| Hi no Kuni, 6 marzo 249DN, ore 20.00 *Le parole del Vermiglio lo raggiunsero chiaramente, con loro ennesime informazioni di cui fare tesoro, su cui riflettere nei giorni a venire… ma la mente di Hideyoshi non poteva guardare oltre il momento presente, non ora. Il pensiero osò per un istante allungarsi verso quel che ricordava del chakra naturale, verso quello che gli era stato trasmesso da Kuro e nei giorni passati a Ryuchi, ma immediatamente un senso di grave trasgressione lo ricondusse indietro: non poteva concedersi questo lusso, non poteva andare oltre. La sopravvivenza di entrambi dipendeva dal controllo che sarebbe stato in grado di esercitare su sé stesso nei momenti a venire, e, considerati i trascorsi, il Kokage sapeva bene che la minima distrazione sarebbe stata fatale. Si concesse un ultimo, lungo sospiro, quindi, levatosi il rapace, cercò nello sguardo del Vermiglio un cenno di prontezza, di assenso e coraggio, anche per sé. Una breve ricerca, ed afferrò la mano del jonin… nel gesto un balzo da far fermare e ripartire il cuore. Un brivido, un lampo azzurro ed un flusso continuo tra sé, lo zaffiro e Kinji, quindi la sensazione di essere travolto da due correnti opposte, due oceani spartiti fino a quell'istante, ed ora, ansiosi di rimescolarsi, piombati su di lui. La forza sufficiente a fare a brandelli ogni scampolo di coscienza ancora isolato da quella altrui, e, qualcosa in lui temette, i loro corpi. Una paura non così lontana dalla realtà: a contatto avvenuto, ad occhi esterni i ninja sarebbero stati nascosti dietro una fitta cupola di chakra dai toni azzurri e neri, luminosa e buia al tempo stesso. All'interno, i contorni confusi dal massiccio trasmettersi di energia, i due erano quasi un'unica entità. L'ultima cosa che il Cantore rammentò della realtà, prima che le barriere della sua mente venissero meno al loro dovere, fu l'illuminarsi della pietra. Quindi, spinto da forze innominabili oltre il ciglio del baratro, riversò tutto sé stesso nella corrente. Un moto improvviso, istintivo e necessitato, ma non del tutto privo di volontà. Ciò che di lui poteva ancora rendersi conto del processo si dibatteva tra il bisogno di mantenerlo frenato, equilibrato, e la sensazione che, se si fosse eccessivamente trattenuto, non sarebbe mai riuscito nel suo intento.*(Non esiste via di ritorno. Se mai è esistita.)*Si risolse, abbandonandosi allo stesso senso di ineluttabilità che lo aveva accompagnato sin lì, facendolo proprio, lasciando che epurasse la mente da ogni prospettiva residua di incertezza. Nient'altro rimaneva che il flusso, la discesa, e, sullo sfondo, distante e già quasi irreale, la posta in gioco. Interrogarsi sulla propria capacità di superare quella prova divenne non soltanto insensato, ma immotivato, implausibile: non esistevano prima o dopo, l'Hideyoshi shinobi o il Kokage. Esisteva solo il gioco di forze, la discesa nella prigione dello Spettro, il sentore di una vita da salvare. Piombò nelle profondità, se di se stesso o altri, impossibile dire, il corpo e la mente tratti dall'unico punto fermo residuo: la stretta alla mano. Come un'ancora lo dragò attraverso i flutti, incurante degli effetti sortiti nel processo, al tempo stesso trascinata e sospinta, come trascinato e sospinto era il Cantore. L'energia che rifluiva dal proprio corpo in quello dell'Uchiha gli aveva fatto perdere ogni appoggio, creando una differenza di potenziale in grado di annientare presto ogni controllo sul processo. Chakra di Hideyoshi, di Otomika e di Keiichi tumultavano assieme in un'unica tempesta, un unico fiume inarrestabile, e, lungi dal trovare un avversario pronto alla lotta all'interno dell'anello, sembrarono piombare in un vuoto assoluto. Uno in cui, nei propri sogni febbrili, il Kokage aveva guardato spesso. Uno che sapeva essere sempre stato in attesa del suo arrivo. Gelo ed oscurità lo accolsero nel punto più recondito, la vastità del nulla il fondale adatto per contenere la corrente in discesa. Dopo l'impatto, dopo un tempo indescrivibilmente lungo, la quiete... e con essa nuova razionalità, assemblata con ogni componente arrivasse a portata di coscienza. La parvenza di un corpo gli si solidificò attorno, cristallizzata dal freddo, i piedi in equilibrio sul nulla. La mano, benché il contatto rimanesse invariato, stretta ora a quella di un individuo radicalmente diverso. Il legame tra loro unica fonte di luce in quel mondo senza contorni. Lunghi capelli del colore della neve fresca, pelle di un pallido quasi lucido, espressione imperscrutabile ed occhi di ghiaccio: Otomika, o, per meglio dire, Akimoto Kaguya, i lineamenti di una gioventù che nessuno ricordava, che nessuno, pensando al Sandaime, avrebbe potuto supporre. Era quella una forma in cui il Cantore non lo aveva mai visto, ma solo immaginato: una proiezione verosimile, il risultato dell'averlo eretto a paradigma di sé, integrata da ciò che rimaneva della coscienza del Sandaime.