覚醒 Kakusei: scontro finale, [Fase 4]

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view post Posted on 14/8/2018, 14:59
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Artificial Flower's Lullaby

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wvHSNIE


Dopo il bianco, ci fu solo il nulla. Un nulla in cui galleggiavano tre stelle, danzando leggere su una musica inesistente.
Due di queste erano strette e vicine, la terza girava loro attorno più rapida e inquieta.
Nemmeno il tempo sembrava esistere, tutto era stato cancellato in quell'esplosione di luce. Il ricordo di quel che vi era prima si stava facendo strada piano piano, a forza, strisciando in un fango melmoso e ostile.
Le due menti di Rei faticarono a recuperare i fili per intessere di nuovo l'arazzo della coscienza.
Chiye-sama.
Akiho, Masaru e Kaoru.
Sadou.
I cristalli.
Choumei.
Choumei.
Choumei era lì.

«Fatemi... Spazio... Dannate.»

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L'insetto dalle sette code era solo l'ombra del mostro che aveva terrorizzato la squadra di Iwa. Le sue forze erano ridotte al minimo, e si percepiva chiaramente la fatica che stava facendo per non perdere la propria coscienza.

Allo stesso tempo, quelle di Juuhachi e Nijuusan restavano salde e fisse, mano nella mano, guardando quella terza presenza a loro estranea.
Immobili e sicure nel loro equilibrio d'amore e follia, vagamente infastidite da quella falena troppo cresciuta che cercava la propria luce.

«Che cosa vuoi da noi?»
«Vattene. Non ti vogliamo.»


La più piccola era ostile a qualsiasi cosa non fosse la sua amata Hacchan e la loro vita assieme, ma Choumei non sembrava lo stesso arrogante despota incontrato nei cunicoli. Certo, non era affabile e simpatico, ma i suoi bisogni erano cambiati.
Se prima voleva uscire, ed era pronto a fare qualsiasi cosa per liberarsi, ora aveva la necessità fisica e reale di trovare... Qualcosa.
Ma cosa? Le due anime di bambina non capivano, quindi fissavano ostili quel ronzante essere attorno a loro, tenendosi le mani in una presa salda e incrollabile.

«Maledette... Perché siete in due? Cosa significa questa storia?»
«Siamo in due perché insieme siamo una cosa sola. Io sono Juuhachi, lei è Nijuusan.»
«E noi siamo Rei. Dicci cosa vuoi o vattene e lasciaci in pace!»


L'inamovibilità delle bambine non rendeva le cose più facili al demone frammentato. Il senso di urgenza saliva, così come il suo disagio.

«L'esplosione del Gedo ha... Distrutto il mio corpo. Si è diviso, separato, e il mio spirito è disperso.»

Se sperava di farsi compatire, sbagliava di grosso.

«Non te lo voglio chiedere ancora, Choumei. Cosa vuoi da noi?»
La voce di Juuhachi era stabile, come una barriera di roccia a protezione della sua metà più piccola. Era quello il suo ruolo, il suo posto: la Terra proteggeva il Fuoco che la alimentava.

«Ho bisogno di un vessillo in cui rifugiarmi, nell'attesa che il mio potere faccia ritorno. Voi eravate la cosa più vicina a disposizione... Ma non mi aspettavo foste un... Un voi!»

Il sorrisino soddisfatto di Nijuusan era tutto un programma.

«Speravi di farci quello che avevi fatto a Chiye-sama? AH! Ben ti sta!»

Le ali del demone ronzarono frenetiche.

«No, no... Non posso più controllare gli altri, non posso tessere la mia tela, non posso fare NULLA!»
Ansia. Era vera ansia, il terrore atavico di scomparire e di impiegare altri millenni per ricomporsi, chissà come e in che modo.
Fu facile per Juuhachi realizzarlo.

«Tu... Hai bisogno di noi.»

Se per Ventitré la cosa era fonte di soddisfazione sadica, per la più grande era una semplice constatazione. Significava che avevano una leva, un potere su quel demone tanto inquietante, e che c'era spazio per ottenere qualcosa.

«Sì.» L'ammissione, un ronzio basso e cupo. «Vi siete dimostrate diverse dagli esseri umani che hanno tentato di adularmi o distruggermi. Avrei preferito la bionda delle api, ma voi... Voi siete immensamente più potenti.»

Si trattava di potere, quindi. Non solo di un mero contenitore o di un burattino, perché se così fosse stato il problema non si sarebbe nemmeno posto.

«Quindi... Cerchi un corpo ospite. Non lo troverai qui, siamo in due e non ci puoi controllare.»
«Non intendo farlo»
la interruppe lo Shichibi. «Non potrei, nemmeno volendo. Ma posso darvi parte del mio potere, se la smetterete di respingermi a questo modo!»

Ecco, finalmente si parlava di un ritorno per le due kunoichi. Un potere per servire meglio la Roccia, un potere per proteggersi a vicenda. E quello del Sette Code, beh... Era un potere non da poco, lo avevano visto in azione con i loro occhi.
Fecero a Choumei un segno per invitarlo a continuare. Erano interessate, logicamente, ma non disposte a farsi turlupinare.

«Già in passato... Alcuni di noi si sono legati ad alcuni di voi. Se il demone è imprigionato, occorre un potere enorme per tenerlo rinchiuso... Ma in questo caso, io ho bisogno di un corpo che mi permetta di non svanire.
Vi cederò parte del mio potere. Voi non mi avete davvero visto in azione, non sapete quanto terrificante io possa essere. Fatemi posto, e se vi mostrerete degne vi permetterò di diventare qualcosa che va oltre qualsiasi immaginazione!»


Suonava bene. E suonava sincero, perché alimentato da quell'urgenza disperata che si percepiva in ogni stilla di chakra che Choumei perdeva. Stava scomparendo, la sua luce sempre meno intensa, e aveva fisicamente bisogno di loro.
Quale sublime delizia.
Quale opportunità favolosa per diventare ancora di più la difesa che a Iwa serviva.

«Quindi... Se noi ti ospitiamo... Cosa succede?»

Tutti quei temporeggiamenti stavano frustrando ulteriormente l'Insetto, ma non avendo alternative dovette sottostarci.

«Succede quello che già succede dentro di... Voi, direi. Condivideremo il corpo, le nostre anime rimarranno separate, e potremo attingere ognuno ai poteri degli altri. Posto che il mio sarà immenso rispetto al vostro, naturalmente... E non sarà affatto facile per voi controllarlo.»

Le due bambine sorrisero all'unisono, condividendo quel senso di superiorità che dava loro l'essere insieme, e mai sole. Unite contro il mondo.

«Lo dicevano anche del Nero. Eppure siamo qui.»
«E tu ci renderai più forti, Chocho. Così saremo ancora più utili a Chiye-sama e importanti per Iwa!»
«Cosa... Come mi hai chiamato?»


La perplessità incredula di fronte a quel nomignolo fu ricambiata da un sorrisone tutto denti che ricordava come in effetti Ventitré avesse meno di dodici anni.
Juuhachi la guardò e scosse la testa, con un sorriso più materno.

«Lo accettiamo, quindi, Niijan?»
«Sì, dai Hacchan, possiamo tenerlo?»
«Ehi, cosa diamine state pensando? Non sono certo un animale da compagnia! Non osate-»


Si interruppe con un gemito di fastidio. Stava perdendo altro potere, si stava frammentando ancora di più. Doveva accettare, o rischiare ancora.
E le bambine lo sapevano. Questo dava loro un potere su di lui che a malapena tollerava, ma allo stesso tempo... Se erano così forti, così stabili e unite, forse sarebbero state in grado di dargli di nuovo il potere che lo rendeva una delle Nove creature più temute dal mondo.

Nel complesso, poteva diventare un accordo proficuo per entrambe le parti.

Juuhachi e Nijuusan aprirono quel cerchio a due, sciogliendo l'intreccio di una mano. Entrambe allargarono un braccio, aprendosi a Choumei che, dopo un'ultima esitazione, si fiondò in avanti andando a occupare il posto che gli avevano lasciato libero.
Le tre stelle smisero di danzare e discesero sulla terra, andando a recuperare il corpo lasciato immobile in mezzo ai soldati di Iwa.

Le fibre della giovane Anbu ebbero un fremito, e si scossero tutte per un istante. La vita era tornata in lei, e pian piano anche la coscienza... O meglio, le coscienze.
Oltre ai due cuori, Terra e Fuoco, un'altra presenza batteva dentro di lei. Lo Shichibi aveva ragione: del suo potere originario era rimasto ben poco, ma... C'era. Avrebbero avuto bisogno di tempo per capire come usarlo, ma fortunatamente di tempo ne avevano.

