In silenzio, il giovane Yamanaka attese il verdetto finale. Sapeva bene di esser stato nuovamente irrispettoso nei confronti delle due donne, ma non gli importava minimamente. L’unica cosa che gli interessava, al momento, era di porre fine a tutta quella stramaledetta storia, prendere Giman e andarsene il più lontano possibile da li, magari trovare un posto adatto dove poter cercare e sviluppare una cura per quella sua malattia o, alla peggio, trovare un eremo isolato dove passare insieme i loro ultimi giorni.
Alla fin fine, era sempre stato un tipo che viveva alla giornata, senza necessariamente fare progetti a lungo termine. L’unica cosa certa che aveva in mente, nel suo futuro, era quella di proseguire i suoi studi medici, ma per il resto... Sua madre stava bene, così come stavano bene le sue compagne di squadra. Certo, Konoha, dopo l’attacco subito dallo Yotsuki, non la considerava più una roccaforte inespugnabile, ma esisteva davvero, al mondo, un posto sicuro al 100%? Decisamente no, quindi una punta di preoccupazione per i suoi affetti più cari ci sarebbe sempre stata, ma alla fin fine... Tutti, prima o poi, devono morire. E se fosse toccato a loro due, a Kacchan e al piccolo Giman, che fosse dipeso dalla malattia o dalla decisione di quella stronza, poco gli sarebbe importato. Per lui valeva solo come aveva vissuto il presente, cosa si era lasciato dietro. Il resto? Solo seghe mentali per quei fottuti bastardi.
Nel vedere il piccolo Giman così terrorizzato, il giovane non ci pensò su due volte: le braccia protese verso di lui, gli si avvicinò, pronto ad afferrargli quelle manine piccole e tremanti... E un fiotto di sangue caldo lo investì in pieno, sporcandogli completamente le braccia e la parte superiore dei suoi pantaloni, schizzando fino al viso.
In un primo momento non riuscì a capire, forse troppo scosso, ma poi vide le manine di Giman non raggiungere mai le sue, il suo corpo dilaniato dalla spada della Tsuchikage cadere ai suoi piedi, cadendo flaccido come una bambola di pezza svuotata dalla sua imbottitura. Con le mani ancora protese verso il piccolo, il giovane uomo abbassò lo sguardo, incrociando gli occhi castani arrossati, umidi di lacrime, ormai privi di vita.
Strano. Qualcosa, dentro di lui, si sarebbe dovuto spezzare, nel vedere il piccolo morire davanti a lui, in quel modo, eppure il ragazzo non sentiva niente. Nessun dolore lancinante a dilaniargli il petto, nessuna furia cieca, rabbia o altro tipo di sentimenti a strozzargli la gola, a fargli urlare fino a diventare afono... Niente, una lastra di ghiaccio. E così, immobile al suo posto, lo sguardo fisso su quel corpicino che, da vivo, aveva tanto significato per lui, abbassò lentamente le braccia lungo il corpo, il corpo finalmente rilassato. Alla fine era finita.
Peccato... si ritrovò così a pensare Kacchan
Ho perso una cavia preziosa su cui poter sperimentare una cura... Solo dopo aver pensato ciò Kacchan si rese conto
davvero di cosa gli era passato per la mente, ed ecco che il disgusto scivolò su quella sua distesa di ghiaccio interiore, facendolo tremare.
Santi Kami... Che razza di mostro sono diventato. Si portò le mani a coprirsi la bocca, per cercare di trattenere un singulto, ma rendendosi conto di come queste fossero sporche del sangue di quel bambino, le guardò come se appartenessero a quelle di un estraneo.
Jikan aveva frainteso tutto. Lui aveva frainteso tutto. Non si era mai davvero affezionato a quel bambino, anzi. Così come era stato per Akira e per lo stesso Jikan, il legame che provava per loro era dettato per mero interesse accademico, pura e semplice curiosità per capire il loro caso clinico. Erano semplici giocattoli meccanici, su cui lui bramava di vederne il contenuto, scoprire i circuiti e capirne il loro funzionamento e, una volta rotti, perdevano completamente il suo interesse.
