Da qualche parte ad Iwa, 3 Giugno 249 DN
L’acqua scrosciava senza sosta, scorrendo limpida sotto i suoi piedi già da una ventina di minuti abbondanti eppure, nonostante il mattonato di ceramica chiara, gli sembrava ancora scura, come se si stesse ancora togliendo di dosso il sangue del bambino infetto. A niente, però, serviva strofinarsi il corpo in maniera spasmodica, cospargerlo di schiuma fino a far arrossare la pelle, l’acqua bollente tanto da rischiare l’ustione. Quel tipo di sporco non si sarebbe mai lavato via, perché non era un fattore esterno, ma interno.
Era lui, la sua anima, ad esser sporca. Quindi no, il sangue del bambino, che lo aveva imbrattato da testa a piedi al momento della sua morte, non era la causa principale di quella doccia senza fine. La fronte premuta contro il muro di fronte a se, lo sguardo di Kacchan era fermo ormai da diverso tempo sul suo avambraccio. Nonostante la pelle, in quel punto, fosse arrossata e irritata da diversi graffi, spiccava vistosa una macchia dalla forma fin troppo particolare e, per lui, facilmente riconoscibile: come se la pelle, in quel punto, averse perso melanina, quella piccola impronta a forma di mano era pallida, lievemente contornata di scuro, come una bruciatura di sigaretta delinea i contorni del buco che ti sei fatto sui pantaloni, perché ti sei poggiato sbadatamente il tizzone acceso sul tessuto.
L’impronta della mano di un bambino, di
quel bambino, e per quanto abbia strofinato, non riesce a venir via in alcun modo. Un memento permanente di ciò che ha fatto, ma soprattutto di quello che è successo dopo. Soprattutto quello che è successo dopo. Rabbrividendo al ricordo di quella sagoma scura che lo afferrava, distolse lo sguardo immediatamente, stringendosi le braccia al corpo e direzionando il viso verso il getto di acqua calda, cercando di scacciar via quel ricordo, di lasciarlo scivolare via, giù, lungo la schiena nuda e poi scorrere via, fin dentro lo scarico. Non aveva idea di cosa fosse successo in quella stanza, dopo che Chiye Koizumi ebbe trapassato da parte a parte il bambino e, in tutta sincerità, al momento non voleva saperne di indagare ulteriormente. Dimenticare, voleva solo questo.
Aprì la bocca, lasciando scivolare al suo interno alcune gocce d’acqua. In bocca aveva ancora il sapore amaro della medicina e anche... Con un imprecazione, Kacchan sputò per terra, strofinandosi la bocca con il braccio, quasi a voler scacciare la sensazione di quelle labbra premute sulle sue, le lingue avviluppate... Senza rendersene conto, si ritrovò con il pollice ad accarezzarsi la bocca, quasi a non voler perdere quel ricordo avvenuto solo pochi attimi prima, l’altra mano a stringere l’erezione.
«CAZZO» Mollò immediatamente la presa, come se avesse preso una scossa elettrica, sbattendo i pugni e la fronte contro il muro. Quanto si detestava, in quel momento. Come poteva anche solo lontanamente venirgli in mente l’idea di
masturbarsi dopo quello che era successo? Era disgustato mentre fissava la sua virilità eretta, in attesa di ricevere attenzioni.
«Fanculo.» Sibillò a denti stretti, rivolto al suo pene, come a volergli far capire che no, si sarebbe dovuto rimetter a nanna perché non aveva alcuna intenzione di smanettarlo. Assolutamente no... Eppure, quando Jikan lo aveva baciato a quel modo, gli aveva completamente spento il cervello: non c’era più il corpo esanime del bambino a pochi metri da loro, non ricordava nemmeno perché ce l’avesse tanto con se stesso. In quell’attimo erano esistiti solo loro due e il modo in cui le loro bocche si erano fuse l’un l’altra. E, così facendo, gli aveva salvato la vita, forzandolo in quella maniera ad ingerire l’antidoto al virus che lo aveva infettato. Peccato che, così facendo, un altro tarlo insidioso aveva iniziato a contaminare il suo organismo...
