Kokoro ni Tobikomu 心に飛び込む - DESTATI, Quest Stabilizzazione Kurama Kou , per Lucifergirl88

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view post Posted on 4/9/2018, 13:40     +1   -1
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CITAZIONE
Benvenuta ufficialmente nel tuo inferno personale! Mwah-ah-ah. :gurupat:
Noi due ci conosciamo da un tempo che possiamo definire immemore, quindi non abbiamo bisogno di grosse presentazioni.. seppure come master/masterata non abbiamo mai avuto l'onore. Non che io ricordi, quanto meno.

Come forse sai avendo letto qualche mio precedente lavoro, solitamente concedo ai miei masterati la quasi totale libertà di azione (anche perché credo fermamente che un lavoro debba essere fatto necessariamente da ambo le parti per goderne entrambi); da questo ne consegue che ogni tua azione avrà una conseguenza sulla storyline generale e sulla reazione degli NPC che ti presenterò, quindi in sostanza plasmerai con me questa micro storia a seconda di come ti comporterai. Se non metto elementi descrittivi dettagliati, ma la tua fantasia ti suggerisce che qualcosa possa essere sfruttata per creare la tua parte di post, basta chiedere e ti sarà risposto con tutti i dettagli che desideri. La caratterizzazione del PG ovviamente risulta essenziale, quindi dacci dentro con pensieri e sensazioni (non che questo rappresenti una difficoltà per te, che diamine). Mi prenderò la libertà di 'guidarti' in questo viaggio anche attraverso immagini e/o musica, per una 'full immersion'. Allaccia le cinture e goditi il viaggio, perché sarà turbolento!

NB. Nonostante io sia solita partire con un piccolo incipit per introdurre alla storyline e creare curiosità nel lettore, questa volta, per esigenza di suspance, preferisco lasciare direttamente a te la tastiera. Fammi capire dove si trova Yūzora, cosa pensa.. presentamelo nella maniera che più ti aggrada, con la potenza del tuo scritto che so bene essere eccellente. Ho grosse aspettative e so che non mi deluderai. Per questo post ti chiedo solamente di rispettare dei paletti, che mi consentiranno di dare inizio a questo lavoro pieno di colpi di scena e mindfuck pesantissimi (e a te di ruolare anche qualcosa di interessante, se ti aggrada):
1. Dopo quanto successo a Fukagizu, Yūzora non ha più sentito la voce del kyubi; anche se interpellato, questi non risponderà (sarò poi io a muoverlo durante la quest sino a completa stabilizzazione);
2. Alla fine del post, o per un momento di debolezza o semplicemente perché ha deciso di schiacciare un pisolino, Yūzora dovrà perdere i sensi; a te decidere come, dove, quando, perché.

Detto questo, non mi resta che augurarti buona fortuna e, soprattutto, buon divertimento!
 
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view post Posted on 5/9/2018, 20:58     +1   -1
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Le bolle danzavano alla luce della lanterna, riflettendo la fiamma tremolante della candela sulla propria superficie iridata, prima di divenire un tutt’uno col buio, allontanandosi nel silenzio di quella placida notte che le aveva viste nascere. Tante, una miriade, come i pensieri di chi le stava soffiando, totalmente perso nell’osservarle anche quando i suoi occhi erano incapaci di seguirle. Era così che funzionava per Yu. Se aveva bisogno di starsene tranquillo, se aveva bisogno di perdersi in quella miriade di filamenti ingarbugliati che aveva in testa, quello era il modo più semplice e rapido. C’era chi fumava, chi tirava sassi in acqua, chi osservava le sinuose fiamme del fuoco…lui faceva le bolle.
E se ne stava proprio lì, seduto sugli scalini che dal ponte principale portavano al castello di prua, vicino alla balaustra, lo stesso posto in cui si era fermato a riflettere nel viaggio d’andata che aveva accompagnato sia lui, che il resto della piccola, ma nutrita, flotta di Kiri, sul continente, diretti a Ishi no Kuni. Non ce la faceva più a stare sotto coperta d’altronde. Aveva bisogno di dormire, ma l’odore che aveva iniziato ad avvertire in stiva lo stava soffocando. E non era solamente il lezzo delle “persone” - quel misto di sudore e pelle di essere umano che, da solo, in un posto chiuso, per lo più ristretto e con quella quantità di Shinobi riuniti, sarebbe bastato a far salire la nausea - ma anche e soprattutto quello del carico che si stavano portando dietro.
Innumerevoli erano stati i feriti di quella spedizione e tante le vittime che stavano traghettando in patria perché venissero trattate con tutti gli onori che meritavano. Anche se di onorevole c’era stato ben poco in quella missione, soprattutto da parte di chi aveva tirato in mezzo tutti loro. I giorni seguenti al risveglio nella piazza distrutta di Fukagizu erano stati davvero pesanti. Più le squadre si avventuravano nella disperazione dilagante nella speranza di recuperare qualche altro compagno sopravvissuto, più il conto dei morti cresceva. I sudari bianchi con cui venivano coperti i corpi ben presto divennero tanti quante le stelle in cielo, lo stesso poteva dirsi dei feriti e di chi aveva subito shock talmente gravi da non poter sperare di riprendere il proprio lavoro come ninja. Poi c’era stata la marcia, faticosa e rallentata a causa dei carri che erano stati costretti a portarsi dietro per caricare quelli che non erano in grado di camminare da soli e chi non lo avrebbe fatto mai più. E, infine, erano saliti sulla nave che li avrebbe ricondotti a casa… Ma se marciare affianco a quel lezzo era stato per lo più sopportabile, grazie al fatto d’essere stati all’aria aperta, restare in coperta per Yu era stato troppo. Ci era rimasto un po’, conscio di dover fare un sonno, costringendosi quasi, ma alla fine aveva rinunciato. Forse per i nasi degli altri poteva essere tollerabile quel puzzo di morte - magari nemmeno lo sentivano - ma per il suo no, non in un luogo chiuso come quello.
Per quello si trovava lì. Se l’era filata con tanto di lanterna per poter prendere un respiro d’aria sana e, in un modo o nell’altro, si era ritrovato a soffiare bolle, ripensando a quei giorni.
Una spedizione fallimentare sotto quasi tutti i punti di vista. Dovevano solamente ringraziare di essere ancora vivi. Chi? Loro stessi per essercisi aggrappati tanto forte da resistere fino a quando quel tormento non era finito.


Sei venuto a prendere un po’ d’aria?

La voce di Kai lo colse di sorpresa, strappandolo ai suoi pensieri e alle sue effimere iridate, costringendolo a spostare lo sguardo sulla figura del fratello che, a passo tranquillo, entrò nell’alone di luce della lanterna per andare ad affacciarsi alla balaustra. Quando Yu era stato reclutato da quel medico, Tanaka-san, per aiutarlo nella conta dei morti e nel recuperare i feriti, il Rosso aveva sperato ad ogni nuovo corpo riverso che, voltandolo, non avrebbe riconosciuto, nell’immobilità della morte, i lineamenti eleganti dello Yuki. E, per fortuna, qualche Kami sembrava aver tirato il dado giusto questa volta. Aveva reincontrato sia lui che Shizuka all’accampamento che era stato allestito e davvero in quel momento - paura o non paura, stanchezza o non stanchezza - aveva sentito quel peso che gli gravava addosso farsi nettamente più leggero, proprio com’era stato con Takumi quando aveva ripreso i sensi.

Già… Assentì. Mi sembrava di soffocare là sotto, non ce la facevo più. Figuriamoci prendere sonno!

Kai ridacchiò, voltandosi e poggiando la schiena al legno del parapetto, prima d’osservare quella raffica di bolle nervosa che il Rosso aveva soffiato per dare sfogo alla propria frustrazione. Era piacevole sentirlo ridere, per il semplice fatto che era ancora lì. Che non lo aveva perso di nuovo, che entrambi erano sopravvissuti a quel delirio per potersi guardare negli occhi e vedere il riflesso di quell’incubo l’uno nello sguardo dell’altro e poter dire “Ce l’abbiamo fatta”.

Quel naso sarà la tua condanna. Hai intenzione di fare il resto del viaggio qui fuori? Lui rideva e lo prendeva in giro, ma Yu davvero aveva quell’intenzione. L’aria era frizzante, era vero, ma la balaustra lo proteggeva adeguatamente e, in tutta franchezza, meglio un po’ di fresco e un raffreddore domani che morire d’asfissia o finire per essere messo k.o. da quel miscuglio di lezzi insopportabili che c’erano di sotto! Probabilmente Kai se ne rese conto, perché, stupito, sbottò. Ma che…Fai sul serio?! Il Rosso annuì convinto, lasciando basito il compagno di una vita che, davanti all’ostinazione di Yu, fu costretto ad alzare le mani, letteralmente. D’accordo. Fai pure. Ma io non ti accompagnerò in questa tua crociata, sappilo. Non ho intenzione di stare qua fuori a congelarmi l’uccello. Fece, sogghignando, mentre iniziava a ripercorrere i propri passi, per raggiungere la porta che lo avrebbe portato in coperta.

Ma che razza di Yuki sei, se hai paura di un po’ di fresco? Lo provocò una volta che la sua sagoma scomparve nell’uscio, certo che lo avrebbe rivisto fare capolino per non lasciargli l’ultima parola sulla questione. E così fu.

Riderò quando domani non farai altro che starnutire e ti rifiuterai di andare dal medico.

Spuntò solo la testa di Kai dalla porta e, con tanto di linguaccia, prontamente ricambiata da Yu, lo salutò con quelle ultime parole prima di sparire inghiottito dal ventre della nave. Entrambi ridevano sotto i baffi però. Anche il Rosso che era ben conscio del fatto che forse si sarebbe buscato un mezzo raffreddore a passare la notte là fuori, ma…meglio quello senz’ombra di dubbio del sudario di morte che aleggiava di sotto. La brezza salmastra e umidiccia che ricordava casa gli piaceva. Lo rilassava e lo aiutava un po’ a tranquillizzarsi, interiorizzando quanto passato in quei giorni, razionalizzandolo, maturandolo e…no, accettandolo no, era ancora dannatamente presto per quello. Inoltre, per farlo, c’era solamente una cosa che potesse aiutarlo davvero e, di certo, non erano quei pensieri volatili che gli si materializzavano in testa per poi andare a cozzare con altri, creando una reazione a catena confusionaria e del tutto imprevedibile. No, se voleva schiarirsi un po’ le idee, l’unico metodo che funzionava era mettere tutto per iscritto. Era anche per quello che si era isolato un po’, per trovare la calma adeguata per poter estrarre quel suo libricino di cuoio e buttarci dentro tutto ciò che era accaduto. Dalla prima all’ultima cosa. Se lo passò tra le mani, come fosse il suo tesoro più caro - e forse era così - saggiando con le dita la rilegatura in pelle scura, appena decorata da un motivo semplice e senza troppe pretese. Lì dentro c’era tutto ciò che era successo da quando era diventato Genin. All’inizio aveva iniziato a scrivere con l’intenzione di non dimenticarsi le avventure vissute, così da poterle raccontare o farle leggere, un giorno, a Kai e agli altri, ma piano piano buttare giù i propri pensieri era diventato letteralmente terapeutico, tanto che aveva deciso di portarsi dietro il diario in quell’impresa che aveva tutta l’aria di promettere male. Fino a quel momento non aveva avuto modo di prendere in mano la penna, però, vuoi perché l’emergenza in corso lo aveva tenuto parecchio impegnato, vuoi perché non aveva trovato la pace necessaria per farlo, vuoi perché semplicemente non era quello il momento. Ma adesso, mentre la placida notte e il mare lo cullavano nel rientro a casa, poteva finalmente dare sfogo a quel garbuglio di pensieri impazziti. Prese in mano la piuma rossa, allora - non una di quelle vere però, era una cosa un po’ vintage: una penna con l’inchiostro stipato in una cannuccia che entrava nel calamo e parte del rachide della stessa per terminare con un pennino argentato già bello che pronto - lasciando che la mano scorresse sulla carta resa giallognola dal riverbero della lanterna, imprimendo nero su bianco quella sua esperienza a dir poco folle. Tratto dopo tratto, l’inchiostro costellava le pagine di simboli, dando forma concreta a quei pensieri che aveva tenuto sigillati in testa fin troppo tempo, tanto che ora fuoriuscivano come un fiume in piena. Dettagli, impressioni, giudizi, paure, angosce e speranze, tutto riportato in quel libricino insospettabile da quella penna vibrante stretta nella sua mano. Era come se quei piccoli oggetti fossero fatti apposta per canalizzare i suoi casini mentali, sigillarli su carta e custodirli al meglio. Cazzate? Forse, però a Yu piaceva pensarla così.

Penso che il Kyūbi sia stato ferito in passato, tradito, e che per questo abbia quel comportamento di chiusura nei confronti di chiunque.
Non si nasce in quel modo, lo si diventa. Per questo sostengo che sia un bugiardo. Che sia vero o no lo scoprirò presto. Vedete…non sono tornato da solo da quella statua quando Urako mi ha fatto rinvenire. Kurama è venuto con me: si è annidato nel mio corpo perché ha perso il suo.
Non l’ho detto ancora a nessuno. Né a Urako, né a Takumi, nè a Kai, né a nessuna autorità. Voglio prima digerire la cosa, capire meglio cosa questo significhi, perché presto o tardi dovrò farci i conti, anche se mi spaventa.
In fondo, una scommessa è una scommessa, no? […]

Rilesse quelle ultime frasi, decidendo fosse superfluo aggiungere altro. Sì una scommessa era una scommessa e quella che aveva con la Volpe era la seconda aperta che attendeva una risoluzione - l’altra era con Urako - ma sicuramente la più pericolosa. Kurama aveva accettato quelle sue parole nutrite dall’ira del momento quasi approfittandone e non erano nemmeno riusciti a definire decentemente termini e limiti vari della puntata. Tutto era concesso quindi, il che era una pessima pessima cosa. Era anche vero, però, che da quella volta, Yu non aveva più avuto modo di sentire il vocione rabbioso del Bijuu. C’era stato un silenzio inquietante per giorni e giorni e ancora perdurava, come se il Kyūbi fosse sparito con tutti gli altri Demoni Codati come vociferavano in giro. Quell’assenza aveva spinto Yu a sfiorare l’idea d’essersi sognato tutta quella conversazione, eppure, in maniera quasi irrazionale, sapeva che non era così. Era una sentore “di pancia”, una certezza intima e proprio per questo, forse, quel silenzio duraturo lo stava spaventando, sembrava un po’ la calma prima della tempesta. Come quei giorni precedenti alla chiamata del Mizukage.
Mentre pensava a quelle cose, quasi non si era accorto d’essersi messo a schizzare la volpe sul resto della pagina che aveva avanzato - tutto quel bianco non gli piaceva. E…beh, diciamo che lui non era Takumi, ecco. Si capiva che era il Kyūbi solo perché lui ne era cosciente e forse dalle nove escrescenze che dovevano essere le sue code, ma ad essere onesti faceva davvero schifo quel disegno, tanto che Yu se la rise tra sé, prima di chiudere il diario e nascondere quell’obbrobrio per evitare che la sola sua vista uccidesse qualcuno o spegnesse qualche stella in cielo. Era stata una fortuna trovare quell’esempio di “tecnologia ninja”, il diario aveva un sigillo particolare per quanto semplice, imposto da chi lo aveva venduto: solo il proprietario o chi da esso delegato, poteva leggere quanto scritto; chiunque altro l’avesse aperto, avrebbe scorto solo pagine bianche. Legò per bene la fibbia che teneva sigillati i suoi segreti, quindi, prima di riporre il libretto nella bisaccia assieme alla penna e appoggiare il capo di lato alla balaustra. La brezza notturna gli sfiorava il volto piacevolmente, non in maniera esagerata come sarebbe stato se si fosse trovato completamente allo scoperto. Così era davvero una bella sensazione, unita all’ondeggiare placido della nave e ai suoi scricchiolii che l’animavano quasi fosse stata viva.
Sbadigliò. La fioca luce emessa dalla lanterna era diventata quasi fastidiosa, tanto che il Rosso chiuse gli occhi. A quel punto ci volle davvero poco perché la stanchezza accumulata prendesse il sopravvento. Gli scalini in legno duro non erano comodissimi come avrebbe potuto esserlo un giaciglio nella stiva, ma per chi aveva quel sonno arretrato anche un letto di spiedi sarebbe andato bene. Morfeo lo accolse presto, proprio lì vicino al castello di prua, con la lanterna che illuminava la sua sagoma rannicchiata vicino alla balaustra e il suo viso rilassato come non era da diversi giorni.

 
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view post Posted on 7/9/2018, 23:02     +1   -1
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Farsi cullare dalla brezza marina era piacevole, specie se come unica alternativa vi era il subire passivamente il lezzo mortuario delle salme custodite sotto coperta; soffiava placida, carezzandogli il volto segnato dalla stanchezza, passando dall'essere una semplice frescura sulla pelle a gelido abbraccio della notte. Ma non ci fece caso. Troppo stanco anche solo per rannicchiarsi vicino al lume fioco che si era portato dietro, unica fonte di calore insieme ai vestiti che aveva indosso. E come i pensieri erano fluiti nella carta attraverso lo scorrere rapido della piuma intrisa d'inchiostro, ecco che la coscienza del rosso pareva perdersi in un oceano. Il movimento ondulatorio della nave scomparve col fluttuare della percezione, così come la solidità delle assi di legno sotto il fianco.



