Han Nibaru-Rekutā era un rinomato medico del Paese del Vento, un vero e proprio maestro del bisturi, se non fosse stato per quel
piccolo difetto che gli macchiava il curriculum, un
feticcio sul quale i suoi esimi colleghi cercavano sempre di chiudere un’occhio: era un patito per le marionette... ma non quelle classiche, realizzate in legno e metallo, quando mai! Il dottor Rekutā era ossessionato da quelle che venivano realizzate sulla base di corpi umani, tanto da diventare una presenza fissa nell’obitorio dell’ospedale dove prestava servizio, ritirando quei cadaveri privi di nome, senza alcun parente a reclamarli per una degna sepoltura.
E, fin quando si limitava a lavorare su corpi non reclamati, nessuno osava aver nulla da ridire, anzi. I più audaci, addirittura, quasi lo ringraziavano per quel servizio, permettendo così di tenere libero l’obitorio da
pacchi il cui smaltimento era una gran rogna. Considerando, poi, che nell’ultimo periodo il numero di morti non identificati era aumentato, a causa di un misterioso serial killer, la cosa tornava particolarmente utile.
Otanashi Hitsuji era una donna
particolare: estremamente timida e riservata, cercava in tutti i modi di apparire inosservata, di non destare l’attenzione di nessuno. Una donna sciatta e priva di interesse, eppure c’era qualcosa per cui era rinomata: la cucina. La donna, infatti, aveva preso in gestione il piccolo ristorante di famiglia, dopo la misteriosa scomparsa dei suoi genitori, e da allora tutti, nel circondario, non facevano altro che parlar bene dell’ottima cucina di quel piccolo locale. Certo, con quegli omicidi, girare di notte non era sicuro, eppure quel piccolo locale riusciva a lavorare fino a tardi senza grossi problemi.
Un modo come un altro per non pensare all’orrore dettato dalla cronaca nera la quale, puntualmente, non faceva altro che raccontare le vicende vicino a questi delitti tanto esecrabili: il numero delle vittime non sembrava diminuire, gli agenti preposti alle indagini sembravano in alto mare, nel cercare di trovare il bandolo di quella ingarbugliata matassa. Poco meno di una decina di corpi, aperti e svuotati degli organi interni, i volti completamente sfigurati da profonde ferite, simili ad artigliate. Civili? Ninja? Difficile riuscire a capire se ci fosse una particolare predilezione, nella scelta delle proprie vittime, data la loro enorme eterogeneità. Eppure, secondo i giornali, di una cosa potevano esser certi: il killer non era affatto umano, e secondo alcune testimonianze, doveva trattarsi di una creatura dalle sembianze leonine. Da qui, ben presto, rinominarono questo serial killer
Kuroshishi, il leone nero.
Il dottor Rekutā era estasiato dal modo in cui quel serial killer lasciava le sue vittime: i tagli, le lacerazioni, il modo in cui gli organi venivano estratti e i vasi suturati... Tutto, in quelle macabre esecuzioni, sembrava essere fatto in maniera tale da rendergli perfetto il processo di trasformazione da umano a marionetta. Ah, che meraviglioso regalo gli aveva fatto il destino, tanto che, ad un certo punto, il medico richiedeva solo l’uso di quei corpi, ma... Ehi, erano indispensabili per cercare indizi su questo inafferrabile assassino, quindi, la stragrande maggioranza delle sue richieste veniva inascoltata e respinta.
La signorina Hitsuji, nonostante la crescente fama del suo locale, continuava a preferire mantenersi defilata dalla vita sociale, preferendo restare nascosta dietro i fornelli, a deliziare i suoi commensali con i suoi manicaretti. Eppure, una sera, durante una cena organizzata per un convegno di medici, la donna volle mostrarsi, incuriosita da tutti quei
bisturi riuniti sotto il suo tetto. Fu così che il dottor Rekutā rimase stregato dagli occhi neri come la notte della donna, mentre la signorina Hitsuji si incuriosì nel vedere quella zazzera di capelli rossi, un colore così inusuale in quella zona. Il destino, però, non aveva ancora terminato con le sorprese e quella stessa notte, di ritorno verso casa, non vuoi che il dottor Rekutā non venisse aggredito dal killer Kuroshishi?
E li, in quel vicolo, il medico rimase interdetto nello scoprire che altro non era che la stessa donna che quella sera l’aveva tanto incantato, per non parlare della sorpresa della feroce assassina, nello scoprire quanto il medico idolatrasse il suo modus operandi. Un incontro inaspettato che permise di mettere le basi per una singolare alleanza: la signorina Hitsuji avrebbe potuto continuare ad uccidere senza problemi, lasciando così i corpi al dottor Rekutā, che li avrebbe trattati in maniera tale da trasformarli nelle sue adorate marionette. E fu così che Kuroshishi, il famigerato serial killer, sparí dall’attenzione mediatica, il dottor Rekutā smise di richiedere cadaveri dagli obitori di zona e il ristorante della signorina Hitsuji chiuse i battenti.