«Kacchan, sei qui?» La voce di Natsuko giunse inaspettata, facendo sobbalzare preoccupato Kacchan. Diversamente si sarebbe potuto dire del suo
amichetto, il quale ebbe anche lui un sobbalzo, ma di ben altro tipo.
«Merda…» Sussurrò irritato, mentre sentiva i passi dell’amica avvicinarsi alla doccia che aveva occupato.
”No e poi no… Non ho intenzione di scendere ancora più in basso... Ma che problema ci sarebbe, nel farlo? Sarebbe solo sfregamento di corpi, modi per placare e controllare gli sbalzi ormonali. Anzi, dicono che dopo una battaglia, spesso vengano certi tipi di impulsi... E poi, non è di certo la prima volta che succede, specie con lei...«Ah, eccoti! Santi Kami, sono bruciature quelle!? Bhe, i medici hanno fatto davvero un buon lavoro, perché sembrano risalire ad almeno un mese fa... Comunque sia, chiappette pallide, ti stiamo tutti aspettando fuori e, dato che ci stavi mettendo tanto, ho pensato di prendere le tue cose ed un cambio di vestiti, nel caso non li avessi....» Dietro di lui, l’avvenente Hyuga lasciò cadere uno zaino dalla parte opposta della doccia, seguito da un rumore più leggero e soffice, come di tessuto che veniva lasciato cadere.
«Cos’è, vuoi una mano a finire di lavarti?» La voce della ragazza gli giunse sussurrata, vicino al suo orecchio, subdola, mentre le sue mani dalle dita lunghe e sottili gli accarezzavano le spalle contratte. Fu allora che Kacchan perse la battaglia interiore che stava combattendo. Con uno scatto si girò verso di lei, bloccandola contro il muro, iniziando a baciarla con foga, una mano a bloccarle la testa, l’altra a stringere la sua vita a se. E si accorse che la ragazza era nuda anche lei, che aveva lasciato i suoi vestiti accanto allo zaino, quando si era avvicinata a lui.
”Visto? Lo vuole anche lei dopotutto... Che male c’è?”«Adoro quando sei tu a prendere certe iniziative.» Gli sussurrò lasciva non appena gli liberò la bocca da quel suo assalto, lasciandola scivolare lungo il suo collo. Peccato che, nella sua testa, fosse di ben altro tipo la pelle che accarezzava... Con mani esperte la ragazza lo guidò nel punto giusto e, lasciandosi sfuggire un imprecazione a denti stretti, Kacchan iniziò a muoversi implacabile, tanto da costringere la ragazza a stringersi alle sue spalle per evitare di venir disarcionata da quella cavalcata selvaggia. Nella sua testa non era quello il corpo in cui pompava come un ossesso, i capelli scuri che stringeva erano invece di una splendida tonalità ramata.... Concluse pensando a lui, a quel dannato che era riuscito a vedere quanto fosse perverso il suo animo. E la cosa gli piacque da matti.
Si, era decisamente un verme schifoso.
[...]
«Scusate l’attesa, ma ho perso tempo a render nuovamente presentabile quest’idiota patentato…» Precisò Natsuko non appena i due si ricongiunsero al gruppo, indicando un Kacchan dallo sguardo spento, vuoto, privo d’interesse, le mani infilate nelle tasche di una lunga giacca chiara. Dei lunghi capelli pieni di treccine e perline colorate non era rimasto più niente: se la sua bravata con le carte bomba aveva avviato la cosa, la mano di Natsuko armata di forbici aveva finito il lavoro, lasciando così il ragazzo con i capelli quasi del tutto rasati sui lati e dietro la nuca, andando poi ad allungarsi gradualmente sulla cima, lasciando un ciuffo biondo che, ancora bagnato a causa della doccia, ricadeva flaccidamente su un lato. Anche la barba era sparita, rasata completamente, mettendo così ancor più in evidenza i segni lasciati dalle ustioni sul volto che, in fase di completa guarigione, apparivano più rosee rispetto al resto della pelle.