Con cautela, Rei si alzò in piedi. Non respirava perché non ne aveva bisogno, ma doveva capire se gli altri lo stavano facendo.
Uno a uno, vide i ninja di tutti i Paesi riprendere conoscenza, lamentarsi, alzarsi in piedi o a sedere. Vide amici e parenti ricongiungersi, e sotto la sua maschera di bende si aprì un sorriso.

In qualche modo, ce l'avevano fatta.




C75O77u


 
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view post Posted on 14/8/2018, 18:18
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S
e si potesse descrivere il nulla, molti direbbero che esso è oscurità pura. C'è chi dice che è candore puro. C'è chi dice che il nulla è negativo se è oscuro, scintillante se è candido. Cosa vogliano dire queste espressioni non si può davvero spiegare, però sono la cosa più vicina a quanto gli accadde subito dopo.

Perché dall'alto di un nulla imprecisato, tutto prese fuoco, in una miriade di stelle cadenti la cui coda si schiantava al suolo e assumeva forma, piombando dentro corpi che già iniziavano a raffreddarsi. Quando prese coscienza di sé, poteva sentire ancora il mento e la mascella rigida. Quella la parte del corpo che per prima entra in rigor mortis dopo la morte. Quanto tempo fosse passato, difficile stabilirlo, perché a lui era sembrato poco, ma se era già in rigor mortis, allora doveva essere più di quanto si era aspettato. In quel mondo onirico, la percezione del tempo era completamente diversa. Quanto accaduto appariva ai suoi occhi e alla sua mente come il frutto di un'allucinazione dovuta a chi sa quale potente droga. Un paragone che non poteva davvero fare, non avendone mai fatto uso, ma di certo non erano allucinazioni da superalcolici, quindi questo è il paragone migliore possibile.

Fugaci immagini dello scontro, dell'onda di Son Goku che spazza via tutti, Taisei e Kyo Dan indistintamente, solo loro 4 sopravvissuti, lui, Hideyoshi, Kuro e Mr. Simpatia dal nome ignoto. Si alza, dolente e confuso, la sensazione di dover cadere da un momento all'altro. Osserva in giro,vedendo molti nella sua stessa situazione. Tante le cose da fare, tante le cose da scoprire. E in tutto questo, una sensazione di amarezza.

Son Goku lo aveva deluso. Una stupida bestia capace solo di urlare e distruggere. Lui ci aveva pure provato a dialogarci, ma nulla. Erano davvero così patetici i bijuu? Si potevano davvero comprendere le loro azioni?

Ora non gli importava più. Doveva ritrovare volti noti, Fumimaro per primo, non tanto per amicizia particolare ma perché almeno di lui poteva essere certo della presenza. Non poteva davvero dare per scontato che Honami e Misato fossero lì. Non poteva neppure provare a percepirle tramite il loro speciale legame. Son Goku si era ripreso il chakra. Quindi l'idea di sentire quell'essenza smeraldina e selvaggia già andava a farsi fottere.

Non importa. Questa storia doveva trovare conclusione. Si mise in marcia, alla ricerca cieca di qualcuno di familiare, fosse pure lo stesso Kokage.

 
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view post Posted on 16/8/2018, 23:57
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Mhh... mhhhh..

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*Contemplazione della purezza, visione inafferrabile, indescrivibile, vissuta e mai conosciuta. Il corpo era nuovamente rimasto indietro, dimenticato, e sopravviveva solo il vago ricordo di sé. Solo emozione, sensazione a guidare una mente priva di riferimenti, capace di volare ovunque, trattando il tempo alla stregua dello spazio e viceversa.
Il sole sulla pelle, la polvere tra le dita dei piedi, negli occhi, in bocca. Sorrideva.*


"Difenditi!"

*Gridò Ryutaro, il pugno ingigantito dall'Espansione Akimichi, mentre le gambe del giovane dai capelli bianchi si piegavano per ricevere il colpo. Le braccia, stremate dall'allenamento e dal calore fibrillante che le attraversava, non furono altrettanto rapide, e l'impatto lo spedì a ruzzolare nella polvere rossastra dell'arena.
Nonostante il dolore, nonostante l'estrema stanchezza, fu una risata a sfuggire dalla bocca del ragazzino. Strozzata, spasmodica, ma sincera, benché così fuori luogo: sentiva una grande felicità in petto, un grande sollievo, impossibile da giustificare. Quel sole, quel luogo, era dove doveva trovarsi, e l'uomo che lo aveva colpito, che ora lo guardava tra il severo e il confuso oltre il velo di polvere, era l'unico che volesse incontrare. Era tornato.


"Mi sa che l'ho colpito troppo forte..."

*Commentò l'Akimichi, piegandosi verso di lui ed allungando una mano per aiutarlo in piedi. Il movimento gli fece girare la testa in maniera terribile, come se faticasse a rimanere attaccata a quel corpo, come se da un momento all'altro dovesse spezzarsi in mille frammenti. Ma Ryutaro lo tenne in equilibrio, entrambe le mani sulle spalle.*

"Oi! Ci sei? Vedi di non bloccarlo con la faccia il prossimo... e datti una svegliata,Jiyuu"

Resti di Fukagizu, 20 gennaio 249, ore


*L'assurdità dell'essere sveglio lo colpì quanto il risveglio stesso, se non di più. Era vivo, davvero vivo, e benché alla mente servisse ancora qualche istante per prendere seriamente in considerazione la cosa, per riallacciarsi all'ultimo momento cosciente, il corpo sapeva già bene cosa stava accadendo.
Non per via del contatto ruvido con il pavimento, non per le mura ciclopiche davanti, o l'immenso cratere dietro... ma per la presenza del Segno, che, tagliata fuori dal Gedo, tornava ora ad inondarlo al crollo della diga. Una colata di fango sulla pelle, le ossa, il cervello, abbastanza da ricordargli istintivamente cosa lo aspettasse.
Quattro zampe a terra, il battito ed il respiro perfettamente regolari, come nulla fosse avvenuto, il Kokage tornava al Continente Ninja. Come promesso.*


(Kuro?!)

*Alzò lo sguardo di scatto, improvvisamente memore di cosa il suo risveglio implicasse, trovando mille altri ad incontrarlo. In cielo un turbinare di luci, in terra ninja come lui, disorientati, persi e ritrovati. Volti sconosciuti e familiari, a cui, in altra circostanza, avrebbe rivolto un cenno di saluto. Ora le sue attenzioni erano tutte rivolte alla ricerca del compagno, che, necessariamente, doveva trovarsi tra quelle anime.
Non lo trovò, non immediatamente, ma, svettante su tutte le altre, riconobbe inequivocabile la criniera rossa di Sasaki Keigo. Il gigante avanzava in mezzo alla folla, in volto, come sempre, un'espressione difficilmente decifrabile.
Dopo quanto era accaduto all'interno del Gedo, dopo la pulsione che aveva sperimentato all'emergere dirompente del chakra di Keiichi, mille erano le domande che il Cantore avrebbe voluto porgli, le scuse che sentiva di dovergli rivolgere.
Già mille ne aveva avute, specie riguardo la sua conoscenza del Segno. Una conoscenza che, al tornare della lucidità, sembrava ogni secondo meno inspiegabile.*


(Possibile che si tratti di una coincidenza?)

*Non poté fare a meno di chiedersi, la bocca chiusa e la mano alzata in saluto verso di lui. Ne avrebbe attratto l'attenzione per un momento, il tempo di uno sguardo, ma subito sarebbe poi tornato alla sua ricerca.
Troppo rimaneva da fare, troppo da recuperare perché simili domande avessero per Hideyoshi vera importanza. Se il Rosso aveva effettivamente rivelato quelle informazioni, le implicazioni erano ben oltre la sua portata... almeno per il momento.*
 
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view post Posted on 17/8/2018, 01:38
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Nel buio appena prima dell'alba sono i suoni a descrivere la scena che si prepara. In un certo senso valeva anche in quel caso. I rantoli di Gyuki, il tintinnio delle catene, il soffiare del metallo rovente, il clangore delle fruste. Tutto aveva iniziato ad agitarsi, e non riusciva a rendersi conto di quanto stava accadendo. Sembrava proprio la fine del mondo. Come se il mondo stesse collassando.
Che stessero uscendo da lì? Possibile.
Che stessero tornando al loro mondo? Possibile anche questo. Qualora esistesse ancora un loro mondo. Niente, del dominio della possibilità non se ne faceva un cazzo: come sempre era in balia degli eventi, senza alcuna possibilità di avere il minimo controllo su di loro. Il mondo si piegava come carta da macellaio spiegazzata, trascinando i piccoli grumi di sangue lungo le feritoie e i piccoli impluvi, per poi accartocciarsi del tutto e catapultarsi epicamente nell'immondizia. Che cazzo di pensiero. Bhe, importava poco: tanto fra qualche secondo non ci avrebbe pensato più.
Certo, lo aveva pensato anche - non sapeva dire quanto tempo fa, comunque nella piazza di Fukagizu. Non che avesse ancora la certezza di essere sopravvissuto a quella circostanza - no, era bello che vivo e vegeto! Di questo ne era sicuro, era qualcosa che aveva chiarito nel momento stesso in cui aveva messo piede nell'anfratto acquatico.
Ogni cosa è sempre più confusa, tutte quelle sensazioni che si accavallano, tutti quei flussi energetici che si sovrappongono, e ognuno dei quali appare a lui centuplicato, lo assordano e accecano, non sa minimamente cosa fare.
Poi un bianco improvviso e lattiginoso, e presto il nulla.