Quand’è che aveva perso la sua umanità?
Indietreggiò di un passo, allontanandosi da quel corpo esanime, allontanandosi dalla pozza di sangue che si stava allargando sotto i suoi piedi, come a voler fuggire da quella orrenda, nuova, consapevolezza di sè e di ciò che aveva fatto. Aveva intuito in qualche modo il tragico passato del piccolo, ed era stato per puro capriccio, per egoismo, se aveva riversato su di lui tutta quella premura: perché un terreno secco, se bagnato, può resistere un po’ di più. Far sperimentare al piccolo emozioni e cure che non aveva mai provato prima, tutto per dargli la giusta energia per spingerlo ad andare avanti, a resistere un po’ di più a quella malattia che lo stava uccidendo, in modo tale da guadagnare tempo, tempo utile per permettere a lui di studiarlo, capirne i sintomi, trovare una cura.
Era lui il vero mostro, in quella stanza, non la Tsuchikage che, nell’uccidere il bambino, era stata a dir poco misericordiosa. Era addirittura arrivato a pensare di usare il bambino come contro-spia, per rinfacciare alla donna l’inettitudine del suo villaggio... Fu allora che lo notò, impalpabile, evanescente e sgranato, simile a fumo scuro, delinearsi una figura vagamente umana, non ben definita. Era in piedi proprio sopra il piccolo corpicino... No, non era in piedi, fluttuava a mezz’aria, con una sorta di lunga coda a svolazzare intorno a lui. Non aveva lineamenti, a stento riusciva a vederne i contorni, che, come fumo, cambiavano continuamente forma, eppure sentiva su di se lo sguardo di quella creatura. Lo seguiva, gli stava addosso, come se lo stesse giudicando per quello che aveva fatto o non fatto, e ne aveva una paura invereconda, come mai provata prima.
Lanciò uno sguardo oltre l’ombra, verso le due donne, quasi a voler capire se anche loro vedevano quell’entità, ma sembravano non accorgersi minimamente della sua presenza, anzi. Senza batter ciglio le passò accanto, scavalcando disgustata il corpo del bambino, seguita a ruota dalla sorella che non parve minimamente accorgersi di quel nuovo arrivato apparso da chissà dove. E, troppo concentrato su di lui, Kacchan non si accorse minimamente del pugno, ne tanto meno di chi glielo aveva tirato. Semplicemente, il dolore atroce lo ridestarono, facendogli sputare l’anima e piegare le ginocchia sotto il suo stesso peso, la fronte poggiata sul pavimento gelido, mentre cercava di riprender fiato, senza riuscirci.
Mosse il viso, in modo tale da poter vedere davanti a se, e, inchiodato a terra dalla potenza di quel pugno, dalla pozza di sangue vide tracciarsi sul pavimento, oltre il bordo della pozza stessa, l’impronta di una mano, troppo piccola per essere quella di un adulto, ma sicuramente delle dimensioni di un bambino... E poi un’altra e un’altra ancora, le orme di quelle manine si avvicinarono sempre di più a lui. Era Giman, ne era certo. Aveva visto dentro di lui, aveva visto cosa si nascondeva dietro i suoi gesti premurosi, aveva scoperto la verità dietro le sue intenzioni, e adesso voleva prenderlo, fargliela pagare.
Inchiodato a terra dal dolore, cercò comunque di indietreggiare, di venir via a quelle mani che si avvicinavano inesorabili davanti a lui, ma... Sentì il peso di quella manina sull’avambraccio imbrattato di sangue, caldo e vitale come se quella mano invisibile appartenesse ad una persona ancora in vita. Poi qualcosa di gelido gli afferrò il volto e Kacchan urlò, terrorizzato, aggrappandosi saldamente alla prima cosa che gli capitò a tiro. Jikan. Senza rendersene conto, gli si era stretto al petto, stringendo convulso la sua camicia, ma quel contatto così ravvicinato durò poco, perché subito si rese conto della vicinanza strettissima col giullare e altrettanto in fretta si tirò indietro, respirando in maniera incontrollata.
