"ECCOLO, ECCOLO!" IL FLAGELLO... finalmente... FINALMENTE!
"LA SUA CARNE..."
IL SUO SANGUE...
Le voci. Il respiro del samurai. In quel vortice di pazzia ed orrore a cui non riusciva mai ad abituarsi. Quando li guardava provava un dolore lancinante, i ricordi diventavano un mare in tempesta che montavano, a mo di tsunami, nella sua anima ferita e grondante sangue di responsabilità non mantenute, di sconfitte, di mani che non era stato capace di cogliere, di stringere; di vite spezzate che si sbriciolavano nelle sue mani che si affannavano a non farle scomparire per sempre. Di lacrime ingoiate, d'odio viscerale che era fuoco con cui continuare a riforgiare le sue armi ormai temprate nel sangue malevolo di questi bastardi.
- In abissi insondabili martellano le forme della notte, avide, odiose, d’infule singolari coronate; ali di buio palpitano in voli Nel vuoto sconfinato senza sole, da un orbe a un altro. Nessuno ardisce il nome pronunziare del cosmo da cui vengono, o fermare lo sguardo fisso su quei volti amorfi, o le formule arcane proferire che con forza suprema le trarrebbero dagl’inferni del caos. Eppure sulla pagina d’un libro il nostro sguardo sbigottito trova orride forme che lo sguardo umano non dovrebbe vedere; brevi lampi delle entità blasfeme la cui effigie sparge morte e follìa per l’infinito. Che pittore è mai questo che s’inoltra, solo, nei neri abissi e ne rivela gli sconfinati orrori?
Provava odio verso se stesso. Verso loro. Verso quel bastardo che aveva fatto una carneficina in quel villaggio di Jashinisti. Verso se stesso per l'incapacità di ucciderli tutti, di trovare quel schifoso bastardo e finalmente crogiolarsi nel suo stesso sangue, nel danzare al rumore delle sue ossa rotte, di godere della sua morte e del suo dolore. Verso di loro per la violenza e la scelleratezza a cui potevano arrivare. Abominii. Il Caos incarnato. Abissi di male insondabile che camminavano liberi in questa Realtà potendo fare quello che volevano. Potendo tutto. Incuranti delle leggi di uomini e Dei. E quando sibilò la falce nell'aria sembrò incidere lo stesso malsano sorriso di Shintou nell'aria, dipingendo il cielo con schizzi di sangue e budella. E mischiò il suo con quello dei bastardi. Mostri. Il sorriso pari al gorgogliare inusitato e abominevole dei figli del Caos. Apostoli di una volontà Nera che portava tutto all'annientamento. E si ersero di fronte a lui la Nera Masnada, vestiti di incubo, fauci spalancate con la bava che gocciolava a terra; non avevano nulla di umano o che mente umana potesse anche nella sua più bieca follia pensare. E lui era di fronte a quel Muro Nero, ricolmo di gorgoglianti risate, di una volontà così abissale da far perdere la mente umana rendendola solo un singolo ed inutile granello di sabbia in un qualcosa di così vasto da essere Infinito.
«Maledetti.»
Digrignò i denti nel dirlo a quella visione. L'odio montò dentro di lui furioso e sdegnoso. L'Antichakra brillò nelle sue cicatrici; luce spuria che sembrò battito di un qualcosa. Pulsante. All'Idea del Male i Demiurghi avevano mandato l'Idea della Legge. Il Sankaku. Il sinistro affondò, tra rumori di ossa rotte e sangue schizzato, nella schiena di un apostolo, mentre le lame vorticarono attorno a lui come un ciclone fatto di budella ed odio. Un passo ancora a schiacciarne i cadaveri, a tagliare le loro carni oscene. In una carneficina che non aveva senso, in una battaglia così malsana da renderne sfocati i contorni, da rendere Shintou pari a quei Berserker che aveva sentito parlare di fronte ai fuochi, o sussurrati appena in sperduti villaggi, la sua furia trascese il braccio divenendo lama di Higanabana e Ryujin Jakka. Uccise con le mani. Uccise con i denti, uccise con le lame, uccise con i pugni e continuò a farlo finchè il mondo non fu che di un unica, maledetta, paurosa, tinta...