Nel buio appena prima dell'alba sono i suoni a descrivere la scena che si prepara. In quello spazio buio i galli hanno cominciato a cantare. Un cane vi risponde. Qualche forma si muove ondeggiando, in quel chiarore crescete. L'aria odora di carbone di legna e terra bagnata. Nessuno tra coloro che si sta alzando sa da quanto tempo è lì, nel buio e nel silenzio.
Sembra ciò che resta di una città quasi abbandonata. Le figure appaiono sfumate e inconsistenti, le case diroccate, i rumori lontani. Come se fosse null'altro che il ricordo di una città, e quel ricordo stesse svanendo. Come se lì ci fosse stata solo la giungla.
Quando attraversò del tutto la piazza, la polvere sembrava essere stata raschiata da poco. Delle lampade da giocoliere pendevano nere e nude in cima ai pali. Le osservò per un po', prima di incamminarsi lungo il corso principale.


Quel futuro eccitante e misterioso che una volta si apriva davanti a te, ora è alle tue spalle. Vissuto, compreso, deludente. Realizzi che non sei speciale. Sei venuto al mondo lottando, e ora ne stai scivolando silenziosamente fuori. E' l'esperienza di tutti. Di ogni singolo essere. Le differenze e specificità quasi non contano. Ognuno è tutti. E' ora che tu lo capisca. Cammina. Come le persone che ti adorano smettono di adorarti, mentre muoiono, e trapassano, mentre tu le perdi una dopo l'altra, così come lasci decadere la tua bellezza, la tua giovinezza, lascia che il mondo ti dimentichi. Mentre riconosci la tua caducità, mentre cominci a perdere le tue caratteristiche una dopo l'altra, mentre impari che non c'è nessuno che ti osserva, e che non c'è mai stato. Tu pensa soltanto a guidare. Non vieni da nessun posto. Non vai da nessuna parte. Guida e basta. Contando il tempo che scorre. Ora sei qui. Sono le 7.43. Ora sei qui. 7.44. Ora sei...

" - Mamma."
La riconobbe subito dall'altra parte del viale, ora che l'aveva percorso quasi per intero, tra le mura di quella desolata città di arenaria, oltrepassando lo sguardo di maschi e torri di guardia in macerie modellate dal vento e di granai di pietra, sotto i raggi tenui che oltrepassavano le tetre nuvole.
" - Dove sono tutti quanti?"
"Sono morti, perlopiù. Altri se ne sono andati."
Colmò la distanza che li separava con passi incerti, avanzando fra marne e terracotta e faglie di scisti di rame, e oltre lei il suo sguardo potè scorgere un promontorio che dominava una squallida e desolata caldera, dove giacevano le rovine di un'antica civiltà ormai perduta.
"Ti siederesti qui con me per un po'?" le chiese quando le fu davanti.
" - Ultimamente mi sento un po' stanco e solo."
Gli sorrise. Si sedettero su un divano apparso dal nulla lì davanti. Stettero in silenzio per un tempo interminabile, con lui che la guardava sfuggevole, infine si decise a romperlo.
"Sei più vecchia di quanto mi ricordassi."
Lei sorrise e scosse la testa.
"Sembra passato molto tempo, in effetti."

Chiedile scusa.

" - Non intendevo dirti che sembri vecchia."
Si fissarono. Sorrisero, poi lui fece uno sbuffò leggero e scosse la testa, quindi seguì il suo sguardo verso l'orizzonte intorno a loro.
"Quanti sogni giacevano qui. In ognuna di queste case. Quanti desideri dimenticati in ogni angolo di questo posto. Quanti propositi e pensieri che non sapremo mai."
Lui abbassò la testa, mentre lei non gli scollava quei suoi comprensivi occhi di dosso.
"Avrei tanto voluto farlo quel picnic coi ragazzi e il maestro. Mi sarebbe piaciuto davvero tanto."
Silenzio.
"Mi sembra quasi di averti deluso in un certo senso."
"Oh, no. Sono così fiera di te."
Qualcosa gli si agitò nel petto, quasi togliendogli il respiro, ma presto per fortuna quella sensazione passò, ingoiata a forza come un medicinale.

Chiedile se puoi poggiare la testa sulla sua spalla.

"Posso poggiare la testa sulla tua spalla?"
"Sì."
Stettero così per un po', mentre lei gli diede un bacio sulla fronte.
"Mi dispiace di averti quasi uccisa. "
Non rispose.
"Era qualcosa che volevo dirti da molto tempo."
Non rispose ancora, mentre il mondo si andava sfaldando davanti a loro, come avvolto da una cortina di nebbia.
"Sai - adesso credo di sapere cosa fare."
Come se stesse gradualmente perdendo i colori, la luce.
"Mi è venuta un'idea."
Come se stesse tornando allo stato di vuoto grigiore che gli apparteneva.
"Io penso che se ognuno, anzi - penso che se io facessi in modo che - Fine




Uno stuolo indefinito di immagini e suoni immersi in quel grigiore, come fossero parte di un'unica immagine, come una scultura la cui materia è in sovrapposizione ad ogni luogo che abbia mai occupato.


I Titani sono arrivati fin quaggiù.



E' il momento, vero? Le stelle nere sorgono, volteggiano nel cielo.



E' un gioco in cui vige una sola regola: chi muore è soltanto un perdente.



Ho un'idea migliore: passa con me e ti cambio la vita.



Sono tutti deboli, Hakurei. Tutti meno noi.



A questo mondo esiste qualcuno nato per essere colui che muove il mondo.



Se hai la fede non sei mai solo. Non hai paura di niente.



Vieni a morire con me, piccolo prete.



Ammetti quello che hai fatto, Jurobei... e ti lascerò vivere.



Hai un demone dentro che brucia, e non mi piace la tua faccia.



Pensi che io sia... un essere spietato?



Una personalità che appartiene alla classe prescelta dalla legge aurea che regola l'universo.



Lui è tutto intorno a noi. Prima della nostra nascita e dopo la nostra morte.



Qui si seppelliscono i nostri peccati. Qui vengono lavati.



Segui il cammino della sposa. Questa è Carcosa.



Sono stanco di vivere come un ignavo. Voglio sapere cosa ci faccio qui, e qual è il mio posto.



Il tempo è un cerchio piatto.



Hai una fortuna davvero sfacciata.



Comincio a credere che tu sia praticamente immortale.




Il tempo ci dirà se ho ragione. E se dovremo davvero chiamarti...



不滅の - Fumetsu no
l'Immortale






"Hai finito con questo circo?"

Una voce si erse sopra le altre, e quei suoni prima e poi le immagini si dissolsero nella calura sprigionata dalla sabbia ardente di un deserto, o tra il magma incandescente di un vulcano, finchè non furono altro che puntini che si agitavano in mezzo a un oscuro vuoto allucinante, e poi niente più. Solo un'ombra indefinita che sgusciava agile tra le tenebre di un mare di altre ombre.

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Era sempre più nitido. Come in un incubo. Lo vedeva muoversi tra le ombre, senza poterlo identificare del tutto. Girandogli attorno, come un predatore fa con la moribonda preda designata.

"Cosa c'è? Non parli più adesso?"

Gli parve fermarsi. Lo vide dai suoi occhi ora ben visibili, bicromi, che parevano fendere le tenebre. Poi dal suo corpo poderoso, sinuoso, che avanzava ondeggiando le spalle, come in una danza esotica e rituale, di quei rituali che esigono lo spargimento di sangue, che il sangue scorra a fiumi affinchè possano trovare compimento.

"Eppure mi sembrava che ti piacesse, che ti ritenessi anche bravo."

Un danza che era sempre un'ouverture, un presagio di morte.

" - Tu" riuscì a malapena a balbettare, completamente soggiogato da quella sensazione di assoluta impotenza che aveva anche allora, alle pendici delle Montagne Grigie.
"Come - ?"

"E' il corso naturale delle cose. Lo hai detto tu stesso, di fronte a Gyuki. Ma ciò che ogni cacciatore sa fin dall'alba dei tempi è che, alla fine, sul palcoscenico c'è un posto per un solo danzatore. Uno soltanto. Tutti gli altri sono destinati a una notte eterna e senza nome."

