Posts written by Wrigel

view post Posted: 22/12/2022, 19:06     Missione S - Einherjar - Attività Nukenin

Nessuna stretta di mano... non che servisse. Un patto del genere non nasceva dalla concordia o dalla fiducia, ma dal reciproco bisogno. Erano affari e basta.
Una transizione d'affari che entrambi avevano reputato la migliore.
Nel suggellarlo non cambiò nulla: nessuna sensazione, nessun segno dell'obbligazione presa in carico. Al loro posto, uno schiocco di dita.
Questo significava essere un Dio. Uno schiocco di dita senza preoccuparsi né di Shintou, né del patto ma solo dell'obbiettivo.
Intorno a loro tutto si sfaldava: muri e case, aria e ghiaccio, dubbi e patti. Il solo suono fu lo schiocco che fu come un onda d'urto silente, come l'inizio di una nuova scena teatrale. E la coltre impenetrabile che circondava il villaggio si aprì, a mò di tenda, per mostrare un panorama impossibile. Sembrava un mero spettatore su di uno spettacolo ordito da chissà quale mano e pensiero. I suoi occhi furono d'aquila, mentre viaggiava su ali del vento cavalcando nubi e picchi montani così familiari ormai.
Seguendolo, aveva attraversato innumerevoli volte i valichi che portavano al brullo altopiano che ospitava le uniche città di quella terra. Ora, le vette si piegavano verso un unico punto, scomparendo all'orizzonte per lasciare il passo ad un nuovo, immenso ed innaturale varco. Anche da quella distanza, agli occhi dello Spadaccino sarebbe apparsa chiaramente la scia di cadaveri che disseminava il nuovo percorso, tanto fitta e spessa da costituire una nuova pavimentazione.
Al termine della carneficina, stretta nello spazio apertosi tra le vette così piegate e ritorte, una struttura. Una fortezza, avvinta dalle fiamme.
Morte e distruzione. Ma lui aveva la forza di fermare tutto questo?
I seguaci di Tyr erano le prossime vittime sull'altare del Caos e del sangue; impossibile non sovrapporre queste immagini con quelle che avevano cementato la sua anima e il suo cuore.
Impossibile non pensare a quella figlia di Jashin che Zodd le scaraventò addosso, marionetta ormai consunta nell'inutilità di anima e corpo, e all'abominio che si consumò tra quelle mura.
Non riusciva a trattenere il disgusto e la volontà di scendere in guerra lui che non amava la guerra, lui che protesse un Raikage nell'ombra abnegando vita e desideri non riusciva, oggi ed ora, a restare indifferente a tutto questo.
A queste immagini silenti, alle parole di Hela e al grido della sua anima; le mani si strinsero inutilmente nel vuoto.
Nosferatu era lì in quella carneficina, dispensandola adorandola ed essendone adorato. Tanto bastava.
Ora sapeva fosse quel bastardo cagato dal peggior buco d'inferno.
Era lì che avrebbe portato la Legge di Jashin e dei Demiurghi. Ai confini del mondo, tra neve e ghiaccio, combattendo in una guerra che dilaniava il mondo, silente e senza gloria, eppure non importava. Nosferatu sarebbe morto e nemmeno una tomba lo avrebbe ricordato.
Lo avrebbe divorato anima e corpo.



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«Lo ucciderò.
Lo giuro su questo anello. »




L'anello nuziale. E le nocche sbiancarono. La rabbia era un fuoco che non riusciva a controllare. Che non riusciva a domare.
Ma voleva farlo?
Guardò Hela e inchinò la testa.

«Se hai un idea del modo dimmelo.
Pensavo fosse solo dal Dio dell'Abisso che quel bastardo prendesse ordini...ce ne sono altri?!»


E perché se ne stupiva? Lui non combatteva per Jashin e i Demiurghi? Come sempre pensava da essere umano. Una mente ristretta in un oceano sconfinato...Quindi tutto poteva essere utile per non perdersi; tutto quello che poteva, e voleva, dirgli Hela. Anche perché era un naufrago senza zattera, senza stelle, in balia degli eventi. Sapere in che modo Zodd potesse fare l'ennessimo sfregio al mondo lo avrebbe di certo aiutato a capire e comprendere di più il suo modus operandi.
Hela aveva un tassello, ma condividerlo con il Triangolo lo avrebbe aiutato a discernere illusioni dalla realtà.

«Non metteranno piede in questo mondo.
E recupererò le mie armi. Stanno stringendo da troppo tempo il vuoto. Le mie mani sono abituate a Ryujin Jakka e Higanbana. Senza sono solo un misero sterco che galleggia in una discarica.»


Doveva. In un combattimento con chiunque, non poteva farlo armato solo di volontà e pugno. Non con questi abomini. Guardò Hela e il suo sorriso che divenne notte e oscurità. La luce innaturale di quella Luna non proseguiva oltre un confine prestabilito, esaltando il pallore del collo e delle braccia ma lasciando il sorriso nell'oscurità più assoluta.
Terribile brivido percorse la schiena di un uomo abituato all'orrore ma che riconosceva il freddo della morte e di chi ne era signora.
Come se la sua anima volesse fuggire a nascondersi ovunque ma lontano da quello sguardo e da quel sorriso che fu notte senza stelle mentre la Luna sembrò innaturale in un cielo inquietante.

"Il Nemico sa che sei ancora in vita, ma non si aspetterà un attacco. Tienilo a mente."

«Ringraziarti mi sembra fuori luogo. Ma lo farò comunque.
Hai detto che non t'interessano le vite degli adoratori di Tyr...mh...avrei voluto avere questo animo freddo ma purtroppo non riesco a smettere di pensare che sono uomini e donne votate al sacrificio e a questa terra. Che non devono morire nell'abominio, nello stupro e in una tenebra fottuta. Se posso li salverò.
Che sia il Valhalla a giudicarli. Che siate voi Dei del Nord.
Io combatterò per questo. Per voi, per loro e questa terra.
Estirperò Nosferatu come si fa come il veleno di una ferita infetta.»


E si morse un dito. Sangue.
Per suggellare un patto alla maniera Jashinista. Alla maniera di un samurai.
Alla maniera di Shintou Agiwara.



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- JEG SVERGER



Lo giurava.




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Sogno o realtà?
Aveva sognato tutto? Cosa fosse reale e irreale? Illsione o pazzia?
Sentì il suo corpo, il respiro affannoso, un tetto di legno, il crepitare del fuoco, un giaciglio che scricchiolava sotto il suo peso, coperte di pelle di capra e pelliccia d'orso che puzzavano di unguenti e balsami.
Tentò di girare la testa. Gli fece male. Fece male tutto perché dall'incoscienza passava alla coscienza e la sua mente ora ricordava tutto.
Da tasselli caotici ora si riunivano non più in un caleidoscopio che vorticava nella sua testa senza senso ma con ordine.
Il combattimento con gli apostoli e l'orda infernale.. Zodd. Il cavaliere. La sconfitta per mano di quella bestia. Lui senza corpo solo con la testa, mosso da mani che lo avevano portato da un apostolo. Poi di nuovo questa storia ricominciava. Hela. I seguaci di Tyr morti mentre la Bestia continuava la sua mattanza, lastricando di sangue e cadaveri la sua strada verso la liberazione dei suoi padroni.
E forse era già tardi. O forse no. Ma il letto lo odiava. Odiava l'immobilità. Odiava questo sapore, questo odore, l'inutilità. E tornò la paura.
La malattia.
Non voleva provare queste sensazioni.
Non più!
Non adesso!
Anche questo gli avrebbe fatto pagare. Anche questi ricordi. Anche l'inutilità. Anche la paura. Anche la sconfitta. Oltre alla vendetta.


- ZODD



E tentò di urlare...

view post Posted: 17/6/2022, 17:28     Missione S - Einherjar - Attività Nukenin

Il dubbio era parte integrante dello spadaccino. La paura una costante. Perché aveva paura.
Non della morte, quella per lui era divenuta una compagna; la morte l'aveva sempre accompagnato da quando era nato, all'accademia, contro Watashi, ad Oto. Lo accompagnò da Jashin ed era ancora al suo fianco oggi. Non aveva paura della morte ma di qualcosa di più subdolo.
Di non riuscire. Di essere incapace. Non di morire in battaglia ma che la sua morte non servisse a nulla. Solo a concimare una terra morta con un altro, ennesimo, cadavere senza nome, senza storia, strappato da tutto e morto nel niente.
Paure più sordide, più intime, più maledette di quelle che ti aspettano dietro un angolo, un comunissimo, normalissimo angolo e appena lo svoltavi ecco che qualcosa t'attanagliava il petto e l'angoscia diveniva padrone di noi.
Poteva essere convinto quindi? Poteva, con la paura che da sempre accompagnava l'uomo, lasciarsi andare a questa tempesta?
Guardò la mano di Hela con quella ferita che non sarebbe guarita. Sarebbe stato facile ucciderla con la forza dell'antichakra che tutto portava alla stasi e al nulla. Sarebbe stato facile voltarle le spalle e tornare alla sua solitaria battaglia.
E si ricordò di Brunilde e di Siegfried. Di un regno distrutto, di un eroe reso mostro, di una donna che combatteva da sola lasciandosi dietro il passato, ma non avendo futuro solo un presente color rosso con muri fatti di scheletri ed ossa lì dove prima vi erano sale, risa e banchetti, musica e balli.
Gli Aesir erano stati sconfitti e tutto era stato divorato.
Poteva essere convinto?
Hela poteva essere un altro Apostolo del Bastardo. L'ennessimo Siegfried.
Poteva essere convinto?
Shintou guardò Hela negli occhi e scrutò nell'infinito cercando di riuscire a rimanere se stesso e a non perdersi. Ma fu impossibile. Così come il secchio non poteva contenere l'oceano, così Shintou non poteva comprendere Hela e i suoi disegni.
Poteva essere convinto?

Potevano aspettare? Potevano essere immortali e al di là del pensiero e delle azioni degli uomini ma il mondo stava morendo. Forse poteva essere convinto Shintou...o forse no. Gli Dei, nel mentre, venivano fatti a pezzi o irretiti e questo avrebbe generato una catastrofe immane.
Per anni aveva camminato e combattuto su queste terre, era stato protagonista della sua distruzione, antagonista nella sua difesa. Aveva visto mani speranzose ridotte a moncherini nel buio, mentre orrendi suoni provenivano da abissi insondabili.
Aveva visto bambini divorati, fatti a pezzi e messi su delle picche per il gusto di violenza e sadismo. Aveva visto donne torturate, violentate brutalmente e poi uccise mentre i loro cadaveri venivano ancora violentati da questi bastardi infami.
Ricordava la Figli di Jashin. Ricordava il marchio e la sua debolezza.
La paura ancora una volta strisciò su quella schiena che sorreggeva un peso terribile a portare.
E farlo nella solitudine di chi sapeva che non poteva dividere tale onere era ancora più angosciante e la disperazione una puttana che rideva ogni sera di lui.
Aveva dovuto imparare a chiudere il cuore nel cinismo; a renderlo cinto da mura di odio e vendetta. A combattere guardando davanti mai al lato, mai dietro come se vi fosse solo una via, come se non vi fosse nient'altro che questo.
Per proteggere. Per proteggersi.
Anche lui poteva essere irretito. Anche lui poteva essere un nuovo Apostolo. E chiunque gli fosse vicino rischiava un destino di tormenti. Proteggere da lontano, uccidere con una rabbia pari ad un berserker. E con essa nascondere la paura, l'angoscia, l'essere uomo per divorarlo e trasformarsi nel mostro che avrebbe reso le loro schiene tremanti in quel buio che ora era anche il suo di alleato.


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«Il mondo finirà Hel. Sei sicura di aspettare fino ad allora? Può darsi che per quel momento non rimarrà più nulla di tutto questo.»



E si diede lui stesso una risposta. Poteva aspettare Hela e le sue macchinazioni, poteva cercare di guardare nella nebbia ma nel mentre altri sarebbero morti. E lui? Lui cosa avrebbe fatto? Aspettare? Camminare tra scheletri e tombe con altre tombe aperte nella sua anima che si sarebbe ridotta ad cimitero.
Non si fidava. E Higanbana non si mosse mai. Sfiorò quella mano.

«Tu aiuti me. Io te. E quando sarà il momento tu mi dovrai un favore.»

