| La battuta di caccia avrebbe avuto inizio alle prime luci dell'alba. Partirono a notte inoltrata per raggiungere il monte - e, quando venne a conoscenza della cosa, gli sorse il dubbio che quel monte non fosse proprio lo stesso veduto qualche giorno prima, in mezzo al deserto, e osservato da chilometri e chilometri di distanza, per giorni e giorni di marcia. Forse, ben riposato e con una guida affidabile, qualche ora di marcia sarebbe bastata a raggiungerlo. O forse, più semplicemente, volevano portarlo in un luogo appartato, fargli abbassare la guardia, rintontirlo con le manfrine di fratellanza e comunità, e proprio a quel punto sgozzarlo per privarlo di ogni cosa. Non che avesse molto appresso, ma una buona spada, una lancia esotica e ben lavorata, un bel giaccone nero e morbido, insomma, aveva cose possibilmente interessanti per una comunità di miserabili - nel senso meno morale del termine. Già. Benchè si sforzasse di tenere alto quel sentore di sospetto, che da sempre lo accompagnava, specialmente negli ultimi tre anni, non riusciva a vedere in loro, nei loro gesti, nei loro sorrisi, nella loro calda ospitalità - se si escludeva quel tipo ovviamente... come cazzo si chiamava? Comunque, escluso lui... non sapeva cosa pensare. Gli Homura erano stati ospitali con lui solo per poterlo sfruttare nelle trame del loro Ordine di fanatici - cosa che, a un'anima pura come Setsuna e a un ingenuo idealista come Arashi Uchiha, poteva anche andar bene, qualora fosse stata utile a salvare delle preziose vite umane; ma per lui, che riteneva la vita umana in sè, come fenomeno generale, un fenomeno piuttosto sopravvalutato, ecco per lui avrebbero potuto bellamente farsi fottere, loro e i loro figli - salvo, Himistu magari. L'unica vittima inconsapevole degli eventi. Davvero, semplicemente, degli eventi? Non ci pensava da molto. La montagna si intravvedeva in lontananza, nel buio azzurrognolo prima dell'alba. Doveva essere davvero lei, immensa come una fortezza costruita da giganti. Non bastò a togliersi dalla testa quel pensiero. Gli ultimi eventi, altrettanto se non più intensi e gravosi, glielo avevano fatto rimuovere quasi del tutto. Era davvero stata colpa sua? Era davvero stato lui a ucciderla? Ci pensò a lungo. Poi sbuffò e scosse la testa. Possibile, ma sicuramente in modo indiretto. Non era stata assolutamente sua intenzione. Aveva un obiettivo da seguire. Ci ha rimesso qualche innocente. Che cosa poteva farci? Era come aveva detto a Setsuna, poco dopo: Alcuni alberi prosperano rigogliosi, altri vengono colpiti dai fulmini. Alcuni capi di bestiame crescono forti, altri vengono abbattuti dai lupi. Alcuni uomini nascono abbastanza ricchi e abbastanza stupidi da vivere la loro vita senza alcun affanno, senza pensieri del genere a turbarli. Niente è giusto a questo mondo, raramente qualcuno ha ciò che merita.
Esatto. Nessuno ha ciò che merita.
Valeva per lei, valeva per lui, valeva per Himitsu. I meriti non c'entrano con queste storie. Non c'entrano mai.
Alle prime luci dell'alba, l'ombra di un'aquila che aveva spiccato il volo da quelle fortezze scoscese e inaccessibili per chiunque altro attraversò le loro come un flusso di piombo fuso tra vasi comunicanti privi di contorno, e lui alzò la testa per seguirne il volo finchè si perse in quel vuoto freddo, azzurro e perfetto. Si arrampicarono tra cespugli spinosi e piccole palme, poi passarono un valico nei pressi di un grande dattero e proseguirono fra le rocce scoscese.