Un lento sprofondare. Cadeva, come una stella cometa la cui rovina pareva attutita dal vello scuro della notte. Accompagnato da una sensazione di gelo sin dentro le ossa, le palpebre si sarebbero schiuse per affacciarsi a quel mondo di nulla; presto si sarebbe accorto di non respirare, o quanto meno di non avvertire l'assoluta mancanza della sensazione dell'aria nei polmoni in quello spazio relegato fra sogno e realità. Sembrava proprio immerso in un oceano di ossidiana, tanto simile a quello baciato dall'oro emanato dall'astro di Ōmikami ma profondamente diverso. Non c'era luce li, non c'era speranza. Ogni cosa perdeva di significato e concretezza.
Ad attenderlo una piattaforma, base solida su cui poggiare; un'ampia lastra circolare di puro ghiaccio, scivolosa ma non troppo, piuttosto irregolare, traslucida e ricca d'imperfezioni. C'erano tanti colori che s'affacciavano nelle sfumature di quel caleidoscopio, leggermente sciolto nella sua superficie. Sfumature di bianco, rosso, aranciato e nero, come se una luce riuscisse dall'interno a passare sino all'esterno. Poi una voce.



« Occasioni.
Rinunce.
Sacrifici. »



Familiare eppure irriconoscibile, eco distante che sbatteva contro gli angoli più oscuri della sua mente. Era propria e non lo era al contempo.



« Una misera esistenza costellata di scelte, alcune facili, altre difficili, che ogni giorno mettono a dura prova la coscienza. »



Tre effimere danzarono nel cielo, spiraleggiando verso il basso, circondandolo. Rimbalzarono sul ghiaccio semi sciolto come fatte di gomma e rimasero a fluttuare, mentre dentro ognuna di esse andava materializzandosi qualcosa che il giovane sognatore avrebbe pian piano messo a fuoco, rendendo tutto visivamente tangibile.



« Bisogna avere coraggio, determinazione. A ogni scelta la sua conseguenza. »



Ed ecco che tutto parve più chiaro. Alla bolla alla sua sinistra apparve un kiseru, fumante, graziosamente intarsiato ma non pacchiano, e dei pastelli colorati, anch'essi un po' sciolti, dei più svariati colori; in quella davanti ai suoi occhi venne materializzato un'arco robusto e tre frecce di ghiaccio, letali e al contempo fragili; in quella alla sua destra un erhu di moderata fattura, ben curato, con le corde ben tese e l'arco poggiato verso il basso, accompagnato da una maschera di porcellana, anonima come quella degli ANBU. Tre iridescenti, ognuna comprendente un mondo a sé stante.



« Scegli. »



Perentoria, senza alcuna spiegazione. Aveva una scelta da operare, eppure non vi era nessun tipo d'indirizzo da parte dell'aguzzino che l'aveva posto di fronte a tale scelta. Su che base decidere? Tutto era nelle mani del sognatore.

 
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view post Posted on 9/9/2018, 15:47     +1   -1
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Dire che Yu fosse sprofondato in un sonno profondo, quella volta non sarebbe stato un mero eufemismo. Stava letteralmente affondando, lentamente, come cullato dal velo del sogno, dalla sua presa onirica e dalle sue carezze piacevoli sulla pelle…così in contrasto col gelo che stava penetrando nel suo corpo, tanto pungente e fastidioso quanto gradevole era, invece, quella placida discesa. Quelle sensazioni lo fecero rabbrividire in due momenti diversi, scatenando reazioni differenti. Se nel tocco tiepido dell’atmosfera che lo stava avvolgendo come una coltre, si sarebbe volentieri crogiolato come un gatto vicino al caminetto, quel freddo che penetrava sin nelle ossa ebbe la capacità di distoglierlo persino da quella piacevole coccola, disturbandolo, facendogli aprire gli occhi su un mondo che il Rosso non riuscì a riconoscere. Ma non c’era paura, non c’era timore. Avviluppato nella bizzarra sicurezza e coscienza che caratterizza i sogni, Yu non si fece domande, non si diede risposte né tantomeno si fece problemi nel sentirsi affondare in quel nero assoluto, spettatore vivente di quella strana fisica che lo stava trascinando giù, sempre più a fondo in quello che aveva tutta l’aria d’essere un oceano d’ossidiana. Del tutto simile a quello che aveva già visto nel mondo illuminato dall’alba di Amaterasu, seppure mancante di quelle striature d’oro e d’argento che luccicavano al sole della dea. Lì non c’era alcun bagliore. Solo tetra oscurità…ed era tangibile, materiale come se lo toccasse, come se fosse liquida e penetrasse ovunque attorno e dentro di lui, ma nonostante questo non tagliava l’aria. O almeno, lui non ne aveva bisogno.
Ci volle un po’ prima che se ne accorgesse, con una certa curiosità. Non stava respirando. Eppure non sentiva mancare l’ossigeno al proprio corpo, non avvertiva quella presa atroce alla gola e al petto di quando si inizia a soffocare. Era come se fosse diventato una creatura simile a Shizuka che respirava attraverso la pelle. Faceva un effetto strano non sentire i polmoni gonfiarsi e sgonfiarsi ad ogni respiro, percepiva che mancava qualcosa, eppure non c’erano conseguenze. Si chiese se fosse così che si era sentita la ragazza dopo le modifiche genetiche fatte da suo padre e quanto ci avesse messo ad abituarsi alla propria nuova condizione. Tempo di pochi secondi, o forse diversi, chi lo sa…lo scorrere era davvero strano nei sogni. Perché quello era un sogno di sicuro. Lui era sulla nave fino a qualche momento prima, aveva parlato con Kai, scritto sul diario e poi…e poi probabilmente si era addormentato come un cretino, questo era evidente. Altrimenti non avrebbe saputo spiegarsi tutte quelle stranezze. Nemmeno il luogo più oscuro di questo mondo, avrebbe potuto essere così privo di luce come quell’oceano nero come pece. Neanche una stanza chiusa con i lumi spenti, già. Stava giusto iniziando a chiedersi per quanto ancora avrebbe continuato ad affondare, che ecco come richiamato dalla sua mente, che apparve qualcosa sotto di lui. Una piattaforma circolare dal colore biancastro, inframmezzato da sfumature colorate come se sotto di essa ci fosse una luce che arrivava sino all’esterno mettendo in chiaro quell’unico appoggio nell’oscurità dilagante. Era davvero bella. Questo si ritrovò a pensare Yu, mentre vi ci avvicinava sempre di più. Sembrava un mosaico di vetri colorati, un caleidoscopio con tinte che andavano dal bianco, al rosso, all’arancione, al nero.
In un atterraggio morbido, quasi accompagnato dalla strana sostanza impalpabile, ma tangibile che lo aveva avvolto sin lì, il Rosso fece una lenta mezza capriola all’indietro portandosi in posizione eretta, fino ad mettere piede delicatamente su quella che ora riconosceva come una piattaforma di ghiaccio. Irregolare, frastagliata, leggermente sciolta quasi per creare maggiori sfumature, ma era senza alcun dubbio una lastra di ghiaccio sospesa in mezzo al nulla.

Si era accucciato solo per esserne sicuro, per toccare con mano quella superficie fredda e bagnaticcia, quando all’improvviso una voce lo fece scattare in piedi, sull’attenti. Proveniva da ovunque e da nessuna parte, e riverberava nella sua mente come appartenesse a lui, ma fosse ugualmente estranea. L’aveva già sentita eppure non riusciva a ricordare dove. Una sensazione fastidiosa, come quando aveva una parola sulla punta della lingua e passava la giornata a cercare di ricordarla! Il tono profondo, continuò il suo strano monologo, riverberando in ogni dove, dentro di lui compreso, in maniera del tutto simile a quando avvertiva un’esplosione nella pancia perché troppo vicino ad una carta bomba che aveva detonato. Ma Yu non riusciva proprio ad individuarlo, nemmeno contando sul proprio naso. Gli occhi del Rosso scattavano di qua e di là, sondando ovunque quel velo di tenebra senza però scorgere alcunchè, finchè, ecco, dal nulla più assoluto, apparire tre bolle. Scesero spiraleggiando dall’alto sopra di lui, rimbalzandogli attorno come dei palloni prima di rimanere a fluttuare a mezzaria. Erano grossissime! Yu non aveva mai fatto bolle così in vita sua - anche se gli sarebbe piaciuto, ma avrebbe sprecato troppo prezioso sapone - e quelle erano davvero davvero cicciose. Avevano il diametro delle braccia congiunte del Rosso e dentro avevano iniziato ad apparire delle cose. Quasi fossero le effimere speciali di Naminè che potevano contenere qualsiasi oggetto.


Ma cosa…?

Attirato da quella strana manifestazione, Yu si avvicinò ad una di esse, osservando come quel qualcosa stesse lentamente prendendo forma, divenendo piano piano più chiaro e assumendo definitivamente un aspetto tangibile alle parole che quella voce tonante aveva pronunciato. Continuava a parlare di scelte, di come la vita fosse costituita da esse e di come si dovesse avere il coraggio di prenderle. Ma l’attenzione del Rosso era per le tre bolle. In quella che stava osservando, vide chiaramente prendere forma dei pastelli a cera e un kiseru…che gli fece sbarrare gli occhi e fare un passo indietro. Lo conosceva benissimo quell’affare! Lo aveva visto così tante volte nelle mani di sua madre, mentre se ne stava lì, appoggiata alla ringhiera del terrazzo della loro vecchia casa, guardando il cielo o le volute di fumo che si alzavano dalla lunga pipa. E quello era proprio il suo, non c’erano dubbi: in legno rossiccio, con boccaglio e fornello argentati, finemente intarsiati con dei decori a forma di piuma. Quello in quella bolla era acceso, come acceso era quello nei ricordi di Yu… Anche se l’odore del fumo non arrivava alle sue narici e se ne restava confinato in quell’effimera, rendendo brumoso tutto l’interno, i ricordi non risparmiarono di certo la mente del Rosso. Impietosi si riversarono fuori dalle pieghe del tappeto dove li aveva relegati come briciole nascoste, bruciando come appena vissuti, risvegliando a catena cose che il Chunin avrebbe preferito non ricordare, non affrontare e cancellare per sempre. Anche il resto del contenuto di quella bolla non era esente dal tormentarlo…pastelli a cera. Simili a quelli che Shi aveva usato per fare quel procione stilizzato e scarabocchiato nell’aria - sì, nell’aria - all’inizio di quella prima missione che aveva portato il trio formato dai due ragazzi e Urako ad avere a che fare con quei pirati da strapazzo. Una missione che il Rosso riteneva un fallimento personale e dalla quale erano usciti grazie alla lingua del ragazzone e il portafogli della sua famiglia. L’unica cosa buona in quell’incarico era stato sterminare quei dannati uccellacci che avevano infestato il porto di Kiri. Infastidito, allora, passò alla seconda bolla. Questa presentava al suo interno un arco nero, robusto per quanto semplice e tre frecce di ghiaccio. L’arma era senza alcun dubbio quella di Shizuka: vedeva ogni giorno, o quasi, quell’arco, non avrebbe potuto sbagliare…le frecce…boh. Erano talmente prive di particolarità che avrebbero potuto appartenere a un qualsiasi Yuki. Kai, Fuyu-san…o magari nessuno di loro, impossibile dirlo. La terza e ultima effimera era forse quella più enigmatica: al suo interno vi erano uno strumento a corda con tanto di archetto e una maschera ANBU bianca, senza alcun dettaglio o decoro. Aveva visto uno strumento come quello a casa di Takumi, si chiamava erhu, ma la maschera...era così piatta e impersonale che darle una collocazione era impossibile. Ora che ci pensava, non aveva idea nemmeno di come fosse fatta quella di Fuyu: gliel’aveva vista indosso solo al termine di quella missione ad Hatoma, di sfuggita, tanto che non ricordava nemmeno cosa rappresentasse.
Si crucciò, facendo un passo indietro, non capendo cosa gli venisse presentato dinnanzi, proprio nello stesso istante in cui quella voce profonda tuonò un “Segli” perentorio e senza alcuna spiegazione di sorta. Cosa avrebbe dovuto scegliere? Una di quelle bolle? Ma se neanche sapeva cosa significassero e cosa avrebbe provocato preferire l’una piuttosto che l’altra! Era sicuro solamente di due oggetti apparsi, tutti gli altri erano vaghi e generici. Tanto più che scegliere così, a scatola chiusa, senza un minimo di chiarimento, sarebbe stato davvero idiota, anche se quello era un sogno. Senza contare l’ambiguità della Voce che lo teneva in scacco. Non si presentava, non si palesava, si metteva a cianciare di cose che capiva solo lui e aveva anche l’audacia di imporgli una scelta senza capo né coda? Beh, se pensava che avrebbe obbedito subito, come un cagnolino con la coda tra le gambe, si sbagliava di grosso.


Chi sei?! Tuonò allora la voce del Chunin, rivolto verso il cielo oscuro di quel luogo. Perché dovrei fidarmi di un codardo che non ha nemmeno il coraggio di farsi vedere e si nasconde nelle tenebre? Ci furono alcuni lunghi attimi di silenzio lacerante, prima che la Voce giungesse da ogni dove per rispondere alle domande del Rosso.

« Io sono te e tu sei me. » Disse, per dare sazio al primo quesito di Yu che, di contro, fece una smorfia poco soddisfatta e per nulla convinta, schioccando la lingua stizzito. Ma al suo fare, seguì uno sbuffo della Voce stessa - difficile dire se fosse una specie di risata o un tic annoiato - che si apprestò a rispondere alla sua seconda domanda. « Perché non hai altra scelta. Scegli. Altrimenti rimarrai in questo limbo, per sempre. »

Quelle ultime parole uscirono quasi ringhiate, vibrando tutto attorno a Yu e dentro di lui, mentre osservava il contenuto delle bolle, avvicinandosi ora all’una, ora all’altra, per cercare di cogliere qualche dettaglio in più, qualche sfumatura che gli era sfuggita alla prima analisi, prendendo tempo con quello che sembrava l’aguzzino del suo incubo. Perché di quello si trattava, no? Lui era sulla nave in rientro a Kiri, non poteva essere diversamente. Quindi sul momento non si fece spaventare dalle minacce della Voce. L’idea di restare in quel limbo per sempre era astrusa come pensare che il fuoco ghiacciasse. Forte delle sue convinzioni, il giovane non si lasciò condizionare, avvicinandosi alla bolla col Kiseru osservandolo con gli occhi assottigliati, quasi afflitti o arrabbiati, prima di rivolgersi ancora alla Voce, alzando brevemente lo sguardo, mentre cambiava effimera.

Eccone un altro negativo come il culo di una pila… Borbottò tra sé, commentando il fatalismo con cui il suo interlocutore aveva parlato, prima di alzare la voce. Non vedo cosa ci sia di così definitivo. Questo è un sogno e io sto su una nave piena di Shinobi: vuoi che qualcuno non riesca a svegliarmi? Ho il sonno pesante, ma non così tanto.

A quel punto fece appena in tempo a sentire la Voce ghignare un « Credi davvero di star sognando? » prima che un dolore atroce lo prendesse al petto, facendolo cadere in ginocchio in un lamento sofferente, trattenuto solamente dai denti stretti. La botta secca con la superficie di ghiaccio fu nulla in confronto a ciò che sentiva dentro di lui, era come se qualcuno gli stesse stritolando i polmoni, o come se improvvisamente l’aria che non respirava si fosse materializzata di botto, sotto forma di una pietra piena di spini che gli si conficcavano negli organi. Portò la mano destra al torace, stringendo la maglietta come se questo aiutasse a far smettere quella tortura. Faceva male, faceva dannatamente male e la consapevolezza che quelle fitte di fuoco fossero tremendamente reali, iniziò a prendere corpo nella sua mente come l’immane fastidio di sentirsi in trappola come un topo. Strinse forte gli occhi, sbattendo il pugno libero a terra, facendosi male, ma non abbastanza da distogliere l’attenzione dal dolore al petto. Cosa cazzo stava succedendo? Lui era sicuro di essersi addormentato, sicuro al cento per mille! Ma allora perché quel sogno era così reale? Perché gli sembrava di essere tornato all’interno di quella statua infernale? Perché ancora una volta era costretto a scegliere senza avere un minimo appiglio con cui fare appello alla ragione?

Stronzo.

Decretò non appena riuscì nuovamente a parlare, la voce graffiata e strozzata che non riusciva a nascondere la rabbia scaturita da quella situazione apparentemente senza via d’uscita. Doveva scegliere diceva. Sennò non sarebbe uscito. Ebbene a quel punto, se quella Voce la metteva su quel piano, non avrebbe avuto difficoltà a scegliere. Sebbene la quasi totale incertezza della terza bolla lo attirasse come un’ape col miele, accendendo la sua innata curiosità…l’istinto da Shinobi ebbe la meglio. Sopravvivere. Non farsi schiacciare. Accettare la guerra dichiarata che il suo aguzzino aveva aperto e ricambiarla con altrettanta enfasi. Non si sarebbe fatto imprigionare di nuovo contro la sua volontà, non si sarebbe fatto uccidere. Scartata con disgusto la bolla con il kiseru di sua madre, Yu si avvicinò agguerrito più che mai a quella con l’arco di Shizuka e frecce di ghiaccio, osservando gli oggetti ancora una volta prima di alzare il capo vero l’infinito buio e parlare di nuovo, mentre il dolore iniziava a scemare.

Vuoi giocare? Ringhiò. Bene, non mi tirerò di certo indietro! Non sapeva cosa sarebbe successo, non sapeva cosa stesse realmente facendo, non sapeva quali sarebbero state le conseguenze del suo gesto. Ma in quel momento non poteva davvero fare altro. Se stare al gioco di quel tipo era l’unico modo per uscire, allora l’avrebbe fatto. Non si fidava, era ovvio, ma stare fermo e non fare nulla non l’avrebbe portato da nessuna parte. D’altronde lo aveva capito: se non avesse fatto la sua scelta, il proprietario di quella voce lo avrebbe ucciso come un cane. Scelgo questa.