Era un altro azzardo. Non si dimenticava dell'apostolo al suo servizio, né di come Siegfried fosse divenuto l'ombra malevola del Campione che fu.
La lama avrebbe sfrigolato. Un avvertimento?
Forse solo il rumore della sua anima.

view post Posted: 26/5/2022, 16:01     +1Into The Sanctuary: Serviam! - Altre Organizzazioni

Il sorriso del nano è una lama peggiore di quella falce che gira tra le sue mani.
Bellissima.
Lame nere come la notte che brillano come pietre preziose del mondo dei morti, in esse si scorgono abissi insondabili di terrore dove vi sono mani che non sono mani in attesa di un tempo a venire.
Gocce di sangue cadono per terra.

«Va male.»

Ansima, guardando la sagoma che cresce davanti, sopra e contemporaneamente tutt'intorno a lui.
Un cazzo di problema, pensò il nano. Un enorme problema. Eppure rideva perché gli piaceva. Non quella cosa, sia chiaro, per cui provava un odio scellerato, ma per quello che gli stava facendo provare. L'eccitazione.
Erano secoli che non ne provava più.
"Forse solo quando ho combattuto con Hyou intravedendo quell'ossessione e utopia allo stesso tempo".
Si...forse allora.
Ma non era così forte. Perché non aveva la sua falce in mano. Combatté solo con il potere di quelli dell'altra parte. Oggi era diverso. Oggi la sua falce si era mostrata dopo secoli.
Le ali del mostro si allargano a venti braccia in ogni direzione, dominando il suo campo visivo. La massa della creatura continua ad espandersi e riempie l'oceano di incubi che chiama casa, ogni dente luccicante ora grande quanto un adulto... e diventa sempre più grande. I suoi quattro occhi predatori lo fissano. Distacco?. Forse fame.
Ma come poter comprendere un qualcosa che andava oltre le sue conoscenze.
E il nano di conoscenze ne aveva molte. Aveva visto gli abissi del caos, aveva visto il Messaggero e i Demiurghi sui loro Tredici Troni fatti di galassie in putrefazione. Aveva visto oltre il velo non appartenendo più a questo mondo ma divenendo un qualcosa che camminava tra i mondi e le dimensioni che formavano la Realtà.
Eppure oggi era con le spalle al muro.
Sensazione sgradevole.
Ma quanto gli piaceva anche.

- Qualcosa ti turba?

La sua voce è così forte che scuote l'intero spazio, una voce che si piega e si contrae, sussurra e urla. Gli strati continuano senza fine, un'aria cantata non da una voce, ma da milioni.
Lo schiocco della lingua. Il ticchettio nervoso del collo. Lo spasmo muscolare della mano.
Il nano rideva e i suoi tick nervosi lo rendevano ancora più inquietante.

«Ora capisco.
Sei peggio. Molto peggio


Ora sa.

- Si

Sfarfalla il suo corpo. Raggi dorati screziano delicatamente la luce sopra la sua forma simile a un raggio. Una nuova carne ansima increspandosi contro una finta marea, con le vene che si illuminano per un fugace istante prima di ritrarsi dalla superficie della pelle del mostro, ciascuna a suo modo viva e indipendente come nazioni sovrane Luce spuria incornicia, come una collana di magatame metastatiche, l'imperatrice come uccelli che volteggiano sulla cima di una montagna lontana. È bellissimo, in un certo senso. Se il Caos avesse un dio, ecco come sarebbe. Orribile, mostruoso e bellissimo.


- Di quelli che hanno conoscenza solo due sono ancora vivi. Uno sei tu.

«Quindi? Se è così devo ucciderti. Semplice.»
«Non ci riuscirai. Sei privo anche della più elementare forma di resistenza. Altri sono venuti prima di te, nelle ere che hanno preceduto la mia nascita. Altri aspiranti eroi, che imbracciavano armi a loro dire capaci di respingerLo. Eppure tutti loro sono stati consumati. I minuscoli frammenti che ne sono rimasti, se mai ce ne sono stati, sono diventati grumi consumati nel mare caotico. »
«Ma io sono ancora qui. E ci voglio rimanere ancora per parecchio tempo. Mentre tu sei l'affittuario che non paga il canone mensile. Devo buttarti fuori dalla Realtà. »

Certo. Tentava di fare lo spaccone. Pensava. Pensava velocemente. Avevano sfruttato Sue corrompendola per arrivare fin qui.
Due vivi.
Lui e il Priore. No...perchè usare Sue allora?

«Shintou.»

Lo disse con distacco. Freddo innaturale. I processi cognitivi del nano erano stati obliterati con una rapidità che lo soverchiava.

«Menti. Tu vuoi me. E Getsumoto. Ma sebbene il tuo invito mi lusinga non mi piace chi mette in mezzo le mie cose.
Lui rimane dove sta. Io rimango da questa parte. Il trucco con Shintou è stato un bel colpo, ammetto che per un secondo ci sono cascato, ma in fondo siamo noi le Due Torri su questa scacchiera. »


L'affilatissima punta di un'ala dell'imperatrice gli trapassa il petto, sollevandolo dal suolo mentre si dimena cercando di liberarsi. La falce pulsa. L'atichakra rutila un inferno abissale che strappa le dimensioni, facendole collidere le une sulle altre in uno schianto silenzioso.
Nulla.
Neppure un graffio. Nulla di nulla.

«Io non mento mai. Sei vivo solo perché ti permetto di vivere. Perché è un mio desiderio.»

Lo spazio si contrae. Come se si accartocciasse su quel corpo maledetto. Il gargantuesco corpo del dio dell'abisso si contorce e si distorce, ritirandosi in una sagoma più minuta. Riconoscibile. Almeno per la piccola essenza di chi aveva di fronte. Almeno li era più facile non impazzire, non sentirsi naufrago. Fluttua silenziosamente a terra, incombendo sopra Yamamoto mentre tentacoli e occhi peduncolari si riassestano fino a formare un'oblunga e segmentata imitazione di una testa umana. Si avvolge nelle sue ali apparendo ancora una volta come una donna imponente che emana autorità.
Yamamoto sa di non poter vincere. É una constatazione di fatto.
Non ha mai perso. E quando lo fece fu sempre per un suo piano, per suo diletto, per provare qualcosa.
Oggi era una preda.
Un verme appeso all'amo. E vista la scena non si era poi così lontani dalla verità. Un pensiero soverchiante.
Mentre di fronte aveva un qualcosa che non aveva coscienza. Ma infinite. E lo sapeva.
Lo vedeva da come sorrideva su quel volto pallido riflesso, imitazione sconcia, di un volto umano; da come arricciava le labbra, da come la guardava. Per ogni mossa che Yamamoto aveva pensato, per ogni risposta, quel bastardo ne aveva fatte incalcolabili prima.

«E cosa vorresti da Shintou?»
«Che sia mio. O che sia distrutto.»
«Appartiene ai Demiurghi. E prima ancora a Jashin...non credo lo permetteranno, sai? Questo mondo ha delle regole. La scacchiera su cui si gioca al Grande Gioco Immortale sancisce il continuo di tutto questo che vedi.»
«Che sarà mio.
La vittoria del Vuoto è assicurata dalla sua stessa natura e non è necessario aggiungere altro.»


Era chiaro oramai agli occhi di Yamamoto. Il nano dell'akatsuki era un gigante, storpio nel fisico, ma gigante nello spirito, Titano tra i mortali, potente tra coloro che si affaccendavano come cortigiane e guitte sull'uscio del reale potere.
Yamamoto sapeva e si ricordava. Quell'entità era un cancro oscuro che aveva attecchito nel cuore del Vuoto espandendolo, contraendolo, soggiogandolo per poi divorarlo.
Nata da quello stesso scontro, nata dai desideri dell'uomo, nata dalla bramosia, desiderio e bisogno.
Questa sacca blasfema si espanse fino ad avvolgere il Vuoto. Inerte e placido fino a quel momento, cambiò, la metastasi al suo interno crebbe, divenendo ora questa cosa che era davanti a lui.
Ne aveva sentito parlare troppo tempo prima. Ora gli era venuto in mente. Il ricordo gli fece provare disgusto, orrore e paura.
Ed erano millenni che non provava più paura.

«Tu sei il Dio dell'Abisso. Il Dio dell'Oblio. Un antica leggenda, di un popolo oramai scomparso, un mito tribale legato a un'antica divinità, che cancellava ogni cosa esistente senza provare odio, rimpiazzando tutto con la propria presenza. »

Si ora era chiaro. Nella Legge dell'Equilibrio lei era il Caos e l'Oblio. Era la non regola che porterà questo mondo alla fine e al silenzio.
E fu il sorriso che gli fece tremare la schiena. Perché aveva capito. Perché sapeva che lui aveva ricordato. Mito?
Verità.
E quante volte aveva detto, colui che oggi era conosciuto come Yamamoto Kuchiki, nano dell'aka, uomo deforme ma gigante che vi sono leggende che nascondono verità oscure?
Errore madornale non essere maestri di se stessi.

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- Tutto ciò che incontro lo sottometto ai miei desideri
O lo D I S T R U G G O




Poi il lampo. Una falce nera come la tenebra e l'Abisso seguita da una che sembrava uno spruzzo di stella. Come aurora che accarezzava ancora le tenebre della notte.
La risata. Lo schiocco d'ira. Lampo.
Sue a terra tenuta dal nano. Getsumoto insieme a Jashin.
Silenzio.



Edited by Wrigel - 26/5/2022, 18:31
view post Posted: 9/5/2022, 17:18     Missione S - Einherjar - Attività Nukenin

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- L’ombra che scende rapida mi spinge
ad affrettarmi lungo i solchi antichi
che come me già tanti hanno calcato;
un grillo mi deride col suo canto…
Non so, ma questa via mi fa paura,
e vorrei risparmiarmi di seguirla.




Hel era davanti a lui. E la schiena insieme alle vene, ai polsi, tremava mentre il sangue diveniva ghiaccio.

« Sal sá hon standa
sólu fjarri
Nástrǫndu á,
norðr horfa dyrr;
fellu eitrdropar
inn of ljóra,
sá 's undinn salr
orma hryggjum.

Sá hon þar vaða
þunga strauma
menn meinsvara
ok morðvarga
ok þanns annars glepr
eyrarúnu.
Þar sýgr Níðhǫggr
nái framgengna;
slítr vargr vera.
Vituð ér enn eða hvat?»


« Una sala vidi ergersi
lontana dal sole
in Nástrandir,
le porte rivolte a nord.
Gocce di veleno cadono
dentro, dal tetto:
questa sala è un intreccio
di dorsi di serpenti.
Vide lei in quel luogo guadare
difficili correnti
uomini spergiuri
ed assassini
e chi seduce di un altro
la consorte.
Là succhia Níðhǫggr
i corpi dei trapassati,
il lupo strazia gli uomini.
Volete saperne ancora?»



Nella ljóða edda vǫluspá, la profezia della veggente, così era descritto l'inferno. Lì dove Hel regnava in attesa della Fine del Mondo. Quel Ragnarǫk che tanto ne parlava Kuma. E lei ne era la protagonista indiscussa.
Lei che comandava le Forze del Male. Meglio definirle con quello che sapeva: le forze dell'altra parte. Quelle potenze che volevano la Realtà per loro stesse in una guerra eterna tra i due opposti su cui si teneva in equilibrio il destino del mondo.
Il Gioco Degli Immortali.
Per questo Hela era tremenda. E pericolosa. Ogni patto stretto con esseri come lei non era mai a favore di chi usufruiva del patto.
E per usare una frase cara al nano vince sempre il banco con 'sti bastardi. E il banco lo tengono sempre loro..
Non c'era fiducia. Anche perché ne portava i segni, le cicatrici, nell'anima e nel corpo cosa volesse significare un patto con le potenze dell'altra parte. Perché per esso si doveva sempre pagare qualcosa. Nulla era per nulla.

«Proposta, la tua, alettante. Anzi più che alettante desiderata fin troppo.»

E allora perché Higanbana non si abbassava di un millimetro?

«La fregatura dove sarebbe?
Hai messo su questo spettacolino solo per dirmi questo? Potevi farlo subito. Perché tutto questo allora?»


Era stata franca, schietta fin troppo ma allora perché non esserlo fin da subito.
E Shintou fu diretto come una lama. Di rimando.
Il sangue sfrigolava. Le lame accarezzarono quella mano.

«Non nego che il mio desiderio di ammazzare quel bastardo e quelli come lui è così grande dia essere diventato il mio pane. Io non mangio più.
Io mi nutro dell'odio che provo


Respiro profondo. Lame davanti al viso della Dea.