La mesa che avevano raggiunto si affacciava su tutto il territorio a nord. A oriente il sole sorgeva in un olocausto abbagliante dal quale si levavano i primi uccelli del mattino, e a metà strada il letto vitreo di un fiumiciattolo sprizzava piccole faville da quell'astro nascente. La polvere del deserto all'orizzonte soffiava nel vuoto come l'orma di un esercito in fuga, e a occidente un branco di cervi avanzava verso oriente come a cercare quella luce, incalzati da un branco di lupi dello stesso colore del deserto. "C'è nessuno lì?" La voce di Chana lo riscosse. "Capisco che è un bel panorama, ma se vuoi essermi d'aiuto in questa caccia dovresti darti una mossa." "Scusami, volevo solo darti un po' di vantaggio." Lei socchiuse gli occhi e gli diede una leggera spinta, mentre lui estraeva la lancia dando le spalle al deserto. "Ah, davvero? Sta attento però, che rischierei di colpire te o Moshè." "Qualora non fosse quello il tuo obiettivo sì, credo proprio dovrei stare attento." Un sibilo alla sua sinistra, come di un oggetto vibrante a gran velocità; non fece in tempo a capacitarsi dell'accaduto, quando vide la lancia piantata sul terreno a qualche decina di metri di distanza ancora roteante sul suo asse. Chana era già scattata in avanti e lui la seguì a passo più lento, ancora stranito. "Parli troppo secondo me." Quando la raggiunse, sul suo volto era impresso il marchio di una soffuso soddisfazione, mentre gli indicava una lepre di montagna morta sul colpo. "Parli, e non osservi il mondo che ti circonda." Questa era buona detta a lui, pensò. Ma, effettivamente, non sapeva cosa rispondere. Era stato messo fuorigioco, sotto ogni punto di vista: non poteva far altro che osservare la lepre con una faccia di sasso, e non di un sasso qualsiasi, ma di un sasso a forma di faccia incredula. " - Sì, forse un po' ci sai fare." "Un buon cacciatore deve sfruttare tutte le sue capacità tranne la voce. Come hai fatto a sopravvivere nel deserto?" lo provocò, alzando un sopracciglio per poi incamminarsi nella sterpaglia. Sorrise. " - Già, me lo chiedo anch'io."
Sparse sulla mesa, le sterpaglie secche ondeggiavano al vento come una lunga eco, tramandata dalla terra, di lance e aste intrecciate e agitate in antiche battaglie ormai dimenticate dall'uomo. Chana era sdraiata sotto un frassino, l'unica tipologia di alberi degni di questo nome che sembravano crescere nell'habitat ostile e disgraziato di quella montagna gigantesca. Era sicuramente una ragazza che sapeva come badare a se stessa, al di là delle prime impressioni che aveva avuto - forse, macchiate anche della sua naturale e spontanea sufficienza. Come spesso gli era accaduto, doveva darsene atto. Con Urako, con Jurobei, con la ragazza della locanda, con Arashi Uchiha, con Raion Kamata. "Una lista piuttosto lunga, mio caro" si disse sorridendo, poi distolse lo sguardo e tornò a osservare l'altopiano. Non passo molto tempo, che quell'uomo venuto a portare lì il gregge al pascolo lo intimò di seguirlo. Un agnello si stava allontanando eccessivamente dal gregge. "Ma tu guarda un po', mi sono messo a fare il pastore alla fine." Mentre seguivano l'agnello che sgattaiolava agile e spigliato tra le rocce, ci pensò un po'. Su quanto stesse facendo. Su quanto avesse perduto. E sul perchè, ancora stesse combattendo. " - Una vita tranquilla. In fondo... non è poi così male." Lo riscossero le parole dell'uomo. Non sapeva cosa pensare di lui, nè come interpretare certi suoi atteggiamenti - il modo in cui lo guardava, il modo in cui gli sorrideva, tutto gli sembrava nel tremolante confine dei domini dell'ambiguità - e quindi, barriere del sospetto massime, e pronti a ogni evenienza. "È l'effetto che fanno i nuovi arrivati. È una ragazza in gamba, conoscendomi meglio cambierà idea." Quando l'uomo, Moshè gli sembrava di ricordare adesso, si mise a ridere si unì anche lui, sollevato che una certa tensione fosse stata esorcizzata per il momento. "Perché dici questo?" Fece spallucce. "Per ora vede il fascino dello straniero misterioso e derelitto. Da tutti dimenticato. L'unica cosa che so