuoi diventare medico, devi riuscire a toglierti dalla testa il tuo volerti sempre mettere a confronto con tuo cugino. E anche tuo papà te lo diceva sempre, o no?» Rimane in silenzio il giovane Yamanaka, conscio di come l’amica avesse ragione.
«Ora devo andare, che stasera tocca a me preparare la cena per i miei fratelli. Ti prego, pensaci davvero.»
E, così dicendo, lascia l’amico solo con i suoi demoni.