«Bhe, possiamo andare, adesso?» Domandò, con voce spenta, preferendo rimanere sulle sue, rovistando nello zaino in cerca di tabacco, sperando la cosa potesse evitargli spiecevoli chiacchiere. Non vedeva l’ora di allontanarsi da quel villaggio il più in fretta possibile e...
«Kacchan... Sicuro di star bene?» Chiyo, che aveva aspettato il suo ritorno insieme al resto del gruppo, gli si era avvicinata, sul viso dipinta e palese la sua preoccupazione nei confronti dell’amico. Dopotutto, erano cresciuti insieme e lei, a differenza della Hyuga, sapeva leggere fin troppo bene il turbamento e l’agitazione nascosti nel profondo del suo animo.
Fece un mezzo sorriso, lo Yamanaka, dandole un buffetto affettuoso sulla guancia paffuta.
«Tranquilla, mia piccola patata dolce. Sono solo stufo di questo paese, tutto qui...» E, tirando fuori il tabacco finalmente reperito, si incamminò seguendo la carovana di Konoha, lasciando interdetta la ragazza. Erano anni che non la chiamava più a quel modo e, quando lo faceva, beh... Non era mai del tutto lucido. Quindi si, c’era decisamente qualcosa che non andava nel suo migliore amico. Avrebbe indagato, ma con meno occhi a cui dar a vedere... D’altro canto, Kacchan non aveva la benchè minima voglia di parlare con qualcuno. Ora che aveva trovato il tabacco, doveva solo ricordarsi dove aveva nascosto quelle erbe mediche dall’effetto anestetico... Se le sarebbe fumate per il resto del vaggio. Tutto pur di mettere a tacere la sua coscienza agitata.
[...]
Durante il viaggio di ritorno verso Konoha, lo Yamanaka aveva cercato in tutti i modi di evitare qualunque forma di dialogo, preferendo così piazzarsi sul tettuccio della carovana, fumando peggio di una ciminiera, evitando di pensare a quello che era successo in quella maledetta stanza. Perché, ora come mai, voleva a qualunque costo evitare di far riaffiorare i ricordi, specie con quel pettegolo di suo cugino nei paraggi.
Mentre fumava, si concentrò esclusivamente su quello che lo avrebbe aspettato a casa: sua madre che, venuta a conoscenza di cio che era successo ad Iwa, sicuramente avrebbe dato di matto, i turni in ospedale, gli agguati sessuali di Natsuko, convincere Chiyo a diventare insegnante all’accademia... Insomma, meditava più e più volte sulla sua quotidiana routine, in modo tale da creare uno schermo, un muro mentale che avrebbe impedito a qualunque impiccione di ficcanasare nella sua mente, nel caso ce ne fosse stato bisogno. Non aveva intenzione di condividere certe cose con nessuno... Diamine, nemmeno lui riusciva ad accettare quello che era successo, figuriamoci spiattellarlo in giro.
Certo, difficle sarebbe stato se l’Hokage gli avesse chiesto spiegazioni riguardo al suo comportamento, ma... Tutto sommato aveva una mezza idea su come risolvere la faccenda quindi, per il momento, preferiva tergiversare ulteriormente anche su quel frangente. Certo, di sicuro sarebbe stato richiamato per il suo comportamento davanti al mondo intero, ma, adesso, per il momento, non ne voleva sapere assolutamente nulla... E i Kami, fortuna per lui, gli concessero questo breve lusso, rimandando la convocazione fatidica di qualche giorno...