Ondeggiò le spalle, in una movenza che gli apparve tra le cose più terribili che avesse mai visto.

"La stessa che adesso ti attende."

Balzò su di lui, avvolto nelle fiamme come un demonio orrendo e terribile, ma senza capire esattamente come riuscì miracolosamente a schivarlo, lanciandosi da un lato, quindi si alzò più in fretta che potè, col cuore in gola, iniziando una fuga disperata in quel posto che non concedeva nascondiglio alcuno alle prede indifese come lui.

"Credevi davvero che la tua messinscena e la tua parlantina ti avrebbero salvato, cucciolo?"

Sentiva la sua voce rimbombare alle sue spalle. Poi un calore vicino, delle lingue di fuoco che lo sfioravano, il fragore delle bombe che avevano distrutto Kawagoro. Forse era troppo anche per la sua fortuna.

"Io sono l'ultimo danzatore! Io sono l'Eletto della Caccia! Perchè sono più bravo di te! perchè sono più abile di te!

Sono un veterano!"


Perchè? Perchè di nuovo? Cosa stava succedendo?
"No, no, cazzate!" si disse. "Corri... corri, e spera di essere davvero... immortale - ah, che stronzata!"
I passi alle sue spalle, non più sinuosi e leggeri, ma sempre più violenti, come una corsa assassina.

"Io sono l'ultimo danzatore! Io sono l'ultimo danzatore! Ti ho detto che ti avrei divorato! Ti ho detto che ti avrei divorato!"

Una zampata lo schiantò al suolo, imprigionandolo. Si sentì rigirato tra le zampe, come si confaceva alla preda che era, finchè non fu supino con quel muso indemoniato su di lui, a meno di un metro di distanza.

"Un gioco lungo il nostro, ma a quanto pare credo sia finito. E ho vinto, ovviamente."

Lo vide deformarsi in un sorriso ampio e sadico, mostrando quella schiera di lame barbare e selvagge in tutta la loro crudeltà.
Cosa restava da fare. Doveva pensarci. Doveva.
Nulla, era in trappola.
" - Matatabi" si azzardò a chiedere, con un filo di voce, mentre la zampa gli pressava la gabbia toracica.
" - Sai cosa è successo? Dove siamo?"

"Sei meno perspicace di quanto pensassi, il che è paradossale visto che già ti ritenevo poco più che un nulla. Siamo dentro di te. Vedi, l'immane inettitudine di voi umani ha portato alla distruzione del mio corpo. Dunque, per restare ancorato a questo mondo, sono stato costretto ad ancorarmi a un ospite. Ho scelto te, innanzitutto... così potrò finalmente distruggerti."

Sentì la pressione della zampa farsi più insistente, come il calore del fuoco e delle fiamme azzurre divampate in ogni direzione.

"Ti distruggerò... e poi cercherò un nuovo ospite in cui poter trasmigrare."

Eppure c'era qualcosa che non gli quadrava. Non sapeva bene cosa, ma anche con la poca lucidità che gli restava in corpo qualcosa lo stava mettendo sull'attenti, gli diceva di guardare più in là. Doveva ritrovare la calma.
Gli occhi di Matatabi si assottigliarono. Lo stesso fece lui, seppur per ragioni diverse.

" - Ma so anche essere magnanimo. Se ti deciderai a collaborare e a farmi dono del tuo corpo... io non ti ucciderò."

Lo fissò ancora, con gli occhi sempre più sottili. Fissò le sue code ondeggianti, le sue fiamme devastatrici, eppure ora così stranamente innocue nei suoi riguardi, le zanne, gli artigli. Lo colse un pensiero, come una scintilla.

"Dovresti ringraziarmi: il tuo corpo sarà senza alcun dubbio in mani migliori sotto il mio control - "

La frase gli morì a mezz'aria. Qualcosa a cui forse non doveva essere granchè abituato. Perchè sotto la sua zampa sentiva dei movimenti strani. Sembrava come dei tremori. Che fosse un principio di convulsioni?
Possibile, ma presto a quei movimenti sempre più intensi seguì un nuovo rumore che riempì ogni parte dell'anfratto sconosciuto in cui dimoravano.

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Una risata. Isterica, a pieni polmoni.

" - Ma che cosa?"

" - Sei uno sciocco, Matatabi!" gli disse, non appena riuscì minimamente a riprendersi.
"Sei solo ingenuo, arrogante e presuntuoso - ma che bella accoppiata, davvero!"
Vide, per la prima volta in vita sua, un'espressione strana sul volto del Bijuu. Non sapeva come decifrarla, o forse l'avrebbe saputo se solo gliene fosse importato qualcosa. Perchè, al momento, non gliene importava nulla.
Contava solo pensare a quella sua futile vittoria, sullo schiantarla in faccia a quella grossa merda fiammeggiante nel modo più doloroso possibile.
"Credi davvero che possa credere a questa tua manfrina? Cos'è, mi hai scambiato con te?"
Un nuovo accenno di risata, ma riuscì a contenersi per il momento.
"Pensi che potrei mai credere che, se tu avessi davvero avuto la possibilità di distruggermi, o di prendere possesso del mio corpo... non l'avresti già fatto?"
Ora sì che riusciva a leggere l'espressione di Matatabi. Un odio viscerale e tremendo, destinato a rimanere tale, almeno per il momento. Non sapeva cosa lo attendeva, nè se quanto stesse osservando e sentendo fosse null'altro che un sogno vivido e allucinato, ma ciò al momento non gli importava.
Se davvero fosse stato un sogno, era tra i più bei sogni di tutta la sua vita. Di nuovo: che soddisfazione! Una soddisfazione tale che lo fece esplodere di nuovo, senza più alcun freno.
"Qui sei prigioniero... quanto me!"
E ripartì, senza più alcun freno inibitore, come fosse già posseduto.

"MALEDEEEETTOOOOO!!!"

Le fiamme divamparono, in ogni angolo, vorticose come una dea adirata, e così piantò ancor più il palmo su di lui, ma ormai era ben consapevole che non avrebbe potuto lederlo oltremodo. Lui, un essere semi-divino, si ritrovava a dover dipendere da lui per sopravvivere. Messo nel sacco con tutte le zampe.

Sì. Era davvero un sogno meraviglioso.

Edited by Jöns - 17/8/2018, 16:48
 
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view post Posted on 17/8/2018, 23:39
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♫ Peace ♫

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Definire la situazione come drastica era un eufemismo e nell'iniziare il dialogo Hachi questo lo sapeva bene, gli esponenti sopravvissuti alla morsa del Gedo non erano molti, poche centinaia. Svettavano coprifronti diversi ma tra i più rinomati oltre a quelli di Konoha v'erano solo quelli di Kumo e Iwa e per convincerli ad agire dovette scavare oltre il muro che avevano eretto nei loro cuori, una barriera fatta di insicurezze e disperazione. Erano stati privati delle loro guide, i Kage, dei loro amici e dei loro familiari eppure nè il Taisei nè il Kyo Dan potè cancellare la vera forza di quegli uomini: l'orgoglio di uno shinobi era impossibile da cancellare. Forti di quella consapevolezza e capaci ancora di sperare si radunarono e mentre tra le rovine di Fukagizu tutto taceva, misero nero su bianco diverse strategie.

"Con i pochi dati che abbiamo e le poche risorse, il massimo a cui possiamo aspirare è recuperare qualcuno in questo raggio, quello più esterno."

Così detto, iniziarono. Fu estenuante vedere la statua rianimarsi, più si avvicinavano e più quei tentacoli si facevano audaci; il più delle volte per salvare un compagno finirono per perdere uomini e quell'unità recuperata restò comunque priva di sensi, insensibile a qualsiasi cura. Dormiente.
Hikarigake non aveva mai visto lo Yamanaka così stanco e frustrato, per un momento gli fece perfino paura.


"Sarà la nostra disfatta se continuiamo così accidenti! Dobbiamo provare ad attaccare, dovrà pur avere un punto debole quel mostro."

Era notte fonda ormai, il sudore lordava le sue vesti candide e la lucidità iniziò a venire meno. Ebbe un fremito e fu il biondino a tenerlo invitandolo a sedersi. Fissandolo con i suoi occhi verdi lo pregò senza avere il coraggio di specificare per cosa: voleva saperlo calmo e fiero come sempre, voleva chiedergli di riportare indietro sua madre e al contempo voleva chiedergli di lasciar perdere e andare via da li, di sopravvivere con lui. In quel momento di grande sconforto il jonin fu sul punto di mollare a poi abbracciò a se Hikari e gli sussurrò all'orecchio con un filo di voce:

"Va tutto bene, sistemerò tutto vedrai."

