| Con non poca fatica, Kacchan riuscì a farsi largo tra la calca di corpi stipati in quella stanzetta, raggiungendo finalmente la prima fila, che dava direttamente su una vetrina che permetteva di visionare in toto la sala operatoria. Col fiato corto, infilò un dito sullo scollo del camice, cercando di allentarlo un po’, sperando di riuscire a prender fiato, ma la mascherina che aveva sul viso aumentava il senso di soffocamento, mentre nella sua testa rimbalzavano come palline di un flipper le emozioni di tutti quei ragazzi li accalcati: timore, soggezione, paura, senso di inadeguatezza.... Diamine, quanto maledettamente gli assomigliavano... Scosse il capo con vigore, cercando di snebbiare la mente e ritornare al momento presente, abbassando la mascherina e avvicinandosi ulteriormente alla vetrina, poggiandoci sopra la mano libera. Il freddo contatto della superficie lo aiutò a svuotare la mente, a calmarsi e a ritrovare la lucidità che gli serviva per affrontare quello che stava per fare.... “Cazzo, seriamente lo sto per fare? Devo esser proprio sciuminito...”Addocchiò, sul lato destro, una piccola scatola metallica affissa alla parete, munita di diversi bottoni e con una piccola sporgenza traforata: l’interfono che permetteva le comunicazioni con la sala operatoria sottostante era disattivato, impedendo così ai giovani presenti nella stanza di ascoltare quello che stava succedendo a pochi metri di distanza, e la cosa lo lasciò stranito, come se quel dettaglio avesse ridestato un ricordo che fino ad allora aveva tenuto assopito, nascosto in un cassetto tanto a lungo da essersene dimenticato. E dire che era un ricordo relativamente recente.... Tre file di sedie metalliche occupavano la stanza, permettendo di accomodare una trentina di persone, senza contare quelle che si sarebbero potute accomodare sul fondo della sala, rimanendo però in piedi contro il muro. Quella sala, però, quel giorno era vuota e l’unico sedutovi al suo interno era Kacchan, in prima fila davanti alla vetrina che dava sulla sala operatoria nella quale un’equip medica era intenta ad operare sua madre. Rimozione dell’ovaio sinistro per mezzo di una laparotomia, un intervento abbastanza nella norma, tanto da non richiedere la presenza di un pubblico, generalmente composto da tirocinanti inesperti smaniosi di poter imparare. L’interfono presente in sala, però, era rimasto attivato, forse per una dimenticanza. Fatto sta che Kacchan sentiva perfettamente quello che i medici stavano dicendo, descrivendo le procedure che stavano effettuando mentre operavano sua madre. Chissà, probabilmente stavano spiegando la procedura a qualche novellino alla sua prima volta con un bisturi.
Kacchan si alzò, così da poter scrutare con maggiore attenzione ed effettivamente potè notare che uno dei chirurghi non era esattamente a suo agio. Digrignò i denti, infastidito dall’idea che potessero usare sua madre come banco di prova per qualche inetto incapace, ma sapeva bene che a tenerlo sotto controllo c’erano persone decisamente molto qualificate. Alcune fin troppo, per i suoi gusti. E vedere il suo riflesso nel vetro lo fece imbestialire ancor di più, spingendolo a scostarsi dal vetro, proprio mentre la porta della sala d’osservazione si apriva. L’uomo che si sporse al suo interno osservò con i suoi profondi occhi blu cobalto la sala e, una volta posatisi su Kacchan, brillarono, mentre un largo sorriso si apriva sul suo volto.
«Ecco dove ti eri cacciato!» Pronunciò con voce calda, cercando di mantenere il timbro basso, mentre si chiudeva alle spalle la porta e raggiungeza il suo ragazzo che, di rimando, gli sorrise, puntando su di lui gli stessi occhi color cobalto. «Volevo esser sicuro che andasse tutto bene....» Ammise, indicando con il pollice la vetrina alle sue spalle.