Hai trovato pane per i tuoi denti, bello…Chiunque tu sia.


Botta e risposta di Yu con “la Voce” concordato col Master.
 
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Non era semplice sottostare alle regole di un gioco sconosciuto, specie se l'unico a conoscere effettivamente ogni sfumatura dello stesso era un misterioso avversario. Il lezzo di una concreta fregatura era dietro l'angolo, eppure il rosso non aveva avuto molta scelta; quella enigmatica voce tutt'attorno al suo essere non glie ne aveva data alcuna, e anzi aveva sadicamente giocato con lui, riso di lui e della sua umana fragilità. Non poteva fare altrimenti: doveva accettare e proseguire, operando una decisione d'istinto. E quest'ultimo, senza né troppi se e né troppi ma, l'aveva portato ad allungare la mano verso la strana bolla contenete l'arco di Shizuka - amica, alleata, sorella - e le frecce di ghiaccio. Fu agguerrito, determinato a non tirarsi indietro, ad accettare quella sfida e combattere sino all'ultimo fiato pur di non dargliela vinta tanto facilmente. Sorrise compiaciuto quell'altro, nell'ombra. Peccato che il suo giovane sfidante non avesse la più pallida idea di dover fare l'ennesima scelta, questa volta più pesante della prima, più pericolosa.



« L'arma di una cara amica,
il calore di una sicurezza,
frecce in grado di penetrare i cuori più aridi.

E' questa la tua scelta? »



Proruppe la voce chiedendo ulteriore conferma per quella scelta che pareva essere definitiva, ancor prima che la mano guantata del rosso potesse raggiungere la bolla. Altrimenti sarebbe stato troppo tardi tornare sui propri passi. Ma detta decisione era stata presa con caparbietà, coraggio e fermezza, e le parole non poterono che confermare la giustezza di quell'istinto che l'aveva attratto li. Le dita sfiorarono l'iridescente e questa esplose dolcemente, rilasciando un contenuto luminoso che lesto turbinò nell'aria per poi infrangersi contro il petto di colui che aveva selezionato. Un fastidio quello che provò, preambolo di un calore familiare che parve dargli una sicurezza in più in un mondo fatto di dubbi e oscurità. Ma non era ancora finita, e ben presto il suo oscuro avversario prese nuovamente parola.



« Hai agguantato la tua occasione, e con essa le sue conseguenze. Ma fare una scelta significa anche doverne rinunciare ad un'altra. Niente è come sembra, all'ombra delle tenebre. »



Cosa diamine significassero le ultime parole non poteva che essere un mistero per l'ignaro sognatore, ma era piuttosto chiaro dove volesse andare a parare il suo aguzzino. Due effimere erano ancora a mezz'aria, galleggianti. Una di esse doveva essere sacrificata, e l'altra solo i posteri avrebbero potuto decretarne l'esito ultimo. Non una scelta facile, nemmeno per chi come lui aveva pochi elementi a disposizione per poter 'ponderare' con cognizione di causa. Aveva proprio ragione ad avergli dato dello stronzo: quella era la scelta più rischiosa e bastarda di sempre.



« A cosa rinuncerai? »



Concluse, incalzando ancora il suo giovane interlocutore a prendere in mano la situazione, a decidere di che morte morire senza possibilità di previsione alcuna. Era davvero divertente vederlo tanto spavaldo all'apparenza, pronto a sottostare alle sue richieste, determinato nell'afferrare la bolla contenente l'arco e le frecce di ghiaccio, ma saperlo tanto confuso dentro. Non dimentichiamoci che lui era la voce e la voce era lui. Poteva leggergli dentro con una facilità disarmante, fare propri i suoi istinti e comprenderli alla perfezione. E sapeva che la scelta fatta, seppur non giustificata dall'intelletto, lo era stata dal suo cuore. Avrebbe fatto la stessa cosa, adesso?



Edited by ¬BloodyRose. - 13/9/2018, 19:07
 
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Sbagliava a pensare che si tirasse indietro solamente perché doveva sottostare a regole che non conosceva. Forse quella Voce non lo conosceva abbastanza bene da sapere che quello non era per nulla un ostacolo per Yu, anzi…era quasi uno stimolo. Sfidarlo a quella maniera, non faceva altro che aumentare la sua voglia di vincere, anche non sapendo a che gioco stesse giocando, anche non sapendo quali fossero le strategie di quella stramba provocazione, anche non sapendo a menadito il regolamento da seguire. In fin dei conti non c’era altra scelta se non andare avanti ed uscirne, con le unghie e con i denti, senza dare soddisfazione al suo avversario di vederlo spaesato e confuso come in realtà un po’ si sentiva. Non capiva davvero cosa stesse accadendo. E più ci pensava, meno riusciva a decifrare. Un sogno che non era un sogno, in cui uno sfidante misterioso aveva messo in piedi una scacchiera i cui pezzi e le cui caselle erano parzialmente nascosti - se non completamente - agli occhi del Rosso, che era comunque obbligato a giocare se voleva avere una minima speranza di uscire da quel…come lo aveva chiamato lui? Ah, sì! Limbo. Trovarsi con le mani legate per la seconda volta nel giro di così poco tempo - tanto che ancora non aveva digerito del tutto la prima esperienza - non era per nulla facile. Anzi, era particolarmente fastidioso. Tuttavia non era lasciandosi sopraffare dalla paura, dall’angoscia e dall’ira di quella prima brutta avventura che Yu ne sarebbe uscito. Ne era pienamente cosciente. Doveva sottostare alle regole che il suo aguzzino aveva preparato, se non voleva essere ucciso come un cane, ma questo non significava che non potesse metterci del suo, per quanto minimo. E se anche questo poco avesse dovuto essere solamente istinto, determinazione e cocciutaggine piuttosto che un qualche particolare acume, beh andava bene ugualmente, perché era sempre parte di lui. Finchè non si fosse lasciato annullare, finchè non si fosse perso, sarebbe andato tutto per il meglio. Era chiaro che ci fosse qualche fregatura da qualche parte, ma se anche non la vedeva, l’importante era esserne cosciente ed essere pronto ad affrontarla, qualsiasi essa fosse. Non che si trattasse di una cosa semplice di fronte all’assurdo, ma, ehi, ci si provava lo stesso. D’altronde, darla vinta all’avversario senza nemmeno tentare di fare qualcosa, beh, quella sì che si chiamava sconfitta! Ma finchè si fosse operato per opporre anche una minima resistenza, senza darla vinta a quella Voce con così tanta facilità, accettando quelle regole sconosciute solo perché non c’era alcun vantaggio nello starsene con le mani in mano, non avrebbe mai perso. Mai. E se davvero quel qualcuno condivideva la sua individualità con lui, probabilmente sapeva bene anche questo.
Fu con questo spirito che Yu affrontò la scelta definitiva che gli venne posta. Non appena si avvicinò alla bolla che aveva scelto, la Voce proruppe profonda e risolutiva, in qualche modo descrivendo, con sommo stupore del Rosso, ciò che rappresentava l’effimera di fronte a lui. Parole che non fecero altro che confermare ulteriormente nel suo animo, ciò che l’istinto aveva valutato per lui con la rapidità che solo un impulso animale avrebbe potuto avere. Irrazionale, spontaneo, inconscio…eppure non per questo sbagliato. Non c’erano errori in quella stima rapida che la sopravvivenza aveva dettato, raccogliendo forse stimoli più velocemente di come avrebbe potuto fare l’intelletto stesso. Lo stesso intelletto che ora si vedeva chiamato in causa, nel confermare qualcosa che non aveva scelto di propria mano, ma che condivideva, non potendo fare appello a nulla che non fossero le giustificazioni irrazionali che avevano portato a quella scelta.


Puoi dire quello che ti pare, la mia scelta non cambia. E’ definitiva.

Fece per agguantare la bolla, ma non appena i polpastrelli sfiorarono la superficie, questa si dissolse, portando con sé ciò che in essa era contenuto e rilasciando una luce evanescente che turbinò nell’aria, prima di infrangersi sul petto di Yu. Attimi rapidissimi, pregni di meraviglia da parte del Rosso, così come di inquietudine nel vedersi piombare addosso quel qualcosa la cui natura gli era sconosciuta, senza fare nemmeno a tempo a scansarsi o difendersi. Il contenuto luminoso gli fu addosso prima che potesse anche solo formulare una frase nella testa, e, non appena lo toccò, Yu provò una strana sensazione di fastidio, seguita però da una carezza piacevole. Un calore familiare, nostalgico, una coltre di sicurezza che cancellò la paura provata nel ricevere quella strana cosa. Si dipanò nel suo petto, come il tepore del fuoco stando accanto al caminetto, cacciando l’inquietudine e sostituendola con quel gradevole piacere conosciuto, calmandolo, regalandogli un qualcosa per contrastare quel mondo fatto di insicurezze, oscurità e dubbi.
Si portò una mano al petto, istintivamente, stupito e in qualche modo meno mal disposto di prima. Quella scelta fatta con l’impulso di un animale ferito, era riuscita a dargli un pelo di fiducia e sicurezza in più, sentimenti che vennero messi immediatamente alla prova dal nuovo intervento della Voce che preannunciò l’imminente arrivo di una nuova selezione tra le bolle rimanenti, questa volta circa quella a cui avrebbe voluto rinunciare, concludendo in modo enigmatico il discorso, prima di incalzare il Chunin perché si muovesse a decidere.
Ma ‘sta volta, il ragazzo aveva qualche elemento in più. La Voce si era lasciata dietro di sé alcune tracce non indifferenti, che Yu non si era lasciato sfuggire. Volute o meno, quelle parole e ciò che era contenuto nelle iridescenti erano gli unici appigli che il ragazzo aveva per imbastire un minimo di ragionamento. E questa volta era davvero necessario, perché la scelta non era semplice. Si trattava di rinunciare a qualcosa tra il kiseru di sua madre coi pastelli e quell’erhu con la maschera indefinita. Apparentemente una scelta facile, ma…il primo intervento della Voce iniziò a vorticargli in testa con insistenza.


Occasioni, rinunce, sacrifici. Così aveva detto, no? Quindi se scegliessi una di queste bolle come rinuncia, l’altra automaticamente sarebbe il sacrificio, mi pare evidente.
Il problema è come vengono intese da questo tizio, parole apparentemente tanto simili.


Escludendo le occasioni, di cui Yu si era appropriato scegliendo l’arco di Shizuka e le frecce, in effetti rinunce e sacrifici avevano un risultato molto simile, guardandole a questa maniera. Era sempre qualcosa che non sarebbe arrivato nelle sue mani, l’unica differenza era il modo. Le rinunce, davano l’idea di un qualcosa di l’asciato da parte, mentre i sacrifici…beh, serviva davvero una spiegazione? Insomma se avesse dovuto basarsi unicamente sulle eccezioni classiche di tali parole, le sue scelte sarebbero state due: rinunciare al kiseru di sua madre e ai pastelli che gli ricordavano Shi, per sacrificare un erhu e una maschera che per quanto lo incuriosissero non gli dicevano nulla di che; oppure rinunciare allo strumento e alla copertura facciale, per sacrificare la lunga pipa e i colori. Se non ci fossero stati questi ultimi, ai suoi occhi non si sarebbe stata molta differenza tra lo scegliere l’una o l’altra bolla, basandosi su quanto poteva dedurre analizzando le parole per ciò che sembravano. Non gli avrebbe fatto differenza. Da questo punto di vista, i pastelli erano la discriminante di scelta, secondo quei criteri. Ma Yu non era uno sprovveduto. Annusava puzza di fregatura da un miglio e quel “niente è come sembra, all’ombra delle tenebre” non aveva fatto altro che accentuare quella sua sensazione. Tanto più che sarebbe stato uno sciocco a non prestare attenzione alle descrizioni delle singole bolle, ora che sapeva di poterle sentire. Decise quindi di prendersi un po’ di tempo, quanto meno finchè il suo interlocutore non avesse iniziato a innervosirsi come poco prima. Si avvicinò quindi alla prima bolla, quella col kiseru, senza toccarla, ma dando l’idea di voler scegliere quella, proprio come aveva fatto poco prima.

« Pastelli per disegnare,
ricordo d'una infanzia dal Cielo plumbeo;
speranza sbiadita nel tempo.

E' questo ciò a cui rinunci? »


La voce tuonò, imperiosa, dando gli estremi di cosa quella bolla contenesse, prima di porre la domanda fatidica a cui Yu non rispose. Non aveva detto nulla in più e nulla in meno di quanto non sapesse già. Frasi enigmatiche, ma il loro senso era abbastanza chiaro agli orecchi del Rosso, quanto meno per come interpretava lui la cosa. Fece una smorfia, prima di fare un passo indietro e presentarsi d’innanzi all’altra bolla disponibile, con le medesime finte intenzioni dimostrate per la precedente. L’erhu e la maschera di fronte a lui, così ignoti e poco chiari ai suoi occhi, mentre la voce del suo interlocutore squarciò nuovamente l’oscurità, rimbombando ovunque, dentro e fuori il giovane Shinobi.

« Corde vibranti di una musica sconosciuta,
strumento armonico dal suono agrodolce,
anonima preservazione dell'io.

E' questo ciò a cui rinunci? »


E quelle parole furono altrettanto ignote, enigmatiche. Non dissero nulla in grado di accendere qualche lampadina nella mente del Rosso. Per come le recepì lui, non fecero altro che descrivere l’ovvio, l’apparenza di ciò che lui stesso vedeva. Uno strumento a corda dal suono gradevole, a volte aspro a volte dolce, e una maschera anonima utile a nascondere il proprio viso. In qualche modo era curioso come le descrizioni della Voce, ricalcassero il suo modo di vedere il contenuto delle bolle…forse non era un caso, o forse sì. Difficile dirlo, fatto stava che ascoltare le spiegazioni del suo aguzzino, non fu di alcun aiuto a Yu, che si tirò indietro nuovamente di qualche passo, ritrovandosi al punto di partenza.
Dal suo punto di vista era chiaro: se avesse valutato quella scelta sulla base del significato letterale delle parole enunciate gravemente dalla Voce al suo arrivo in quel luogo strano, la scelta sarebbe ricaduta sulla bolla col kiseru. Avrebbe rinunciato a quella e sacrificato quella che non gli diceva più di tanto. Per quanto questa l’incuriosisse, nell’altra c’erano quei pastelli che…proprio non gli andava di rischiare.
Ma se avesse ragionato e scelto in base all’idea che ci fosse un trucco sotto? Come sarebbe andata? Se la scelta non fosse stata davvero una scelta, e se sacrificio e rinuncia non avessero avuto significati così simili come pensava? Ricordava di un gioco…un gioco di carte. Non gli veniva in mente quale, ma era certo ci fosse una regola che permetteva a uno dei giocatori di prendere le carte ad un altro, sceglierne alcune per sé, sceglierne altre da gettare nello scarto e ridare le rimanenti all’avversario. Se fosse stato qualcosa del genere? Le carte scelte avrebbero potuto essere accomunate alle occasioni, quelle gettate ai sacrifici e quelle restituite…


…Quelle restituite sarebbero le rinunce.
Se fosse così, se fosse una cosa del genere, cosa sarebbe più saggio fare?


Se la rinuncia di cui parlava la Voce non fosse una vera rinuncia, ma qualcosa che gli veniva restituito, causando di conseguenza il sacrificio, lo scarto definitivo della bolla rimanente, allora quale sarebbe stata la scelta più sensata? Dare in mano al suo avversario qualcosa di cui Yu era curioso, ma che non conosceva, o qualcosa che conosceva, ma che detestava?
Strinse i denti, incrociando le braccia al petto. Se avesse potuto respirare, sicuramente avrebbe sbuffato scocciato, perché la risposta a quella domanda lui la conosceva benone. Non gli piaceva per nulla, ma la conosceva…e coincideva con quella dell’ipotesi precedente. Se avesse dovuto scegliere cosa restituire in mano al suo avversario, quali carte dargli, era chiaro che non sarebbero dovuto essere cose a lui ignote: meglio sapere quali carte avrebbe potuto subire sulla sua stessa pelle, se voleva prepararsi per tempo. Di conseguenza, anche in questa visione, la scelta sarebbe ricaduta sul kiseru e i pastelli.
Un’opzione antipatica, che in realtà disprezzava, ma non poteva non ammettere che fosse quella più sensata tra le due. Quindi, ricapitolando, se avesse preso in considerazione le parole per il loro significato letterale, avrebbe scelto la pipa e i colori per non sacrificare qualcosa che poteva avere a che fare con un suo caro amico; se invece avesse pensato alla scelta come a un trucco, similmente a quel gioco di carte di cui non ricordava il nome, avrebbe scelto sempre il kiseru, per gettare via l’ignoto e non dare modo al suo avversario di avere un vantaggio simile su di lui.
Che ironica la vita, eh? Era talmente convinto che non avrebbe mai e poi mai posto gli occhi su quel dannato oggetto fumante, e invece i suoi stessi ragionamenti lo avevano portato a quella decisione. Solo i Kami sapevano che fatica stesse facendo per autoconvincersi che quella fosse la strada più corretta e che, quindi, non ci fosse alcun motivo valido - tranne il suo personale rigetto per ciò che quel kiseru rappresentava - per puntare lo sguardo sull’altra bolla. In fin dei conti non conosceva le regole di quel gioco, non aveva idea se le sue deduzioni e le sue intuizioni fossero corrette o meno…magari era anche quello un inganno della Voce: un trucco nel trucco per farlo arrivare alla scelta sbagliata. Ma onestamente non aveva gli estremi per capirlo. Quindi per quanto fosse una situazione antipatica, per quanto quella scelta lo disgustasse, per quanto il terreno sotto i suoi piedi scricchiolasse pericolosamente ad ogni passo che compiva verso l’iridescente prescelta, nulla confermava o confutava ciò che aveva pensato. Nessuna certezza. Solo i suoi pensieri, solo le sue idee, solo quelle misere briciole sparse qui e là che il suo interlocutore si era lasciato - volutamente o meno - sfuggire a terra. E più ci rimuginava, peggio era, quindi smise di farlo. Non ce n’era motivo, in fin dei conti. Doveva avere coraggio, giusto? Doveva fidarsi delle proprie percezioni. E di nuovo la Voce tuonò, ripetendo parole già pronunciate, frasi già dette…sebbene con un tono lievemente scocciato dal doverlo fare per l’ennesima volta.