fare è portare questa spada, e neanche poi così bene. Non credo di essere poi così interessante, a lungo andare." "Non dovresti sottovalutarti così, ragazzo." Si prese una pausa, come se si apprestasse a dire qualcosa di focale. "Sarò franco. Sono ancora indeciso sul fidarmi o meno di te. Non fraintendermi, non sono prevenuto come Lea nei confronti degli stranieri... ma al tempo stesso, sono più attento di Nechama, il cui sospetto è andato scemando nel corso degli anni. Come potrai capire, tengo solo all'incolumità della mia gente e della mia famiglia. Quindi, ti chiedo: chi sei davvero?" Eccoci. Ci siamo. Non lo sorprese più di tanto una presa di posizione di quel tipo, già da tempo nell'aria. Era ostile? Non sembrava. Era potenzialmente ostile? Chi cazzo poteva dirlo. Avrebbe potuto reggere uno scontro con lui? Forse sì. Forse no. Forse vaffanculo. Doveva solo restare tranquillo al momento, rilassato, ciondolante ma con le orecchi dritte sulla testa, pronto a cogliere il minimo segnale. "Mi ricorda una conversazione avuta un po' di tempo fa con una persona." Ci pensò e sorrise. "Le dissi che è difficile capire chi sei se non sai dove sei - " Già, e quel ricordo lo riportò del tutto con i piedi per terra. Vita tranquilla? Certo, insieme ai dragoni fatati e agli unicorni volanti. Non esiste alcuna vita tranquilla a questo mondo. E' un'illusione. Calda e seducente, certo, ma sempre illusione rimane. Dovunque si vada, l'unico posto che ci attende... è sempre un campo di battaglia. "Ma comunque -" e scosse la testa: " - Io sono da più di una settimana in viaggio nel deserto. Pensavo glielo avessero detto. E se è dell'incolumità della sua gente che si preoccupa, può star certo che non è mia intenzione far loro del male, anzi. Fintanto che si rispetta me, fintanto che non devo temere per la mia incolumità, non sarò in alcun modo una minaccia per voi." "Avanti brutto bifolco, vedi di non fare scherzi. Cazzo, stava andando tutto troppo bene in effetti." "Non ti reputo una minaccia per noi. Noi sei uno di loro. Non sei un khafir, né tanto meno un voryer. Altrimenti avrei colto la tua reazione nel sentire il mio nome, malgrado la tua giovane età." Ancora quei nomi, di cui non aveva trovato una sola traccia ad Abducalsar. Maledizione. Da quel punto di vista, la sua missione era ben lontana dal compiersi, e quella sosta nella comunità degli Yhudim - benchè propizia viste le sue condizioni - non poteva far altro al momento che rallentare la sua tabella di marcia. "Tuttavia, rimani un incognita. So che hai vagato nel deserto, ma perché sei qui? Chi ti ha assoldato? Quanto ti paga? Perché ti paga?" Le sue ultime parole lo fecero sorridere. "Sembrate molto diverso dagli altri. Più pragmatico in un certo senso. Paghe, assoldare. Insomma, non sembrano parole di un uomo cresciuto nella miseria." Doveva darsi una mossa. Darsi da fare. Vedere se avrebbe potuto cavare qualcosa circa i suoi bersagli, qualche informazione di una qualche utilità. "Questo perché non sono un uomo cresciuto nella miseria." Meraviglioso, si disse. Quel Moshé poteva rivelarsi più interessante del previsto. Socchiuse gli occhi indagatore, inclinando la testa leggermente sulla spalla destra. "- Capisco." Ci pensò un po'. Se voleva che lui si scoprisse, che fosse collaborativo, si disse, avrebbe necessariamente dovuto esserlo anche lui. Almeno un po'. "Io non sono colui che sono. Si potrebbe dire così. Per lei, quanto per me. La missione per cui vagavo nel deserto non è ancora terminata. Ho ancora qualche possibilità di portarla a termine. Ho omesso dei dettagli su di me, ma state pur certo che è stato fatto solo per proteggere la sua comunità. Se questo vi ha offeso... spero di potervi ben ripagare del torto subito, qualora riuscissi a sopravvivere." Una paga bella sostanziosa, visto che, con ogni probabilità, i suoi obiettivi dovevano centrare qualcosa con la nazione si Sakyu. I gatti tendono ad andare dove la terra prospera, non poteva essere un caso quello. Due gatti dell'eremo così abili e perspicaci non avrebbero potuto farsi sfuggire un'occasione del