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«E vorrei ammazzarlo con tutto me stesso. Ma questo patto, per quanto favorevole, non mi lascia tranquillo.
Ho a che fare con quelli dell'altra parte da troppo tempo. E so quanto non esistono patti con voi. Convenienza.
Il più delle volte solo per voi. Ma siete schietti, su questo non posso dire di no, ma nella vostra schiettezza omettete il rovescio della medaglia. Un patto con voi è pericoloso e io lo so, oh eccome se lo so, visto che ne ho stretto uno con Jashin e i Demiurghi stessi.
Ecco perché, per quanto la proposta sia così allettante, non mi fido



Era una contraddizione se lo diceva un uomo che aveva sacrificato la sua vita per l'immortalità, che era sceso all'inferno riportandone non solo un patto ma anche una stilla di potere in questo mondo; una goccia di caos che avrebbe potuto cambiare le sorti di questo gioco.

«Siamo noiosi noi uomini, è vero. E ti deludo. Ti aspettavi sicuramente un si senza pensieri ma sono noioso e prevedibile. Non so perché sei così interessata ad uno come me.
Ci sono molti altri migliori ma la proposta è stata fatta e quindi...»


Stasi.

«Perchè proprio io?
Ci guadagno la vendetta e tu cosa ci guadagneresti? Perché prima ci sono un apostolo e un marchiato come me che mi cercano, una misteriosa signora che mi brama e poi muoio e torno all'inizio di questa storia.
Ci sono troppi punti oscuri e noi uomini siamo deboli, noiosi e follemente stupidi. Ma anche nella stupidità voglio capire.
Perché il confine tra follia e stupidità e sottile. E preferisco essere stupido piuttosto che folle


Avrebbe voluto dire di si. Lo avrebbe voluto con tutto se stesso ma se lo avesse fatto sarebbe stato folle.
Stupido era chi sapeva e sceglieva nonostante tutto. Il folle era chi si buttava senza nemmeno sapere se fosse una buca o una voragine quella davanti a lui.
Immortale, certo.
Ma non invincibile, nè onnipotente. Nè folle.
A schiettezza Shintou rispose con altrettanta schiettezza.
Perchè Hela era, si, di fronte a lui eppure non tutto era stato sveltao, nè chiarito.
E si sa come il diavolo si muoveva nella penombra e nel chiaroscuro.
In fondo se si danza col diavolo, il diavolo non cambia. È il diavolo che ci cambia.

view post Posted: 27/2/2022, 15:10     Topic Centrale Role - Regolamento
Riesumo per poter prendere Karen91, se vi fosse possibilità.
view post Posted: 22/2/2022, 17:01     Missione S - Einherjar - Attività Nukenin

Loro due lo stavano aspettando.
Aspettando...questo era strano. L'attesa era un moto dell'animo che implicava che un azione dovesse nascere. Quindi Che cos'è l'attesa? Una freccia che vola e che resta conficcata nel bersaglio. Che cos'è la sua realizzazione? Una freccia che oltrepassa il bersaglio.
Quei due bastardi stavano attendo che si realizzasse qualcosa. Non vi era la smania dell'esecuzione ma la paziente quiete come se un evento dovesse dare inizio e fine a questa storia. Agli occhi delle copie di Shintou questo fu palese.
Ognuno, sia di Nosferatu che del cavaliere, non tradiva emozione alcuna, né smania, né desiderio, ma pazientemente attendevano consci che qualcosa dovesse accadere affinché fossero protagonisti.
Il villaggio era cinto d'assedio. A circondarlo, un fronte di nebbia senza precedenti e masnada e cavaliere al di là di essa stavano guardinghi. Il villaggio ancora più desolato e lugubre, nessuna luce, nessun suono, come se persino il vento non volesse soffiare tra le case e gli assi di legno marcenti.
Ad ognuna delle copie apparvero i protagonisti eppure stonavano nel contesto. Più che altro stonavano nella sua mente. Aveva prefigurato azione e mosse eppure si stupiì di come non vi fosse né l'una o l'altra.
Roger de Courmier stava su di un cavallo, la sua lugubre presenza rotta solo dal fiato del cavallo che si ghiacciava al freddo del nord. Ma della sua figura marcente, cadaverica, più simile ad un morto che camminava non c'era traccia. Forte in un armatura che non aveva mai visto né nel suo paese natale, né in queste terre, era intatta svettando orgogliosa e compatta nella durezza del ferro sul petto.
Cavaliere e cavallo perfettamente immobili.
Celata sul volto, arma al fianco del destriero. Del cadavere vi era poco. Un uomo d'armi che incuteva timore al solo guardarlo.
Perché? Questa era la domanda. Perché si era ridotto a cadavere? Stava portando un messaggio, a suo dire, ma non di fretta a quanto vedere. Nulla vi era dell'ansia che si aspettava. Quali le sue vere motivazioni quindi' Cosa gli stava sfuggendo? Anche lui in attesa degli eventi? A giudicare ora la risposta era si. Quindi la verità era tutt'altra. La missiva che fosse urgente o meno adesso non interessava perché le azioni solo davano senso a questo incubo. Aspettava qualcosa.
Poi quel finalmente emesso distorto dalla celata e dall'elmo che chiudeva volto e occhi allo sguardo indagatore della copia.

E come lui i bastardi.
La masnada stava immobile. Tra la nebbia artigli che squarciavano neve e corteccia, zanne sbavavano.
E tra loro un qualcosa che gli procurò un brivido. Sensazione sconosciuta eppure il pericolo vergò, a frustata, i suoi sensi. Si trattava di un individuo enorme, alto quasi tre metri e nerboruto al limite dell'umanoide. Se le membra, fatta salva la loro dimensione, potevano ancora essere scambiate per quelle di un essere umano, il volto era deformato in una maschera ferina. La pelle faticava a tenere il passo delle ossa sottostanti, che parevano essere state scolpite e dilatate per assomigliare più a quelle di un orso. Così anche gli occhi, pur separati dalla gigantesca sella del naso, avevano un aspetto feroce, letale.
A differenza del cavaliere, costui non portava quasi alcun tipo di armatura. Sulle spalle portava una pelliccia d'orso nera come i suoi capelli, cinta al torso da due fasce di pelle borchiata che non avevano alcuna pretesa di protezione.
La creatura rimaneva immobile, ferma accanto alla propria arma: un grottesco falcione, ampio quasi quanto il petto di chi lo impugnava ed alto almeno un metro e ottanta. Il suo sguardo, perso in un punto dell'abitato.
Shintou era già circondato quindi. Si era cacciato in trappola da solo e allora cosa aspettavano?

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«Che il passato sia cambiato? Tornando indietro ha cambiato gli eventi? Loro non ne sono assoggettati? O era questa la verità degli eventi?»



Il pensiero delle due copie fu fatto all'unisono. E quindi era a Shintou, lì in quel villaggio, dover dare inizio a tutto. Perché quel finalmente poteva solo stare a significare che gli eventi avevano iniziato a muoversi.
Scappare non poteva però. Ma non lo avrebbe fatto perché era qui che tutto iniziava.


Shintou camminava silenzioso, in un villaggio morto. I suoi sensi non percepivano nulla. Niente e nessuno. Qualcosa era cambiato.
Costante quel profumo d'incenso. Che fosse una trappola? Probabile...

«E anche se fosse, Shintou? Potevano ammazzarti prima e lo hanno fatto eppure sei di nuovo qui. Cosa aveva detto quel bastardo?

il tuo tempo è scaduto in ogni caso...si ma quell'altro è stato chiaro che il bastardo che caccio da tempo aveva atteso la sua convenienza. Ero già braccato da chissà quanto tempo e non me ne sei accorto?
Difficile dirlo. Il segno lo posso occultare e non possono cacciarmi senza che io lo sappia. Sisi..questo lo so ma allora che cosa stava attendendo, così ligio al dovere, da piombarmi tra capo e collo in questo villaggio? E quei due? Un apostolo e un cadavere...e una signora che comanda entrambi...
La loro signora conosce ogni trama dei mortali. Quando parlano così sono sempre Dei pericolosi.
E legati alla morte


Continuava questo monologo con se stesso mentre si avvicinava a casa di Erla.

«Perchè lo penso? Perché sfugge alle trame dei mortali.
Quel cavaliere ha detto una cosa: Il tempo del senza tempo è scaduto. Il senza morte, defunto.
Shintou Agiwara non è più in vita. Sia lode alla nostra signora.

Che io sia senza tempo è assodato, sono un immortale per me non esiste il tempo. Potrei ammazzare uno tra 50 anni sul suo letto, invecchiato e senza forze. Così come aspettare due, trecento anni per i miei scopi. Il senza morte logico...sono un immortale...eppure per lui era defunto. Per loro non ero più in vita. Ma c'era la mia testa ed io ero ancora cosciente anche senza corpo.»


Istintivamente accarezzò l'anello nuziale.

«Loro volevano farmi incontrare questa misteriosa Signora. Si ma poi mi hanno rispedito indietro. O era da sempre questo il loro piano?
Oppure non dovevo combattere contro Nosferatu e questo ha ingarbugliato i loro piani? Ma aveva attaccato lui per primo...non sono andato io a cercarlo...»

Continuò a muoversi guardingo, mentre le finestre rimandavano la sua figura. Era come se in quelle finestre apparisse l'altro shintou con cui stava dialogando.

«Il tempo è scaduto...questo fu il primo messaggio. Ma cosa voleva dire davvero? E nella casa di Erla il marchio di Tyr, subito dopo un cavaliere senza un braccio. Sacrificato a chi lotta per preservare questa terra. Troppe coincidenze.
Se incontrassi questa Signora...»


Ecco casa di Erla. I ricordi furono troppo vividi che accecarono i suoi occhi e le mani strinsero le armi. Gli fece male. Una stretta così forte e prolungata da far tremare polso e braccio. I muscoli si contrassero come le mascelle in un ghigno maledetto. C'era ancora rabbia. Una rabbia che non scivolava via ma che continuava ad ardere dentro di lui.

«Per fortuna...»

Ma qualcosa non andava. Gli eventi stavano cambiando...ma non erano quelli del futuro ad essere influenzati dalle azioni presente e passate? Cosa stava succedendo?
Entrò. La punta di Higanbana spostò la porta di legno. Stette sull'uscio a scrutare la penombra. Erla non era uscita. Eppure doveva farlo...perchè non lo stava facendo?
Le domanda come marea si infrangevano sul suo spirito mentre gli occhi fendevano la casa e le ombre in essa. Un piede davanti all'altro.

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Si girò di scatto, le sue armi si sarebbero mosse a difesa e al contempo in attacco se la figura non fosse stata Erla.
Ma non lo era...era qualcosa di più oscuro, antico e malevolo. La donna che gli apparve alle spalle ricalcava nel corpo ogni singolo dettaglio della giovane che aveva visto morire. Lo sguardo, il sorriso, persino il tono erano riprodotti alla perfezione... ma chi aveva scelto di vestirne i panni si era guardato bene dal completare l'inganno, perché la voce manteneva soltanto una traccia della giovinezza e della spontaneità, pur meste, della ragazza: come se avesse voluto farsi riconoscere.
Non era lì per ingannarlo ma perché aveva preso le sembianze di Erla quindi?
Perché era Hel quella davanti a lui. Figlia dell'inganno, portatrice di caos, di inarrestabile furia distruttrice e sede di una legge terribile e incomprensibile al comune senso umano. La lama scattò in avanti, frapponendosi tra la mano della dea e il viso di Shintou.

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Vi era una rabbia che sembrava fuoco liquido. L'antichakra illuminò le cicatrici pulsando di luce spuria. Come sempre faceva male. Eppure questo serviva per far ribollire quella furia come un vulcano.

«Io la tua voce l'ho già sentita.»

Insieme a quella di Shitsuki ed Erla. Quando era incosciente dopo che Zodd lo sconfisse.

« Einherjar così mi hai chiamato... »

Si allontanò da lei con quello sguardo d'odio. Il perché era chiaro: se la dea dei morti aveva preso il sembiante di Erla significava che quella povera ragazza era già nel mondo dei morti. Ma sperava che non fosse così. Perché rimaneva un innocente e non doveva stare in mezzo ad un guerra tra immortali e Dei. E questo non faceva nient'altro che aumentare la furia di un uomo terribile come Shintou.
Ma il suo essere terribile non era nella furia ma in quell'addestramento inumano che lo aveva sottoposto Giichi Ishiyaki. Quel mantenere la concentrazione, il pensiero diretto sull'obbiettivo togliendo tutto il superfluo, controllando emozioni e rabbia.
Unito alla non paura della morte rendeva il fu Shinta una macchina da guerra inarrestabile. Il senza paura così era chiamato a Kumo, insieme ad appellativi meno nobili per via della sua malattia.
Ma lo spadaccino di Kumo riusciva a sorridere anche di fronte alla morte.
E sorrise anche adesso. Mentre quegli occhi erano rabbia, furia, odio ma di paura non erano screziati.