Con un sospiro, suo padre si lasciò cadere sulla sedia di fronte al giovane, passandosi una mano tra i corti capelli castani, un gesto che il giovane Yamanaka, si rese conto, aveva ereditato da lui. «La mamma è in ottime mani, dovresti star tranquillo.... » Sentenziò, e il giovane si ritrovò a dover ammettere il vero: sotto i ferri di suo nipote Hachi, Kyoko non correva alcun rischio, ne era fin troppo consapevole.
«Si, lo so, solo che….» Sospirò, sedendosi di fianco al genitore, stendendo le gambe davanti a se, non sapendo fino a che punto spingersi, ma si trattava di suo padre, e con lui non aveva alcun segreto. «Ero curioso. Volevo vedere cosa succedeva in una sala operatoria, come si comporta un medico in circostanze tanto delicate, sai com’è.....» In tutta risposta l’uomo fece un cenno affermativo con la testa, senza però smetter di sorridere sormione. Conosceva bene il suo ragazzo e aveva già intuito che qualcosa gli frullasse in quella arruffata testolina bionda. «E come ti sembra?» «Incredibile. Oltre ogni dire.» Ammise senza troppi giri di parole, voltandosi per poter osservare I chirurghi che, in quell momento, stavano richiudendo il taglio addominale. L’intervento era finito ed era andato tutto liscio come l’olio, come c’era da aspettarsi.
«Allora perché non studi medicina? Visto che l’idea di fare il medico ti intriga così tanto, perché non ci provi?» Domandò candidamente, ricevendo in tutta risposta uno sguardo truce, mentre il ragazzo indicava alle sue spalle, senza aggiungere una parola. Cavolo, proprio non riusciva a digerira l’idea di avere anche solo un minimo di interesse verso suo cugino.
«Studia per conto tuo allora, se proprio ti pesa dover chiedere a lui. Puoi chiedere alla mamma di farti spiegare qualche nozione base e, se non sbaglio, dovrebbe avere ancora qualche libro di anatomia nascosto giù in cantina. E quando diventerai Chunin, se passi le selezioni, potresti deciderti di seguire un corso come si deve.... Magari non necessariamente qui a Konoha...» Nel sentire quelle parole da parte del genitore, gli occhi del ragazzo si fecero lucidi, carichi d’emozione. «Dici che si potrebbe fare?» «Ma certo! Mi basterà chiedere a qualche mia conoscenza a Suna, e magari ci si potrebbe accordare in qualche modo....»
Non finì la frase, perché venne interrotto da un abbraccio caloroso da parte del ragazzo che, imbarazzato, si staccò quasi subito, senza però smettere di sorridere. «Sarebbe fantastic, pà, dico davvero!»
Il giorno del suo sedicesimo compleanno, suo padre gli regalò un libro di medicina, uno dei primi che il giovane Kacchan aveva letto avidamente, nel cuore della notte, tra una missione e l’altra, ogni qual volta aveva un po’ di tempo libero. Li divorava quei libri.... Peccato che, con la morte di suo padre, li lasciò chiusi nel fondo del suo baule, tirandoli fuori solo quando quell’idea gli punzolava novamente la mente, per poi rigettarli nel fondo impolverato. Questa volta, però, non avrebbe lasciato perdere. Lo doveva a suo padre, ma soprattutto a se stesso. Con decisione pigiò il dito sul tasto di accensione dell’interfono, che immediato gli permise di comunicare all’interno della sala operatoria. «Ayumi-chan, sono Kacchan. So che non è un buon momento, ma sarei interessato ad iscrivermi al....» Non riuscì a terminare la frase, perché qualcuno lo bloccò da dietro, tappandogli la bocca, mentre gli altri ragazzi, terrorizzati dalla sua azione avventata e sconsiderata, farfugliavano tra loro. Kacchan, però, sapeva perfettamente cosa ronzava nelle loro teste. ”Questo qui è matto da legare! Ma si rende conto della gravità della situazione?” ”Si, probabilmente sono impazzito del tutto”Per un minuto interminabile, il silenzio regnò sovrano, rotto solamente dai segnali acustici generati dai macchinari in sala operatoria e dal ronzio d’interferenza generato dall’interfono che veniva spento. Fu allora che Ayumi alzò lo sguardo verso di