« Pastelli per disegnare,
ricordo d'una infanzia dal Cielo plumbeo;
speranza sbiadita nel tempo.

E' questo ciò a cui rinunci? »


Di fronte a quell’effimera fumosa, le braccia sciolte, Yu se lo chiese a sua volta: era quello a cui voleva rinunciare? Era la sua decisione definitiva? Osservò di sbieco l’altra bolla, gli occhi chiari che sondavano nuovamente quel contenuto ignoto che forse stava scartando, che forse stava sacrificando. Pochi attimi, prima di tornare ad osservare quella che doveva essere la propria scelta. Il fumo che usciva dal fornello del kiseru, aveva riempito la sfera iridescente, rendendo quasi opachi i bei colori dei pastelli a cera consumati. Come la speranza di quel bambino che non era mai potuto essere, quell’infanzia mai vissuta veramente.
Guardò negli occhi la sua paura, riflessa su quella superfice iridata, la sfidò, con la logica e con il cuore che lo avevano portato a prendere quella decisione, prima di alzare lo sguardo verso il nero profondo di quel bizzarro limbo, fiero e risoluto, per quanto tormentato, dando quella risposta che colui che si fregiava d’essere lui stesso gli aveva richiesto.


Sì. E’ questo ciò a cui rinuncio.


Descrizioni della “Voce” gentilmente offerte dal Master.
 
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view post Posted on 20/9/2018, 18:08     +1   -1
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A differenza della voce che stava placidamente tormentando i suoi pensieri in maniera tanto enigmatica, lui non poteva percepire le sue emozioni, non direttamente. Poteva soltanto attribuire sfumature al tono col quale le parole venivano man mano pronunciate, e dare quindi un'interpretazione - personale e assai vaga - di quali pensieri frullassero nella mente del suo oscuro avversario. Eppure questo parve non bloccare la sua risolutezza, di fronte a un ignoto tanto grande da far venire i brividi. Buffo. Quella stizzosa conferma l'aveva tanto infastidito quanto compiaciuto, elettrizzato. Finalmente quel piccolo cucciolo aveva deciso di giocare la partita, maneggiando carte pericolose con un buio iniziale che pareva più simile a un 'all in'. E rimase in silenzio per un lungo attimo; non un respiro nell'opprimente nulla che circondava la piattaforma gelata, mentre l'iridescente scoppiava e il suo contenuto raggiungeva il cuore del ragazzo. La mano che pose al petto sarebbe stata in grado di tangere quel calore? Non poteva esserci un momento di pace, in quel dannato limbo. Ancora una scelta, meschina, amara, consolidata dal tono sadicamente carezzevole della presenza.
Normalmente rinunciare a qualcosa non risulta semplice per nessuno. Chiudere una porta per lasciare uno spiraglio dal quale poter osservare attraverso la nuova fa sempre un po' paura. Ci si tempesta di domande, e i dubbi cominciano a lievitare, sopprimere, bloccare. Pur non conoscendo davvero in nessun caso lo si fa a cuor leggero, e nonostante tutto a volte quella stupida rinuncia torna a perseguitarci. 'Yu' non era esente da quelle regole. Doveva attraversare quel campo minato con le sue forze, e poteva anche giocare in maniera ponderata come il tipico giocatore da calcolo delle probabilità ma il fatidico momento sarebbe arrivato anche per lui. Era indeciso, confuso. Ascoltava le sue parole, ritraeva la mano, ragionava in silenzio. Persino quando la decisione parve essere presa, e un certo fastidio cominciava a manifestarsi nella sua voce, dovette domandarsi nuovamente se quella fosse la scelta giusta. L'effimera con l'erhu e la maschera di porcellana pareva come il canto della sirena per la sua curiosità, eppure alla fine gli occhi si posarono su quel kiseru fumoso e il coraggio prese forma. Quello era ciò a cui aveva deciso di rinunciare. Sorrise sornione.
Questa volta l'esplosione della bolla non fu piacevole, affatto: per quanto poco gradito fosse il suo contenuto da colui che vi aveva rinunciato, esso si riversò fuori sotto forma di luce similmente al precedente, ma invece di investirlo in pieno petto questo attraversò l'oscurità e si concretizzò in una miriade di scalini di ghiaccio sdrucciolevoli, che mano a mano andavano formandosi per raggiungere chissà quale destinazione. L'altra invece parve sciogliersi dolorosamente, sfumando ai suoi occhi con un lamento silenzioso. Che fosse l'aver sacrificato il suo contenuto per aprire la nuova strada a fargli così male?
Sentiva mancare qualcosa adesso, dentro se stesso, ma quanto importante non aveva tempo di scoprirlo al momento; poteva solo conviverci, e sperare. La sua strada si era dipanata nell'oscurità dinnanzi ai suoi occhi, conseguenza delle sue precedenti scelte. Non restava altra scelta se non seguirla sino in fondo, prendendo il coraggio a piene mani e mantenendo i sensi allerta.



« Hai scelto di portare con te una parte importante della tua vita, un arco per difenderti e delle frecce in grado di profanare i tuoi nemici; per contro hai rinunciato a una prospettiva ignota, a una musica che adesso sta sbiadendo nel silenzio.. »



Riassunse in quelle parole la presenza sorniona che era lui e al contempo non lo era, pressando quei tasti con decisione millimetrica, sbattendoglieli in faccia con la violenza di uno schiaffo tutti i dubbi e l'innaturale dolore psicologico che aveva portato a quel risultato. Faticosa la salita, infiniti i gradini che si formavano avviluppandosi verso l'alto. Una leggera frescura ad accompagnarlo a ogni passo.



« Ma non avere timore. »



Suggerimento agghiacciante, possibilmente vuoto per chi come lui s'avventurava letteralmente verso il nulla. Non sapeva assolutamente niente, né cosa stesse facendo né cosa aspettarsi: sapeva soltanto che doveva farlo, per avere almeno la vana speranza di sottrarsi a un fato che, a dirla tutta, cominciava a stargli stretto da un pezzo. Una folata lo colse impreparato, sbilanciandolo e rischiando di farlo cadere. Poi una seconda. E una terza. Una quarta. Sino a quando non fu costretto a lasciarsi andare al vuoto, all'oscurità, accompagnato da un sogghigno.



« Sarai tu a decidere del tuo destino. »



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Non fu un capitombolo privo di qualsivoglia conseguenza questa volta. L'oscurità prese forma, non dando realmente tempo di capire cosa stesse succedendo tutt'attorno ma interrompendo il tutto come un attimo di panico fa col respiro. In men che non si dica, Kyōmei si era ritrovato col culo per terra, seppellito da almeno una ventina di libri, con un maledettissimo merlo che fischiava come un matto e una voce che ben presto attraversò tutto il locale. Una voce familiare.

Yu-chan, va tutto bene? - si non c'erano dubbi, era proprio Kinoshita Kasumi e gli stava parlando da un punto non ben precisato de.. aspetta.. non era la biblioteca di Kiri quella? E quell'uccello del malaugurio come si chiamava? - Non ti azzardare a prendere la scusa per leggere qualche libro non pertinente al tuo grado!

Déjà vu. Era proprio la biblioteca, e le parole di allora risuonarono nuovamente nella sua mente insieme all'insistente verso del pennuto che continuava a vorticargli in tondo sopra la testa quasi si stesse schernendo di lui. Alcuni scaffali erano vuoti, e quello sopra di lui.. beh.. anche quello oramai era completamente vuoto: doveva essersi sbilanciato dalla scala portandosi dietro l'ultimo scaffale come un effetto domino.



Ero convinta fosse un pappagallo per non so quale ragione, corretto col merlo secondo indicazione.


Edited by ¬BloodyRose. - 21/9/2018, 19:08
 
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Toppo tardi per tornare indietro adesso. La decisione era stata presa, i pochi ragionamenti che poteva fare li aveva elaborati e analizzati a lungo, la sua risposta finale l’aveva data. Era quella la cosa a cui voleva rinunciare. Qualsiasi fosse il gioco che stava mettendo in piedi il suo aguzzino, qualsiasi fossero le regole di esso, il cuore e la mente di Yu gli avevano dato una risposta univoca: la bolla col kiseru e i pastelli. Pensieri labili i suoi, come il filo di una ragnatela. Intuizioni e congetture fatte su una base quasi inesistente di realtà da cui attingere, eppure perfettamente pertinenti, sensati, coerenti con i pochi dati che aveva. Aveva preso in considerazione quello che poteva, sia ciò che la Voce gli aveva messo in bella mostra, sia ciò che avrebbe potuto nascondergli, ed era arrivato lì, di fronte all’effimera che mai avrebbe pensato di scegliere all’inizio di quell’avventura post sbornia. E non c’era altro da fare adesso, anche vagliando e rivagliando tutto e oltre, finiva sempre con l’arrivare alla stessa soluzione, pensarci ancora era diventato inutile e superfluo. Poteva solo andare avanti e scoprire che cosa sarebbe accaduto, sperando per il meglio ma aspettandosi il peggio, come sempre. Era questo che gli avevano insegnato, infondo. Essere sempre pronto a tutto…anche se veniva un po’ difficile, quando questo “tutto” prendeva la consistenza di un sogno talmente reale da sembrare vero. E non era la prima volta che gli capitava nell’ultimo periodo, ormai stava iniziando a farci il callo, anche se non sapeva se volesse abituarcisi veramente. Probabilmente no.
In ogni caso, ormai tutto quel rimuginare era inutilmente vano. I giochi erano fatti, si diceva così, no? Tanto valeva piantare il kunai fino in fondo e vedere il proseguo. Ne era anche un po’ curioso a dirla tutta, quindi con un’alzata di spalle rivolta a sé stesso e con quello che in circostanze normali sarebbe stato un sospiro, Yu sfiorò la bolla davanti a lui facendola dissolvere proprio come era stato con la prima. La pellicola iridescente si disfò e con essa il contenuto della stessa che si trasformò in una luce vorticante. Ma questa volta, invece di spiraleggiare verso il petto del ragazzo, si allontanò nell’oscurità concretizzandosi in una scala a chiocciola che, dalla piattaforma di ghiaccio, iniziò a risalire il nulla di quel luogo, formandosi gradino per gradino. Era fatta dello stesso materiale su cui poggiavano i piedi di Yu in quel momento, ghiaccio sfaccettato e compenetrato da luci bianche, rosse, arancioni e nere. Una specie di proseguo, una strada da seguire per arrivare chissà dove in quel luogo visionario e poco facile da interpretare.
E mentre il contenuto della bolla “rifiutata” proseguiva il suo lento concretizzarsi, l’effimera potenzialmente “sacrificata” si sciolse, come colori bagnati su una tela. E mano a mano ch’essa sbiadiva, Yu sentì venirgli lentamente e dolosamente strappato via qualcosa di intimo e personale, qualcosa di suo, senza veramente comprendere bene cosa. Ma fu ugualmente una sensazione orribile, pur non capendo appieno, come un’intrusione nella sua sfera più profonda che irrimediabilmente ne uscì lacerata e mancante di un qualcosa. Ebbe improvvisamente paura, come un tuffo al cuore, come quando manca l’aria mentre si è in apnea. Ma anche scavando in sè stesso, non riuscì minimamente a trovare cosa gli fosse stato sottratto, tanto più che la Voce si premurò di sottolineare nuovamente cosa stesse accadendo.


Dannato stronzo…Cosa mi hai fatto?!

La voce del Rosso rimbombò nell’oscurità, ma non giunsero risposte e nemmeno Yu riuscì a trovarne, scavando dentro di sé. Sentiva quel buco, lo percepiva, ma non riusciva a capire cosa fosse, né tanto meno quanta importanza potesse avere per lui. L’unica cosa che poteva sperare adesso…era che quella scala non conducesse direttamente all’uscita. Che ci fosse un modo per riappropriarsi di ciò che gli era stato ingiustamente rubato con l’inganno e, quindi, di uscire da quel limbo tutto intero come ci era entrato. Così a prima vista, sembrava che la sua teoria del gioco di carte fosse stata abbastanza corretta: il dissolversi definitivo della bolla con l’erhu, la strada aperta da quella a cui aveva rinunciato…tutto sembrava dare credito a quella sua ipotesi, ma non avrebbe saputo se era la verità finchè non avesse salito quella scala.
Di conseguenza non gli restava altra scelta se non proseguire su quei gradini, pur non avendo idea di che cosa avrebbe incontrato. E se lo sapeva, intuendolo dalla natura della bolla, beh, non gli piaceva granchè. Ma era necessario. Era necessario proseguire se voleva uscirne. Era necessario proseguire se voleva recuperare quello che aveva perso. Era necessario proseguire per non restare fermo a fare nulla, subendo tutto passivamente.
Quindi iniziò a salire i gradini, scivolosi e sdrucciolevoli come solo il ghiaccio poteva essere, mantenendo i sensi all’erta e gli occhi ben aperti, nonostante in quel luogo non ci fosse apparentemente nessun’altro se non lui stesso e quella Voce che di tanto in tanto si faceva sentire. Almeno avesse visto il punto d’arrivo di quella scala…ma se guardava in su, laddove i gradini si formavano dal nulla, vedeva solamente il proseguire di quella materializzazione nel buio e poi solo fitta tenebra, tanto che la stessa luce che filtrava nel ghiaccio, si faceva mano a mano sempre più tenue. Quasi una metafora di quella situazione bizzarra in cui il Chunin si trovava. Complessa e faticosa, come quella gradinata dagli scalini irti e ripidi come quelli di un tempio, con solo quella leggera frescura proveniente dagli stessi a dargli un po’ di sollievo.
Le parole della voce, giunsero dopo un po’ che si inerpicava su quel cammino vorticante, vuote e irritanti come solo le parole di chi sa perfettamente a che gioco sta giocando potevano essere. “Non avere timore”, sì certo, come no. A parte che solo gli inetti non avevano paura, ma detto da quel tizio, in una situazione più oscura di quel luogo stesso agli occhi di Yu, poco dopo che gli aveva palesemente sottratto qualcosa di profondamente personale, facevano solamente salire il sangue alla testa. Cazzo! Si sentiva legato. In trappola. Costretto a seguire regole sconosciute, strade che non si sapeva dove portassero e a compiere scelte cieche che sapeva gli si sarebbero ritorte contro da un momento all’altro. E quello gli diceva di non avere timore?! Ma che andasse a fanculo. Sperava solamente di riuscire a vederlo in faccia prima o poi e a quel punto sì, che si sarebbe divertito. Come non ne avesse passate abbastanza dentro quella merda di statua. Ci mancava pure lo squilibrato di turno che diceva di essere lui.
Fu a quel punto, mentre la sua mente divagava, che una folata di vento improvvisa lo colse impreparato. Nacque dal nulla e si scaraventò su di lui con furia tale da farlo sbilanciare e costringerlo a concentrare il chakra sotto la pianta dei piedi per non cadere di sotto e ancorarsi saldamente al ghiaccio. Guardò in alto, ma non trovò nessuno, anzi, fu costretto a socchiudere gli occhi e proteggerseli con un braccio a causa dell’arrivo di una seconda raffica. Poi arrivò la terza, che lo obbligò ad attraccarsi ai gradini anche con le mani, accucciandosi per resistere meglio. Alla quarta, nonostante il chakra concentrato negli arti, Yu iniziò a sentirsi scivolare indietro…E nonostante si tenesse con tutte le proprie forze, ben presto quel vento lo strappò via dalla scala, gettandolo nel vuoto oscuro sotto di lui. La sensazione di sentirsi mancare il terreno sotto i piedi fu orribile, quella specie di respiro mancato di quando scendendo una scala si manca l’ultimo gradino. Ma qui il vuoto era molto più profondo, molto più buio e molto più pericoloso della tromba di una qual si voglia gradinata. Riuscì solo ad imprecare a denti stretti, prima di sentir vibrare le enigmatiche parole della Voce dentro di sé e tutto attorno a lui.

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Oooaaaaaaaaaahio!

La caduta fu meno lunga e profonda di quanto si aspettasse e in men che non si dica, un numero non ben identificato di altre “cose” gli era finito addosso in modo non proprio piacevole, tanto che il Rosso portò istintivamente le braccia a proteggersi, fino a quando i tonfi non furono finiti. Solo a quel punto, Yu aprì gli occhi, ritrovandosi disteso prono col culo dolorante su qualcosa di decisamente duro, ma non freddo come il ghiaccio. Sopra di lui un soffitto in legno, intarsiato e decorato in mille modi diversi, illuminato da lanterne dalla luce giallognola e calda, il cui riverbero era inframmezzato da una macchia scura che continuava a girare in cerchio sopra di lui con fare agitato, fischiando come una matto e ogni tanto gracchiando qualche parola che sembrava molto un Ren chiama! Caduto! Ren chiama! decisamente familiare al Rosso. Si strofinò gli occhi, inquadrando meglio il soggetto vorticante e lo riconobbe come il merlo rompipalle che Kasumi gli aveva messo alle costole quando lo aveva chiamato per quella missione in biblioteca. Ora che lo guardava meglio, anche quel soffitto era proprio identico a quello della biblioteca di Kiri e, come a voler sottolineare la cosa, la voce della Kunoichi dagli occhi grigi lo raggiunse immediatamente dopo da un punto non ben precisato chiedendogli come stesse, ma senza mancare di minacciarlo qualora si fosse azzardato a sfogliare libri non di sua competenza.