«Mi dispiace che tu non possa prendermi e che sia in trappola poco me ne importa, così come poco importa a te a quanto pare.
Quindi a cosa devo tutta questa preoccupazione verso la mia persona?»

view post Posted: 2/2/2022, 16:11     Correzione e Approvazione di Discipline e Tecniche Personali - Regolamento
CITAZIONE
Dlin dlon dlan
Ecco un primo pacchetto di tecniche. Sono per la disciplina dei rashomon. Ho scelto di poter creare 4 tecniche invece di prendere i cancelli per avere più lore.
a voi la palla

DOC

Meccanica: in coda
Narrativa: convalidata

Edited by ArdynIzunia - 21/2/2022, 18:45
view post Posted: 23/1/2022, 19:36     Missione S - Einherjar - Attività Nukenin

Come sempre nessuna risposta. O c'erano solo che non riusciva a comprenderle?
Di certo vi era solo quella risata. Sommessa, gutturale, piegata e contorta dalla stessa raucedine che aveva essiccato le corde vocali. La copia, venuta, male di un uomo. Un attore con poco talento. Ogni suo gesto fin troppo plateale e al di là di uno sguardo cieco, di un viso innaturale si capiva fin troppo bene come stesse recitando una parte.
Teatralità.
Ma perché recitare in maniera così plateale e stucchevole?

"Avete incontrato L'Immortale, dunque?"

Il cavaliere dietro di lui annuì.
Questo solo interessava. Cronaca di un agguato e di una sconfitta. Tutto girava su questo incontro. Insieme ad uno scambio di parole e risposte troppo criptico per avere senso ai pensieri di Shintou. Che sempre più era zattera in balia di onde e tempesta.
Il fatto era che questa tempesta e questo oceano impetuoso e pronto a deriderlo, non li conosceva. Si parlava di una fantomatica Dea, che era attratta da lui. Perché?
No...non attratta ma intrigata. Quindi aveva la sua attenzione ma per quale motivo? Eppure non c'erano domande ma solo risposte così criptiche che senza avere la giusta chiave di lettura potevano significare tutto e il contrario di tutto.

""... e non desidero portare la tua testa da nessuna parte. Sarai tu stesso a spostarti.
L'intervento del mio amico ha risparmiato la tua non vita, ma il tuo tempo è scaduto in ogni caso.
Sono solo grato alla mia signora per avermi concesso di..."

«Cosa vuoi...»

Certo avrebbe potuto urlare, sbraitare, bestemmiare e tentare di tutto. Tutto quello che una testa potrebbe fare.
Poco e niente.
Di nuovo, irrimediabilmente vinto dalla corrente di quegli eventi, lo Spadaccino si sentì scivolare via. Perdersi in un vuoto sia di risposte che di certezze.
Cosa restava di Shintou se non un flebile lamento che venne catturato da questo freddo vento del Nord facendolo perdere tra le sue montagne aguzze come spade?
Tutto si ruppe. Immagini. Certezze. Pensieri. Ogni cosa si perdeva così come la vita dello Spadaccino dell'Inferno. Quindi moriva così? Senza sapere?
Senza aver potuto combattere con le sue armi in pugno? Anni di guerra mai doma, silente ma che non dormiva mai contro nemici mortali e mostruosi ed ora tutto scivolava via.
Fine?
Inizio?
Che morte del cazzo, pensò. E difatti era una morte del cazzo davvero. Sconfitto. Sbattuto dagli eventi e poi buttato via. Dimentico da tutti.
Shitsuki...anche lei lo avrebbe presto dimenticato. Un altro avrebbe preso il suo posto nel letto accanto a lei, accanto alla sua vita.
Rabbia. Gelosia. Frustrazione. Tutto scemava però. Tutto inutile.
Rimaneva solo quell'odore; quella traccia d'incenso, vivida e chiara ma tanto anche lei sarebbe scomparsa presto...



La luna. Quante ne aveva viste? Quanti soli? Il tempo ormai era solo una parola senza significato.
Non contava più né i giorni, né voleva farlo. Perché era solo un ennesima frustata che si dava da solo. Era cilicio che stringeva ferite col sole sopra.
Guardava oltre le montagne, in quella che fu la sua patria, al di là delle punte aguzze che nascondevano l'unica cosa che contava per lui. Accarezzò l'anello.
Voltò le spalle. Non voleva guardare. Non voleva e non poteva. Vi era una caccia da continuare. Un bastardo che si nascondeva. Lo aveva cacciato in lungo e in largo. Aveva ucciso così tante volte da farci una montagna con i cadaveri. Non lo trovava. Era vicino? Se lo era gli sfuggiva tra le mani come sabbia.
Sgusciava dalle sue lame ma rimaneva un marchio a fuoco nella sua mente. Ma non aveva fretta. Watashi non era stato distrutto in un giorno. Le guerre non si vincevano con la prima carica, con il primo cozzar di lame.
Sangue e lame rotte dovevano ancora esserci, vedove a piangere mariti, madri i figli. Di troppa merda e piscio, ancora, si dovevano sporcare i suoi stivali. Respirò a fondo l'aria fredda della notte, lasciandosi cullare da quella sera fredda.
A volte le sere erano belle. Anche se troppo presto si coloravano di rosso e di bello non rimaneva nulla, nascosto dalla guerra e dalle armi.
Ma questa sera era bella. Era calma e pacifica. Lui solo un viandante in una terra che di straniero per lui aveva solo il nome.
Eppure qualcosa era cambiato.
Avvertì il peso del proprio corpo tornargli dalle clavicole in giù, improvviso, presente e forte come lo era stato nello stesso istante che gli appariva di fronte agli occhi.
Perché?
Guardò la sua mano. C'era. Aprì e chiuse il pugno, si toccò il braccio con l'altra mano.

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«Cosa succede davvero?»


A seguirlo la consapevolezza di esservi già stato, di aver già vissuto quel momento, assieme ai ricordi che l'avevano preceduto. Con essi tornò quell'odore di incenso, ancora entro e fuori lui, a guidarlo verso la casa dove sapeva di essere già stato.
Un giorno prima.
Era di nuovo lì, un giorno prima, dove era stato prima di cadere vittima di Nosferatu. Dove era giunto per cercare il proprio obiettivo.
Una seconda occasione?
E quest'odore familiare.
Sapeva che lo avrebbero attaccato. Nosferatu sarebbe arrivato da lì a poco. Era tornato a questo preciso momento. O per salvarsi o perché vi era qualcosa che non aveva capito?
Molti avrebbero solo voltato le spalle a questo villaggio per restare vivi un giorno in più. Ma nessuno torna indietro nel tempo. Non si gioca con il tempo nemmeno gli Dei erano così stupidi e onnipotenti.
I perché fosse stato mandato indietro e proprio in questo preciso istante era il cardine di tutto. Qui c'era qualcosa che aveva sottovalutato.
Ma era anche consapevole della trappola, di Nosferatu e che quel maledetto cadavere in forma umana lo avrebbe trovato e salvato.
Salvato...sputò per terra a tale pensiero. Lo aveva solo fatto per convenienza e poi buttato in un caleidoscopio dove non ci aveva capito nulla. Una testa senza corpo e volontà.
Ma ora aveva entrambi e sapeva.
Era da tanto che non sfruttava più i sigilli degli shinobi: lo avrebbero reso come una stella in un cielo oscuro e senza stelle. Visibile. Troppo. Da amici e nemici. Sopratutto i secondi ma ora aveva bisogno degli insegnamenti di Giichi Ishyiaki e dell'accademia.
Cinque copie.
Una sarebbe rimasta lì. Pronta a richiamarlo se la situazione fosse di nuovo degenerata. Si, non voleva tornare ad essere una testa in mano di quel cadavere, che non gli aveva detto nulla ma lo aveva condotto da un apostolo e poi buttato di nuovo in questo torno di tempo. Voleva andarci con le sue gambe e, possibilmente, con la testa del bastardo di Roger De Courmier.
Almeno quell'altro bastardo di Apostolo avrebbe avuto sul suo tavolo la testa del suo amico. Prezioso amico. E poi, risposte alla mano, avrebbe spaccato la testa ad entrambi e scaraventati nel Niflheimr.
Le altre quattro si sarebbero appostate a qualche chilometro di distanza dal villaggio, coprendo i lati per poter avere subito avvisaglia di quando e dove sarebbero arrivati Nosferatu e la sua Wutende heer.
Difesa, osservare, pattugliare ma anche un desiderio nascosto. Sempre umano rimaneva.

«Dannazione!»

Salvare Erla. Perché avere una seconda possibilità e sfruttarla solo per lui?pensieri umani. Ancora poco da immortale, ancora troppo da shinobi di Kumo, da spadaccino. Una debolezza.

«'sti cazzi! Mi farei schifo. E già guardarmi allo specchio, ultimamente, mi fa sempre più schifo.»

Ora il villaggio sembrava diverso. Più tomba. La sua. Eppure non ne aveva paura. Doveva seguire quest'odore, l'ultimo che si ricordava. Quell'odore che aveva sentito così stomachevole nel castello del bastardo. E che ora appariva più come una strada già tracciata.
Guardò di nuovo le montagne. Al di là di esse Shitsuki.
Non sarebbe caduto in questa terra. Non poteva permettersi di morire non prima di riaverla vista. Voleva vivere con lei. Ossessione, desiderio, paura ma anche una determinazione feroce come il fuoco dell'inferno che gli scorreva nelel vene. Che batteva in quel petto senza più cuore. Eppure vi era il battito.
Un cuore c'era. Diverso ma c'era.
Come lui.
Armi sguainate. Il passo sicuro eppure cadenzato. Le copie erano già partite prima di lui.

f5f594b42e2515f9a55fb9afa8e353ce «Nessuna preghiera. Fede solo nelle mie armi e in me stesso. Gli Dei lasciamoli stare al momento.»



Parlava ormai da solo. Lo faceva da troppo tempo perché pochi gli si avvicinavano, ancora meno erano quelli a cui permetteva di farlo.
Seguire la traccia ma tenendosi al riparo grazie alle case. Quanto tempo aveva prima che la masnada gli fosse addosso? Non riusciva a capirlo ma non poteva permettersi di perdere tempo a controllare le case.
I sensi all'erta. La casa era proprio quella di Erla ma non sarebbe entrato. Avrebbe aspettato fuori l'arrivo del cavaliere. Poteva passare tra le copie che pattugliavano il villaggio? probabile ma non era lui che dovevano fermare. la masnada sarebbe arrivata e incontrare una copia, o che una sua copia intercettasse i bastardi avrebbe dato tempo a Shintou di trovare una via di fuga.
ma sopratutto avrebbero indicato la direzione da cui provenivano.
Il marchio sul collo...le armi strette in pugno.
Una seconda possibilità? Ma perché qui? Perché l'odore. Ma Non doveva perdere il suo corpo...aveva la sensazione che se fosse successo tutto si sarebbe ripetuto ancora e ancora.

view post Posted: 12/11/2021, 14:44     Missione S - Einherjar - Attività Nukenin