Era ritornato alla sua quotidiana routine, fatta di turni in ospedale, incontri con le sue ragazze e aiutare sua madre in negozio che, come aveva previsto, nel vederlo tornare, era in evidente stato di furia, ma ehi! La cosa alla fine aveva fatto ridere entrambi, perché li aveva riportati indietro di diversi anni, a quando Kacchan, ancora bambino, non la smetteva di combinare guai in accademia, facendo infervorare sua madre e schiantare dal ridere suo padre. Tutto sembrava esser tornato alla normalità, e lo stesso Yamanaka sembrava tranquillo, eppure... Sotto quella facciata scocciata, burbera, che si infiammava per ciò che gli stava a cuore, qualcosa si agitava, irrequieto, un pensiero che gli toglieva il sonno la notte, lasciandogli evidenti occhiaie sotto gli occhi blu.
L’entità che aveva visto in quella stanza continuava ad ossessionarlo, il segno che gli aveva lasciato addosso era ancora lì, indelebile sul braccio e, ovunque andasse, si sentiva perennemente osservato da lui, nonostante, da allora, non l’avesse più vista. E, in quelle poche ore di sonno che riusciva a conquistare, non faceva altro che sognare quella maledetta Spiaggia. Dapprima era stato solo, circondato dai resti di piccoli crostacei arenatisi sulla battigia, ma poi, in lontananza, aveva intravisto una piccola figura. Sapeva chi era e, sogno dopo sogno, lo vedeva avvicinarsi a lui, farsi sempre più nitido, allungare una sua manina per cercare un contatto con lui.... Ma Kacchan, puntualmente, ogni volta che vedeva Giman avvicinarsi, si allontanava, fuggiva da lui, venendo così inghiottito dalle onde del mare, e svegliandosi madido di sudore.
Paranoia. Era in evidente stato di paranoia dovuto allo shock di quanto successo: la morte di Giman, il virus, l’antidoto... Magari il farmaco che Jikan gli aveva fatto bere non aveva sortito l’effetto sperato, forse parte della malattia aveva daneggiato il suo organismo.... Da quando era rientrato da Iwa, non faceva altro che porsi continuamente queste domande, nonostante avesse ampiamente avuto conferma del contrario. Stava bene, era sano come un pesce, almeno stando agli esami e ai controlli clinici ai quali tutti i partecipanti erano poi stati sottoposti.
E così, seduto corrucciato nella caffetteria dell’ospedale, continuava a fissare la sua cartella clinica, alla disperata ricerca di un asterisco in mezzo a tutti quei valori. Niente di niente.
«No, mi spiace, ma non è lì la dignità che stai cercando.» Sentenziò atona l’Aburame, ricevendo in cambio un’occhiataccia omicida. Esasperato, lo Yamanaka si lasciò sfuggire un profondo respiro, mollando sul banco i fogli e portandosi le mani a stropicciarsi gli occhi, spostando così gli occhiali dalla montatura sottile che usava solitamente per leggere.
«Ah ah ah, molto divertente Naoko, dico davvero...» Forse avrebbe dovuto analizzare più nel dettaglio? Magari a livello ormonale o di enzimi... Eppure ecografie e TAC non mostravano disfunzioni tali da dar da pensare.... .
«Ti stai fissando troppo. Magari, se mi dicessi cosa ti preoccupa così tanto, potrei anche aiutarti a venirne a capo.» In risposta ricevette un basso grugnito dal ragazzo, che si accasciò scomposto sulla sedia, lo sguardo rivolto al soffitto.
Forse Naoko aveva ragione, magari era solo una sua strana fissazione, però... No, non poteva essere. Quello che era successo doveva esser assolutamente vero, altrimenti come si sarebbe formata quell’impronta sul suo braccio? Avrebbe dovuto parlarne con qualcuno, ma con chi? Dopo il torneo, si sentiva troppo al centro dell’attezione: ovunque andasse, c’erano sempre sguardi puntati su di lui e bisbigli più o meno rumorosi: non che prima all’ospedale fosse diverso, ma adesso era decisamente peggio... Quindi no, non ne avrebbe parlato con nessuno, lì dentro, ma forse Naoko poteva davvero aiutarlo...