ROSSA
Che colmò la sua anima, i suoi sensi, dove nemmeno il dolore fu piacevole come gli avevano insegnato, che nemmeno quel dolore che stava provando e facendo provare poteva essere giusto. Di giusto in questa battaglia vi era solo una singola cosa.... abbattere tutti loro cancellandoli dal flusso della vita
E poi fu solo un lento gocciolare. Fu respirare in maniera affannosa, fu sentire la pelle squarciata, le ferite addosso, fu capire e tornare a se stessi e riessere solo Shintou. Uno Shintou grigio...che camminava nella penombra ma almeno ancora se stesso. Lontani erano i giorni del Sole e della felicità ma questo era il suo destino e così doveva essere. Barcollò, appoggiandosi all'enorme falce compagna e madre, mentre Ryujin Jakka ancora ronzava nefasta come a far capire che la stanchezza non aveva smussato il filo della volontà dello spadaccino dell'Inferno. Poi il vento...il vento era strano. Vi era un odore nell'aria famigliare eppure lo fece rabbrividire. Sensazioni contrastanti che non riusciva a definire né a capire. Non aveva più il cuore eppure se lo avesse avuto ora...avrebbe mancato di battere.
- L A S U A N E M E S I
Non poteva dimenticarlo. E come fare? Anche se avesse voluto era impossibile. Lo aveva marchiato, aveva reso la sua vita questo quadro da incubo. Lo aveva gettato nell'Abisso del Male. Aveva inquinato il suo mondo, lo aveva strappato dalle braccia di Shitsuki e del Santuario. Ogni affetto, tutto quello che creava Shintou Agiwara lo aveva preso e distrutto pezzo a pezzo. E tra lapaura, l'odio, la volontà di uccidere vi fu qualcos'altro. Disperazione. Shintou non fu mai disperato nella sua vita. Quando lo operarono, quando gli dissero che la sua vita fu breve, quando tutto quello che vedeva e sentiva poteva finire nel nulla lui non si disperò mai. Ma andò avanti con le sue ferite, con le sue cicatrici, con i dolori e con la rabbia ma senza mai dare al destino o alla sua vita la colpa. Nemmeno a Dio.
Ma ora la disperazione lo colse. La pura conoscenza del male, della sua inettitudine. E non parlò. La lingua fu attaccata al palato mentre le sue mani stringevano, ossesse, le sue armi come se potessero aiutarlo a trovare un appiglio in questo abisso dove lo aveva gettato quel bastardo e da cui si sentiva inghiottito fino a sparire. Perché? Perché ancora una volta quello che vide lo scaraventò a quel giorno. Erla. La ragazza si agitava convulsamente nella stretta della creatura, che la teneva per i capelli, i vestiti strappati. Erla riuscì a rivolgergli uno sguardo, allungò una mano verso di lui, urlando qualcosa prima che l'altra mano dell'essere la raggiungesse. Enorme, in un unico pugno l'afferrò dal petto alle caviglie, e torcendo come si torce un tappo di sughero dalla bottiglia l'Araldo la spezzò in due. L'ultima cosa che lo Spadaccino poté udire furono le urla atroci della ragazza, quindi le ossa sbriciolate assieme al sangue versato. Nosferatu levò la mano destra parallela al proprio capo, lasciando andare in terra quel che rimaneva della donna. Lungo il pelo, rivoli di sangue fresco.