L'impotenza era una brutta bestia. Se la ricordava bene. Ne portava ancora le cicatrici. Scoprì troppo presto e nella maniera più cruda quanto volere è potere fosse un enorme stronzata.
Per quanto ci si sforzasse, per quanta volontà avessimo e per quanto non ci arrendessimo non sempre tutto andava come speravamo. Come desideravamo. Per quanto non si fosse mai arreso alla malattia, questa lo stava uccidendo. Il talento, la volontà, l'abnegazione, la positività poco mitigavano una situazione che non era nelle proprie mani.
Appunto restare in balia degli eventi. Zattera fracassata in mezzo ad un oceano impetuoso.
Era una sensazione angosciante. Da mozzare il fiato. La frustrazione che continuava a scudisciarci la schiena sapendo, e come lo si sapeva, che potevamo fare di tutto ma questa angoscia a poco a poco si sarebbe presto impadronita di noi.
Shintou lo aveva provato. Lo aveva capito fin da subito e questo lo aveva reso più cinico e realista. All'accademia si sognava di essere il futuro Raikage, ma di quelli della sua classe forse uno lo sarebbe diventato. Un giorno.
Più probabile nessuno.
I sogni a volte non bastavamo. A volte l'obbiettivo era e rimaneva irraggiungibile. E scoprì quanto, tra di loro e lui stesso, non fossero null'altro che persone comuni. Non erano padroni del proprio destino, né la loro volontà e desiderio avrebbero influenzato la Storia, né gli eventi. Anzi sarebbero stati proprio quest'ultimi a manovrarli.
Watashi non solo insegnò questo, ma marchiò a fuoco nelle coscienze che un uomo rimaneva un uomo. Che non era un Dio. Che il potere e la volontà non sempre coincidevano, che il talento non lo avevamo tutti e che pur avendolo vi erano fattori e avvenimenti che andavano oltre le nostre possibilità.
Shintou lo imparò appena nato. La sua malattia glielo sussurrò per tutta la vita, non solo la sua impotenza ma anche tale insegnamento. Watashi lo rese manifesto al mondo. Al tempo stesso però rese manifesto anche qualcos'altro che Shinta Himura imparò tra vomiti e sputar di sangue, tra il dolore e la frustrazione.
Che per quanto fosse impossibile si doveva provare a scalare questa montagna. E accettare anche la sconfitta e l'impotenza.
Ma era diventato Jashinista anche per non dover mai più dipendere da niente e da nessuno. Nè da una malattia, né da un Raikage, né dai pensieri e azioni altrui. Aveva preso in mano la sua vita elevandosi, egoisticamente, al di là degli uomini. Eppure oggi ritornò ad essere Shinta Himura.
Pavido. Frustrato. Impotente. In balia degli eventi. Tutta la sua forza e volontà scemavano lontano da lui come sabbia tra le mani.
Quando si nutrono speranze, il cuore prende una strada tutta sua. E quando le speranze vengono tradite, si cade nella disperazione, e la disperazione genera impotenza. Questo fu quello che mangiò Shinta Himura. Ma da questa merda, rabbia, dolore che nacque Shintou Agiwara.
Nacque nelle notti insonni, come questa, nacque nel dolore e nel vomito. Nell'impotenza, in un letto troppo stretto, con un cuore affaticato e vecchio, con il sacrificio di sua madre. Nacque nella rabbia verso il suo destino e nel sangue che sputava.
Shintou Agiwara era rabbia pura. Era egoista. Non era modesto, né si nascondeva nella falsità. Sapeva quanto fosse forte e aveva preso tutto quello che voleva. Egoista, orgoglioso e bastardo.
Shinta Himura nascose Shintou nel profondo del suo cure, nel bushido, nell'abnegazione ad una causa e nella ricerca spasmodica della morte che avesse potuto dargli senso e fargli acquisire una libertà decisionale.
Oto grattò questa superficie di contraddizioni mostrando quanto abbassare la testa e lasciarsi andare alla corrente fosse stupido. Volontà non è potere. Ma non averla nemmeno significava essere solo un burattino.
Ecco perché masticò tutto questo. Doveva ricordarne il sapore, ricordarne ogni minuto, ogni stilla di dolore, ogni scudisciata data alla sua anima, ricordare l'impotenza per poi scatenare tutto il suo odio, tutta la sua rabbia, tutto il suo egoismo verso questi bastardi.
Shinta avrebbe abbassato la testa, Shintou anche senza corpo, con solo quella testa inutile che rimaneva di se stesso continuava a combattere.


- Non vedeva uscite ma se le sarebbe scavate anche e soprattutto con le UNGHIE



Volontà non era potere ma la volontà di non abbassare la testa mai, di fronte e niente e nessuno, di essere padroni delle proprie azioni non delle conseguenze questo faceva la discriminante tra un animale in gabbia e

- UOMO



Quindi attese il suo momento. Facendosi cullare dalla sua rabbia contro l'impotenza.




Essere un fagotto non fu umiliante, non più di quanto tutta questa situazione già lo fosse di suo. Non prestò attenzione al paesaggio. Se ne fregò del silenzio. Così come se ne fregò della puzza, dell'umiliazione di essere preso per i capelli e legato alla cintura. Sballottato come un oggetto.
Se ne fregò al momento ma non avrebbe mai dimenticato. Tutto questo rendeva la sua volontà acciaio. Rendeva la sua mente affilata a mo' di spada.
Se ne fregò di tutto. Anche della pioggia battente, più simile a pugnali di ghiaccio, che filtravano attraverso il mantello, rendendo la puzza ancora più maleodorante. Puzza di stantio. Come di...cadavere.
Ma non di putrefazione. Un cadavere di qualche giorno che iniziava a decomporsi. Cosa nascondeva questo cavaliere? Qual era il suo segreto? Quanti ne celava con sé?
Quella puzza non era normale. Non era sudore. Non era lo sporco. Non era il sangue. Era come se un morto si fosse alzato dalla tomba prima di esserne rinchiuso e seppellito.
Odore di morte.
Erano arrivati però. A destinazione sicuro. Ma non stava mostrando quello che diceva. Perché?
Il nome poi non era di queste terre. Era straniero anche per queste parti. Da dove veniva in realtà?
Aveva dato per assodato che fosse di queste terre, anche solo per essersi votato a Tyr...invece il nome era diverso.
In più una vibrazione. Non il chakra. Ma qualcos'altro. Di conosciuto. Si ma perché la conosceva? Una vibrazione che conosceva ma particolare. emanata da questo cavaliere più simile a cadavere che ad uomo. Straniero in terra straniera eppure senza braccio, votato alla causa di un Dio del Nord. Sempre che lo fosse.
Gli Dei si potevano tradire. Ingannare anche. I pazzi lo facevano ma di sano in questa storia non c'era nulla. Nemmeno lui era più sano di mente da tempo ormai.
Perché stava capendo che per arrivare al fondo di questo abisso doveva diventare un mostro.
Mostro tra i mostri.
Lo era anche l'uomo?
Anzi...Roger De Courmier. E sotto il mantello, quel fagotto che era la testa di Shintou pensò e stette all'erta. Ora era il momento dell'attenzione.
La guardia se ne andò. Frettolosa. Perché? Un attimo prima era perentoria nel suo dire e fare ora invece lasciò passare il cavaliere anche con troppa solerzia.
Che fu quella vibrazione che avvertì? Questo strano sentore che gli rizzava quei capelli fradici e grassi che aveva in testa?

«...»

Poco o nulla riuscì a scorgere da sotto il mantello, tranne il repentino cambiò di temperatura. La pioggia battente lasciò posto a mura, al freddo il caldo. Solo l'incidere di scarponi sporchi di fanghiglia e nevischio sul pavimento.
Aveva oltrepassato una guardia. Castello? Soldati? Non era conosciuto però. Lo avrebbero fatto passare in caso contrario. Quindi non aspettavano il suo arrivo. Né erano stati avvertiti. Né era conosciuto. Solo dal loro misterioso signore.
Compagno d'arme. Interessante informazione anche questa. Se il nome era straniero lo era anche questo individuo?
Odori intensi. Incenso e spezie a sfidare l'odore del suo accompagnatore. Anche questo fu strano. Troppo intenso. Come a voler coprire qualcosa. Perché gli sembrò quasi di essersi infilato in una catacomba?
Un morto lo stava accompagnando mentre lui era un uomo che non poteva morire. Al destino, si sa, non manca il senso dell'umorismo. Infine, i passi del cavaliere si fermarono. Alle loro spalle una porta si chiuse, per poi essere sigillata.
Voci.
Di nuovo quel sentore. Più forte, questa volta. Più intenso. Ora ricordava. Ora capiva. Ma era la sua mente a non volerlo associare. Ma l'istinto lo aveva già fatto. Se avesse avuto le sue armi avrebbero mostrato il loro acciaio e filo.


- APOSTOLO



Ai suoi occhi, finalmente non più ammantati dal mantello, una creatura deforme, vestita di nero e paludata come un sacerdote. Il volto e le mani erano gli unici a rivelare lembi di pelle, rattrappita e tesa attorno alle ossa come quella di un cadavere. Non c'erano capelli, né barba o sopracciglia, nulla che potesse suggerire il sesso di quello scheletro rivestito di pelle.
Gli occhi erano stati cavati, le palpebre sigillate dalla fiamma, ma egli sembrò vederlo immediatamente. Le labbra, nere come il carbone a loro volta, si schiusero in un ghigno orripilante.

«Sarebbe un benvenuto con la mia falce a spaccarti il cranio.»

Lo sguardo fu vampa. Tizzoni ardenti. Il ghigno ferale. Disgusto e volontà assassina mischiati in egual misura. Il volto si fece tetro. Un volto cinereo dove le ombre lo rendevano quasi inumano. Parole sputate con una rabbia mista ad odio. Parole dette lentamente. Parole come acciaio. L'immagine che portavano con sé sarebbe stata reale se il corpo fosse ancora sotto il collo reciso di quella testa. Che seppur impotente aveva orgoglio immane.
I suoi occhi si muovevano. Si prese il tempo per osservare l'ambiente, per osservare il Bastardo di fronte a lui.
Manteneva una calma invidiabile il servo di Jashin. La rabbia era un fuoco che domava e se ne serviva per cullarsi al suo tepore. Fiamma ad illuminare i contorni di questa storia. La rabbia l'appiglio per non sprofondare.

«Lode alla vostra signora...credevo che voi Apostoli avevate un unico padrone. Quindi vorresti portare la mia testa al tuo Padrone? Ma...mh... non so...»

Scenario presumibile. E si sarebbe servito di un marchiato?

«Perchè?»

Una domanda semplice ma le risposte? Sarebbero state altrettanto semplici?

view post Posted: 4/11/2021, 18:51     Un giorno - Nei Paesi Minori

«...»

Non rispose. In fondo aveva ragione. Se i protagonisti fossero stati al contrario lui avrebbe reagito come sua moglie.

«Hai ragione. Fai quello che ti senti, sei ormai abbastanza adulta. Proteggerti è stupido. Devi fare le tue scelte. Posso proteggerti è vero ma devo anche rispettare le tue scelte e decisioni ed avere fiducia in te.
Sei Shitsuki Agiwara non una donnetta da casa e chiesa. Sei una Figlia di Jashin fai quello che reputi più giusto.»


Lo disse anche con orgoglio. Perché? Perché era bello sapere che qualcuno vegliava su di noi. Che vi erano sempre mani che avrebbero sfidato il Buio pur di non perdere le nostre. Vi era orgoglio in questo, perché quella donna gli dimostrava l'amore più di ogni parola, mazzo di fiori, lettera o qualsivoglia normalità.
Avrebbe sfidato le tenebre. Per amore suo. Egoista, certo, ma gli atti di egoismo erano anche quelli che smuovevano più in profondità il mondo. Soprattutto se fatti perché non si volevano perdere le cose più importanti per la nostra vita.
Era degno combattere per Kumo ma era ancora più degno combattere per la propria famiglia e un amore così intenso da essere pari al Sole. Faceva bene al cuore. Sentì come qualcosa bruciarli gli occhi. Era felice. Preoccupato, certo, ma felice. Perché non era solo.
Contare su se stessi era un bene, significava fiducia nelle proprie capacità ma l'essere umano non era fatto per stare solo, immerso in se stesso e con null'altro se non il proprio Io. Non era una buona cosa. Serviva sempre l'altro.
Vuoi per il confronto. Vuoi per anche solo parlare e sfogarsi. Vuoi per l'amore o l'odio.
L'essere umano diveniva più forte, nel bene e nel male, quando stava con gli altri. E lui, ora, si sentì rinfrancato che dovette voltare di scatto il viso per nascondere una lacrima di felicità che gli solcava quel volto barbuto.
Si passò velocemente la mano tra i lunghi capelli umidi, nascondendo questo momento ma non per vergogna ma perché era il suo carattere non lasciar intravedere le sue emozioni.

«Oh beh...ok...va bene va bene. Fai come credi. Mi fido di te mio cerchio e luna

E poi il morbo. Lo aveva chiamato così; un qualcosa che lo aveva attraversato, a mò di vento leggero. Pensò che si trattasse dell'antichakra che ormai aveva del tutto preso possesso del suo corpo. Il chakra dei demiurghi...che aveva spazzato via quello di prima...pensò questo ma invece...

«Non avrei immaginato che fosse questo.»

