Narrato
*Pensato*
"Parlato"
I minuti passavano, e dall’interno dell’albero si sentiva solo il tramestio della donna, alla ricerca di qualcosa. Tatsumaru faceva roteare il kunai, passandolo tra le dita e sfregandolo sulla pietra dove era seduto.
*Chissà cosa sta facendo, magari le serve una mano … *
Improvvisamente il rumore cessò, e il ragazzo smise di giocherellare con l’arma. Masumi uscì dall’albero, con un’aria soddisfatta che esaltava la sua bellezza. Si rivolse al ragazzo, spiegandogli quale sarebbe stato il primo passo da compiere per raggiungere la consapevolezza della sua natura. Tatsumaru ascoltò attentamente, scosso da un brivido di eccitazione, mentre riponeva lentamente il kunai nel fodero. La prova non sembrava difficile, doveva sentire scorrere la vita nell’albero, un’esperienza che aveva già tentato di fare. Tuttavia gli venne un dubbio. Fino a quel momento era riuscito a percepire lo scorrere della vita in modo intenso una sola volta, ed era stato per un breve istante. Era accaduto il giorno prima, con la quercia eretta da sua padre nel giardino di casa.
*L’ho già fatto una volta … però adesso è diverso. La Quercia è stata creata da mio padre, la sua essenza è in essa, per questo sono riuscito a percepirne la vita … Ma questi alberi sono qui da secoli, non ho alcun legame con loro, se non … Il mio sangue Senju … Tutto ha un senso. Devo risvegliare la mia natura, in modo che gli alberi mi accettino, lasciando che io percepisca lo scorrere della loro linfa. Ma come posso fare?*
Assorto in quei pensieri, Tatsumaru annuì flebilmente, per poi scendere dal masso con un balzo. La sua espressione era concentrata, ora si faceva sul serio. Si avvicinò all’albero, quanto bastava perché potesse toccarlo tendendo il braccio. Inspirò profondamente, doveva lasciar scivolare via ogni preoccupazione, ogni paura, soprattutto quella di fallire. Inspirando assorbì dentro di se l’odore umido della corteccia, l’aria pungente, il rumore delle foglie secche. Chiuse gli occhi, espirando lentamente, soffiando fuori la negatività, la paura, svuotandosi per far posto solo al necessario. Tenendo gli occhi chiusi, alzò lentamente il braccio, volgendo il palmo alla corteccia nodosa. Solo un attimo di esitazione interruppe l’armonia di quel gesto. Un brivido lo aveva fatto esitare, ma fu solo un istante. Il palmo si appoggiò morbidamente alla corteccia, sfiorandola appena. Una strana sensazione strinse le membra di Tatsumaru. L’esercizio di rilassamento aveva lasciato qualche impurità in lui. Non poteva estraniarsi completamente dalle sue emozioni, erano parte di lui, del suo essere. Non era di certo un asceta, non era in grado di trovare la serenità in un batter d’occhi, solo volendolo. Sebbene ciò gli provocasse disagio, era per lui anche un conforto. Le sue emozioni, anche quelle negative, lo rendevano sicuro, accompagnandolo per mano. Spesso l’ignoto è così disarmante che anche la debolezza nota diventa forza. La stretta si trasformò in calore, che lento si irradiò in tutto il suo corpo. Era ancora se stesso. Premette la mano sul tronco, facendola aderire alla corteccia. Ne sentì la ruvidezza, la solidità contrapposta alla morbidezza della sua carne. Spostò le sue percezioni oltre il tatto, cercando di penetrare la barriera dell’albero, ma non ci riuscì. Riprovò, sforzandosi maggiormente, contraendo il viso. Ci provava, ma non era facile. Si agitò, non voleva fallire, infrangere i suoi propositi, la strada che era così determinato a percorrere. Determinazione, forse quella lo avrebbe aiutato, e allora premette con più forza, fino a sentire il leggero scricchiolio della corteccia. Nulla, anzi, meno di prima. Strinse i denti, non poteva andare così. Poi d’un tratto si accorse di cosa gli stava accadendo. Sentì i muscoli del braccio tesi, nello sforzo di spingere. Capì che stava perdendo il controllo, che le emozioni che aveva cercato reprimere stavano rifiorendo dentro di lui. La collera non serviva a nulla, la paura nemmeno, se avesse temuto di fallire, allora sarebbe realmente accaduto. Rilassò i muscoli, mantenendo il contatto con la pianta. Ripensò alla sera prima, quando aveva sentito la vita scorrere nell’albero di suo padre. Ripensò alle sue emozioni. Serenità dopo la tempesta, sicurezza dopo l’incertezza. Ricordò la sensazione dell’erba sotto i piedi nudi, il desiderio di fondersi con la natura. Si sfilò le scarpe, senza mai staccare il palmo dall’albero, tenendo sempre gli occhi chiusi. Strinse le dita, cercando di afferrare i fili d’erba. Sentì il freddo dell’aria autunnale sul dorso dei piedi, e la morbidezza delle foglie secche sulla pianta. Si cullò in questa sensazione, e alzando il mento, sorrise. Si avvicinò ulteriormente all’albero, accostò il naso alla corteccia, sentendone il profumo. Fece scorrere il palmo della mano sulla superficie, lasciandosi solleticare dalla ruvidezza del legno. Si sentì rigenerato, capì che la serenità che percepiva proveniva dall’albero. Non era per volontà sua, finchè aveva cercato insistentemente di avere un contatto aveva fallito. Solo ora, che non cercava di imporre nulla, ma di fondersi al tutto, poteva sentire che qualcosa accadeva.
Arrestò la mano all’improvviso, e aprì gli occhi. Come quando in riva ad un ruscello si poggia il palmo della mano sulla sua superficie cristallina, e se ne percepisce lo scorrere, così egli sentiva scorrere la vita nell’albero. In principio un leggero formicolio sui polpastrelli, poi una sensazione sul palmo, che si irradiava come una spirale per tutta la mano. Percepiva il flusso di quello che doveva essere il chakra della pianta, o comunque qualcosa di simile. La sensazione cresceva, i suoi occhi erano aperti, ma non osservavano alcunché. Infine essa si stabilizzò. La sensazione era concentrata sull’intero palmo, ed era simile ad un formicolio. In quell’istante potè percepire l’albero crescere, le radici affondare, le foglie sbocciare e crescere. Se avesse allargato ulteriormente le sue percezioni, avrebbe potuto sentire il battere ritmico del cuore della pianta, salvo poi accorgersi che era il suo. Il suo sangue scorreva al ritmo della linfa, e il suo cuore battere con quello dell’albero. Non era solo una percezione, era una fusione, che tuttavia non durò abbastanza. La sensazione tornò a concentrarsi sul palmo, e li vi rimase. Tatsumaru credette che l’albero avesse voluto indagare il suo essere, e che lo avesse accettato. Il ragazzo non lo sapeva con certezza, non poteva distinguere se essa fosse suggestione o se avesse davvero portato a compimento la prova. Non se lo chiese. I suoi occhi ripresero ad osservare, le sue orecchie ad udire il mondo circostante, era tornato in se, e la sensazione non era svanita. Si allontanò di un passo, staccando la mano dall’albero. Ne osservò il palmo sporco dei frammenti di corteccia. Strinse lentamente la mano a pugno, e poi la riaprì. Si avvicinò, e riprovò a percepire la vita nell’albero. Accadde di nuovo, sentiva la linfa vitale scorrere, ed era meraviglioso.