*(Siete... sei davvero tu? No, come potrebbe essere... Ce l'ho fatta, l'ho ucciso. L'ho visto morire. Il villaggio è mio. Ho bisogno...)*Pensieri sconnessi, ciascuno in partenza sul primo treno disponibile, sulla prima emozione di passaggio. Dubbio, negazione, timore, risentimento, superbia, tristezza. Mille domande rivolse, nessuna risposta giunse... non sugli stessi binari, perlomeno. Non che quell'Hideyoshi potesse recepire. Akimoto continuò a guardarlo, a guardare nella sua direzione, come un'icona ricambia lo sguardo del fedele. Impossibile dire se sentisse, cosa sentisse, e se gli premesse, in qualche modo, di rispondere. Nell'immobilità di quell'istante, il Cantore non sentì nulla provenire dall'altra parte: lo stesso vuoto che l'aveva inghiottito ricambiava ora il suo sguardo da dietro gli occhi dello Spettro, senza che nulla trapelasse. Un silenzio totale, fino allo smarrimento, fino a domandarsi se di fronte non vi fosse che un miraggio, un'entità ricostruita soltanto sulla vaga traccia di Otomika. Che avesse percepito o meno questo momento di debolezza, che si trattasse di mera coincidenza in quel gioco di forze o vi fosse alle spalle una qualche volontà di sopraffazione, un bagliore giallo attraversò fulmineo le iridi dell'avversario. Hideyoshi ebbe a malapena il tempo di domandarsi se l'avesse effettivamente scorto prima che, con una spaventosa sortita, l'essenza intrappolata nell'anello lo invadesse. Il bagliore azzurro iniziò a risalirgli il braccio, estendendo sulla sagoma sfocata che gli faceva da corpo le fattezze, molto più definite, di Otomika stesso. La mente finì all'istante sotto un bombardamento incessante, nessuna difesa in grado di opporsi lungo quello che rimaneva un legame privo di filtri. Una ad una, affilare come rasoi, immagini provenienti dalla memoria artefatta dell'avversario lo invasero. Incoerenti, grossolane, confusionarie, infransero il delicato equilibrio in cui era riuscito a forzarsi. Vide una grande torre, una città immensa, le sue caratteristiche immediatamente integrate dal subconscio del Cantore con quelle di Fukagizu. Combaciarono, ferma la differenza tra rovina e magnificenza, ma al Kokage non ne venne alcunché. Era preda di ogni emozione vissuta dallo Spettro in quella prigione, un flusso che non aveva alcuno scopo ultimo, che, all'invadergli la coscienza, non era animato da altro che istinto ferino. Una bestia rilasciata dalla propria gabbia, furente, dolente, forse persino impaurita. Ciò che era stato fatto allo Spettro d'Argento non aveva nulla di naturale o dignitoso, e non avrebbe dovuto sorprendere l'enorme ascesso di rabbia e sofferenza, confusione, smarrimento… ma era impossibile dire dove finisse l'Otomika vivente ed iniziasse quello redivivo, dove l'uomo e dove l'esperimento. Hideyoshi stesso, perso in quella tempesta, ne divenne parte, terreno fertile per quello che poteva essere un nuovo inizio, un nuovo corpo oltre lo scempio che era stato compiuto. Mentre ciò che era in lui di Otomika lo tradiva, riconosceva la corrente avversaria come propria gemella, Hide incominciò ad abbracciare la prospettiva di diventare il ricettacolo del Sandaime. Di nuovo, e, questa volta, definitivamente. Il trasferimento andava ultimandosi, corpo e mente riplasmati a immagine e somiglianza di chi gli stringeva la mano, mentre costui, nel passaggio di energie, si lasciava dietro una sagoma sfocata, a sua volta vagamente familiare. Quel che nel Cantore rimaneva ancorato ai momenti che avevano preceduto la sua discesa in quel limbo gli suggeriva che i capelli scuri, la pelle chiara e gli occhi cremisi di Kinji fossero elementi riconoscibili... ma, la coscienza ormai sconfitta e piegata dall'assalto dello Spettro d'Argento, non sarebbe mai riuscito a ricordare perché si trovasse in quel luogo. Ad un passo dallo svanire, dal divenire lui un ospite e Kinji un contenitore prosciugato, Hide non aveva più nessun tipo di memoria.