Molto era accaduto e molto non sapeva. Attribuirlo a quel Bastardo? Troppo semplice. Che vi fosse stato uno squilibrio nel Chakra del mondo? Vero anche questo. Con i Bijou liberi tutto poteva essere. L'equilibrio era da preservare perché solo così il Mondo esisteva. Ma questo era perché lui era stato addestrato in questi anni. Molto di quello che sapeva era per il patto che aveva stretto con quelli dell'altra parte. Ma ancora non si rendeva conto di quanto questo sapere fosse pericoloso. Di quanto molti avrebbero sacrificato per conoscerne una parte.
Infinitesimale ma abbastanza per arrogarsi il diritto di fare stragi e pitturare il cielo di rosso sangue.

«I tuoi stanno bene? Chigawa e Kazora?»

La famiglia prima di tutto. Gli amici in seconda battuta. E tra l'altro anche Shitsuki era cambiata. Due esseri immortali con poteri che li legavano alle loro rispettive divinità.
Quanto sarebbero divenuti potenti?

«Nemmeno io sono più lo stesso. L'antichakra ha preso possesso del mio chakra naturale. Jashin mi disse che ora sono più simile al primo di chiunque altro.
Posso fare...cose


Ma ancora serviva tempo e allenamento. Così come richiamare le potenze infernali e il loro aiuto. Non più solamente i Rashomon ma entità più alienanti e terribili da Abissi dove anche la morte poteva morire.
Poi la fronte sulla sua. Un gesto più intimo di un bacio. E allora si accorse del fiato di Shitsuki, del naso contro il suo, del calore del suo corpo, della morbidezza delle sue forme.
Sentì il suo respiro accarezzargli il volto, scendere sul collo, le sue mani e la strinse di più a sé. Ogni curva, ogni ferita, l'intero corpo di Shitsuki a contatto col suo. Il profumo dei suoi capelli, come muoveva le mani, le carezze, lo sfiorar di labbra.

«Che sia in gamba è in gamba. Anche troppo...Pensi che dovrei ringraziare questa persona? Hai suggerimenti?»

Labbra su labbra. Delicatamente. E fu come una melodia che in un crescendo di sensazioni, voglie, desideri portò finalmente i due nel loro personale e intimo mondo.
La loro casa. Il loro letto.
Il loro amore.
I loro gemiti. Loro e basta.
Due.
Fattosi uno.

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Edited by Wrigel - 5/11/2021, 18:59
view post Posted: 25/10/2021, 14:02     Missione S - Einherjar - Attività Nukenin

Vi erano molteplici sensazioni che si agitavano in lui.
Il pensiero del proprio corpo. L'anello nuziale forse distrutto. Le sue armi perdute. Questa sua attuale condizione che ne limitava pensiero e azione. Paura. Ossessione. Rabbia. Impazienza.
Paura che sarebbe dovuto rimanere così; e come avrebbe potuto tornare a casa da Shitsuki? L'anello nuziale distrutto? Il suo cuore. Che dava vita ai pensieri, alle azioni, che ne faceva perno di tutto il suo essere, con i ricordi che così gelosamente conservava e se ne nutriva per trovare coraggio e speranza. Al di là della vendetta e dell'ossessione. Dov'era?
Distrutto? Un piccolo oggetto ma di così immane importanza per lo spadaccino. In altre circostanze lo avrebbe potuto forgiare, forse più bello, forse diverso e sicuramente con nuove forme e significati, ma era l'anello che creò Shintou. Quando ancora in lui vi era Shinta Himura.
Era un nuovo percorso insieme all'unica donna che avrebbe mai amato, altro perno – pietra angolare – su cui si poggiava l'intera esistenza, anima, mente che faceva Shintou Agiwara.
Una vita immortale senza Shitsuki non ne valeva la pena viverla. Camminare per ere senza di lei era impensabile. Quell'anello era non solamente una promessa ma una vita contratta in forma d'anello.
Più che con la spada e la falce questa guerra la combatteva con quell'unico ricordo che era divenuto ancora e appiglio di una vita e di un passato che voleva, fortemente, che ridiventassero presente e futuro.
l'impazienza per le risposte elusive di chi era di fronte a lui. La rabbia verso tutto e tutti. L'ossessione verso Nosferatu.
Sbuffò dal naso.
I suoi occhi divagarono dalla figura passarono alla pietra fredda su cui era poggiata la sua testa.

«...»

Vi erano troppe cose su cui riflettere.
In primo luogo il suo interlocutore. Marchiato anch'esso. Attento alla sua arma più che a se stesso. In questo poteva esserci più di una spiegazione. Persino Shintou curava Higanbana e Ryujin Jakka con maniacale cura. Filo e acciaio. Impugnatura e corpo.
Ma rimaneva sfuggente. Per ogni sprazzo di luce che si apriva ne gettava al contempo ombre e tenebra.

«Zodd. Un marchio. Tyr. Una signora misteriosa e un uomo che ti manda da me. Tu ed io in questo stato.»

Continuò a guardare il petto dell'uomo e il marchio nero pece, come sozzura, come una nota dissonante.
Si prese un momento per pensare. Anche se un momento non sarebbe bastato. Così come un secchiello non poteva contenere l'oceano, così la sua mente, ora, non poteva riuscire a capire e focalizzarsi sul tutto e su questi sprazzi di luce che si accendevano ad intermittenza.
Quell'uomo era stato marchiato ed era fedele a Tyr e alla sua congrega. I perché e i come col tempo lo avrebbe scoperto.
Nosferatu aveva un nome. Ma non solo.
Era stato uomo!
Come lui. Come quelli che uccideva. Come quella povera ragazza stuprata e con la schiena spezzata in più punti, con la testa aperta e le cervella a colare per terra. Era un uomo! Opera di mani che furono umane.



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UN UOMO UN UOMO
UN UOMO UN UOMO UN UOMO UN UOMO UN UOMO UN UOMO!



Nessun Dio. Era stato scelto. Come Shintou. Come gli jashinisti che ammazzava.
Scelto da un Dio oscuro e spada e mattatore di un entità oscura. Oscura di desideri torbidi nascosti in gorghi di pazzia e terrore alienante.
Shintou era falce di Jashin e Sankaku dei Demiurghi. Zodd di questo Dio dell'Abisso. E i denti si scheggiarono l'uni sugli altri. Il respiro accelerò.
La brama di sangue colmò i suoi pensieri.
Vi era solo questo pensiero. Ora più che mai. E urlò.
Agghiacciante. Terribile come l'ululato di Fenrir. In esso vi si potevano scorgere terribili echi di cose ancora più profonde e terribili.
Perché ora non avrebbe più tentennato. Se durante lo scontro il dubbio poteva averlo reso più cauto, se un filo d'angoscia e terrore correvano sulla sua schiena ora erano state spazzate via da quell'urlo.
Un richiamo. La speranza che lo sentisse. Che arrivasse fino a lui. Che sapesse. Che si preparasse perché nessuno poteva fermarlo ora.
Era stato un uomo.
E come uomo lo avrebbe schiacciato. Della sua falsa divinità non sarebbe rimasto nulla. Né cenere. Né ricordo. L'antichakra lo avrebbe divorato fino a cancellarlo dal corso dell'esistenza.
Il Nulla.
Sia in questo che nell'altro mondo.
Della sua anima ne avrebbe fatto brandelli. E se ne sarebbe cibato. E ansimò.
Ma rispose solo il vento e l'inquietante, silenziosa, sfuggente figura di fronte a lui. Ma i suoi occhi bollivano come pianeti che morivano. Cercò di riprendere il controllo. Ma con scarsi risultati.
persino le parole furono come filo di spada. Violente. taglienti. Mortifere.
In esse vi era una brama di vendetta e sangue che stonava con quell'apparente calma che aveva preso il posto della tempesta di poc'anzi.
Vi era una rabbia in Shintou che covava da tempo.
Una rabbia che era il suo dono per questi bastardi. E quando sarebbe stata libera allora persino il mondo si sarebbe oscurato e reso freddo come se fosse arrivato il Fimbulvetr.
E il Ragnarǫk sarebbe iniziato.


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«Zodd. Un marchio. Tyr. Una signora misteriosa e un uomo che ti manda da me. Tu che mi salvi ma marchiato come me. ed io in questo stato.»



Erano capitoli. Ripetuti con parole fredde ma al contempo sputate con rabbia.
Ma dall'immobilismo doveva passare all'azione. Purtroppo non con le proprie gambe.
Vi erano punti oscuri e contraddittori. Lo aveva salvato per diletto personale ma era stato mandato da un uomo. Ed una padrona. Misteriose figure ma che tenevano le redini del percorso dell'uomo.
Il primo era chi deteneva il comando dei seguaci di Tyr? Forse...ma non avrebbe scommesso un centesimo su questo pensiero. Per la padrona poteva essere chiunque. Dea. Donna. Entità che si aggirava tra i mondi.
Ma se combattevano Zodd, questi bastardi e il Dio dell'Abisso tanto gli sarebbe bastato. Al momento.

«Ho, quindi, da incontrare due persone. La tua signora e quest'uomo che ti ha mandato da me con il messaggio.»

E se avesse ancora avuto le gambe si sarebbe già messo in piedi.

«Portami da chi ti ha dato il messaggio. Devo recuperare il mio corpo, le mie armi, quello che sono.
O sarò solo una testa inutile...e allora sarebbe stato meglio morire sotto l'ascia di Nosferatu che continuare a vivere monco e inutile.»

view post Posted: 25/8/2021, 16:21     Topic Aggiornamento Fama - Regolamento
Pg Shintou Agiwara

Note: da quando è finito l'evento dei Bijou ed è partita la mia trama contro il Dio dell'Abisso, Shintou si è estraniato completamente da ogni evento "umano", oltre ad essere al di là del continente. Posto quindi per sapere se è conosciuto tra gli Jashinisti solamente; visto che gli shinobi non dovrebbero sapere nulla e poi nulla di un uomo che va in giro con una falce ed una katana, si illumina come una centrale elettrica e combatte demoni e Dei. Quindi detto ciò, anche vista la mia lentezza queste sono le varie giocate fatte fino a questo momento.

All nightmare long - Addestramento

All nightmare long Sessione Autogestita

Missione S - Walkürenritt

In corso

Missione S - Einherjar Passaggio Rango Jonin S


Aggiornato ad un Fama Lv.3

Edited by NGDR - Staff - 11/9/2021, 17:45
view post Posted: 24/8/2021, 17:24     Missione S - Einherjar - Attività Nukenin


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L'impatto. Voluto. Cercato. Desiderato. Sperato.
Ossessione. Orgoglio. Odio. Rabbia. Vendetta. Questo era sul filo delle lame. Ossessione che stava divenendo scopo. Voleva questo momento. Lo sognava la notte, tra incubi, tra i ricordi con sua moglie, tra i brevi momenti di pace mai lo lasciava questo fiele che aveva in bocca.
Lui voleva ucciderLo. Lo voleva con tutto se stesso da renderlo cieco ad ogni cosa. Lo odiava profondamente che ormai ogni cosa di Shintou viveva, cambiava, continuava ad avanzare e ad vincere solo per arrivare a Lui. E finalmente lo aveva davanti.
Il nemico. Non l'avversario. Non vi era rispetto. Non vi era amicizia. Non vi era dignità od onore. Vi era solo la volontà di sbudellarlo. Di trucidarlo, di farne mattanza con quel corpo osceno che la sua solo presenza era insulto.
Eco perché aveva quel sorriso malefico sul volto. L'ossessione divenuta realtà. Era suo. Solo suo. Avrebbe distrutto ogni pezzo di questa latrina denominata mondo se fosse servito a non dargli più nessun luogo per nascondersi. Ma per fortuna era lì.
Davanti a lui. Alla portata delle sue lame. Lontano quanto la distanza che vi era tra la sua mano e la punta di Ryujin Jakka.
La sua tecnica di spada resa non più per gli uomini ma per uccidere questo Dio dell'Abisso e i suoi Araldi. Un movimento così perfetto da essere innaturale, la mente racchiusa in quel fendente, arco violetto di luce pulsante, mentre l'intera figura di Shintou si rese soprannaturale. Nota stonata in questo mondo pazzo.
E tutto si contrasse. Shintou e la Bestia. Il villaggio e gli Apostoli.
Le montagne e la neve. Il sangue e l'ossessione. L'urlo di rabbia. Sfumato nel ruggito della bestia.
E tutto si fece confuso. I ricordi spezzati. Lampo d'antichakra. L'ultima cosa che fu essenza, che diede sostanza al suo mondo.
Poi il nero.