La osservò con attenzione [
x], soffermandosi sulla sua figura minuta, il viso perennemente inespressivo, nascosto in parte dai suoi lunghi capelli castani, oltre che dagli occhiali scuri e tondi, da cui non si separava mai. A vederla in quel momento, intenta a sorseggiare da una tazza di the fumante, sembrava la persona più menefreghista e incurante del pianeta... E forse proprio per questo Kacchan sentiva di potersi fidare di lei, perché era talmente pragmatica, come persona, da non lasciarsi minimamente influenzare da pregiudizi e paranoie. Prendeva e considerava le cose per quel che erano, in maniera cinica e diretta, senza andare a farci troppi giri di parole intorno. Insomma, era la sua antitesi perfetta, quindi....
«Vedi Naoko, è che...» «Kacchan!» Nel sentirsi chiamare, dal fondo della sala, il ragazzo si lasciò sfuggire un’imprecazione, voltandosi per poter vedere chi fosse. Strano che Hiyama Ryota lo cercasse... A meno che non avesse saputo che aveva preso la sua cartella clinica senza permesso... E, quella santa donna di Naoko, quasi avesse percepito la sua preoccupazione, con una naturalezza mostruosa, allungò una mano, prese la cartella che fino a pochi secondi prima Kacchan stava minuziosamente sondando e la nascose tra le sue scartoffie, per poi tornare, con estrema naturalezza, a sorseggiare il suo the caldo.
«Tranquillo, ci penso io a rimetterla a posto. Ovviamente dopo averne fatto una copia.»Ah, quanto l’avrebbe voluta abbracciare, in quel momento. Nonostante avessero caratteri totalmente agli opposti, facevano squadra in maniera encomiabile.
«Ryota sempai, qual buon vento?» Gli domandò non appena fosse arrivato al loro tavolo, alzandosi in piedi e sistemandosi meglio il camice stropicciato e portandosi sopra la testa gli occhiali da lettura.
« Sono già passato a segnalare i cambi turni. Domattina partiamo in missione, grado B. In teoria... Dovrebbe essere una cosa semplice, dobbiamo recuperare un vaso per un tempio dedicato a Susanoo.» Lui? A recuperare un’offerta per un tempio? La persona forse più blasfema di Konoha? Fu più forte di lui, gli sfuggì una risata.
«Non dirai sul serio, spero... » Gli domandò, col sorriso sulle labbra, ma... Percepiva chiaramente il disagio del ragazzo e la sua espressione gli fece completamente smorzare l’ilarità della situazione.
Perplesso, con il sorriso più simile ad una smorfia che ad altro, non poté fare a meno di chiedergli.
«Dai, non può esser così orrida come situazione... Male che vada terrò la bocca cucita ed eviterò di toccare il vaso. Eviterò pure di bestemmiare, se la cosa può servire...» « Ci saranno anche l'Hokage e suo figlio.» Ah, quindi non era il suo esser perennemente incazzato contro le divinità il problema... Ma, un momento... Ci mise qualche secondo per capire per bene la cosa.
«Cosa? Come scusa? Stai scherzando, vero?» No, non scherzava affatto il collega. Quindi non solo sarebbero dovuti andare a recuperare l’offerta per un tempio che avrebbe volentieri messo a fuoco, ma doveva pure sorbirsi quell’imbecille del figlio di suo cugino e la sua compagna. La sua compagna incinta. La sua compagna incinta che è anche il suo “capo supremo”. Fu più forte di lui, iniziò a bestemmiare come non ci fosse un domani, a voce talmente alta che tutti i presenti, nella caffetteria, si girarono verso di lui, esterrefatti per la blasfemia che gli era uscita fuori dalla bocca. Altro che vaso dedicato a Susanoo... Gliel’avrebbe spaccato in testa e infilato i cocci su per anfratti particolari, pezzo dopo pezzo.