*(Hai ragione... come ho potuto pensare... Sono pronto, fin dal giorno in cui mi hai indicato... fin dal giorno in cui mi hai impresso il tuo simbolo... La mia vita è sempre stata nelle tue mani, il mio scopo...)"Di nuovo? Arrendevole.""Patetico."*Un dolore lancinante gli attraversò l'emisfero destro del cranio, come se un dardo gli si fosse conficcato in fronte. Pulsante, bruciante, spanse una luce rossastra lungo le fattezze di chi aveva davanti, riflettendosi nello Sharingan un'identica sfumatura. Pur non potendo osservarne direttamente l'origine, pur trovandosi in quello stato di sottomissione e miseria, Hideyoshi poté immediatamente riconoscerla: era lo stesso dolore che lo aveva riportato alla veglia, due anni prima, lo stesso che, da quel giorno, gli aveva ricordato perché si fosse ridestato. La cicatrice che il Diavolo gli aveva inciso addosso sfrigolava ora come un marchio a fuoco, aprendosi un varco terrificante nella psiche del Kokage, nel nuovo equilibrio che era andata raggiungendo. Uno ad uno, selezionati e riassemblati dal bisturi bruciante di quella nuova presenza, frammenti di promesse fatte e mancate, di vite incrociate e distrutte.*"Come fai a chiamarti Kage? Sei un verme, non un serpente. Non ti è permesso scappare, non stavolta. Nemmeno morendo."*A pochi centimetri da entrambi, appena visibile otre la corolla luminosa emanata dall'anello, Ki Momochi lo osservava con gli occhi scuri che aveva sempre detestato. Ogni espressione, appena sopra la linea del bendaggio che oscurava metà del volto, perennemente sulla linea tra furia sanguinaria e razionalità omicida. Nella mano destra, le dita apparse assieme al lucore dell'acciaio, l'elsa della Kubikiri. Vederla lo raggelò, o meglio, raggelò Otomika, perché benché ormai i due fossero un'unico corpo, il fuoco della cicatrice aveva ricreato una qualche forma di separazione. Il Cantore ne avvertì il terrore, la furia, bruciante la memoria della lama che gli aveva tolto la vita. Voleva ucciderlo, voleva liberarsi, ma il contatto con la mano di Kinji continuava a trattenerlo. L'anello, nonostante tutto, non cessava di limitarne i movimenti... ma per quanto ancora, impossibile dire. Preso atto dell'esitazione dell'avversario, rinsavito momentaneamente dallo stato in cui era stato costretto, Hideyoshi rivide finalmente di fronte a sé la persona per cui aveva lasciato le mura del villaggio. La riconobbe, e, ancor prima, ricordò cosa aveva fatto e perché, cosa gli dovesse in cambio, e quanto vicino fosse nuovamente arrivato dal distruggerne l'esistenza. Un senso molto familiare di disgusto gli attraversò la spina dorsale, la vera essenza di Hideyoshi Jiyuu, e prima ancora di potersi detestare il Cantore di Lame riversò ogni parte di sé nel palmo del Vermiglio. Un' ultima spinta, una disperata, priva di ogni anelito di autoconservazione. Sapeva che sarebbe arrivato a quel punto, sapeva che di lui non sarebbe rimasto nulla… ma non poteva tirarsi indietro, non poteva darla vinta a chi lo voleva inetto e vigliacco. Anche si fosse trattato soltanto di un principio, anche la vita di Kinji non fosse stata a rischio, avrebbe impedito che la sua vita fosse valsa a nulla. Avrebbe strappato a Yo il suo sorriso soddisfatto, ad Otomika una facile vittoria. Il chakra di Keiichi fu il primo e l'ultimo ad abbandonarlo, la sua presenza un reticolo dorato in quello che, altrimenti, era un totale mescolarsi di forze. Non sarebbe mai riuscito ad isolarle, a fare quel che aveva promesso, ma, prima di sparire, avrebbe creato un nuovo sigillo per il coacervo di forze che aveva reso la sua vita un inferno. Un marchio luminescente sarebbe apparso sulla mano dell'Uchiha, e, attraverso di esso, un contatto cosciente per Kinji in quel mondo oltre il loro.*GDROFF///Chiedo scusa per il grave ritardo e per la qualità del post, che mi rendo conto essere un casino. Alla fine ho deciso di tagliare corto in ogni aspetto, altrimenti sarei rimasto veramente bloccato.///GDRON
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