Eppure il numero di persone scomparse non faceva altro che crescere, le strane abitudini del medico, improvvisamente interrottesi, non fecero altro che far accrescere i sospetti e, ben presto, la coppia dell’orrido si ritrovò costretta a fuggire, iniziare a vagare per il paese in incognito, cercando un posto dove poter proseguire indisturbati, girando in lungo e in largo l’intero continente ninja. Tutto per poter proseguire indisturbati le loro macabre abitudini.
Ed ecco che, da questa inaspettata unione, nacque Hanna, un paffutello maschietto dalla zazzera rossa come quella di suo padre… Plausibili saranno le vostre perplessità: se è maschio, perché dare un nome femminile? Ebbene, è presto detto. La signora Otanashi, sfortunatamente per il medico, non aveva mai smesso di pensare a quel banchetto mancato, con lui, e l’idea di poter generare un figlio che rispecchiasse i suoi tratti somatici la ingolosiva parecchio. Se poi si univa il fatto che, stranamente, la donna evitava come la peste di nutrirsi di carne femminile, beh... Appare palese il motivo di tale scelta.
Per queste ragioni il piccolo Hanna crebbe a strettissimo contatto con suo padre, cercando in tutti i modi di rendere al minimo i contatti con la figura materna, fingendosi una femmina in sua presenza. Ciò l’hanno reso un bimbo molto insicuro e timoroso, fortemente legato al padre, tanto da essere una presenza fissa al suo fianco: quando il medico si chiudeva nella sua “bottega delle marionette”, il piccolo era sempre accanto a lui, affascinato e rapito dal modo in cui il suo genitore creava quegli strani giocattoli. In sua compagnia, il bambino si sentiva al sicuro, divertendosi nel cercare di emulare il genitore, costruendosi da se pupazzi e balocchi, partendo da rimasugli di legno ed ingranaggi, cucendo stoffe o lavorando lana e cotone. E fu una enorme sorpresa quando il dottor Rekutā scoprì le particolari capacità del piccolo, vedendogli “cucire” la sua prima anima, il suo primo balocco muoversi di sua volontà, senza l’ausilio dei classici fili di chakra indispensabili per un normale marionettista.
Peccato che questo “idillio” prima o poi doveva terminare, e si concluse nel peggiore dei modi. Hanna aveva si e no sei anni quando sua madre scoprì il suo segreto: al momento della consegna dei corpi vuoti al marito, la donna perse completamente il controllo quando scoprì che il medico aveva tenuto nascosto il fatto che fosse maschio, impedendogli così di affondare i denti in quelle carni prelibate. La donna, ormai resa folle dalla fame, si avventò sul marito, uccidendolo sotto gli occhi di Hanna che, atterrito, non poté fare altro che fare l’unica cosa in suo potere: cucì l’anima di suo padre in uno dei suoi giocattoli e, con quello, riuscì a sconfiggere sua madre, strappandole a sua vola l’anima e cucendola in un altro giocattolo, che prontamente sigillò in un rotolo, per timore che potesse ancora fargli del male.
Era ormai rimasto solo, ma la sua fortuna volle che, in quel periodo, la sua famiglia si fosse trasferita nel Paese del Suono, e che avesse attirato l’attenzione del Taisho, permettendo al piccolo di poter crescere nelle segrete del villaggio di Oto. Iniziò quindi ad affiancare i ninja più grandi nello svolgimento degli incarichi affidati dal Taisho Yo Saito, e fu così che il piccolo Hanna fece la conoscenza di Hiroki Hyuga. Con lui instaurò un legame profondo, tanto da considerare lo psicotico Hyuga un fratello maggiore, arrivando a sacrificare il pupazzo contenente l’anima di sua madre, per salvarlo. [
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Poi, però, la situazione ad Oto precipitò a causa della guerra civile che la coinvolse: Hanna, essendo ancora troppo piccolo (essendo minuto, gli era facile fingere di avere molti meno anni di quanto in realtà non avesse), venne evacuato insieme al resto dei civili, ma avendo perso di vista il suo “fratellone”, iniziò ad indagare per conto suo, cercando di ricongiungersi con Hiroki. Non fu facile, per il bambino, riuscire a rintracciare quello che aveva imparato a considerare come un fratello maggiore. Purtroppo, però, per lo Hyuga non c'era più niente da fare: troppo debilitato dalle ferite riportate dagli scontri e dagli esperimenti subiti, morì poco dopo, ma Hanna gli aveva fatto una promessa: quella di rimanere sempre insieme e che, nel caso in cui lui fosse morto, la sua anima venir cucita in uno dei suoi pupazzi, così da poter essere inseparabili.
Ora, diventato un po’ più grandicello, camuffando la sua età per sembrare più grande di quanto in realtà non è, si diletta nel creare pupazzi e balocchi da regalare agli orfani del villaggio, in modo tale da poter diventare, per loro, quello che il suo fratellone Hiroki e, prima ancora, suo padre, hanno rappresentato per lui: un punto di riferimento e qualcuno su cui poter contare.