Così come quel giorno. Un'altra mano che veniva spezzata di fronte a lui. Un'altra vita che veniva divorata mentre lui osservava, ancora e ancora, impotente. Un'altra persona che voleva difendere moriva di fronte a lui e le sue mani rimanevano silenti. La mano di lei cadde a terra insieme a quello che rimaneva del corpo. Cercava le sue. Ma le sue non riuscirono a fare null'altro che continuare a stringere le sue armi. Inutili anch'esse. Perché a cosa serviva tale potere se poi non poteva salvare nessuno? Erla. La Figli di Jashin, quel villaggio, le innumerevoli anime che aveva visto nei suoi viaggi e nelle sue guerre. Le aveva perse tutte. Le loro mani tese verso una salvezza che non sarebbe arrivata. A cosa serviva allora tutto questo? E si riscoprì più uomo e mortale di quanto pensasse. Riscoprì il gusto acre della sconfitta. La disperazione. Riscoprì quello Shinta Himura che non lo aveva mai, del tutto, abbandonato. Perché Shinta Himura si sollevò dalla sua disperazione sorridendo, speranzoso, a quello che rimaneva della sua vita cercando di farne buon uso. Cercando di vedere al di là di tutto scorgendo un senso per il quale vivere...anche se una breve vita ma con un senso. Breve o lunga non contava. Significativo era il senso che ne davamo, come la spendevamo. In cosa e per chi. Shintou si disperava, come gli Dei, spezzati da tutto questo perché distrutti da loro stessi e da tale blasfemia. Ma Shinta ricreava i suoi orizzonti rialzandosi e dando battaglia. Che fosse contro Watashi o contro la sua malattia. L'uomo poteva spezzarsi...ma poteva riforgiarsi anche contro il male e le avversità. Ecco perché Shintou urlò di rabbia. Era la rabbia di chi non voleva arrendersi, di chi odiava, di chi avrebbe vendicato, di chi avrebbe ucciso e poi chiesto scusa a tutti loro. Come Shinta aveva fatto della sua malattia la sua forza e lo sprone per viverla fino in fondo, Shintou prese la disperazione e la paura e la rese fuoco con cui continuare a riforgiarsi e a dare battaglia. Fino a quando avrebbe protetto tutti loro. Come Shinta che, barcollando, continuava ad andare verso l'orizzonte con il sorriso e la speranza, Shintou dette sfogo a tutta la sua rabbia che bruciò la disperazione, incenerendola e da quelle stesse ceneri riforgiò se stesso e la sua volontà e dette battaglia. Spezzandosi diventava più forte. Cadendo imparava ad lazarsi ancora e a non cedere a tutto questo. Un immortale sarebbe stato annientato. Perché lo avrebbero fatto sentire piccolo e insignificante. Ma Shintou non aveva mai perduto questa sensazione. La conservava sempre dentro di sé perché solo così poteva arrivare al Ku. Il Vuoto. L'ultimo segreto della sua tecnica di spada.
- affinando la saggezza e la forza di volontà, sviluppando l’intuizione e il potere dell’attenzione, giorno e notte, quando i veli dell’illusione sono scomparsi, allora avviene la comprensione del vero ku. Finché uno resta ignaro della vera Via è convinto di essere nel giusto perché crede nell’insegnamento dl Buddha, o in qualsiasi altra fede del mondo. Ma quando assume il punto di vista della vera Via e vede la realtà del mondo dalla giusta prospettiva, si accorge quanto divergano quelle vedute a causa dei pregiudizi dell’individuo e delle errate posizioni di partenza.
Quindi avrebbe combattuto come uomo e come immortale. Sia come disperato, sia come chi si rialzava da quella stessa disperazione. Come Shinta e come Shintou. L'Antichakra fu libero di scorrere sulle sue lame. Cercò l'impatto con quel bastardo. Falce e katana si mossero insieme, dal basso in alto, in un montante circolare, cercando e sperando di trovare il pugno del bastardo. Lo avrebbe tagliato. Troncare braccio e corpo. Per Erla. Per questo mondo. Per i disperati. Per se stesso. Per Shitsuki. Per la Legge dell'Equilibrio.
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