Sciolto l'abbraccio si rialzò, lo vide assumere qualche tonico e raggiungere nuovamente il tavolo dei grandi. Poco più tardi le forze alleate di Konoha, Kumo e Iwa tornarono in azione la convinzione sui loro volti stavolta riuscì a percepirla, ai genin diedero un compito di contorno ma non meno importante. Mentre i più forti avrebbero iniziato a correre a tutta velocità verso il Gedo tutti gli altri avrebbero dovuto ostacolare i tentacoli con ogni mezzo e al contempo favorire una via di fuga per mezzo di ninjutsu di copertura.
Sfoggiando le armature raioton i più rapidi furono gli Yotsuki, seguiti a ruota da coloro che da sempre sfidavano la sorte, un'aura verde smeraldo evidenziò i ninja del loro accompagnati da uno sciame di vespe dei Kamizuru. Rapidi come saette e memori delle movenze di quegli arti incorporei arrivarono fino ad una ventina di metri dalla statua e quando furono sul punto di essere acciuffati ecco che dal nulla apparve il secondo squadrone. Anticipati dallo stridio di un aquila i più abili nelle ninjutsu furono trasportati a destinazione dalle figure animate e sorvolando l'area al segnale impastarono il chakra all'unisono: si aprì una voragine sotto al Gedo, un cratere nel cratere che lo fece inclinare di lato facendogli perdere per un attimo il controllo dei suoi tentacoli.


" Yōton! "

La gomma e la calce riempirono il fossato creando una prigione dapprima liquida e molle e poi solida come cemento armato. Nel'attimo seguente partirono jutsu di ogni sorta e tra raffiche di vento, fiamme e fulmini sembrò di rivedere l'attacco finale contro Watashi. Al frastuono seguì un lungo attimo di silenzio, tutti sull'attenti e pronti a fuggire via.
Un rombo, uno squarcio nel terreno e il Gedo ruggì di nuovo, più forte di prima. Nell'incredulità generale il piano era andato in fumo, dapprima ordinata la fuga si fece rocambolesca e chi riuscì a sfuggire alle grinfie di quella mostruosità non ricordava nemmeno come avesse fatto a raggiungere l'area bianca.
Fu una fine onorevole per chi fallì provando, ma per i sopravvissuti cosa restava?




* * * *



GdrOff// Continua da [Fase IV The chamber of secrets] GdrOn


Un volo senza rumore, caduta senza dolore.
Quando il buio li avvolse sparì ogni cosa, dalla speranza alla determinazione, dalla fatica alla disperazione e perfino dell'immenso che li aveva travolti non v'era più traccia, nel nulla regnava una pace inattesa. Casuale forse, fortuita anche. Non c'era un modo conosciuto per spiegare cosa stesse stesse accadendo, con molte probabilità era semplicemente morta, ci era andata vicina tante di quelle volte che le sembrò di riconoscere quella sensazione; priva di un corpo la percezione spirituale che aveva di sè tuttavia era nuova, galleggiava, anzi no, ora che notava bene stava seguendo un movimento discendente.


(Ci hanno insegnato l'inverso ma pare proprio che salire al cielo è troppo ambizioso per dei comuni mortali..)

Quello che credette essere il suo ultimo viaggio fu invece molto più simile alla caduta di una stella, una cometa già spenta che anzichè consumarsi lungo la sua corsa e infrangersi contro gli ostacoli nello spazio puntò ad una meta ben precisa. Quando trasalì nell'affanno di capirci qualcosa portò una mano al petto come per sincerarsi della sua esistenza e subito dopo al ventre e agli arti come a constatare che ogni parte di sè fosse al posto giusto. Di nuovo completa - di nuovo materia - il Sandaime tornò alla vita insieme a tutti gli altri shinobi che aveva tentato invano di proteggere. La mole di domande che la prese d'assalto fu impressionante e ognuna di queste venne reipetuta più volte nella sua testa a causa della perdita di ogni concezione spaziotemporale. Erano ancora a Fukagizu? Quanto tempo era passato e cosa ne era stato di Gyūki e dei suoi compagni?
Il vociare tutt'attorno prese lentamente ad intensificarsi e nel ritrovare sguardi amici il suo sorriso incredulo si spense non appena vide che tra i sopravvissuti erano compresi i membri delle due fazioni responsabili di quanto accaduto. La voglia di raggiungere Kataritsuen e quell'altro ragazzino per stritolarli era incontenibile.


"La statua, che fine ha fatto la statua Nahoko?"

Pose quella domanda conoscendo già la risposta, rendendo concreto uno dei primi insegnamenti del suo vecchio: le avevano insegnato a vivere di domande con la consapevolezza che un giorno lontano, senza neppure accorgersene, avrebbe iniziato a vivere a suo modo nelle risposte.

 
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view post Posted on 18/8/2018, 13:09
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In un attimo tutto quello vissuto fino a quel momento, svanì nel nulla.
Di colpo, senza preavviso alcuno, Kuro aprì gli occhi, subendo un contraccolpo acustico immenso, tanto da fargli venire un forte capogiro nonostante fosse ancora sdraiato.
Passare dal frastuono del combattimento, al silenzio improvviso, per poi svegliarsi ed udire voci ed urla di gente spaesata, creò una forte confusione nel giovane shinobi del Suono.


(Ancora un tranello? Ah, forse quella grossa scimmia aveva ragione dopotutto.)

Cerco quanto prima di rimettere in sesto le idee e facendo leva col palmo della mano sul suolo, si diede la spinta necessaria per rimettersi in piedi, nonostante la testa continuasse a vorticare, sempre meno, fino a lasciare che il fastidio andasse via completamente.
Il primo pensiero, come sempre ormai, andò al suo amico, senza però trovarlo.
Ricordava che erano piuttosto vicini prima di svenire, ma la confusione li aveva senz’altro allontanati.
Riconobbe parecchi ninja conosciuti, vetteggiava tra tutti Sasaki, girato di spalle, immenso esattamente come pochi attimi prima. Kuro iniziò a camminare cercando Hideyoshi, dando spallate per farsi spazio tra la folla che sembrava sempre più in tumulto e confusa dall’accaduto;
decise dunque si usare la sua particolare dote, nonostante la stanchezza e ben presto la sua idea si rivelò esatta. Staccò i piedi dal suolo, utilizzando parte del suo chakra per librare in aria di una cinquantina di centimetri, l’indispensabile per poter guardare tutto meglio. Bastò solo qualche minuto e la chioma biancastra del Kaguya sbucò davanti a lui, anch’egli di spalle.

Con estrema calma, per recuperare le forze, si avvicinò all’amico arrivando alle sue spalle, restando ad una distanza di circa due metri prima di parlare, per poi continuare a muoversi.


- Cosa si prova a prendere un fulmine in piena faccia? Stai diventando vecchio ed avventato, Hideyoshi-sama.

Scherzò con l’appellativo “sama” intonando una specie di cantilena, un po’ come un rimprovero, un po’ per sbeffeggiarlo. Così come l’amico stava cambiando, anche Kuro diventava sempre più incline alle battute, cercando di abbandonare lentamente il suo lato glaciale ed immobile.
Sapeva di contare qualcosa per qualcuno, fattore che sembrò sbloccare qualcosa nascosta nello spadaccino, sopita fino a quel tempo.
 
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view post Posted on 21/8/2018, 07:32
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Raion: Parlato
***Pensato ***
Gyuki-Ottocode


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Kamata al nero di seppia con spruzzata di Bijuu servito su un letto di ventose





Avete presente la domenica mattina dopo una notte brava alla discoteca di Konoha e dopo due bottiglie di sake?
Ecco.. quella era la sensazione che aveva Raion in quel momento...

Aprendo gli occhi si accorse che era ancora in un antro buio e solo come un cane.
Tentò di tirarsi la pelle come per svegliarsi da una lunga dormita ma quello che ottenne fu un grosso dolore al petto seguito da un conato.
Fece sforzi immani per girarsi su un lato per evitare di soffocare.
Una grossa tosse grassa iniziò. Si protesse la bocca ma quando finì di tossire si accorse che non solo sanguinava ma che il sangue era mista a inchiostro.
***Ma che diavolo??... ah... giusto.. ho bevuto il suo inchiostro... beh almeno non sono mor....***

Ma si guardò con attanzione le mani.. era nere.. cercò di strofinae sulle vesti per levare l'inchiostro. Ma senza risultato. L'inchiostro sembrava essere sotto pelle. Un enorme tatuaggio nero che lo ricopriva da testa a piedi.
Cominciò a guardarsi ogni parte del corpo spaventato come un bambino
***cazzo... cazzo... cazzo...***
Qualcosa di strano in oltre era presente sulla cute.. ventose.
***no... no no. No no no no no no.*** girando la testa a destra e a sinistra mentre tossiva.