Ma che…?!

Fu a quell punto che Yu si tirò a sedere di scatto, causandosi una fitta non proprio piacevole al di dietro, e facendo rotolare a terra parte dei libri che gli erano rimasti sul torso. Perché sì, ad essergli rovinati addosso erano proprio dei libri. Alzò gli occhi verso lo scaffale, ormai vuoto. C’era una scala appoggiata sul mobile in legno scuro, una di quelle che scivolavano da un punto all’altro dei ripiani e che Kasumi sapeva usare benissimo. Sembrava che fosse caduto da lì…ma che stesse facendo proprio non ne aveva idea. Non capiva cosa stesse succedendo, fino un momento prima stava facendo quello strano sogno reale delle scelte dopo che si era addormentato sulla nave di ritorno a Kiri in seguito al casino di Fukagizu: che ci faceva in biblioteca ora? Faceva tutto parte del gioco di quel tizio?
Si guardò attorno confuso, gli altri scaffali della biblioteca erano tutti vuoti e la strana sensazione di dejà vu lo aveva riportato la giorno in cui aveva aiutato Kasumi a sbaraccare tutto per sigillarlo nei sotterranei, ma c’erano delle cose diverse da allora: in primis, quel giorno lui non era caduto affatto e in secondo luogo…beh, non c’era alcuno scatolone con cui trasportare i libri lì attorno. C’era sicuramente qualcosa sotto, ma ora come ora non riusciva proprio a capirlo. Magari parlando con la bibliotecaria si sarebbe fatto un’idea un po’ più chiara, ma prima era comunque meglio che si liberasse dall’ingombro dei libri che gli erano finiti addosso. Ce n’erano di tutti i tipi: alcuni avevano la fascia verde che indicava chiaramente fossero non consultabili per il suo rango, altri non gli dicevano nulla - niente fascetta, titoli semplici, era quasi strano fossero assieme a quegli altri. Si mise seduto sulle ginocchia, iniziando ad impilarli un po’ e a chiuderli prima che Kasumi piombasse lì e lo accusasse di aver letto dei contenuti proibiti…o che quel pennuto prendesse a gridare cose che lo avrebbero messo nei guai.


Tutto ok, Kasumi! Rispose nel frattempo per tenere buona la donna. Mi è solo crollato il peso della cultura addosso, ora rimetto a posto.

Un piccolo test, la risposta della Kunoichi a quella sua affermazione avrebbe potuto aiutarlo a capirci qualche cosa, forse, mentre continuava a sistemare e impilare i tomi uno dopo l’altro…almeno finchè non gliene passò tra le mani uno familiare. Si rese conto di essere tornato a respirare solo in quel momento, quando inspirò l’odore di vecchio del cuoio della rilegatura e delle pagine ingiallite dal tempo. Se uno avesse giudicato quel libro dalla copertina, non gli avrebbe dato due Ryo: era spoglio, quasi anonimo, con giusto il titolo scritto con quello che doveva essere inchiostro dorato una volta e, forse, qualche decoro sulla cornice…ma ormai era mezzo sbiadito. Era un tomo su folklore, spiriti e yōkai, uno di quelli che lui avrebbe potuto leggere e probabilmente per questo gli sembrava tanto familiare. In realtà, ricordava proprio la sensazione di averlo tenuto in mano, ma ne aveva noleggiati talmente tanti di quel genere dalla biblioteca di Kiri che dire quale fosse di preciso e in che periodo lo avesse sfogliato era davvero difficile. Gli venne naturale però, ancora prima di alzarsi per cercare l’amica bibliotecaria, rigirarselo tra le mani e poi aprirlo ad una pagina a caso, voltando qualche foglio giallognolo e dannatamente fragile e secco, leggendo qualche riga qui e là, un po’ come faceva quando sceglieva un libro da portarsi a casa.

 
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view post Posted on 26/9/2018, 20:05     +1   -1
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Era stato catapultato in un posto senz'altro conosciuto, presumibilmente in un momento ben scolpito nella sua mente, con persone, animali e moniti uditi proprio in quegli attimi.. eppure non poteva esserne così sicuro. Non poteva dimenticare di star giocando una partita pericolosa con un avversario invisibile, sornione, pronto a gustarsi ogni sua annaspata in un paese fatto di sole meraviglie e specchietti per le allodole. Ancora le regole di quella competizione gli erano precluse, o quanto meno non potevano che essere fumose dinnanzi ai suoi occhi. Ne era consapevole e per questo aveva deciso di stare al gioco tenendoli ben aperti, guardandosi attorno frastornato per cercare qualcosa, qualsiasi cosa.. un appiglio al quale aggrapparsi per tirare avanti. Cominciò dalla base, con l'ispezionare quella ventina di libri che gli erano caduti in testa, alcuni riversi a terra perfettamente chiusi e altri con le pagine al vento, mentre il merlo tartassava i timpani come un tarlo, aumentando il volume dell'allarme man mano che sotto le dita del ragazzo passavano quelli con la famosa fascetta verde, non adatti alla lettura di un chunin. Nel frattempo, non dimenticò certo di rispondere a colei che l'aveva interpellato, di tastare furbamente il terreno per ottenere informazioni preziose e, al contempo, tenerla impegnata. Altrimenti, come minimo, quel peperino avrebbe mollato tutto per sincerarsi della situazione e dirgliene quattro. Parole ben oculate, sia nella tonalità - che per necessità doveva essere superiore a quella del pennuto sopra la sua testa - che nella cadenza leggermente affrettata; risultavano ben consapevoli, pregne di quella sicurezza di chi ha tutto sotto controllo eppure agitate nell'avvertire che nulla di grave fosse successo. Un capitombolo, tutto qui. Avrebbe rimesso a posto ogni cosa. Non ci volle molto, prima che la ragazza di sotto rispondesse alla sua affermazione. E non era difficile immaginarsela, a sospirare pesantemente dopo aver trattenuto il respiro per qualche secondo di troppo. - Cerca di non sgualcirli e stai attento nel portali quaggiù. Se sono troppi, non fare il super uomo e fai più di un viaggio; abbiamo tempo per mettere il tutto sotto chiave. - aveva detto, mentre il volume della sua voce cambiava a seconda della posizione che assumeva. Era evidente che avesse ripreso a trafficare, ovunque si trovasse; forse era troppo fiduciosa di lui o probabilmente non voleva perdere troppo tempo in quisquilie.
Ma nel medesimo istante in cui Kasumi aveva cominciato a parlare, raccomandandosi di andarci piano, ecco che di quei tomi che stava gentilmente maneggiando ne aveva notato proprio uno, stranamente anonimo, di quelli che al solo primo sguardo non degneresti nemmeno di una minima attenzione. Era rilegato in cuoio, e stonava abbondantemente in mezzo a tutti gli altri. E fu proprio in quella sbavatura che si concentrarono le sue attenzioni, dopo aver chiuso decentemente gli altri e averli impilati gli uni sopra gli altri. Se lo rigirò fra le mani, quasi come farebbe un lettore al primo acquisto, saggiando il cuoio con i polpastrelli e constatando che non vi fosse nemmeno l'ombra di una sbavatura sulla copertina. E quando finalmente decise di aprirlo su una pagina a caso, ecco che fra tutte le creature del folklore apparve uno yōkai davvero singolare, dalle fattezze prettamente femminili, dotato di due bocche: la futakuchi-onna.



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Un spiffero d'aria insolito, della nebbia che pareva fagocitare ogni cosa e il suo bel didietro offeso non era più appiccicato alle assi di legno del pavimento della biblioteca. Si trovava ben dritto, col cuore in tumulto per una inspiegabile sensazione di fervore e astio nei confronti di qualcuno o qualcosa di non ben specificato e la mano protesa proprio verso quel libro che aveva aperto a casaccio. La pagina era esattamente la stessa, la vedeva bene quella figura disgustosa raffigurata sulla destra, accanto alla storia che contraddistingueva la mitologia legata ad essa. La cosa che era cambiata, oltre al fatto che si ritrovava in mezzo al verde, fra l'odore dell'erba umida e uno al quale non riusciva a dare una vera e propria collocazione, ma che si riscoprì apprezzare particolarmente, era che il libro adesso era fra le mani di un giovane uomo sulla ventina, castano, fisico asciutto e ben delineato, con indosso un haori marrone con finiture giallo oro e degli hakama verde asparago. Lo conosceva sin troppo bene, si. E non appena quelle iridi verde smeraldo agganciarono le sue, fredde, distanti, seppe cosa gli era stato tolto. Harada Takumi era li, esattamente come ricordava di averlo incontrato, seduto sull'erba umida, dello stesso umore canzonatorio d'allora.

Lo vide scuotere il capo, quasi fosse esasperato o deluso dal suo atteggiamento, dunque chiuse il libro di scatto e glie lo porse. -
Vuoi proprio andartene, eh? - sospirò con poca convinzione, facendo spallucce. - Non ti trattengo oltre, ma la prossima volta assicurati di rimanere impigliato nell'albero. Non ci sarà un secondo sconto. - e sorrise, di quei sorrisi falsi di congedo, disinteressati e provocatori, prima di rimettersi in piedi, spolverarsi le vesti e voltargli le spalle, facendo un rapido gesto di saluto. No. Non doveva andare così. Takumi era sempre stato dalla sua parte.. l'aveva tediato per ottenere quel pranzo a scrocco, per rimanere con lui. Adesso invece stava andando via come se avesse avuto un'amena chiacchiera con una pulce fastidiosa. Quel dolore che aveva provato allo sciogliersi della bolla si fece più pressante nel suo petto, aumentando quel vuoto dentro di lui, quella voragine, man mano che il castano faceva un passo per allontanarsi, mentre stringeva meglio l'obi con uno strattone secco. Dietro l'orecchio un pastello colorato, che prese insieme all'immancabile taccuino degli schizzi, pronto a sedersi in un cantuccio per compiere quello che, quel giorno, avrebbe dovuto fare se non gli fosse piombato addosso.

 
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view post Posted on 27/9/2018, 14:22     +1   -1
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Come ci fosse finito quel libro assolutamente “normale” nello stesso scaffale di quelli interdetti per chi aveva un rango troppo basso, restava un mistero, ma non aveva alcun dubbio sul fatto di averlo maneggiato già altre volte prima di allora. Era una sensazione a pelle, chiarissima, come poteva esserlo quella di dejà vu che gli aveva causato ritrovarsi lì, in quella biblioteca mezza vuota, in fase di trasloco per mettere in salvo la cultura e i segreti del villaggio. Per quanto non riuscisse a collocare con precisione in quale preciso momento avesse già voltato quelle pagine o toccato quella copertina, era certo che fosse così anche senza andare a rileggere ogni singola parola contenuta in quel tomo di carta e cuoio. Eppure non ricordava che quel giorno gli fosse effettivamente passato tra le mani. Certo, era un po’ difficile ricordare tutti i libri che, durante la missione affidatagli da Kasumi, avesse visto, però pensava che, se quell’oggetto era tanto familiare e importante, di sicuro anche quella volta avrebbe avuto la stessa impressione che stava avendo ora. Un’altra differenza, così come la mancanza degli scatoloni o il fatto che fosse caduto dalla scala come un cretino di prima categoria. Però il filo conduttore sembrava lo stesso.
Kasumi aveva risposto in maniera chiara ed inequivocabile: stavano portando i libri di sotto per metterli sotto chiave. Il che coincideva effettivamente con quanto già fatto da Yu fuori da quello strano sogno nel sogno che stava facendo. Anche il carattere della donna non sembrava diverso dal solito, legata in maniera quasi ossessiva ai suoi libri, non mancò di fargli ulteriori raccomandazioni, senza però farsi vedere…La sua voce, in quel breve intervento che fece, provenne da più luoghi diversi, posti sotto la posizione in cui si trovava il Rosso in quel momento, il che lasciava facilmente presupporre che la bella ragazza dagli occhi grigi fosse effettivamente nei sotterranei a sistemare i libri che il Chunin le portava mano a mano giù e che si fidasse abbastanza di lui da non controllarlo in maniera assennata, lasciandogli semplicemente quel merlo guardiano come custode. Forse troppo. Perché nei ricordi di Yu, quando Ren aveva iniziato a gridare come un forsennato, la Kasumi reale si era subito precipitata a spiare cosa stesse succedendo dal bordo delle scale che portavano di sotto.
Insomma, quella situazione era davvero strana. Simile a quanto effettivamente vissuto dal Rosso, ma al contempo imprecisa, approssimativa, con delle piccole macchie su una ricostruzione altrimenti perfetta. Ma erano quello che bastava per far rizzare gli orecchi a Yu sulla presunta veridicità di quello che stava vivendo. Il problema era che non ne stava capendo il senso. Non stava capendo perché il proprietario di quella voce lo avesse catapultato lì, ricreando un luogo tanto imperfetto. Sperava forse che ci cascasse e pensasse di aver sognato tutto il resto? Gli sembrava impossibile. Erano errori troppo grossolani per essere casuali, quasi come se fossero stati messi lì di proposito, piuttosto che essere semplici sviste.
Riportò allora gli occhi su di una di esse, il libro che aveva tra le mani. Sfogliandolo, era finito sulla pagina della Futakuchi-onna. L’immagine della donna con due bocche campeggiava sulla facciata accanto a quella della sua descrizione, un obbrobrio da incubo la cui seconda bocca posta sulla nuca, sputacchiava e borbottava continuando a chiedere cibo e, se non soddisfatta, iniziava a strillare in maniera insopportabile causando anche dolore al corpo della donna. Il mito sulla stessa era scritto poco più sotto, dopo una breve descrizione dello yōkai in questione.


Si racconta di una donna sposata con un uomo rimasto vedovo poco tempo prima, che voleva bene solo ai bambini che lei stessa aveva partorito in quella casa. Il figliastro, invece, non era nemmeno considerato degno di essere sfamato, e così, con l'andare del tempo, il bambino morì per denutrizione. [...] La ferita alla base della nuca sanguinava parecchio, e pareva non aver alcuna voglia di rimarginarsi. [...] I lembi di pelle si gonfiarono come labbra, alcune piccole scaglie ossee formarono una sorta di dentatura, mentre una piccola massa di carne iniziò a crescere fino a diventare una vera e propria lingua.


Lesse giusto qualche riga rapidamente, scorrendo le parole con gli occhi chiari, prima che un brivido lo cogliesse. Ma no, non era per quello che stava leggendo, tanto meno per l’immagine disgustosa della donna, si trattava proprio di un fattore fisico. Uno spiffero d’aria che si insinuò fino a raggiungere il suo collo, sotto i capelli, scostandoli brevemente. Curioso che ci fosse corrente d’aria nella biblioteca...Si strinse un momento tra le spalle e alzò gli occhi - come se guardandosi in giro potesse trovare la fonte di quella brezza - ma quanto lo fece non si trovò più tra gli scaffali familiari dell’edificio al centro di Kiri. Era all’esterno, con la nebbia che serpeggiava piacevolmente tra gli alberi di quello che doveva essere il parco del villaggio. Si rese conto solamente dall’altezza della propria visuale di essere in piedi e non più seduto a terra dopo la caduta, scosso da una sensazione di estremo fastidio nei confronti di qualcuno o qualcosa di non ben definito. Non aveva nemmeno più il libro tra le mani! Però era ancora lì. Stava aperto tra le mani di qualcun altro di fronte a lui, mentre Yu protendeva il proprio arto verso di esso, presumibilmente con l’idea di farselo ridare. La pagina su cui era aperto, era la stessa a cui era arrivato lui in biblioteca prima che tutto cambiasse per l’ennesima volta. La Futakuchi-onna campeggiava con le sue due boccacce sulla carta ingiallita, mentre il Rosso cercava di rimettere in ordine i pensieri. Non aveva sentito alcun senso di vuoto, nessun apparente sbalzo…semplicemente di punto in bianco il legno degli scaffali era sparito per lasciare posto alla loro materia prima fatta e finita. L’odore umido del sottobosco era inequivocabile. L’humus, le foglie secche, il muschio, l’erba…e tra tutti un odore che non aveva a che fare con nulla che fosse legato all’ambiente. Un lezzo piacevole, familiare, che Yu riuscì a riconoscere solamente quando i suoi occhi andarono oltre le pagine del libro. A tenerlo in mano, infatti, era un uomo più grande di lui, sulla ventina. Castano, vestito con un haori marrone con decorazioni giallognole e un paio di hakama verdi. In altre parole Takumi. Takumi il giorno in cui lui gli era caduto addosso dall’albero, quindi quello era il libro che stava leggendo quel giorno prima di addormentarsi. In maniera del tutto automatica, si tastò il petto, dando poi un’occhiata veloce a cosa c’era sotto la maglietta, incontrando le fasce bianche che ancora portava in seguito alla prova di Fuyu, avendo effettivamente conferma di cosa aveva appena pensato. Ma c’era qualcosa di diverso in quel Takumi…Yu ne ebbe conferma nell’istante in cui le iridi smeraldo del più grande incontrarono le sue. L’umore del ragazzo era apparentemente lo stesso di allora - canzonatorio, sardonico - eppure i suoi occhi erano freddi, distaccati, mancanti di quel baluginio che il Rosso aveva visto quel giorno. E fu a quel punto, mentre il castano gli porgeva il libro chiuso, e Yu lo prese senza trovare alcuna resistenza dall’altra parte, che seppe cosa gli era stato rubato. Il fastidio che ritrovandosi in quel mondo di colpo non aveva compreso, soppiantato per pochi istanti dal sollievo di vedere l’amico che mai gli aveva voltato le spalle, venne immediatamente soppiantato da una sensazione orribile. Quell’istinto di quando si capisce le cose ancora prima di avere una effettiva conferma…un po’ come il sesto senso che a volte ci trattiene a casa piuttosto che uscire e andare in un posto dove poi accade qualcosa di brutto. Ecco, quel sentore lì. Un’angoscia profonda, tormentata, che ebbe il suo perché non appena il giovane castano di fronte a lui fece qualcosa che nella realtà non aveva fatto. Si congedò. Con un sorriso che più falso non poteva esserci, si rimise in piedi spolverandosi i vestiti e voltandogli le spalle per iniziare a incamminarsi chissà dove, lasciandolo lì. Quasi fosse una zecca insignificante. Senza pretendere nulla in risarcimento per il suo culetto offeso, senza infastidirlo a oltranza, senza neanche impuntarsi per quel dannato pranzo che aveva sancito l’inizio della loro conoscenza.