genere. Lo vide sorridergli beffardo. "A questo punto, Fumetsu, la domanda è d'obbligo. Chi, tra i membri della stirpe di Neferkaura?" Cazzo, quella domanda si che lo stupì, con buona pace della dissimulazione. Come aveva fatto a intuirlo? Non doveva pensarci eccessivamente, doveva ricomporsi. " - Sa niente di Ubaste e Baset?" Ecco però quello stesso stupore sul volto dell'uomo, forse anche peggiore. "Come puoi conoscere i loro nomi?" Almeno, sperava peggiore - più stupito di così voleva dire che era a pochi passi da un principio di infarto. Lo vide scuotere la testa, e poi riprenderea parlare "Sono i consiglieri del Tyrant. E non solo. Da prima che io abbia memoria, di fatto hanno condiviso il potere temporale e spirituale sulla nazione di Sakyu. Non li ho mai visti di persona... nemmeno quando ero a corte, mai hanno voluto concedermi udienza." Hai capito i due micetti, si disse. Avevano fatto carriera. Forse era su di loro e sulle tecniche e i segreti trafugati che Sakyu aveva fondato il suo potere. Possibile. Non certo ovviamente, con quanto aveva in mano. "Come mai lei era a corte, se posso chiedervelo?" Vide Moshè stringere con più forza il bastone, come se nel riflesso dei suoi occhi albergasse un qualcosa di spiacevole, se non addirittura doloroso. "Per ventitré anni sono stato il figlio adottivo del Tyrant, fratellastro del suo naturale primogenito, Userkaura." Moshé abbassò lo sguardo. "Sono cresciuto fino ad allora all'ombra della verità. Soltanto durante la ribellione, ho scoperto chi fossi davvero... la mia vera madre, che non ho mai conosciuto, mi lasciò dentro una cesta in balia del fiume Yeor, durante l'anno del genocidio dei neonati. Per puro caso, giunsi nei pressi del tempio ch'era la dimora di Neferkaura. Venni raccolto da sua moglie, Safiya, che mi accettò come suo figlio. Fu lei a darmi il nome di Moshè, che nella lingua degli Yhudim significa salvato dalle acque." Raddrizzò la testa, come di scatto, e inarcò le labbra. "Una storia pittoresca, insomma. E dunque potrebbe dirmi qualcosa in più su questa città. Ha mura, un esercito potente, possibili passaggi segreti, chi sono questi Tyrant e Userkaura? Dovrei temerli, qualora dovessero trovarsi a portata della mia spada?" "Smettila con i convenevoli, Fumetsu. Direi che il lei, a questo punto, possiamo anche lasciarlo da parte." Aggrottò le sopracciglia per un istante, ma subito le ridistese. Non si aspettava una reazione del genere. Stava battendo dove doleva, evidentemente. Bhe, che si fotta! l'importante era che gli desse le informazioni che cercava. "Come vuoi tu" gli disse, con un sorrisetto vagamente malizioso. Lo vide riflettere, grattandosi la testa. "Il suo esercito è più che potente, parliamo di qualcosa come cinquantamila unità, fra soldati ed ufficiali. E questo solo nel distretto di Tottori, altre decine di migliaia di unità sono sparse nelle regioni più lontane... anche se, come avrai potuto vedere, non riescono a giungere ovunque." "Una nazione pacifica, insomma." Lo vide sorridere. "Non può essere altrimenti, da quando Neferkaura ha sottomesso gli Yhudim. Il primo Tyrant era un uomo d'affari, che ha colto nella schiavitù il trampolino di lancio per ottenere il potere, oltre che il denaro. Neferkaura è stato un desposta, ma al tempo stesso anche un uomo che, da solo, è stato in grado di costruire un impero. Userkaura, suo figlio, possiede meno doti politiche e diplomatiche... è molto più impulsivo, lo è stato sin da ragazzo. Prima della sua investitura come nuovo leader della nazione, è stato generale dell'esercito. Un tipo con il quale non ti piacerebbe batterti, fidati." "Non mi piace battermi. Se potessi lo eviterei, una lotta è sempre una puntata d'azzardo: il risultato non è mai certo. Per questo vorrei evitarlo il più possibile... qualora raggiungere il mio obiettivo non me lo richiedesse." "Lo sarebbe, se dovessi scontrati con lui." "Perché dici così?" "Perché ho combattuto al suo fianco, nelle guerre contro le nazioni adiacenti. La regione di Kamu apparteneva ad un popolo straniero, quindici anni fa. In queste terre