Ebbene sì... anche le ventose lo ricoprivano su tutto il corpo... TUTTO.

***... anche?....*** si aprì i pantaloni, si abbassò le mutande e ....
Raion: KAMI PORCI DI MERDA BASTARDI INCULATI A SANGUE!!! NOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOOO! tanto fu forte quel grido che finì quasi per soffocarsi con un altro conato di vomito/inchiostro.

Piantala... una voce baritona e severa lo rimproverò.
...di fare il cretino... quelle parole era profonde ma che nascondevano un tono velato di....rassegnazione...

Raion: mh?? Chi diavolo parla? iniziò a girarsi e a cercare quella voce forte e profonda. Hachibi-sama... sei sei tu? Giusto!! Dove cavolo sei finito!? Gli altri? E la tua copia di inchiostro??

Vi furono secondi di attesa straziante poi un fischio profondo. Come una ciminiera che si svuotava. O... come era il caso.. come un toro gigantesco che sbuffava.
Quella era quello che udì Raion.

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Possibile che tu non riesca a frenare la tua lingua? Ti svegli da.... ahhh... ma perché mi fatico a chiedertelo?

Il Kamata chiuse la bocca e cercò di sedersi, ma la sua fatica fu immane. Vomitò ancora inchiostro e sangue un paio di volte.

Raion: Non capisco... che fine hanno fatto tutti? Siamo riusciti a liberarti? E perché non ti vedo? Ti giuro, ho fatto di tutto! Anzi! si rialzò tenendosi a malapena sulle ginocchia e mise in posizione le mani pronto a richiamare ancora con un ultimo sforzo la tecnica dell'ultraillustrazione animale. Ma un muggito forte come una tromba d'aria lo destabilizzò. Un rumore assordante era nella testa dell'artista.

Piantala razza di cretino! O non solo finirai per lasciarci la pelle ma finirai anche per far crepare me!

Uno sguardo nel vuoto di chiara incomprensione fu la risposta di Raion.

Non so se la tua sia stata una mossa estremamente intelligente o estremamente idiota... fatto sta che la pazzia alle volte si dimostra geniale... la tua trovata suicida ha fatto scorrere il mio chakra dentro di te... il tutto è collassato... imploso... e ora mi ritrovo legato a te... cretino di un Kamata ..

Quella era una spiegazione che per tutti sarebbe stata assai sufficiente... per tutti... già... ma lo sguardo di Raion perso nel vuoto dava a dire tutto il contrario....

Un altro poderoso muggito rimbombò...
Seriamente?? Cosa diavolo non hai capito testone!?

Apatia.... il Kamata si grattò insuoi testa come una scimmia che cercava di decifrare compicati algoritmi matematici.

Raion: Che vuol dire che ti ritrovi legato a me? Cioè.. ne sono lusingato eh...di non fraintendermi... è un po' che cercavo di ritrovarti e fare due chiacchere sull'inchiostro e altro.. ma... cioè.. non fraintendermi... ma non sei proprio il mio tipo... io... cioè... io preferisco le rosse con grossi... e mimò i seni...

Un fragoroso "clap" si sentì rimbombare nella testa... il polpo tauro si era lanciato una zampa sulla fronte... mentre la testa continuava a dondolarsi a destra e sinistra in segno di "no". Quella sensazione vaga di rassegnazione? Beh.. ora non era tanto vaga...
Santi Kami... ma perché?? vi fu un momento di silenzio e dopo un profondo respiro...
Senti bamboccio... apri le orecchie ed ascolta bene... qui ne va della tua e della mia... io sono dentro di te.. nel bene o nel male.. quella tua trovata ha dato l'incipit, il resto... non so nemmeno io come sia successo... quindi mi pare che la nostra convivenza forzata comincia ora e dobbiamo darci delle regole...

***oh santi Kami... noo... regole? E chi cazzo ne vuole ancora? ***

Cretino... sono dentro di te... sento anche i tuoi pensieri...

***ahhhhh... cazzo... ***

appunto...
Innanzitutto una premessa... dentro di te è presente solo una parte di me... Gyuki... l'altra... lasciamo perdere... o ti confondo le idee...
Regola uno: parla meno... pensa di più... l'ultima cosa che voglio è sentirti blaterare a vanvera. Mi irrita...

Regola due: ho visto come agisci. Sei una testa calda. Prima rifletti sulle conseguenze. E se mai ne sarai degno ti darò qualche consiglio.

Regola tre: non metterci in mostra. A causa delle tue bravate sei già nero con delle ventose. Evita di attirare l'attenzione ancor di più. Ora hai dentro di te qualcosa che vale più della tua stessa vita.


Capito carboncino?


Fece cenno con la testa e poi aprì bocca ma venne subito interrotto.
Regola numero uno.... numero uno...

***Giusto...Grazie Gyuki... io e te faremo grandi cose! Grandi opere! Questo è il destino dell'Eremitadi dell'Inchiostro!***

Non ci sarà nessun destino se non porti il tuo culo nero fuori da questo posto che mi mette ansia!

***Giusto...Usciamo da qui!***

E il Kamata fece per rimettersi in piedi.. ma non ci riuscì. Quindi iniziò a trascinarsi a passo sgusciante con il ventre a terra mentre le braccia e le gambe facevano l'impossibile per farlo avanzare in direzione di quella che sembrava una luce alla fine del tunnel.

Dopo parecchio tempo, immani sforzi e conati di vomito misto inchiostro, finalmente raggiunse la luce e l'aria aperta.

La vista si affievolì e le forze stavano scivolando via. Probabilmente l'effetto della boccetta di Kinji stava finendo effetto, se mai fosse stata reale...

In lontananza vide delle figure ma non riuscì a capirne l'identità. Strisciò ancora fino a trovarsi a qualche metro da un gruppo di Konohani intenti a discutere con l'Hokage.

Cercò con la mano di attirare la loro attenzione ma erano troppo indaffarati a discutere con l'Hokage.
Tra loro vi era anche Kinji-sama.
Un sorriso si palesò sul volto del disegnatore.

Il Kamata fece un ultimo immanesforzo sforzo trascinandosi e con la destra prese le vesti del Vermiglio tirandole leggermente.

E con lo stesso fare di un barbone che chiede l'elemosina disse: chof... chof... Raion a rapporto....

E si lasciò andare perdendo conoscenza..



//Gdr OFF - >
Scusate il ritardo. Poco tempo e troppo lavoro.


Edited by Tuttorouge - 28/8/2018, 21:20
 
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view post Posted on 24/8/2018, 19:13
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Sente freddo...

Gli occhi si aprono di colpo: buio, rosso di fuochi da campo; terra secca e fresca, premuta contro la guancia. Richiami, grida, ordini, lamenti sempre più forti, mentre la risata demoniaca si spegne poco a poco.
Quella risata.
Annaspa, si alza in piedi; il terreno ondeggia violentemente, l'orizzonte sembra volersi capovolgere, le dure pietre cozzano contro le ginocchia.
Si trova col naso a qualche palmo da terra, le braccia ad evitare d'istinto un impatto frontale del viso contro il suolo; qualcuno corre dietro di lei, la supera frettolosamente, calpestandole il mignolo della mano sinistra: tira immediatamente la mano al petto, stringendosela con l'altra, una smorfia contrariata sul viso. Il rumore di passi si spegne in lontananza davanti a lei, così come la sagoma sfuocata ed ammantata di scuro si perde nell'oscurità del campo di battaglia notturno. Le membra tremano appena, come se non ricordassero più come muoversi.

Le voci e i lamenti tessono un mormorio costante attorno a lei, via via più fitto. È una sensazione strana, è come se tutti si stessero lentamente... svegliando?
No, non tutti. Un paio di occhi vitrei fissano il vuoto alla sua destra, a circa un metro di distanza: azzurri, sotto un coprifronte di Kumo, scivolato di traverso sul viso abbronzato di un ragazzino della sua età. Nessun segno di lesioni. Sorprendentemente facile accettarlo, e non come si accetta una disgrazia ineluttabile - è così e basta: come lui ce ne saranno altri, sparpagliati qui e là; l'idea che avrebbe potuto anche lei non risvegliarsi, quella non la sfiora. Sbatte le palpebre così pesanti, torna a guardare davanti a sé: gli occhi bruciano e faticano ancora a mettere a fuoco i dettagli, colgono sagome in movimento – qualcuno sta scappando verso l'orlo esterno delle rovine, altri cercano di sollevare i compagni ancora riversi, altri ancora muovono appena le braccia e le gambe, ancora intontiti.