No…non è andata così. Non deve andare così.
E’ sbagliato.


Ed era sbagliato perché quel Takumi non aveva il minimo interesse nel conoscerlo. Non gli importava. Per lui era solo una pulce che gli era piombata addosso, una pulce senza valore che non riusciva forse nemmeno a vedere a causa di quel naso all’insù che teneva, quasi avvertisse la puzza, come quelli che avevano le tasche piene di soldi. Era sbagliato anche perché il vero Takumi non disegnava con un cazzo di pastello colorato come un moccioso, lui usava un lapis, invece quello lì…quello lì, il Rosso lo aveva visto benissimo estrarre un colore da dietro l’orecchio, prendendo contemporaneamente il suo taccuino per gli schizzi per fare quello che il castano gli aveva detto stesse andando a fare quel giorno prima che lui gli cadesse addosso. Ed era sbagliato anche perché il dolore che sentiva al petto stava aumentando ad ogni passo che quel falso Takumi faceva. Come se ciò che aveva provato di suo non fosse stato abbastanza, il dolore, la lacerazione che aveva sentito quando la bolla con l’erhu e la maschera si era sciolta, ora stava diventando insopportabile, aprendo una voragine dentro di lui, così profonda da fargli mancare il fiato. Come se qualcuno infilasse una mano nel suo petto e grattasse via tutto, cercando di sradicarlo, di strapparlo via completamente, neanche fosse un’erbaccia da estirpare. D’altronde era così, no? Se lui quel giorno se ne fosse andato - o se lo avesse fatto Takumi, come stava facendo ora - loro non si sarebbero mai davvero conosciuti. Non avrebbero chiacchierato davanti a sushi e sakè, non sarebbero poi andati assieme sul promontorio, tanto meno il castano gli avrebbe fatto quella promessa il giorno del funerale di Shi. Forse si sarebbero lo stesso trovati assieme durante la missione con Saiken, ma non sarebbe andata a finire a quel modo…Sicuramente Yu sarebbe rimasto un mostro inguardabile e il Rokubi non avrebbe tolto la maledizione al villaggio. Poi la statua e il resto, tutto sarebbe stato diverso. Non era una cosa che Yu voleva cambiasse. Non era una cosa che voleva sparisse. Non poteva. E quel dolore che provava ne era una chiara dimostrazione pratica. Se non gliene fosse importato, non avrebbe fatto così male di sicuro. Fece un passo, poi un altro, la mano stretta sulla maglietta nelle prime falcate per poi lasciare andare, avvicinandosi a quella schiena che si stava allontanando. Perché faceva così male se quello era un falso Takumi? Forse perché non lo era? Non lo sapeva, ma di una cosa era sicuro. Non gli andava bene che se ne andasse così.

Ehi, è tutto qui?! Fece a un certo punto. Quel dolore, quella perdita che avvertiva dentro di sé, mentre cercava di sembrare il più scanzonato e irriverente possibile, tenendo a freno la rabbia che provava nei confronti di chi stava cercando di portargli via una cosa per lui importante. Non mi chiedi nessun risarcimento per esserti piombato addosso? Neanche provi a scroccarmi un pranzo? Guarda che così non mi convinci per nulla a non usarti nuovamente come materasso, Futon-san.

 
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view post Posted on 30/9/2018, 14:25     +1   -1
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Aveva subito un brutto colpo basso, uno schiaffo in piena regola, di quelli che bruciano da impazzire e riverberano nella mente come onde concentriche generate da un sasso. Takumi era davanti ai suoi occhi, esattamente come l'aveva incontrato la prima volta, con quella verve da uomo di mondo condita da un pizzico di derisoria superiorità.. eppure, a differenza d'allora, il bel castano non stava mostrando per lui lo stesso interesse. Al tempo gli si era piantato li come un chiodo nel deretano, scambiandolo per una donna, divertendosi da matti a prenderlo in giro e a spingerlo a offrirgli quel pranzo che poi alla fine era culminato in una conoscenza piacevole, essenziale per gli eventi a venire. Quella bastardissima voce, con la semplice scusa di scartare oggetti all'apparenza insignificanti, lo stava privando di un perno fondamentale. E chissà come stava sghignazzando, nel vederlo annaspare in quel mondo tratto dai suoi ricordi alla ricerca di un modo per risolvere la situazione.

Nonostante sentisse perfettamente quel ragazzino dalla lunga chioma fulva avanzare di qualche passo in sua direzione, non aveva intenzione di fermarsi. Non aveva senso farlo. Ma era quanto meno strano che quei passi andassero proprio avvicinandosi, e non a farsi più lontani sino a perdersi nel parco. Decise ugualmente di far finta di nulla, pronto a posizionarsi a poca distanza da li con le gambe incrociate e il taccuino con i suoi bozzetti adagiato su di esse, per poter trasformare le sue percezioni in una rappresentazione verosimile di quello che lo circondava, fregandosene altamente del piccolo intoppo sul suo cammino.. ma il Kyōmei aveva dei piani diversi per lui, evidentemente. Dovette fermarsi alle sue parole, così sfacciate e canzonatorie da fargli venire quasi la voglia di balzargli addosso di punto in bianco per potergli pressare un kunai sulla gola e gustarsi l'espressione che si sarebbe dipinta sul suo volto alla sensazione di pericolo. Sorrise. L'idea non gli dispiaceva per nulla, anzi; farsi nuovamente vicino a quel ragazzo era un pensiero che lo solleticava piacevolmente. -
Eeeh..?! Non eri tu quello che voleva andarsene? Perché questo ripensamento dell'ultimo minuto? - chiese con quella sua voce flautata, anch'essa sfacciata e provocatoria nel rivolgersi al suo ostinato interlocutore, volgendosi appena col capo in modo tale da potergli lanciare un'occhiata intensa, come di chi sta studiando l'avversario per poterne prevedere la prossima mossa. Non disse nulla sul nomignolo che gli era stato affibbiato, non era ancora il momento. Ovviamente il rosso rispose a tono, provocandolo, costringendo il suo orgoglio e la sua curiosità a rimanere ancorati alla sua figura, a non lasciarlo andare. E così avvenne in effetti. Takumi rimase immobile, a osservarlo con scetticismo. Aveva la sua attenzione, così come l'aveva avuta al momento dell'impatto al suolo, quel giorno. - Non hai risposto alla mia domanda. - un'assoluta verità, pronunciata con un'espressione contrita pennellata sul volto. Sopracciglio sollevato, smorfia sulle labbra.. ma ben preso un sorrisetto s'affacciò nuovamente, preannunciando la successiva stoccata. - Cos'è, paura di ammettere qualcosa di troppo scomodo? - alluse, provocandolo per cercare di farlo parlare. Era strano. Gli aveva servito sul piatto d'argento l'opportunità che desiderava senza troppi fronzoli e lui non l'aveva colta. Avrebbe potuto facilmente voltare i tacchi e andarsene per non rivederlo mai più, eppure non solo si era avvicinato ma sembrava pure non vedesse l'ora di avere un tu per tu carico di frecciate.
A quel punto la risposta che pervenne dal rosso, pur non soddisfacendo la domanda originaria, ebbe il potere di consolidare la curiosità del castano che, distogliendo lo sguardo e sospirando come fa chi non trova una risposta soddisfacente da dare, fece per voltarsi definitivamente verso il suo curioso interlocutore per poter osservarlo con rinnovato interesse. -
D'accordo.. considerato che desideri tanto spendere dei quattrini per risarcirmi come si deve, portami in un buon posto. - accordò il permesso, posando nuovamente il pastello rosso dietro l'orecchio e il taccuino dentro l'haori. Dunque fece per avvicinarsi, calmo, padrone di se stesso. Ma non passò oltre, non subito almeno. Si fermò a pochi centimetri dal suo viso, con un sorrisetto sornione e uno sguardo dannatamente penetrante. - Ma che sia davvero buono, altrimenti la quota del risarcimento salirà e sarò io a decidere la valuta di scambio. Sono un uomo molto esigente, Kaen-chan. - sbruffone, seduttore e gran bastardo. Forse pensava di avere la situazione in pugno e stava giocando con lui come il gatto fa col topo, ma meglio quello di niente no? Almeno aveva ottenuto nuovamente la sua attenzione e il vuoto che provava pareva essere stato appena colmato, dandogli speranza.
Dunque senza troppo attenderlo, il bel castano avanzò oltre. Qualche passo, prima di porre una domanda all'apparenza blanda ma che piombò fra di loro come un fulmine a ciel sereno. -
Ah.. che ci facevi in un posto come questo? Sai, dall'espressione sul tuo bel visino sembrava fossi caduto dalle nuvole, o che avessi visto un fantasma. - dovette precisare, cercando di osservarlo con la coda dell'occhio. Curiosa associazione di parole, per chi voleva soltanto sapere cosa ci faceva un tizio qualunque appeso a un albero per cominciare una conversazione.

 
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view post Posted on 30/9/2018, 22:08     +1   -1
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Lui non lo sapeva. Non poteva sapere che sacrificando quella bolla avrebbe gettato via un legame importante. Uno dei più belli che avesse, uno di quelli da proteggere a tutti i costi…uno di quelli che faceva soffrire, ma al contempo era in grado di far sorridere con un nonnulla. Da quando si erano conosciuti ,proprio in quel boschetto, quel giorno, con la sua provvidenziale caduta dal ramo di un albero, Takumi ci era sempre stato se aveva bisogno. Quasi avesse avuto un radar incorporato, appariva sempre nei momenti in cui Yu necessitava di due parole, di due scherzi, di un semplice silenzio. In qualche modo, quel castano dal sorriso sardonico, che inizialmente gli era parso tanto insopportabile, si era scavato un posticino tra le persone a cui voleva bene e lì doveva restare. L’idea postuma di non averlo mai conosciuto, di scegliere una di quelle strade parallele di cui si riempivano la bocca quei tali che credevano in quel genere di cose, lo atterriva. E quel vuoto che provava adesso, era una giustificazione più che evidente di quanto quella scelta cieca fosse stata sbagliata. Non aveva idea che quello strumento - o quella maschera - rappresentasse Takumi. Lo aveva visto a casa sua, certo…ma come lui poteva averlo anche qualcun altro, senza che che Yu ne sapesse nulla. Seriamente, lui non aveva idea se Urako, Shi o Nuru suonassero qualcosa: per quanto ne sapeva potevano essere i migliori musicisti del mondo e lui ne sarebbe rimasto all’oscuro. Non lo aveva mai chiesto. Non era qualcosa di cui avevano mai parlato, tanto meno gli era mai passato per la testa. Non era il genere di persona che ficcanasava nelle vite altrui, facendo l’interrogatorio alla gente per sapere quali fossero i loro passatempi preferiti e cose del genere. Preferiva scoprirlo da solo. Preferiva venirlo a sapere al momento opportuno. Preferiva una sincera confessione a una verità estirpata a quel modo. Ok la curiosità, ma c’era un limite invalicabile nella vita privata delle persone. Tuttavia se forse avesse superato quel limite almeno una volta nella sua vita, ora forse non sarebbe stato in quella situazione. Lottando con un vuoto che sembrava divorare sempre di più tutto ciò che aveva attorno a sé, erodendo quello che era stato, cancellandolo…ma non era un cancellare delicato come poteva esserlo il passaggio di una gomma su un foglio, no, era più simile al grattare della carta vetrata sulla vernice vecchia di un mobile. Toglieva il colore vecchio, ma con sé si portava via anche un po’ di legno. E per lui era così. Quella voragine divorava il suo legame con Takumi, ma con esso, spariva anche una parte di sé. Infinitesimale, forse, ma c’era, e cadeva nel nulla dell’etere causato da quella sua dannata scelta. Chissà che altre cazzate aveva fatto scegliendo la prima bolla e rinunciando all’altra..? Non poteva essere certo di nulla ora, neanche conoscendo le descrizioni che quella dannata Voce gli aveva dato. Ma doveva risolvere un problema alla volta. E il primo ce l’aveva lì di fronte. Quella schiena che si allontanava come nulla fosse, faceva forse più male di mille ferite. E quindi fece l’unica cosa che avrebbe potuto fermare una persona totalmente disinteressata nei suoi confronti: lo stuzzicò. Gli sarebbe andato bene anche un pugno in faccia, piuttosto che la totale indifferenza - quegli occhi freddi non stavano bene sulla faccia di Takumi - ma, in un certo senso fortunatamente, quel pugno non arrivò mai. Il castano si fermò sul posto, smettendo quella sua camminata spedita verso non si sa bene che meta, voltando appena il capo fino ad incrociare gli occhi di Yu con un’occhiata profonda, attenta…quasi se lo stesse studiando per capire dove volesse andare a parare. E anche le sue parole di risposta, erano volte a capire meglio il comportamento di quello che ai suoi occhi doveva essere un ragazzino piuttosto incoerente. Sì, perché lo Yu di quel giorno aveva seriamente l’intenzione di andarsene, ma alla fine Takumi era riuscito a convincerlo a passare del tempo con lui. E probabilmente anche in quella realtà distorta il Rosso doveva aver dato la chiara impressione di avere il fuoco al culo e di non voler passare un minuto di più con quell’uomo insopportabile. Quindi sì, i dubbi del più grande erano leciti. Peccato che lo Yu che si ritrovava davanti fosse ormai ben addestrato alla Scuola Takumi e sapesse perfettamente come riuscire ad accendere una fiammella di curiosità e interesse nell’amico: d’altronde era una cosa che un po’ aveva provato sulla sua stessa pelle, no?

Dici così, ma io sono ancora qui. Sei tu quello che se ne sta andando. Disse, stringendo maggiormente la copertina del libro che aveva nella mano destra. Che c'è, sei uno di quelli che si bagna prima che succedano le cose?

Perché così sembrava visto il contenuto delle sue domande. “Lascio prima di essere lasciato”, un metodo di autodifesa personale alquanto discutibile…un po’ da vigliacchi a parere del Rosso, ed era sicuro che con quella provocazione avrebbe fatto centro ancora prima che dall’altra parte non giungesse alcuna replica se non la debole pretesa di avere una vera risposta alla propria domanda, condita da una frecciata atta a fargli perdere la calma così che si facesse sfuggire di bocca ciò che il castano sembrava voler sapere. Anche se, francamente, Yu non capiva proprio cosa ci potesse essere di “scomodo” nel non voler perdere un amico, non poteva di certo andarlo a dire a uno che praticamente aveva conosciuto un minuto prima. Lo avrebbe preso per matto. L’importante era che con le sue parole fosse riuscito a mantenere attaccata l’attenzione del più grande su di sé…D’altronde non si sarebbe fermato e non sarebbe ancora lì se davvero non gliene fosse importato almeno un minimo, giusto? Forse poteva davvero fare ancora qualcosa e riprenderselo, forse quella Voce non aveva davvero il potere di strappargli qualcosa che era suo. Forse era una sua scelta se farlo o meno.

Solo i baka non cambiano idea… Rispose quindi, simulando una certa non curanza con un’alzatina di spalle, per poi proseguire, attento a non farsi sfuggire una parola di troppo, cercando di dare una risposta vaga, ma con una buona giustificazione ad una reale spiegazione per quel suo fare retromarcia. Tu non mi hai ucciso quando avresti potuto farlo e non mi pare di averti fatto il terzo grado per sapere perché. Alla fine serve davvero? Un perchè, dico.

Che non era nemmeno una totale falsità. C’era veramente bisogno di una motivazione per una decisione del genere? Non poteva semplicemente averci ripensato? Non capiva proprio che volesse sentirsi dire quel Takumi della realtà distorta, ma andava bene così, perché quel sospiro esasperato sancì la sua vittoria. Finalmente il castano si voltò completamente verso di lui, smettendo di mostrargli la schiena, dandogli tutta la sua attenzione. E sì, c’erano infine curiosità e interesse nei suoi occhi, mentre gli accordava il suo permesso di portarlo in un posto dove si mangiasse bene, le stesse che Yu aveva visto nella vera realtà al di fuori di quella dimensione creata dalle sue scelte cieche. Le stesse a cui il Rosso non aveva dato la dovuta importanza al tempo, ma che ora sembrava talmente essenziale da farlo sorridere sollevato per la prima volta in quello strano viaggio. In quel momento non c’era nulla di più giusto di quel Takumi che metteva via taccuino e pastello per passare del tempo con lui. Niente. Tanto che quasi quasi quel “Kaen-chan” pronunciato così vicino da sentirne il riverbero sul viso passò inosservato. Così come quasi Yu non fece caso alla velata minaccia insita nelle parole del più grande, mentre lo guardava a pochi centimetri di distanza. Quasi, però. In realtà recepì benissimo sia l’una che l’altra e, sebbene non avesse idea di che razza di tipo di pagamento alternativo avesse in mente Takumi - o magari voleva non averne idea, chissà - il nomignolo lo sentì fin troppo bene, così come la strana domanda che seguì.