l'ho visto battersi con la furia e la cattiveria di un orso. Nessuno è riuscito anche solo a scalfire la sua armatura." Ottimo, insomma! " - Descrizione esplicativa. Una ragione in più per evitarlo in combattimento." Moshè rise a quella frase, ma presto ritornò serio e pensieroso. "Invece la capitale, Tottori, non presenta mura. La città sorge sulle sponde del fiume Yeor ed è di fatto un ammasso di templi e strutture erette in onore dei Tyrant dal nostro popolo, che loro chiamano "shklaf", ovvero schiavi. Ogni possibile ingresso, che sia via nave o terra, è sorvegliato dai voryer. Accedere ad essa è complicato, ma non impossibile. Essendo la capitale, è una città che è anche un importante snodo commerciale. E lì arriva gente da ogni parte del mondo, sebbene i controlli siano sempre più serrati." Lo vide pensarci ancora un po', poi si voltò verso di lui guardandolo ancor più serio. Pensieroso. Non sapeva come interpretarlo, ma - ammesso che non fosse uno squilibrato, e a meno che lui non stesse capendo un cazzo di niente della situazione, non credeva di dover avere poi molto da temere; ma era comunque meglio tenere il pepe nelle mani. Una regola fondamentale del mondo: chi picchiava per primo, picchiava due volte. "Quindi, vuoi raggiungere Tottori per assassinare Ubaste e Baset. Chiunque essi siano. Perché? Quali interessi avrebbe un mandante nel vedere morti i consiglieri di una nazione straniera?" Ci pensò un po'. "Mi sono stati assegnati come obiettivo. Per le mie funzioni, preferirei non dire altro, spero non ti spiacerà. Sarebbe comunque qualcosa che, a voi, non potrebbe fare altro che piacere." "Piacere..." Quello lo sorprese. Gli parve quasi turbato. "Se non per mera vendetta nei confronti del mio popolo, non so quanto potrebbe farmi piacere veder cadere mio fratello e con lui i suoi consiglieri." "Ah, ma chi se ne frega di tuo fratello! La sua caduta - possibile, non lo nego - potrebbe essere una conseguenza della mia operazione giunta a buon fine, qualora ci avessi visto giusto su come abbia girato questo paese. Non lo nego! Saggio Moshè, come sa bene un uomo saggio come te: i deboli devono morire. Vedremo chi sarà tra me e loro. Ma, santo cielo, tu più di tutti dovresti voler vedere qualcosa di simile!" "Hanno schiavizzato il tuo popolo, e poi lo hanno decimate, come fossero bestie da soma. Ma rispetto le tue motivazioni." "Massì, fa un po' quel cazzo che ti pare. L'importante è -" "Tuttavia, sono disposto ad aiutarti, Fumetsu. Troppo a lungo gli Yhudim hanno sofferto, mentre Elohim ignorava il loro pianto..." Ecco. Meraviglioso. Non poteva chiedere di meglio. Sennonché una folata di vento improvvisa spinse l'agnello ormai recuperato a scappare di nuovo - razza di coglione! "Ma che cazzo fa!" si lasciò scappare, ma ormai Moshè era lontano, pronto a inseguirlo nel crepaccio in cui si era imbucato. Quando giunse all'apertura del crepaccio, ormai davanti a lui non si vedeva più alcuna traccia dell'agnello o di Moshè. Solo un'oscurità risucchiante e micidiale. Si guardò attorno. Bhe, Chana sarebbe sopravvissuta benissimo a loro due, su questo poteva giurarci. Camminò nel cunicolo dalle irregolari pareti in pendio per un minuto buono, e per poco non urtò una roccia calcarea che sbucava dal soffitto fin quasi al pavimento, da cui invece ne sbucava una identica e speculare. Una stalattite. Non ne aveva mai viste prima dal vivo. Le osservò per un po' nella penombra, salvo poi rendersi conto che quella penombra fosse troppo poco oscura in quel punto della caverna, anche con gli occhi ormai abituatisi all'oscurità. Una strana luce proveniva da una grotta, poco più avanti. Intravvide la figura di Moshè. Gli si avvicinò, ma non gli chiese nulla, perchè l'atmosfera in quella piccola insenatura nella montagna - con quel piccolo cespuglio isolato al centro dell'ambiente, con il vento che soffiava placido ma gli pareva sempre più incessante chissà da dove, coi sassolini sparsi qua e là che giurava fossero sul punto di vibrare, gli strozzò in gola qualsiasi domanda.
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