È come se quella cosa del tempio non fosse mai successa.
Ripensa alla risata: tutti i peli del corpo si drizzano all'unisono. Sente freddo, stringe le mani attorno alle braccia e le strofina con movimenti torpidi e impacciati; cerca con lo sguardo... qualcosa. Ricorda vagamente, le sembra di ricordare di altre persone con lei, una squadra, c'era anche il Mizukage, forse. Dove sono?
Non riconosce uniformi di Kiri nei paraggi, solo giubbotti verdi di Konoha e bandane rosse di Iwa. Le si insinua dentro un senso di straniamento, di fastidio, di vago pizzicore di lacrime, ma non apre bocca per gridare aiuto: non ne ha bisogno, non sta male, ha solo bisogno di... qualcuno, di non essere sola, di tornare a casa, che è casa fatta di persone di Kiri, non di mattoni o legno. Vuole casa, è l'unica cosa a cui riesca a pensare. E a furia di cercare, seduta lì a terra, la trova anche e il cuore fa un tuffo: alta, albina, risalta contro il cielo blu petrolio a testa alta, in mezzo al campo di corpi umani. La vede voltarsi a guardare qualcuno che l'ha chiamata.
Le manca un braccio.

Crede di stare per soffocare...
“Shi... SHITSUKI!” strilla con voce strozzata, il corpo che si solleva automaticamente da terra, goffo e scoordinato; la sposta verso l'apparizione eburnea, facendola inciampare su tutte gambe, le braccia e le armi che avesse incontrato sul suo percorso. Si avvicina, il volto perso in quello salvifico dell'altra ragazza, solo per accorgersi che non è lei.
Confusione. Stordimento. La testa le gira all'improvviso.
“Shitsuki...?” ripete stolidamente, a mezza bocca; rallenta spiazzata, fruga stupidamente con lo sguardo i dintorni che hanno ripreso a ondeggiare, come se ciò potesse far saltare fuori la “vera” Shitsuki – che è lì, proprio lì, sotto al suo naso, con la coda e il resto, ma Urako non la riconosce. Come se non ricordasse subito com'era cambiata. La donna dalle grandi corna accanto al quella con un solo braccio però sembra riconoscere lei, è dalle sue labbra che esce la voce della persona che Urako cercava.
"Mi dispiace, Urako. Io me ne vado. Col cazzo che continuo a servire un villaggio che mi usa così."
E lei resta a bocca aperta come una triglia.




Gli occhi cerulei trasudano una risoluta indignazione, il portamento lesa maestà, nobiltà ferita nell'orgoglio: sì, ora ricorda, è lei... grazie alla Nebbia ha tutte le braccia ancora attaccate... sollievo... non ha voglia di capire, non sa cosa dire - come quando sei sul percorso di addestramento e devi saltare all'improvviso un crepaccio. Scuote la testa ma la lingua non si muove, ammutolita, con l'orribile sensazione di aver già vissuto qualcosa di simile: le basta realizzare cosa sia, perché il suo cervello veda improvvisamente tutto bianco. La gola si chiude, le orecchie iniziano a ronzare, quasi coprono le frasi di protesta dell'albina; i pensieri rinchiusi in una bolla impalata in cima a un corpo fiacco, privo di vita e di sangue.
I ricordi stanno riaffiorando, uno per uno: memorie dell'ultimo giorno d'isolamento, l'ultimo giorno in cui abbia visto lui ancora vivo. Il giorno in cui se n'è andato. È in quel momento, col cuore che batte un ritmo da plotone di esecuzione, capisce che sarebbe successo di nuovo, con un'altra persona a cui aveva faticosamente imparato ad avvicinarsi, e lei non avrebbe potuto opporsi in nessun modo.
"Ti stupisci? Ero l'unica che non si è comportata come una fighetta piagnucolante!" prosegue lei convintissima, apparentemente senza curarsi del rischio che qualcuno possa udirla e arrestarla. Si sente gemere internamente di paura, non ha la forza di cercare attorno a loro il volto del futuro delatore - "E avremmo potuto essere fuori in un attimo! Ma no, andiamo a sfidare il Demone e a sacrificare una Figlia di Jashin, certo!" - parole che trasudano veleno, acredine. No Shitsuki, non volevano farti del male, hai frainteso - è questo che col senno di poi avrebbe dovuto dirle per convincerla, ma in quel momento non ci riesce.
"O no? O ho visto solo io che mi hanno lanciato una Genjutsu contro e mi hanno legato come un fottuto salame contro la mia volontà?"


« La nostra vita non è qualcosa che riesco più ad affrontare, lo avrai visto con i tuoi occhi, più di una volta. »



La voce di Shi vibra ancora sorprendentemente fresca nella sua mente, come se fosse ieri; come se l'avesse perduto da una vita intera.
Finalmente riesce ad articolare una frase di senso compiuto, da quella boccia piena d'acqua, ed esala un desolato "l'hanno fatto", senza aggiungere altro. Ha dei ricordi in testa, che le dicono che è successo, lei li ha visti; una voce, sempre in testa, protesta fiaccamente che forse – forse – sono uscite vive da quella faccenda, proprio perché non le hanno lasciato fare quel che avrebbero voluto. Forse. Non può dirlo, non ne è sicura – di conseguenza non può che tremare e tacere, bevendo fino in fondo quel calice, che sa già essere più amaro di quanto sia tollerabile.
"E tu sei d'accordo? O semplicemente lo accetti perché non hai alternative?"

« Il nostro mondo è fatto così. Non voglio avere questo problema. Diventerò un traditore lo stesso... Tanto vale iniziare subito. »



Scuote la testa, nessuna risposta; gesto replicato dall'altra, accompagnato da un lento sospiro. Alternative, dice lei. Ne ha infinite, e nessuna nello stesso tempo.
"Mi dispiace, Urako. Davvero. Ma io un'alternativa ce l'ho... E questa gente ha dimostrato di non meritare il mio aiuto né quello dei miei fratelli e sorelle."

« Perché questo è ciò che voglio essere, ciò che nessuno di noi è mai stato. Qualcosa di giusto. »



Fa una breve pausa. Lo sente avvicinarsi, sta per succedere.
Sente il cuore tremare, il corpo è come se non ci fosse.
"Spero solo non sia tu a ricevere l'incarico di cercarmi."
Il tintinnio acuto del coprifronte viene divorato dal vociare crescente: è successo, senza che lei potesse fare niente – senza che la sua voce potesse contare qualcosa. Non ha neppure il lusso, la soddisfazione di sentire spezzarsi, strapparsi qualcosa dentro: solo quel magone stupido e inutile, perché il dolore dell'anima non si vede, e nessuno a parte te sa che ce l'hai. Che senso ha stare male, quando neanche sai se è giusto sentirsi a quel modo? Una ferita è una ferita, sai perché fa male, si vede, si può ricucire. Se fosse una kunoichi migliore, forse non soffrirebbe. Sarebbe sollevata, perché un'altra persona pericolosa per Kiri si è allontanata sua sponte. Ha sempre saputo che quella ragazza fosse strana, perché ora dovrebbe piangerne la fuga?! Se solo fosse migliore... ma lei è solo Urako, e questa è una delle cose peggiori che sarebbe potuta accaderle.

Forse è lei a non aver capito niente, a non voler vedere quello che lei e Shi hanno visto; forse ha solo paura di morire e non fa che nascondersi dietro le sottane del Mizukage, senza il coraggio di fare i suoi passi, fingendo che restare a casa sia meglio perché c'è sempre qualcuno che si interessa a te.
Certo, qualcuno che si prende cura di te... lasciando che bruci e negandoti gli onori di chi muore in missione. Che Shi un tempo potesse volerle bene, era abbastanza certa; che anche Shitsuki glie ne volesse, a suo modo, era vero... in un certo senso. Sente la testa sempre più bollente, bruciante, come se stesse per detonare! Le resta qualcuno ancora, in quello stupido villaggio muffito, che possa interessarsi a lei?
Fa appena in tempo a terminare il pensiero, perché un paio di braccia la circondano a tradimento e la stringono, tanto da levarle il fiato dai polmoni.