E’ Yu! Fece seccato, non appena il più grande si fu allontanato. Il mio nome è Kyōmei Yūzora, non “Kaen-chan”. E come sempre arricciò un po’ il naso a quel suono…ma in quel frangente non gli fece più tanto schifo come la prima volta che l’aveva sentito. Sapeva di giusto. Di una cosa che stava al suo posto, di normalità. Tanto che anche quel vuoto nel petto sembrava andare via via svanendo. Proprio come si era presentata con prepotenza, quella sensazione svanì, e la voragine apparve colmata di colpo, nello stesso istante in cui Yu si rese conto di quel sentore di routine, e si mise in moto per affiancare il più grande. Comunque mi pare ovvio che stessi leggendo. Disse, sventolando un attimo il libro che aveva per le mani - come a dire “te lo ricordi questo?” - e ponderando se essere sincero o meno nel dare il resto della risposta. Il vero Takumi non gli aveva mai chiesto come mai sembrasse aver visto un fantasma quando gli era caduto addosso, ma non ci vedeva nulla di male nel dire la verità. Come mai avevo quella faccia, dici? Beh, mi sono addormentato e sono caduto da un albero prima di tutto…In secondo luogo, hai una vaga somiglianza con Fuyu no Yuki, quindi diciamo che più che aver visto un fantasma, per un momento ho temuto che presto lo sarei diventato io. Ma poi mi sono accorto che avevi un odore diverso. Sorrise, divertito dal suo stesso racconto. In effetti a pensarci ora era parecchio spassoso. Tu invece? Come mai ti trovavi da queste parti ed eri talmente distratto da non accorgerti della mia presenza? Ah! E tra l’altro…qual’è il tuo nome? Non vorrai mica che continui a chiamarti Futon-san, no?

In un ridondante dejà vu, simile ma non identico a quanto già accaduto nella realtà, Yu si mise in marcia assieme al castano per andare a mettere qualcosa sotto i denti e magari capirci qualcosa di quello strano posto e di come uscirci. Fino a quel momento aveva capito qualche cosa, intuizioni senza conferme ed incomplete. Come il fatto che quel mondo - o quell’insieme di mondi? - fosse stato creato con le sue scelte sulla pedana di ghiaccio, e che forse alcuni oggetti facessero da ponte per passare da un posto all’altro. D’altronde era arrivato in quel momento particolare, attraverso un libro trovato in biblioteca che altri non era se non il tomo che stava leggendo il giorno in cui aveva conosciuto Takumi al parco. Quindi era presumibile che per passare da un posto all’altro dovesse scovare questi oggetti…oggetti magari fuori posto, come quel pastello rosso che il castano si era sistemato dietro l’orecchio e che nulla aveva a che fare con il lapis che c’era invece nei ricordi di Yu. Teoria, la sua, che andava confermata, ma doveva prima capirci qualcosa di più. Ponendo il caso fosse esatta, fare un altro salto lo avrebbe riportato punto e a capo in un altro posto di cui non capiva nulla, era meglio fare chiarezza in un luogo prima di passare da un’altra parte.
Sentì quindi sbuffare una mezza risata a Takumi, in risposta al suo breve racconto di spiegazione. Poco convinta però, quasi si contenesse di proposito. Un comportamento strano…quando il castano rideva, rideva di gusto ed era sicuro lo avrebbe fatto a sentire quella confessione. Il Takumi che conosceva lui lo avrebbe fatto, almeno. Ciò che disse in seguito non fu inaspettato. In una perfetta copia di quanto accaduto per davvero, il più grande diede ad intendere di averlo notato - pur non essendo riuscito ad evitarlo - mentre cercava un buon posto per disegnare e che poi ci fosse stato…l’impatto. Fino a qui quasi tutto nella norma, insomma. I problemi iniziarono nel momento in cui Yu gli chiese il nome. Non aveva bisogno di chiederlo, sapeva chi fosse, ma uno che lo aveva appena incontrato quella domanda l’avrebbe fatta, così come l’aveva fatta lui a suo tempo. Certo non si sarebbe aspettato di sentirsi rispondere quasi con l’inflessione classica che di solito hanno le domande, come se non fosse sicuro della risposta che stava dando o come se il Rosso avesse dovuto già sapere quel nome. Lo guardò perplesso Yu, incontrando lo sguardo impenetrabile e misterioso dell’altro.


…Lo stai chiedendo a me?

Tra il divertito e il confuso, quella domanda uscì con una naturalezza disarmante, venendo accolta dalla risposta sicura e tagliente della controparte che si fermò sul posto, seguito immediatamente dal più piccolo. Sorrideva. Sorrideva mentre gli rigirava quella domanda, chiedendogli di dire lui stesso come si chiamasse. Sorrideva mentre Yu iniziò ad annaspare nel tentativo di rispondere. Sorrideva mentre il pavimento di specchi su cui il Rosso si stava muovendo iniziò a rompersi in mille pezzi. E il chunin ci provò, ci provò e ci riprovò…ma la sicurezza che aveva mostrato poc’anzi al primo tentativo alla “che vuoi che ci sia di difficile nel dire il tuo nome” si sbriciolò in un solo istante, quando quelle poche sillabe non riuscivano ad uscire dalla sua bocca, nemmeno riusciva a formularle nella sua testa! Divennero sguscianti peggio di anguille, e introvabili i kanji che lo componevano. Come se improvvisamente fossero stati cancellati, come se non esistessero più. E più ci pensava, peggio era: la sensazione diventava sempre più marcata, quel senso di intangibilità sempre più forte. Le sua labbra si muovevano a vuoto cercando di emettere un suono che non esisteva, che la sua mente non elaborava, cercando di comporre un nome che era stato totalmente eliminato dall’esistenza…almeno per lui. E quell’altro continuava a sorridere in quella maniera irritante. Non era la reazione di qualcuno stupito di una situazione, non era la reazione che aveva avuto lui, che aveva fatto un passo indietro stupito, impaurito, portandosi le mani alla bocca e sgranando gli occhi. No. Quello era il fare di chi sapeva tutto. Il marionettista. In altre parole la Voce.
La rabbia montò allo stesso passo della paura, soverchiandola, diventando indomabile e la voglia di strappare quel sorriso da mangiamerda dalla faccia dell’amico da cui si era travestito divenne bruciante.


TU! Con uno scatto gli fu addosso. Le mani strette sui lembi del kimono, lo spinse sul primo tronco d’albero disponibile con violenza e senza il minimo riguardo. Ma non c’era pietà nel suo sguardo, in quelle iridi verde chiaro bruciava l’inferno. Lo avrebbe costretto a parlare, lo avrebbe costretto a ridargli il suo compagno! Chiunque fosse non se la sarebbe cavata a buon mercato. RIDAMMELO! Ruggì. RIDAMMI ---! SI PUO’ SAPERE CHE CAZZO VUOI DA ME?!

 
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view post Posted on 2/10/2018, 22:18     +1   -1
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Come da copione, Kyōmei rispose piccato al nomignolo tendenzialmente femmineo che il bel castano decise di affibbiargli arbitrariamente. Una recita ben riuscita che aveva il sapore dolce del ricordo, esattamente (o quasi) com'era stato allora. Con un pizzico d'astuzia sia nel modo di porsi che nel rispondere a tono era riuscito a suscitare nuovamente la curiosità del compagno che, come una calamita dal polo opposto, aveva ceduto alla curiosità di conoscere lo sfrontato che aveva avuto l'ardire di cadergli addosso come un peso morto. Doveva essere piuttosto strano per lui assistere a quel cambio di rotta improvviso da parte del rosso, e nel tentativo forse di comprendere meglio il perché avesse deciso infine di restare pose quella domanda scanzonata e un po' ficcanaso a cui il rosso rispose con leggerezza, affiancandolo rapidamente e sventolando il libro che gli aveva restituito davanti agli occhi, come per avvalorare le sue affermazioni. Ovviamente non si limitò soltanto a soddisfare la prima curiosità del castano, ma un fiume di parole parve sgorgare dal profondo, svelando il motivo per il quale aveva fatto quella faccia da stralunato venuto da chissà quale altro mondo. Essere paragonato a quel damerino pomposo di Fuyu No Yuki sarebbe stato motivo di vanto per chiunque, ma con lui la storia era diversa. Non sopportava quel bastardo. Se la sentiva parecchio, guardava tutti dall'alto in basso e sfoggiava sempre pettinature e abiti che nemmeno una maiko, quasi a voler mostrare uno status. Dovette fare una smorfia. Poi il ragazzino al suo fianco prese a sorridere e lui non poté fare altro che sbuffare una mezza risata, partecipando al momento ilare con un certo distacco, accompagnando il tutto con un cenno affermativo del capo e un 'ah-ah'. Aveva capito, non c'era bisogno di aggiungere altro.
Arrivarono pure per lui le domande, ovviamente. Come l'aveva appena definito? 'Distratto'. -
Chi ti dice che non mi fossi accorto della tua presenza? - una domanda per risposta, un ribattere atto a insinuare il dubbio. Fu un'eco familiare, con quella punta di immancabile scetticismo che voleva sottendere un 'sapevo eccome che ci fossi'. - Stavo cercando un posto per disegnare, prima dell'appuntamento tra il mio osso sacro e il terriccio. - tagliò corto, senza né aggiungere né sottrarre troppo ai fatti così per come erano. Poi uno sguardo, enigmatico, come di chi fosse sorpreso della domanda posta a bruciapelo. 'Qual è il tuo nome?'. - Takumi..? - rispose con uno strano accento finale, che fece sembrare la risposta una domanda. Se ne stupì il rosso, tanto che chiese un po' confuso se lo stesse chiedendo proprio a lui. Abbassò il capo il castano, e la frangia gli coprì completamente gli occhi. - Si. Lo sto chiedendo proprio a te. - ribatté glaciale, arrestando il suo incedere e abbozzando un sorrisetto maligno. - Come mi chiamo? - chiese ancora una volta, quasi volesse sfidare apertamente il ragazzino dalla chioma fulva a ripetere il suo nome. E ci provò a ripeterlo. Ci provò con tutto se stesso, ma quel nome, per quanto si sforzasse non riusciva a lasciare la sua gola. E mentre i kanji del nome dell'amico gli sfuggivano, quella tetra voragine dentro al suo cuore s'allargò nuovamente, dolorosamente; la sensazione di qualcosa che manca, di qualcuno strappato dal suo posto, adesso era più che vivida.
Sorrideva il castano, osservandolo arrancare alla ricerca di quel qualcosa di mancante, assaporando il suo sgomento e la collera che inesorabile parve montare, cambiandogli l'espressione del bel volto. Oh. Era davvero adorabile. Non mosse un muscolo nel momento dello scatto del rosso, che lo afferrò per i lembi del kimono e lo sbatté contro il tronco di un albero li vicino, intimandogli di ridargli indietro il compagno perduto. Era determinato, e il fuoco che bruciava nelle sue iridi era lo stesso di quello che avrebbe animato un animale in trappola. Se la rise, sguaiatamente, di gusto. Quel castano aveva chiuso gli occhi e stava deridendolo, come se la sua rabbia fosse uno spettacolo impagabilmente divertente. Ma quando li riaprì, quegli occhi smeraldo erano divenuti selvatici, cremisi, e la Voce che l'aveva tormentato in sogno si palesò, amalgamata a quella flautata del ragazzo. -
« Ridartelo? Sei stato tu stesso a non dargli importanza e adesso lo rivuoi indietro? Certo che voi umani siete davvero incoerenti.. » - rigirò il coltello nella piaga, afferrandogli entrambe le mani per i polsi, stringendo, snudando i denti in un sorriso ferino. - « Come ci si sente, Yu? Ad essere prigionieri.. a perdere le speranze..? » - continuò, allontanandogli di forza le braccia. - « Smettila di girare in tondo e arriva al nocciolo della questione! Affronta le conseguenze delle tue scelte, palesati dinnanzi al fulcro del tuo dolore e dimostrami cosa significa per te 'avere le palle'. Solo allora, forse, ti darò indietro questo ragazzo. » - disse maligno, un po' iracondo, senz'altro divertito. Un gioco folle, una prigionia tremenda; ad aspettare il rosso era un tour verso l'inferno della sua anima, con la vana speranza di riprendersi quanto aveva scartato per tornare ad essere completo, per riempire quel vuoto che lo stava uccidendo. E ad aggiungere carne al fuoco, gli arrivò un pugno dal falso amico, prima che questi sparisse come lo sfarfallio visivo del calore all'orizzonte e lasciasse dietro di sé soltanto il taccuino, il pastello e il suo odore, come monito per il rosso.

 
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view post Posted on 4/10/2018, 20:26     +1   -1
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Fu come l’aprirsi di una voragine lungo una crepa nata precedentemente e rimarginata solo in apparenza. Un vuoto che inghiottì ciò che aveva intorno come un vortice, risucchiandolo nel nulla di cui era formato, divorandolo, sradicandolo con violenza fino a lasciare solamente un buco…il posto che un tempo era appartenuto a qualcosa. Un segno percepibile, quasi come una ferita o una cicatrice, la consapevolezza di aver perso una parte importante di sé e di sapere perfettamente di cosa si trattasse. Era tremendo. In un certo senso, Yu si sentiva colpito nel profondo, violato nella sua sfera più intima e nemmeno la rabbia che provava verso quella creatura - chiunque esso fosse - che aveva osato toccare uno dei suoi legami più importanti, riusciva ad anestetizzare completamente quella tetra sensazione di privazione. Perdere totalmente la memoria, circa quanto riguardava Takumi, non sarebbe stato altrettanto penoso. Non si sarebbe ricordato di lui, non si sarebbe ricordato nemmeno di averlo conosciuto e, quindi, non ne avrebbe sofferto. Probabilmente la sua mente avrebbe sostituito i vuoti con qualcosa, falso o vero che fosse, ma lui non se ne sarebbe reso nemmeno conto perché non cosciente di aver perso qualcosa di importante. Invece in quel modo, lasciandogli totalmente coscienza della persona che aveva perso, lasciandogli la memoria del suo volto, di ciò che avevano vissuto assieme, delle cazzate, i momenti seri, tutto…ecco, così faceva male. Non riusciva a pronunciare il nome di quella persona, non riusciva nemmeno ad afferrarlo con la mente sentendolo ripetere da quel falso che aveva tra le mani! Niente! Era come se fosse stato tagliato via dai vocaboli presenti nel suo vocabolario personale, cancellato, eliminato, strappato via rudemente e senza pietà. E sapere di essere finito a quel punto per le scelte che aveva compiuto con le sue stesse mani, non era di certo d’aiuto. Erano state ponderate e giustificate, certo. Non aveva idea di cosa stesse facendo per un buon 90%, eppure non poteva non chiedersi se magari avrebbe dovuto pensarci di più, se magari avrebbe potuto collegare quello strumento a Takumi anche solo avendolo visto di sfuggita a casa sua…Ma nonostante si rispondesse che no, non avrebbe mai collegato l’erhu al castano, non riusciva a non darsi parzialmente la colpa. Quel vuoto che sentiva nel petto, quella voragine, in parte l’aveva scavata con le sue stesse mani. Ed era questo che, forse, lo faceva infervorare tanto: la consapevolezza di essere stato ingannato, di essere stato posto di fronte a delle scelte che, vuoi o non vuoi, probabilmente lo avrebbero portato a perdere qualcosa di importante in ogni caso! Com’era che finiva sempre col farsi strappare dalle mani le persone a lui più care? Il prossimo chi sarebbe stato, dopo Kai e Takumi? Urako? Shi? Nuru, magari? Possibile che non avesse ancora imparato la lezione dopo la storia del rapimento dello Yuki? Davvero, non riusciva a crederci…si era fatto fregare di nuovo, anche se in questo caso il tutto era stato molto più subdolo. Tuttavia la differenza non era poi molta: quando aveva scoperto che suo fratello era tenuto prigioniero chissà dove, aveva vissuto ogni istante col terrore di poterlo perdere completamente, che quel filo sottile di speranza che lo teneva ancora legato a lui si spezzasse in maniera netta e definitiva da un momento all’altro; ora con Takumi non riusciva a pronunciare, né formulare, né elaborare il suo nome e basta.., ma nessuno garantiva che le cose non avrebbero potuto peggiorare. Quel vuoto tetro che sentiva dentro di sè non poteva essere dovuto solamente alla mancanza di una parola. E sì, aveva paura. Aveva paura di scordarsi dell’amico del tutto senza nemmeno rendersene conto, perdendo tutte le esperienze fatte senza battere ciglio. Il solo pensiero lo atterriva, stringendogli lo stomaco in una morsa di gelo tagliente. Si sentiva in trappola, di nuovo. Dipendente dal volere di qualcuno che non conosceva e che aveva il totale controllo della situazione, al contrario suo. Sentirlo ridere in quella maniera sguaiata non aiutò minimamente a fargli riprendere le staffe, anzi. Se possibile lo irritò ulteriormente. Una risata sgradevole, che mal si accompagnava al volto del castano, sebbene avesse chiuso gli occhi durante gli spasmi.