In iperventilazione, si guardò intorno, controllandosi il braccio, ma la sensazione che aveva provato su di esso era svanita, così come la figura fumosa. Non c’era niente, in quella stanza, erano rimasti solo lui, Jikan e il corpo del bambino a diventar lentamente freddo. Cosa diavolo aveva appena assistito? Non riusciva a capire, il cervello a lavorare frenetico alla ricerca di una soluzione logica a quanto accaduto, ma...
Un’allucinazione. Forse quella malattia presenta alterazioni sensoriali come primi sintomi... Era la spiegazione più logica a cui potesse giungere, l’unica alla quale poteva aggrapparsi disperatamente, cercandosi di convincere che fosse quella giusta, perché l’altra, decisamente, non gli piaceva affatto.
Cercò di riprendere il controllo di sè, indietreggiando ulteriormente, ancora seduto per terra, concentrandosi esclusivamente su Jikan, usandolo quasi come ancora per ritornare alla superficie della realtà.
Non starmi così vicino, o rischi di infettarti anche tu. Qualsiasi malattia abbia veicolato il bambino, sta già iniziando a manifestare i primi sintomi. Sto iniziando ad avere allucinazioni e... Si fermò, sia nel parlare che nel muoversi, scuotendo il capo e sorridendo amaro. Era tornato ad essere il Kacchan che Jikan aveva avuto modo di vedere.
Di che mi preoccupo. Sicuramente non corri alcun rischio, tu... Probabilmente ti avranno sottoposto alla profilassi e sarai coperto da eventuali altre esposizioni al virus... E una smorfia si dipinse sul suo viso, indecifrabile.
Nessuno poteva salvarlo. La malattia l’aveva ormai reso troppo debole, me ne sono reso conto quando sono entrato nel suo corpo. La tua signora ha avuto molta più clemenza di me, verso di lui, nell’ucciderlo in quel modo. Rispose cinico, guardando dritto negli occhi il giullare, col quale, adesso, si sentiva fin troppo affine. Basta maschere, almeno non con lui, perché sicuramente quell’uomo sarebbe stato l’unico a capire quello che stava passando o, quanto meno, ci sperava.
Non sono affatto una crocerossina, Jikan. Sono un bastardo egocentrico, un mostro ben peggiore di quello che ho additato in arena, ai danni della tua signora. Giman? In realtà lo tenevo in vita solo per il mio ego... Cazzo, ero prontissimo ad usarlo come cavia da laboratorio per scoprire quale male lo affliggeva, se mi avessero permesso di portalo via da Iwa... Forse è un bene che Chiye Koizumi abbia interrotto il torneo, perché so per certo che, alla fine, non avrei più resistito. Si portò le mani sporche di sangue al viso, iniziando a ridacchiare.
Mi sarei infilato nei loro corpi, Jikan, così come avevo fatto con Giman. Nessuno avrebbe capito nulla, di quegli scemi. E avrebbero visto i bambini sgozzarsi con le loro stesse mani. Le mani rimasero salde a coprire il volto, mentre continuava a ridacchiare in maniera nevrotica, nascondendo le lacrime che, scendendo, pulivano via il sangue lungo la loro discesa.
E ora dimmi, chi è il folle tra noi due? Ogni riferimento a Death Stranding non è puramente casuale. Ringrazio Kojima per avermi permesso di trovare l'anello mancante che mi serviva per rendere Kacchan il futuro maestro dell'horror.
Quella avuta da Kacchan non era un'allucinazione, ma una prima "introduzione" a quella che sarà la sua disciplina personale, che se non mi spiccio a far valutare, non lo farò più.
Intanto, lascio un riferimento visivo all'ombra che Kacchan vede sul corpo di Giman.