Si dice che la vista da tutto quello che serve per rendere la Realtà viva. É come se vedere fosse ancora un ancora per non perdersi, per distinguere realtà e fantasia. Reale dall'irreale. Come se la distinzione fosse tutto quello che serviva per avere una bussola su dove dirigersi.
Ma cosa succede quando anche gli occhi non danno nulla di più che grigio, contorni sfumati, incertezza?
Era vivo...questo lo sapeva ma quelle voci furono boato e lampo nella sua mente. Voci che si susseguivano, così come immagini spezzate, frammenti di vita che si sovrapponevano le une sulle altre.
Ma tre furono quelle più vivide. Gli sembrò di riconoscere quella di Shitsuki che lo chiamava, quella di Erla ma la terza non capì a chi appartenesse. Ma era. Ma di chi non riuscì a capirlo. Che fosse ancora il sogno? Che fosse la sua mente che tentava di riprendere la rotta e la bussola dopo essere stata in una tempesta che lo aveva gettato ai confini del mondo superandoli, zattera persa su oceani sconosciuti, questo non riuscì a capirlo.
Così come non capì quella sensazione di estraneità che gli dava il suo corpo.
Po il bianco si fece forma. Alberi e il freddo pungente del vento sulla pelle del viso.
Lo scalpiccio ritmico sulla neve, qualcuno lo stava trascinando. Questo lo capì...ma dove? Era ferito? Non sentiva dolore e il suo corpo non rispondeva ma avvertiva un qualcosa. Il mondo ondeggiava.
No...non era il mondo. Ma lui. Lui ondeggiava e gli sembrò di non essere trasportato su qualcosa. Il suo corpo non lo sentiva, il mondo ondeggiava, anzi lo faceva lui e lui soltanto, come sballottato da una parte all'altra. Come un sacco in spalla.
E qualcuno era divenuto le sue gambe.
Si passò la lingua su labbra secche...cercò di richiamare l'attenzione di quel qualcuno. Gli faceva male la gola però. La sentì uscire rauca, gutturale. Si sforzò ugualmente. Risultato nullo. Continuava quella marcia per chissà dove, con più domande che risposte, con l'incoscienza di un corpo, con una mente ancora spezzata che faticava a ritrovare la sua integrità. Agitarsi fu inutile. Nemmeno la testa riusciva a muovere. Solo quel dondolio come se fosse su di una barca. Continuavano ad andare chissà dove e attese.
Cercò di ricordare e di ritrovare le funzioni del suo corpo. Un corpo che gli fu alieno. Sentì le braccia e le gambe come pezzi d'acciaio troppo pesanti da sollevare. Ma respirava...quindi era vivo...ma cos'era successo?
L'ultimo ricordo fu quando la Bestia e lui si fronteggiarono. Si ricordò dell'estrazione fulminea di Ryujin Jakka impattare violentemente su quel pugno mostruoso. Il lampo d'antichakra che spazzò tutto e tutti. Un qualcosa che spazzò anche i suoi sensi e i ricordi successivi.
L'unica cosa che accompagnò questo Shintou preda di eventi e di un qualcosa che lo trasportava fu l'incedere, sicuro o incerto dipendeva dal percorso, di gambe che affondavano fino a metà nella neve fresca. Il vento fu compagno. Gli alberi l'unica cosa che vedeva e si arrese ad essere un semplice sacco da trasportare.
Se lo volevano morto lo avrebbero già ammazzato. Chi fosse o cosa fosse lo avrebbe scoperto presto. Agitarsi era inutile. Così come urlare, inveire, bestemmiare a questo suo strano compagno.
Doveva recuperare le funzionalità del suo corpo, rimettere in sesto mente e ricordi; le risposte sarebbero arrivate. Sperava. Ma al momento fare di più era inutile. Persino urlare era divenuto difficile. La gola bruciava come fuoco.
E quindi restò in silenzio e i due vennero presi dal bianco accompagnati da un gelido vento del nord.

Il bianco si fece grigio. Poi nero. Il sibilare del vento attutito, il suo vedere cambiò e da una distesa d'alberi si passò ad un luogo più piccolo, più chiuso.
Una caverna a giudicare dalle pareti che intravedeva al limite del suo campo visivo.
E poi venne scaricato a terra. Si. Esattamente come si faceva con un sacco. E capì molto bene che qualcosa non andava. Che non era normale quel movimento. Le mani intorno al suo viso. Che toccò una terra gelida e dura.
Si perché fu la testa a toccare terra. Non il corpo. Di Shintou rimaneva solo la testa e basta. Staccata di netto dal suo corpo. Distrutto? E perché non la sua testa anche?
E poi l'inquietudine di essere solo un pezzo di carne alla mercè di chicchessia. Un pensiero più terribile di non avere più il suo corpo. E poi la voce. Dall'ombra palesarsi un corpo, una fisionomia conosciuta ma accantonata troppo presto. Pensava che la sua storia fosse finita ed invece non era una mera presenza transitoria ma un qualcosa di molto più pressante e presente. Lo stesso uomo che aveva visto a casa di Erla. Ma doveva essere morto. Quelle ferite...nessuno poteva sopravvivere ad esse ma non si stupì a vederlo lì davanti a lui. Del resto nemmeno una testa staccata dal corpo poteva parlare ed essere ancora in vita.

«Inaspettato.»

Ora il sangue era rappreso ma quelle ferite vi erano ancora. Si potevano anche solo immaginare di quale entità potessero essere. La curiosità ora fu forte.
Le domande furono ancora più criptiche ma al tempo stesso palesavano già flebile luce in questa matassa di tenebra. Una storia strana stava prendendo forma. Dalle sfumature rossastre e con protagonisti impensabili.

«Conosci Nosferatu quindi?»

Shintou rimaneva calmo. Doveva dare un filo ai suoi pensieri.

«Scusami se parlo da solo ma mi servirà per mettere i pensieri a posto. Ho perso la testa si ma funziona ancora il cervello quindi...»

Si sarebbe grattato la barba come faceva sempre. Non aveva le braccia e le mani...avrebbe fatto finta che lo stesse facendo.

«Ho ferito quel bastardo ma lui si è preso molto più da me a quanto pare. Ma se sono vivo lo devo a qualche intervento esterno. Se sei stato tu a salvarmi significa che hai doni particolari.
E che conosci il mio signore. Perché nessuno avrebbe mai pensato che una testa potesse essere ancora viva. O mi hai staccato la testa dal collo perché il mio corpo è stato sventrato, o perché quel bastardo mi ha decapitato poco importa. Tu sai...quindi...»


Lo sguardo si fece acuto.

«Il tuo signore ti ha avvertito? Secondo luogo conosci la bestia e avevi portato un messaggio. Le ferite che avevi e che credo non siano guarite, significano che hai un corpo eccezionale e doni concessi dagli dei. A prima vista, guardandole, penso agli apostoli...volevano fermarti per questo tuo messaggio? Hai parlato di un ordine...a nome di questo ordine mi hai salvato ed eri a casa di Erla? Quindi alla luce di questo può essere che ti seguivano per fermarti ed a questo punto anche il messaggio che pensavo di tutt'altra natura cambia significato.
Tu recavi un altro tipo di messaggio. Non era di morte nei miei confronti. Non riesco a trovare un'altra spiegazione a questo.
Secondo punto mi hai salvato. Perché? A questa domanda dovrai rispondere. Anche vedendo i miei ragionamenti di prima. Perché non potrò mai capirlo se non dalla tua bocca.»


Shintou era un uomo temprato. Aveva visto l'inferno, aveva visto cose orrende durante Watashi ed Oto, era stato testimone di tradimenti e di guerre ed assassini. Era divenuto uno Jashinista. Aveva combattuto troppe guerre, ed ora stava combattendo per gli Dei contro un Dio così oscuro e misterioso con orde demoniache ai suoi comandi.
Normale che ritrovò subito la calma. Che durante un primo momento di stupore per la sua testa staccata stava ritrovando, sia con la volontà che con il suo addestramento da shinobi, il suo essere. Tra l'altro parlare ad alta voce, mettere i suoi pensieri a posto lo distraeva dalla sua condizione.
Condizione che faceva sorgere altro tipo di interrogativo.

«Il problema ora rimane il corpo. Il mio è distrutto? Si può riavere? Così come le mie armi. Distrutte? Perse?»

Shintou stava affrontando un problema alla volta. Ogni domanda che avrebbe ricevuto risposta avrebbe segnato il cammino successivo e le mosse che portava con esso.

«Il perché poi parli con te mettendoti da parte di tutto questo non è perché mi fidi. Allo stato attuale non ho altra scelta. Non di fidarmi ma di usarti per avere risposte e ritornare a combattere.
Quindi assodato anche questo ti risponderò.»


Un respiro intenso.

«Il mio signore non mi lascia andare perché sono qui per uno scopo. Quello di ammazzare questi bastardi. Sono il mostro nelle loro teste

Un mostro che ne divorava altri. Era quella goccia di paura che rendeva questi bastardi dubbiosi. Nella loro onnipotenza, nel loro orgoglio, nella loro depravazione ora provavano una goccia di paura, che ne accarezzava le schiene facendoli rigirare di scatto. La paura che fossero Higanbana e Ryujin Jakka ad accarezzarle.

«Sono qui a questo scopo. Sono stato marchiato dalla bestia ma io non ne ho paura. E sono tanto preda quanto predatore. Hanno conosciuto molti di loro le mie armi e tanti altri ormai non potranno raccontarlo.»

La verità. Detta senza orgoglio. Un dato di fatto.

«Ma soprattutto non è più una volontà dei demiurghi è anche una mia precisa volontà quello di ammazzare la Bestia e tutti loro. Per poi arrivare al loro Dio e farlo sprofondare nel nulla.
Il mio scopo non è più dettato dai miei signori ma anche da me stesso. E continuerò ad avanzare fino a che non risalirò questa corrente.
Anche se detto ora suona davvero strano...»


Il sorriso sornione. Non perdeva mai questa sua sbruffonaggine. Questo scherzare su se stesso senza mai prendersi sul serio. Un modo per trovare il Vuoto delle cose.

«Oh beh...ora sta a te. Uccidermi non credo tu lo voglia fare. Seconda cosa...il tuo braccio lo hai perso prima o dopo questa storia?»

Occhi dentro gli occhi.

view post Posted: 25/7/2021, 12:34     Into The Sanctuary: Serviam! - Altre Organizzazioni


"Sei un'infedele?"
Come allora inutile!

"Lei ha tutto"

TU NULLA...



Se i mesi passavano, non passavano le voci nella sua testa né l'immagine di quell'incontro.
Ogni volta che chiudeva gli occhi sentiva, ricordava e scavano dentro di lei, ferendola, mettendola in crisi. Dubbi.
O certezze?
Perché voleva questo? Lei era questo? Le domande si accavallavano, eppure portavano ad una sola e semplice risposta: lei odiava Shitsuki Agiwara.
Ma stava anche odiando Jashin dal più profondo, segreto e insondabile angolo del suo cuore. Se odiare Shitsuki era l'invidia, molto umano come sentimento, odiare Jashin significava mettere in crisi – non in dubbio – spezzare, distruggere, tutto quello che era che aveva fatto e per cui aveva lottato. Il suo sacrificio, questo odio, lo rendeva sterco che galleggiava su questa latrina che erano le sue certezze.
Il suo mondo.
Una latrina.
Pezzi di merda i suoi sogni e le sue speranze. E in tutto questo Shintou era assente. Da quando era diventato un suo confidente? Da quando i consigli di quel pavido imbecille erano diventati importanti?
Si accorse anche di questo e il cilicio strinse e morse ancora di più la carne. Un rivolo di sangue. Gocce a ticchettare per terra che sembrarono cannonate nella sua testa.
Nemmeno questo era giusto. E per cosa flagellava il suo corpo? Un corpo dedito a Jashin a cui offriva dolore e sangue. Il suo. Ma non lo reputava più giusto e inutile farlo. Non sentiva più Jashin nel suo cuore. Non era nel dolore, né nel sangue che versava per lui la verità e la sua presenza.
Non lo era più. Come quel maledetto giorno. Ancora la verità gli veniva sbattuta in faccia, ancora con la violenza e quella sensazione di fiele in bocca.