loro, puntando i suoi occhi su di lui in particolare, facendogli segno di raggiungerla. Con uno strattone, Kacchan si divincolò dalla presa dei tirocinanti che l’avevano bloccato, un misto di sguardi tra lo sdegnato e il sorpresi ad accompagnarlo mentre usciva dalla sala d’osservazione per recarsi in quella operatoria. Sarebbe dovuto sentirsi agitato, con tutti quegli sguardi a fissarlo, le loro emozioni e angosce a premergli sulla cuffia, nella speranza di penetrare nella sua psiche, così da turbarlo, eppure Kacchan era stranamente calmo mentre varcava la soglia e si immetteva nell’ambiente freddo e asettico della sala operatoria. L’odore chimico con cui sterilizzavano l’ambiente, unito a quello del sangue, gli fece prudere il naso in maniera fastidiosa, rischiando di stringergli in una morsa la bocca dello stomaco, ma si impose di mantenere quella fredda e lucida determinazione che lo aveva spinto fino a compiere quell’insano gesto. E poi, combattendo sul campo di battaglia contro la progenie di Watashi, aveva avuto modo di sentire tanfi ben peggiori. A pochi passi da Ayumi, prefer mantenersi comunque a distanza di sicurezza, più che altro per evitare di essere d’impiccio al resto dell’equip medica: si sistemò quindi dietro I carrelli avvicinati al tavolo operatorio, sul quale erano posate decine di attrezzi diversi. Riconobbe qualche bisturi, delle pinze e un divaricatore, ma per il resto gli erano quasi del tutto sconosciuti. Su di un altro, invece, vi era una cartellina imbrattata di sangue che, stando alle macchie lasciate, era stata gettata lì in un gesto frettoloso, quasi fosse d’impiccio, insieme ad altri incartamenti immacolati. «Sono desolata Kacchan, i moduli che mi chiedi come vedi sono inservibili, erano in quella cartellina mentre rianimavo il paziente. Si erano iscritti in venti ma ormai con tutto quel sangue non credo riusciremo più a recuperare i dati e temo che il tempo sia scaduto.» Sentenziò lapidaria Ayumi, indicando velocemente proprio quella cartellina su cui aveva posato lo sguardo Kacchan. Un’imprevisto bello e buono, come ne capitavano tanti, in quel mestiere. Forse era destino, che non riuscisse a coronare quel desiderio, eppure.... «Che peccato, pare quest'anno non avremo nuovi specializzandi» A parlare fu quello che Kacchan supponeva essere il Chirurgo Secondo Operatoreche, beffardo, lo derise apertamente, cercando con lo sguardo l’approvazione del collega che gli stava di fronte. Senza pensarci due volte, Kacchan alzò lo sguardo verso la saletta, dove il gruppo di tirocinanti continuava ad assistere alla scena, ignari di cosa si stessero dicendo. Fece quindi segno loro di attivare l’interfono, così da permetter loro quanto meno di sentire, perché aveva tutta l’intenzione di far quadrare i conti, li dentro. Si può sapere che cazzo ti ridi, coglione? Pensi che tutto questo sia uno scherzo?» Sibilò, furente, afferrando saldamente il bordo metallico di uno dei carrellini. Aveva una gran voglia di tirarglielo in faccia, ma così facendo avrebbe compromesso la buona riuscita dell’intervento, e di certo quella sua intromissione era già abbastanza fastidiosa da dover gestire. «È fondamentale che ogni medico metta a disposizione le proprie esperienze e conoscenze per permettere la migliore formazione delle generazioni future, e ti permetti di ridere sul fatto che non si terrà un corso? Cos’è, il protossido d’azoto ti ha completamente annebbiato il cervello?» Così dicendo indicò il gruppo di tirocinanti, ancora intenti ad assistere allo spettacolo. « Li sopra c’è il future del reparto medico di Konoha, e te non solo non stai svolgendo come si deve il tuo dovere di mentore, ma li stai anche denigrando e deridendo. Quei ragazzi hanno una gran voglia di imparare e, da quando siete entrati, non avete nemmeno dato una spiegazione sulle manovre che state applicando. Cos’è, non si usa più descrivere in maniera doviziosa ogni manovra che il