«MA STIAMO SCHERZANDO!? MA COSA LE PASSA PER LA TESTA, A QUELLA... QUELLA... CAZZO, E QUEL MENOMATO MENTALE GLIELO LASCIA PURE FARE? DOV’è, QUELL’IMBECILLE!? PERCHè CAZZO DEVONO ESSERE DUE MENOMATI MENTALI... I KAMI LI FANNO E POI LI ACCOPPIANO, STI IMBECILLI DEL CAZZO... MA MO MI SENTE, OH SE MI SENTE...» Era furente e, rosso in viso, aveva tutta l’intenzione di trovare quell’idiota di suo cugino per potergliene dire quattro: ma come gli saltava in testa di permettere che la sua... moglie, compagna? Che caspita ne sapeva... incinta, tra l’altro, accompagnasse suo figlio in una missione. Ma avevano la minima idea dei problemi che la cosa avrebbe causato? Fanculo che si trattasse dell’Hokage. Era un’idea del cazzo e da completi imbecilli e gliel’avrebbe detto senza troppi problemi, a lei e quel abominio di parente che avevano in comune e...
Aveva appena superato il sempai e fatto due passi, ancora imprecando peggio di uno scaricatore di porto, quando venne atterrato da una moltitudine di coccinelle. Parlare di sciame era a dir poco un eufemismo, erano talmente tante e numerose che lo sommersero dalla testa ai piedi, come se fossero una pesante coperta zampettante. Era una sensazione alquanto disgustosa e il ragazzo non potè fare a meno di urlare schifato, cercando di sbracciarsi per scacciarle via, ma già sentiva quelle bestioline pungerlo e succhiare, facendolo ulteriormente imprecare.
«NAOKO! LEVAMELE DI DOSSO, PER QUELLA PUTTANA DI IZANAMI! » I carapaci rossi delle bestioline luccicarono, iniziando a tingersi lentamente di scuro man a mano che “aspiravano” le “tossine cattive” dal corpo del ragazzo, sostituendole con un potente calmante che, lentamente, andarono a calmare il ragazzo, facendogli così sbollire la rabbia... Smise di divincolarsi ed urlare, ma stava iniziando a provare una certa spossatezza e sonnolenza..
«Sono calibrate per placare un bisonte. Datti una calmata.» Ammise senza batter ciglio l’Aburame, continuando a sorseggiare il suo the come se niente fosse. Ok, la sfuriata avrebbe aspettato...
Porta Nord di Konoha, ?? Giugno 249 DN, ore 7:39
O, forse, era meglio restarsene zitti, ingoiare il rospo e lasciar correre. Dopotutto, non poteva certo trovare rimedio ad ogni idiozia commessa dal genere umano, no?
Era questo che pensava Kacchan [
x] mentre, in piedi, con la schiena poggiata contro il tronco di un albero, fumava inviperito. Era da una buona mezz’ora che non faceva altro che rullarsi una sigaretta, accendersela e fumarsela, per poi ricominciare quel ciclo. Ormai, attorno a lui, aleggiava una nebbiolina di fumo denso, dal forte odore di caffè tostato e cioccolato, nemmeno si trattasse di una ciminiera in piena attività. Meglio stordirsi subito col fumo, così avrebbe evitato di dar di matto, quando avrebbe visto arrivare l’Hokage...
Al sol pensiero, si iniziò a preparare l’ennesima sigaretta, nonostante ne avesse ancora una accesa in bocca, che iniziò a tirare come un disperato. Era arrivato con un certo anticipo all’appuntamento. Se i Kami erano misericordiosi, con lui, l’avrebbero trovato morto a terra, schiantato da un blocco totale delle vie aeree, ma con la fortuna che si ritrovava...