E mentre Shitsuki accresceva la sua fama, Figlia di Jashin, la Preferita del suo Signore, lei la guardò da lontano e provò odio e per la prima volta volle il suo sangue. Lo voleva far sgorgare da quella lurida vanagloria, quell'orgoglio manifesto, e dimostrare che non esisteva una Preferita. Una menzogna.
Come lo era Jashin.
E per la prima volta fu un pensiero egoistico e di vendetta, portato dalla disperazione. E tantò bastò all'ombra per poter strisciare indisturbata nel Santuario. In attesa di momenti propizi.
La prima Lacrima di tenebra era stata versata. Il Templare dalla corazza scintillante era divenuto nero come la notte, i suoi occhi spenti e ricolmi di un odio che celava come il pugnale del tradimento.

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- L'odio senza desiderio di vendetta è un seme caduto sul granito.



E non lo avrebbe sprecato.
Il granito avrebbe accolto la testa della finta Preferita insieme al suo sangue e a quello di tutti loro.
Anche Shintou?

view post Posted: 20/7/2021, 17:23     Missione S - Einherjar - Attività Nukenin


"ECCOLO, ECCOLO!"
IL FLAGELLO... finalmente... FINALMENTE!

"LA SUA CARNE..."

IL SUO SANGUE...



Le voci. Il respiro del samurai.
In quel vortice di pazzia ed orrore a cui non riusciva mai ad abituarsi. Quando li guardava provava un dolore lancinante, i ricordi diventavano un mare in tempesta che montavano, a mo di tsunami, nella sua anima ferita e grondante sangue di responsabilità non mantenute, di sconfitte, di mani che non era stato capace di cogliere, di stringere; di vite spezzate che si sbriciolavano nelle sue mani che si affannavano a non farle scomparire per sempre. Di lacrime ingoiate, d'odio viscerale che era fuoco con cui continuare a riforgiare le sue armi ormai temprate nel sangue malevolo di questi bastardi.

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- In abissi insondabili martellano
le forme della notte, avide, odiose,
d’infule singolari coronate;
ali di buio palpitano in voli
Nel vuoto sconfinato senza sole,
da un orbe a un altro.
Nessuno ardisce il nome pronunziare
del cosmo da cui vengono, o fermare
lo sguardo fisso su quei volti amorfi,
o le formule arcane proferire
che con forza suprema le trarrebbero
dagl’inferni del caos.
Eppure sulla pagina d’un libro
il nostro sguardo sbigottito trova
orride forme che lo sguardo umano
non dovrebbe vedere; brevi lampi
delle entità blasfeme la cui effigie
sparge morte e follìa per l’infinito.
Che pittore è mai questo che s’inoltra,
solo, nei neri abissi e ne rivela
gli sconfinati orrori?



Provava odio verso se stesso. Verso loro. Verso quel bastardo che aveva fatto una carneficina in quel villaggio di Jashinisti.
Verso se stesso per l'incapacità di ucciderli tutti, di trovare quel schifoso bastardo e finalmente crogiolarsi nel suo stesso sangue, nel danzare al rumore delle sue ossa rotte, di godere della sua morte e del suo dolore. Verso di loro per la violenza e la scelleratezza a cui potevano arrivare. Abominii. Il Caos incarnato. Abissi di male insondabile che camminavano liberi in questa Realtà potendo fare quello che volevano.
Potendo tutto. Incuranti delle leggi di uomini e Dei.
E quando sibilò la falce nell'aria sembrò incidere lo stesso malsano sorriso di Shintou nell'aria, dipingendo il cielo con schizzi di sangue e budella.
E mischiò il suo con quello dei bastardi.
Mostri.
Il sorriso pari al gorgogliare inusitato e abominevole dei figli del Caos. Apostoli di una volontà Nera che portava tutto all'annientamento.
E si ersero di fronte a lui la Nera Masnada, vestiti di incubo, fauci spalancate con la bava che gocciolava a terra; non avevano nulla di umano o che mente umana potesse anche nella sua più bieca follia pensare.
E lui era di fronte a quel Muro Nero, ricolmo di gorgoglianti risate, di una volontà così abissale da far perdere la mente umana rendendola solo un singolo ed inutile granello di sabbia in un qualcosa di così vasto da essere Infinito.

«Maledetti.»

Digrignò i denti nel dirlo a quella visione. L'odio montò dentro di lui furioso e sdegnoso. L'Antichakra brillò nelle sue cicatrici; luce spuria che sembrò battito di un qualcosa. Pulsante.
All'Idea del Male i Demiurghi avevano mandato l'Idea della Legge. Il Sankaku.
Il sinistro affondò, tra rumori di ossa rotte e sangue schizzato, nella schiena di un apostolo, mentre le lame vorticarono attorno a lui come un ciclone fatto di budella ed odio.
Un passo ancora a schiacciarne i cadaveri, a tagliare le loro carni oscene. In una carneficina che non aveva senso, in una battaglia così malsana da renderne sfocati i contorni, da rendere Shintou pari a quei Berserker che aveva sentito parlare di fronte ai fuochi, o sussurrati appena in sperduti villaggi, la sua furia trascese il braccio divenendo lama di Higanabana e Ryujin Jakka. Uccise con le mani. Uccise con i denti, uccise con le lame, uccise con i pugni e continuò a farlo finchè il mondo non fu che di un unica, maledetta, paurosa, tinta...

ROSSA

Che colmò la sua anima, i suoi sensi, dove nemmeno il dolore fu piacevole come gli avevano insegnato, che nemmeno quel dolore che stava provando e facendo provare poteva essere giusto. Di giusto in questa battaglia vi era solo una singola cosa....
abbattere tutti loro cancellandoli dal flusso della vita

E poi fu solo un lento gocciolare. Fu respirare in maniera affannosa, fu sentire la pelle squarciata, le ferite addosso, fu capire e tornare a se stessi e riessere solo Shintou. Uno Shintou grigio...che camminava nella penombra ma almeno ancora se stesso.
Lontani erano i giorni del Sole e della felicità ma questo era il suo destino e così doveva essere. Barcollò, appoggiandosi all'enorme falce compagna e madre, mentre Ryujin Jakka ancora ronzava nefasta come a far capire che la stanchezza non aveva smussato il filo della volontà dello spadaccino dell'Inferno.
Poi il vento...il vento era strano. Vi era un odore nell'aria famigliare eppure lo fece rabbrividire. Sensazioni contrastanti che non riusciva a definire né a capire.
Non aveva più il cuore eppure se lo avesse avuto ora...avrebbe mancato di battere.

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- L A S U A N E M E S I



Non poteva dimenticarlo. E come fare? Anche se avesse voluto era impossibile. Lo aveva marchiato, aveva reso la sua vita questo quadro da incubo. Lo aveva gettato nell'Abisso del Male. Aveva inquinato il suo mondo, lo aveva strappato dalle braccia di Shitsuki e del Santuario. Ogni affetto, tutto quello che creava Shintou Agiwara lo aveva preso e distrutto pezzo a pezzo.
E tra lapaura, l'odio, la volontà di uccidere vi fu qualcos'altro.
Disperazione.
Shintou non fu mai disperato nella sua vita. Quando lo operarono, quando gli dissero che la sua vita fu breve, quando tutto quello che vedeva e sentiva poteva finire nel nulla lui non si disperò mai. Ma andò avanti con le sue ferite, con le sue cicatrici, con i dolori e con la rabbia ma senza mai dare al destino o alla sua vita la colpa. Nemmeno a Dio.

Ma ora la disperazione lo colse. La pura conoscenza del male, della sua inettitudine. E non parlò. La lingua fu attaccata al palato mentre le sue mani stringevano, ossesse, le sue armi come se potessero aiutarlo a trovare un appiglio in questo abisso dove lo aveva gettato quel bastardo e da cui si sentiva inghiottito fino a sparire.
Perché?
Perché ancora una volta quello che vide lo scaraventò a quel giorno.
Erla. La ragazza si agitava convulsamente nella stretta della creatura, che la teneva per i capelli, i vestiti strappati.
Erla riuscì a rivolgergli uno sguardo, allungò una mano verso di lui, urlando qualcosa prima che l'altra mano dell'essere la raggiungesse. Enorme, in un unico pugno l'afferrò dal petto alle caviglie, e torcendo come si torce un tappo di sughero dalla bottiglia l'Araldo la spezzò in due. L'ultima cosa che lo Spadaccino poté udire furono le urla atroci della ragazza, quindi le ossa sbriciolate assieme al sangue versato.
Nosferatu levò la mano destra parallela al proprio capo, lasciando andare in terra quel che rimaneva della donna. Lungo il pelo, rivoli di sangue fresco.


Così come quel giorno. Un'altra mano che veniva spezzata di fronte a lui. Un'altra vita che veniva divorata mentre lui osservava, ancora e ancora, impotente. Un'altra persona che voleva difendere moriva di fronte a lui e le sue mani rimanevano silenti. La mano di lei cadde a terra insieme a quello che rimaneva del corpo.
Cercava le sue. Ma le sue non riuscirono a fare null'altro che continuare a stringere le sue armi.
Inutili anch'esse. Perché a cosa serviva tale potere se poi non poteva salvare nessuno?
Erla. La Figli di Jashin, quel villaggio, le innumerevoli anime che aveva visto nei suoi viaggi e nelle sue guerre. Le aveva perse tutte. Le loro mani tese verso una salvezza che non sarebbe arrivata.
A cosa serviva allora tutto questo?
E si riscoprì più uomo e mortale di quanto pensasse.
Riscoprì il gusto acre della sconfitta. La disperazione. Riscoprì quello Shinta Himura che non lo aveva mai, del tutto, abbandonato.
Perché Shinta Himura si sollevò dalla sua disperazione sorridendo, speranzoso, a quello che rimaneva della sua vita cercando di farne buon uso. Cercando di vedere al di là di tutto scorgendo un senso per il quale vivere...anche se una breve vita ma con un senso. Breve o lunga non contava.
Significativo era il senso che ne davamo, come la spendevamo. In cosa e per chi.
Shintou si disperava, come gli Dei, spezzati da tutto questo perché distrutti da loro stessi e da tale blasfemia.
Ma Shinta ricreava i suoi orizzonti rialzandosi e dando battaglia. Che fosse contro Watashi o contro la sua malattia. L'uomo poteva spezzarsi...ma poteva riforgiarsi anche contro il male e le avversità.
Ecco perché Shintou urlò di rabbia. Era la rabbia di chi non voleva arrendersi, di chi odiava, di chi avrebbe vendicato, di chi avrebbe ucciso e poi chiesto scusa a tutti loro.
Come Shinta aveva fatto della sua malattia la sua forza e lo sprone per viverla fino in fondo, Shintou prese la disperazione e la paura e la rese fuoco con cui continuare a riforgiarsi e a dare battaglia.
Fino a quando avrebbe protetto tutti loro. Come Shinta che, barcollando, continuava ad andare verso l'orizzonte con il sorriso e la speranza, Shintou dette sfogo a tutta la sua rabbia che bruciò la disperazione, incenerendola e da quelle stesse ceneri riforgiò se stesso e la sua volontà e dette battaglia.
Spezzandosi diventava più forte. Cadendo imparava ad lazarsi ancora e a non cedere a tutto questo.
Un immortale sarebbe stato annientato. Perché lo avrebbero fatto sentire piccolo e insignificante. Ma Shintou non aveva mai perduto questa sensazione. La conservava sempre dentro di sé perché solo così poteva arrivare al Ku.
Il Vuoto.
L'ultimo segreto della sua tecnica di spada.

- affinando la saggezza e la forza di volontà, sviluppando l’intuizione e il potere dell’attenzione, giorno e notte, quando i veli dell’illusione sono scomparsi, allora avviene la comprensione del vero ku. Finché uno resta ignaro della vera Via è convinto di essere nel giusto perché crede nell’insegnamento dl Buddha, o in qualsiasi altra fede del mondo. Ma quando assume il punto di vista della vera Via e vede la realtà del mondo dalla giusta prospettiva, si accorge quanto divergano quelle vedute a causa dei pregiudizi dell’individuo e delle errate posizioni di partenza.


Quindi avrebbe combattuto come uomo e come immortale. Sia come disperato, sia come chi si rialzava da quella stessa disperazione. Come Shinta e come Shintou.
L'Antichakra fu libero di scorrere sulle sue lame. Cercò l'impatto con quel bastardo. Falce e katana si mossero insieme, dal basso in alto, in un montante circolare, cercando e sperando di trovare il pugno del bastardo. Lo avrebbe tagliato. Troncare braccio e corpo.
Per Erla. Per questo mondo. Per i disperati. Per se stesso. Per Shitsuki.
Per la Legge dell'Equilibrio.



//contrattacco a piena potenza con attacco semplice.
Credo che sia anche quello un attacco semplice quindi vado di lame e antichakra e vediamo cosa succede//
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