Primo Chirurgo Operante effettua, eh, testa di cazzo? Come pensi che riesca l’infermiere slavato di sala a prender nota sul rapporto? E come pensi che possano capire quei ragazzi le manovre che state effettuando, se non ti metti nemmeno a descriverle un minimo, deficiente!»Alchè, rosso in vico, afferrò la cartella clinica del paziente, iniziando a leggervi i dati inseriti. Nel vedere chi fosse il paziente in questione, trattenne un’imprecazione a denti stretti, ma cercò di mantenersi lucido, mentre buttava un occhio alla saletta d’osservazione, sperando avessero attivato l’interfono. ”Vedete di collaborare pure voi.... Lo sto facendo anche per voi, questo....” Perché le emozioni che provavano quei ragazzi, in qualche modo, erano fin troppo simili alle sue e voleva fare di tutto per riuscire ad aiutare anche loro, permetter loro di superare le insicurezze, di prender coraggio a manifestare i propri pensieri, idee e dar voce alla loro curiosità. «Il paziente è maschio, 75 anni. Iperteso, soffre di artrite. Gli sono stati diagnosticati in passato fibrosi cistica e una cardiomiopatia dilatativa, la quale è stata trattata con un trapianto cardiaco. Stando all’anamnesi presentata, il paziente presenta difficoltà respiratorie e dolore al petto, pertanto si suppone che la causa sia da implicare a complicanze post-trapianto. E ora che te l’ho introdotto, testina di cazzo, perché non spieghi che manovre state affrontando, descrivi la situazione che i tuoi occhi da ciolone vedono e indichi quali sono le procedure che la dottoressa Ayumi sta attuando?» Prese un bel respiro profondo, rimettendo al suo posto la cartella clinica del paziente, prendendo poi la cartellina imbrattata di sangue. «Perdonami, Ayumi-chan, so che sono sempre un gran chiassone e rompipalle, ma non mi sarei permesso mai di fare una cosa del genere se non sapessi quanto tu sia abile nel mantenere la concentrazione e i nervi saldi anche nei momenti più critici. Capisco la delicatezza della situazione, perciò sarò breve, conciso e diretto: voglio iscrivermi ai corsi, ma son ben certo che il tempo per presentare la domanda è scaduto, e di certo non è giusto che venti ragazzi, come me, vogliano perdere l’occasione di poter cominciare gli studi. Ecco quindi la mia proposta: prendo le iscrizioni, te le ripulisco cercando di renderle nuovamente leggibili, e ritroverai la cartella, pulita e riordinata, proprio qui, nello stesso punto, non appena finirai l’intervento. Oppure rubo la cartella e la distruggo, e in questo modo sareste costretti a riaprire un nuovo bando d’iscrizione, in quanto un fattore esterno ha sabotato il normale iter amministrativo, decretando un ritardo nello svolgimento della normale prassi. Con la prima opzione nessuno saprebbe nulla di quello che è successo, mentre con la seconda verrebbe fatto noto come il sistema organizzativo sia mal gestito, permettendo un furto del genere, senza parlare della sciatteria con cui vengono trattati incartamenti importanti. Dato che è fondamentale che le documentazioni mediche siano ordinate e tenute con estrema cura, vedere quel che è successo con quella cartella sarebbe problematico: se delle semplici iscrizioni sono state ridotte in quello stato, come saranno allora le cartelle cliniche dei pazienti? » Lo sapeva fin troppo bene che si stava legando un cappio intorno al collo, stringendosi per bene anche il nodo, ma se non faceva vedere di aver le palle, nessuno l’avrebbe preso sul serio, li dentro. E poi era già stato spedito in terapia per aver smadonnato contro un suo superiore, dopo quella sua uscita cos’avrebbero potuto fargli, retrocederlo di grado? ”Che lo facciano pure, per quel che mi importa. Se servirà per annientare l’ombra che mi perseguita, ben venga. Non mi tiro indietro e non mi pento di nulla.”«Quindi dimmi, Ayumi-chan. Di quanto tempo hai bisogno per rimetter in sesto quest’uomo?»
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