Ti auguro di strozzartici con quella risata, stronzo.

Eppure, sebbene la voce flautata di Takumi fungesse da maschera a quel fare smargiasso e derisorio, il Rosso aveva l’impressione di aver già avuto a che fare con quel tizio. Era terribilmente familiare, in un modo fin troppo chiaro per essere soltanto un’impressione volante. Sentore, il suo, che ebbe ulteriore conferma nel momento in cui i due occhi del falso compagno si aprirono su due iridi rosse come il sangue, in cui si aprivano due pupille verticali e selvatiche. Lo sguardo del Chunin si sgranò e la rabbia ebbe un momento di calo, causato dallo stupore e dal ricongiungersi di alcuni pezzi lasciati per strada. La voce che lo aveva blandito nell’oscurità di quella piattaforma di ghiaccio galleggiante e che gli era sembrata tanto familiare, finalmente ritrovò un volto…anzi, un muso. Un muso ghignante, su cui campeggiava una chiostra di denti affilati e due pozzi che guardavano dritti all’inferno: Kurama.
Yu, non fece nemmeno in tempo a farsi due domande che il Bijuu non mancò di pungerlo sul vivo, andando a gettare sale sulla ferita appena aperta e da lui stesso causata. Lui, che per qualche ragione, chiara solo ad Amaterasu - forse - si era travestito da una delle creature che più odiava pur di mettere in piedi quella messinscena. Lui, che aveva bellamente ignorato la sua domanda solo per vedergli nascere in volto quell’espressione incazzata che infiammava i fondali di quelle due pozze altrimenti calme come l’acqua.


Chiudi quella fogna! Gli inveì contro a pochissima distanza dal viso, stringendo forte la stoffa dell’haori con le mani, troppa la rabbia per fare due conti circa cosa potesse realmente fare chi si nascondeva dietro quella pelle chiara. Sai benissimo che non è vero! Non potevo saperlo!

Un sorriso maligno di aprì sul viso del castano, mettendo in mostra dei denti ferini mentre, avvicinandosi a sua volta, afferrava i polsi di Yu saldamente sibilando parole pregne di quel rancore millenario che il Rosso già conosceva, prima di slanciarlo indietro, allontanandolo da sé con forza e senza la minima difficoltà. Il Chunin barcollò per mantenere l’equilibrio, piantando bene i piedi a terra così come piantata era la sua decisione di riprendersi ciò che gli era stato tolto. Si sbagliava quella Volpe se pensava di poter fare il bello e il cattivo tempo con ciò che gli apparteneva di diritto. E si sbagliava doppiamente se pensava che perdesse la speranza così facilmente. Quello magari era lui, non Yu di certo. Aveva paura, questo era indubbio, era confuso, altro fatto altrettanto certo, era incazzato come una iena pure, ma non per questo si sarebbe arreso così su due piedi. Non capiva francamente che cosa avesse in mente il Bijuu, ma se pensava di annullarlo piano piano per poter prendere il controllo del suo corpo e fare quanto gli aveva preannunciato, beh aveva preso un granchio bello grosso.

Ti piacerebbe, eh? Che avessi perso le speranze. Disse feroce, prima di riprendere il discorso precedente. Non mi hai ancora risposto.

Invito inutile il suo, in quanto non ci volle nessun appello perché la Volpe gli sputasse addosso le sue parole irose, maligne e sadicamente divertite. Ma sarebbe servito, magari, per chiedere un po’ di chiarezza. Il discorso del demone in un primo momento gli parve sconclusionato, incoerente col ruolo che, in teoria, quella creatura avrebbe dovuto avere e difficile da leggere. Insomma, perché mai avrebbe dovuto dimostrare a lui di avere le palle? Non gli pareva proprio di dovergli rendere conto di nulla, tanto più che l’unica cosa che pensò fu che, quell’espressione che aveva usato all’interno della statua, doveva averlo colpito parecchio sul vivo visto che era già la seconda volta che gliela rigirava contro. L’unica cosa che gli diede una scossa fu la frase di chiusura. “Forse” diceva lui. Lo aveva imprigionato in quel luogo fatto di mondi distorti, creati dalle sue scelte, facendogli subire le conseguenze scaturite dalle stesse, rubandogli uno degli amici più cari che avesse e se ne uscita con un “Forse ti darò indietro questo ragazzo”?! Col cazzo! Glielo avrebbe ridato indietro eccome! E se si fosse azzardato a negarglielo per capriccio, se lo sarebbe ripreso con la forza. Non gli avrebbe permesso di tenerlo lì sul palmo della sua zampa come una marionetta. Voleva una dimostrazione? Voleva che affrontasse ciò che più lo aveva ferito in vita sua? Ebbene lo avrebbe fatto, ma a quel punto poi avrebbe preteso di riavere indietro lo scotto. Altro che forse.

EHI! Come sarebbe a dir..-outch! Si allungo di nuovo verso di lui, con l’intento di prenderlo nuovamente per le vesti, ma Kurama fu più veloce. Gli tirò un pugno sulla mascella che gli girò il viso dall’altra parte e lo fece finire col culo per terra. Tempo di riprendersi dalla botta e dalla rintronata notevole, e sotto gli occhi di Yu la figura del suo amico si dissolse come un miraggio nel deserto. Lasciandolo lì come un cretino, seduto sulle foglie secche con le mani a stringerle spasmodicamente, prima che quella rabbia uscisse completamente fuori in un grido di collera e impotenza. KURAMAAAAAAAA! Si alzò ancora furioso, guardandosi attorno ben sapendo che non l’avrebbe trovato lì in bella vista. Ti troverò e ti costringerò a ridarmelo indietro! Puoi scommetterci! Passò la mano ad asciugare un rivolo di sangue che gli era colato sul mento, andando poi a raccogliere con la lingua quello che era rimasto in bocca e sputarlo a terra. Sì, puoi scommetterci.

Quell’ultimo sibilo, pronunciato quasi più a sé stesso che ad altri, portò con sé tutta l’ostentata sicurezza che aveva avuto. Alimentato da una rabbia ormai in gran parte sfogata, Yu iniziò a vedere le cose per come stavano. Era prigioniero. Prigioniero della Volpe. E per quanto potesse dire a sé stesso che si sarebbe ripreso Takumi con la forza, beh…era chiaro che non sarebbe riuscito a farlo a quel modo. L’Enneacoda non era avversario per lui, anche se dilaniato, e sperare di uscire da quel gioco senza soddisfare le bizzarre richieste del Bijuu probabilmente sarebbe stato impossibile se voleva riprendersi l’amico. Non ci fosse stato lui di mezzo, magari avrebbe anche potuto impuntarsi, ignorare bellamente le richieste e le minacce della Volpe - col rischio di restare per sempre in quel dannato limbo - solo per il puro orgoglio di non voler dargli l’idea di averlo totalmente sotto controllo. Ma sarebbe stata un’illusione in ogni caso. Quegli strani mondi bizzarri erano opera sua. Era lui a tenerlo imprigionato lì. Se non si fosse convinto di…boh, non lo sapeva nemmeno lui di cosa, beh in ogni caso, se non si fosse convinto non ne sarebbe uscito più. Anzi, forse uno Yu ne sarebbe uscito, ma di certo non lui.
Era una situazione di merda.
Non c’era via d’uscita se non quella di dare retta alla Volpe…Il che poteva sembrare idiota, perché dare retta al proprio aguzzino era un po’ come darsi la zappa sui piedi, ma non poteva rischiare di perdere Takumi. Non voleva. Il suo odore era rimasto ad aleggiare attorno a lui, quasi come un monito, quasi a mantenere fresca la ferita inferta. E effettivamente faceva male, faceva molto male se unito al vuoto che avvertiva nel petto. Ma da un certo punto di vista era anche una presenza che non gli dispiaceva. L’odore del castano aveva da sempre il potere di tranquillizzarlo. Che fosse rimasto lì, proprio in quel momento, fu di grande aiuto al cuore in tumulto del Rosso, così come alla sua mente. Gli occhi gli caddero sugli oggetti che il falso Takumi si era lasciato indietro: il pastello rosso e il suo taccuino. L’impulso di avvicinarsi e raccogliere il contenitore in cuoio coi disegni del più grande era forte…anche solo per avere un ricordo dell’amico da portarsi dietro. Un’ancora di disperata salvezza nel caso avesse perso qualcos’altro. Ma la consapevolezza che toccare quegli oggetti lo avrebbe potuto far saltare altrove lo bloccò dal farlo.


Ha detto di smetterla di girare in tondo e di andare al fulcro del mio dolore.
Questo può solo significare che continuare a saltare da un mondo all’altro non mi aiuterà…e che, se voglio sperare di ottenere qualcosa, dovrò rivedere quelle persone.


Lo aveva pensato lui stesso infondo, no? Al momento della scelta. L’allora solo Voce aveva detto che doveva avere coraggio e Yu aveva pensato che, se era quello lo scopo della scelta, allora avrebbe dovuto fare sua la bolla con il kiseru, in quanto rappresentava un periodo della sua vita che potendo avrebbe volentieri lasciato rinchiuso nei meandri della sua memoria per sempre. Affrontare di nuovo i suoi genitori, ritrovarseli di nuovo davanti, soprattutto suo padre, quello era avere le palle. Andare volontariamente incontro a una cosa che lo aveva ferito in passato in maniera così profonda, tanto da avere ripercussioni significative sul suo modo di vivere degli anni immediatamente seguenti. Bruciava ancora.
E, ora, quella era l’unica porta che gli veniva concessa. L’unica porta lecita. Sorrise amaramente tra sé, non era tornato in quel luogo una sola volta dopo averlo lasciato anni or sono, come non era mai andato alla tomba dei suoi genitori. Ci voleva una Volpe dalle idee strambe per convincerlo a farlo. Già…Il fatto era che quel demone aveva per le mani la leva giusta: Yu non poteva tirarsi indietro, non voleva perdere Takumi e, tanto meno, voleva darla vinta a quel Bijuu! Voleva fare a chi ce l’aveva più duro? Bene! Non si sarebbe tirato indietro. Per quanto ciò che stava per fare lo angustiasse, se era quanto serviva per mettere fine a quella prigione e ai suoi tormenti, non si sarebbe fatto spaventare solo dal pensiero. Farsi schiacciare senza nemmeno combattere non era nel suo stile, d’altronde. Quindi, ormai deciso sul da farsi - benchè non lo fosse su cosa aspettarsi - Yu si mise in marcia verso i luoghi della sua infanzia. Uscito dal parco, avrebbe seguito la direzione della costa, laddove l’antico faro del clan a cui non apparteneva, si stagliava alto nel cielo caliginoso della Nebbia. Il quartiere Hōzuki.

 
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view post Posted on 6/10/2018, 22:48     +1   -1
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Cieca collera e profonda frustrazione erano i sentimenti che s'agitavano nel cuore in tumulto del rosso, adesso che aveva avuto un assaggio della cruda verità. Avevano cominciato a girare le carte e la mano migliore l'aveva senza dubbio Kurama, che aveva deciso di palesarsi al suo sfortunato avversario con l'aspetto per lui più improbabile e possibilmente doloroso che conoscesse. Quell'umano spavaldo di cui si stava servendo lo conosceva pure lui, in fin dei conti; aveva imparato a non sopportarlo proprio quando nella sua massima crudeltà questi gli aveva sbattuto in faccia veleno, rigirando in profondità la punta del coltello in una ferita assai profonda, scavata nei secoli e non ancora cicatrizzata. L'avesse avuto davvero davanti al muso probabilmente non gli avrebbe riservato un trattamento migliore di quello che gli stava infliggendo in quel mondo di memorie, ma per Yu era ben diverso il discorso. Quella sua reazione parlava chiaro su quanto tenesse a quello sbruffoncello di bell'aspetto, e sapendolo a priori in quanto ospite del suo stesso corpo ne aveva sfruttato subdolamente le debolezze per tentare di metterlo in ginocchio, di fargli provare un po' di quella medicina che gli umani avevano somministrato a lui. 'Io sono te e tu sei me'. E chi meglio di se stessi può comprendere quanto male possa fare una mancanza di quel genere? Tradimento, vuoto, prigionia. Chiunque in quello stato avrebbe gettato la spugna, buttando alle ortiche qualsiasi cosa pur di riavere indietro quello che aveva perduto; chiunque ma non il rosso. E glie lo urlò con quanto fiato aveva nei polmoni, che volente o nolente l'avrebbe trovato e che lo avrebbe costretto a ridargli indietro il compagno che sin da quel lontano giorno al parco era stato una costante per lui, un supporto notevole nei momenti più bui, una stella nell'ombra. Quel ragazzino era testardo come un mulo. Ma aveva davanti a sé una prova ben più ardua di quanto avesse creduto, perché ogni passo falso avrebbe significato ampliare quel vuoto che percepiva dentro, perdendo parti di se stesso lungo la strada. Doveva appigliarsi a qualsiasi cosa per resistere e affrontare il nocciolo della questione. Non un'impresa semplice, specie considerando che quel fulcro non poteva che essere l'origine del suo dolore. Avrebbe avuto le palle per affrontarlo a testa alta?
Il piacevole odore emanato dalla pelle del castano aleggiava ancora, nonostante Kurama l'avesse portato chissà dove. Era tutto attorno a lui, sulle sue vesti, nelle sue mani.. nei suoi ricordi. Ricordava ancora l'aspetto del compagno, il sorriso sornione, il timbro della sua voce e quello che aveva fatto per lui. Buon segno? Forse. Non poteva sapere sino a quando avrebbe ricordato, ma nonostante il pensiero gli avesse solleticato la mente non poteva prendere il taccuino dei disegni per tenere vivo quel ricordo. Era troppo rischioso. L'aroma che percepiva come monito di quello che stava perdendo lungo la strada era però anche una specie di conforto, in una qualche maniera; sembrava quasi che il castano gli sussurrasse con quel solito fare equivoco un semplice 'sono ancora qua'. Quella trovata da parte del demone di lasciare qualche briciola sparsa ebbe dunque non soltanto l'effetto di rimembrargli costantemente il dolore che adesso provava all'altezza del petto, ma anche e soprattutto quello di dargli una speranza, seppur misera, che gli permise di calmarsi e ragionare in maniera decisamente più lucida. E fu allora che decise di accogliere la sfida della volpe a nove code, nonostante la paura di quello che avrebbe dovuto affrontare lo stesse mangiando vivo. Ma che scelta aveva? Doveva assolutamente riprendersi ciò che aveva perduto, ricordare in fretta quel nome per non dimenticarlo mai più e poi uscire da quell'incubo imbastito per lui. Non l'avrebbe data facilmente vinta al demone, perché non era mai stato tipo da gettare la spugna alla prima difficoltà. Piuttosto avrebbe sofferto come un cane, ma mai gli avrebbe dato il sazio di dire 'si, ho vinto la scommessa'.

Raggiunse il quartiere Hōzuki costeggiando il mare, mettendo un passo dopo l'altro con sempre maggior coraggio, guidato quasi inconsapevolmente dalla fioca luce intermittente dell'antico faro in grado di fendere le nebbie per tuffarsi nel mare. Quello era il luogo in cui era nato e cresciuto assieme ai suoi genitori, per otto lunghi anni; un posto pregno di ricordi e sofferenza. Da quanto non ci metteva piede? Erano passati troppi anni da allora e aveva ripromesso a se stesso che non sarebbe mai più tornato in quel lagunoso teatro, eppure adesso vi era costretto dalle circostanze ad immergervisi nuovamente. Nulla era cambiato, o almeno non troppo. Le abitazioni costruite sul mare erano sempre ben tenute per quanto la salsedine e le alghe permettessero, specie nei periodi di alta marea; il grande faro era invece sempre ridotto allo stesso modo e costantemente gli uomini o i ragazzi che dovevano farsi le ossa andavano scrostando lo scrostabile per mantenere un minimo di decoro esterno. Dopotutto ci vivevano dentro quella catapecchia soffocante.
Non ci volle molto affinché raggiungesse l'abitazione che lo aveva visto crescere, e fu un tuffo nel cuore. Era ben tenuta esternamente, ma non c'era nulla. Era vuota, come vuoti erano i suoi ricordi di quel periodo. Non ricordava molto, se non la pozza di sangue sul pavimento e le voci ovattate di chi aveva brutalmente ucciso i suoi genitori. Quelli erano ricordi di un bambino che non c'era più, che era cambiato a causa di quegli e altri eventi. Cosa fare? Attendere? Entrare? Forzare la porta? Cosa avrebbe trovato al suo interno? Domande che sicuramente si prendevano a cazzotti nella sua mente costellata di pensieri, ma che furono per il momento soppiantate da una voce alle sue spalle. Era una voce anziana. -
Sei interessato a quella casa, giovanotto? Non te la consiglio mica, sai? Girano brutte storie sulla famiglia che vi ha abitato l'ultima volta e nessuno ha più avuto il coraggio di comprarla. - si avvicinò con fatica al ragazzo dalla chioma fulva, l'anziana signora appoggiata a un bastone nodoso per mantenere l'equilibrio. Portava un cesto con sé, probabilmente segno che stesse tornando a casa dopo delle compere e si fosse incuriosita a vedere quel bel giovane tutto solo a rimirare una casa abbandonata. - Sei un Hōzuki figliolo? Stai per lasciare il dormitorio per farti una famiglia? Se hai bisogno di aiuto, non hai che da chiederlo! - pettegola, chiacchierona, come tutte le vecchiette sole alla ricerca di storie per continuare a vivere e essere parte stessa della vita prima dell'ultima fermata.

 
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