Lo riconosce mentre cerca di divincolarsi con deboli proteste: ha la faccia premuta contro il petto di un tizio che le è letteralmente saltato addosso, avvolgendola rudemente, come se fosse la sua più cara amica appena ritrovata. Riesce a stento ad inquadrare l'enorme spada che quello porta sulla schiena, avvolta da bende e con un solo manico. “K-kanada-san...?” gracchia sconvolta; la presa si scioglie improvvisamente, lasciandola improvvisamente libera di respirare, mentre lo Spadaccino prosegue con la sua ricerca frenetica di persone da stritolare.
Ma cosa...?
Quando torna a voltarsi, Shitsuki già non c'è più.
Resta solo il vuoto dentro, e fuori il calore leggero della stretta di Mitsuaki, intrappolato nel tessuto dell'uniforme, un misto di fastidio e sorpresa e il cuore meno pesante così, a tradimento! Non può sentirsi meglio per l'abbraccio di uno scemo a caso, per la Nebbia! Shitsuki se n'è andata!
Resta lì in piedi, dolorosamente irrigidita nel suo silenzio; fa vagare lo sguardo attonito sul campo di battaglia, i pensieri improvvisamente zittiti: c'è molta più gente in piedi, adesso. Un gruppo di shinobi col coprifronte di Suna sta mettendo in barella una compagna ancora priva di sensi, ignorando i due corpi immobili che giacciono a meno di venti centimetri da lei. Uno ha i capelli rossi come “...Yu...?”
Eccolo, una di quelle persone che non deve andarsene. Lui è ancora qui.
Brividi elettrici le attraversano il corpo intero: ora sa cosa deve fare.
Il suo corpo si muove da solo, di nuovo: vede la sagome riversa avvicinarsi, la vede salire all'altezza degli occhi quando si inginocchia accanto a lui, e le ginocchia danno un sonoro gemito di dolore: poggia due dita sul collo tiepido del ragazzo, alla ricerca del battito – c'è, è vivo. Si ricorda adesso che deve respirare. Le mani tremano con violenza e un'ondata di lacrime le sale agli occhi; molla un paio di colpetti sulla guancia del rosso, gracidando “Yu... Yu, svegliati” - ma senza nessun risultato.
“Yu...?”
Niente.
Il cuore batte, sta respirando, non c'è motivo al mondo che gli impedisca di tornare. Gli prende la mano, stringendola tra le dita - “Yu... Shitsuki se n'è andata...” mugola sperduta, incapace di aggiungere quello che davvero le geme nell'anima: io non so cosa fare, Yu, ti prego svegliati... ma è come parlare al muro, o a una pietra.
Deve avere pazienza. Forse gli serve solo più tempo. Si guarda attorno, quelli di Suna se ne sono andati di gran carriera lasciandola lì, come un cane randagio. “Andiamo, Yu! Basta, siamo fuori!” - non serve a niente. Nessuna unità medica di Kiri in vista... tranne lei, che si affretta a richiamare il chakra medico sui palmi delle mani: a prima vista è illeso, i riflessi sono normali, le iridi verde mare si contraggono diligentemente al passaggio della luce - eppure Yu non è lì.
Lo scuote di nuovo, lo pizzica, lo chiama ancora; il clamore tra le rovine aumenta di attimo in attimo, una sensazione di freddo siderale le abbraccia la schiena e l'animo: gli shinobi sono "coloro che resistono". Ma cosa vale resistere, Yu, se tutto quello che ha attorno crolla in questo modo? Se anche tu te ne vai senza neanche salutare?!
Inaspettatamente, la frustrazione le risale dallo stomaco e lo artiglia con ferocia, specchiandosi nell'ira improvvisa che le deforma il viso impallidito. Non è una cosa che un medico dovrebbe fare, ma un ennesimo richiamo “YU! KYOMEI YUZORA, IN PIEDI!” viene seguito da un sonoro schiaffone - “NON PUOI ANDARTENE! NON ANCHE TU... ”
Non si gira nessuno a guardarla male, è pieno di gente che si dispera come lei: soffoca una risata amara con la forza, fomentata dalle sue stesse urla. Il sangue ribolle nelle vene come se fosse posseduta da un Oni antropofago, qualcosa di completamente diverso dalla forza di quella Okami: lo afferra per il bavero e lo scrolla, fuori di sé, vomitando l'ultima invettiva a pieni polmoni -
“SE CREPI PURE TU GIURO CHE SCENDO NELLO YOMI, VI RIPORTO INDIETRO E VI AMMAZZO CON LE MIE MANI, TE E QUELLO STRONZO DI SHI!” ruggisce, sollevando le mani cariche di chakra: le abbassa con impeto sul torace del ragazzo, lì dove c'è il cuore, scaricando tre impulsi a potenza piena. Si sarebbe svegliato, a costo di sfondargli le costole. Il chiarore verdastro della jutsu medica balugina tra la luce aranciata delle torce, illumina di ombre sinistre il viso ringhiante della quindicenne dagli occhi sbarrati, mentre a qualche centinaio di metri di distanza il rumoreggiare di voci cariche di rabbia lascia presagire solo altro sangue: non importa, importa solo che lui ritorni.
Tu tu alzerai, e io ti farò arrivare a Kiri a suon di calci nel culo.



CITAZIONE


Edited by -Egeria- - 27/8/2018, 15:31
 
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Di nuovo fu il nulla. Di nuovo fu il tutto. La coscienza di Yu disintegrata si ritrovò a vagare ancora, come altre volte era accaduto in quella rocambolesca odissea. Alla ricerca di un posto, il suo posto. Alla ricerca di un sé stesso che piano piano stava ricomponendosi per l’ennesima volta. Ma era come se ad ogni ciclo fosse più difficile trovare l’incastro giusto di tutti quei pezzi, come se ad ogni ripresa non solo il mosaico cambiasse, ma anche gli spigoli di ogni singolo frammento ne uscissero un po’ logorati, causando una difficoltà maggiore nel rimetterli insieme. A volte era semplice trovare il pezzo adiacente, a volte si veniva ingannati dalle apparenze, da colori simili, da sensazioni e legami troppo vaghi da poter essere ben collocati. Inoltre una nuova complicazione sembrava essersi palesata, un nuovo livello del gioco: tra i tanti pezzi che lo Shinobi riusciva a riconoscere come propri, ce n’erano alcuni che lo portavano fuori strada, estranei, per nulla suoi…e non facevano altro che fargli perdere tempo nel tornare completamente sé stesso. Erano talmente tanti quegli intrusi, un’infinità rispetto a ciò che serviva a lui. Rallentavano il suo ricomporsi, benchè Yu stesse tentando con le unghie e con i denti di non perdersi, di aggrapparsi a quel poco che era stato ricostruito, di vivere in quei frammenti di ricordo che avevano trovato il giusto posto, trattenuto in una bolla alimentata da quell’intensa luce e quella risata sguaiata. Ultimo ricordo che gli si era impresso nella mente prima di dissolversi. Terribile, pauroso ed inevitabile, accompagnò il suo essere passo dopo passo, quasi guidandolo in quel nulla dilagante nel recuperare ogni singolo pezzetto a ritroso, fino a quando tutto ciò che lo Shinobi della Nebbia era non fu totalmente riunito. Ogni pensiero, ogni ricordo, ogni legame, tutto tornò al suo posto, doloroso o piacevole che fosse. Gli altri pezzi? Gli altri pezzi stavano aggregandosi da soli, senza più interferire con i suoi, con un fare quasi rabbioso, vorticando infastiditi, ma senza dare noia al Rosso. Provò una strana sensazione…una strana libertà commista a leggerezza, nonostante tutto quello che era accaduto. Fu come se finalmente avesse spezzato delle pesanti catene, come se il peso che lo aveva ancorato in quel luogo maledetto finalmente fosse stato sganciato…ma durò poco. Questione di attimi, lunghi un’eternità, prima che si sentisse attirare violentemente verso il basso.


E dopo la luce fu l’oscurità ad accogliere Yu. La coscienza del ragazzo lo agguantò con prepotenza, costringendolo ad aprire gli occhi di colpo in un limbo scuro, apparentemente senza luce, in cui ombre nelle ombre sembravano muoversi senza sosta. Era possibile vedere sagome nel buio senza che vi fosse un solo spiraglio luminoso? Non ne era sicuro, ma in quel momento stava accadendo. Si tirò a sedere stancamente, confuso, passandosi una mano tra i capelli e cercando di fare mente locale. Ma ci volle poco perché gli ultimi avvenimenti si riversassero convulsi nei suoi ricordi. Le colonne, il tempio, Kurama, i suoi compagni, Ōmikami. Si alzò rapidamente guardandosi attorno. Era sparito tutto. Tutto. Ed era solo. Equipaggiato, ma solo. Anche sforzandosi non avvertiva l’odore dei suoi compagni, anzi…non avvertiva nessun odore. Era come se fosse finito nel nulla assoluto. Ma non poteva essere, giusto? Non poteva essere che dopo tutto quel casino, dopo tutto quello che aveva passato ci avesse rimesso la pelle, no? Non…non aveva senso. Che sbocco avrebbe avuto allora l’intento di quella dea di mettere uomini e demone uno di fronte all’altro, se poi i sette fossero morti? Quale razza di disegno sarebbe stato, quale risvolto avrebbe avuto?
Fu con una gelida stretta allo stomaco che le parole della volpe tornarono a farsi strada come tarli nella sua mente. Le insinuazioni che per quella dea luminosa tutto non fosse altro che un gioco, un passatempo. E quella risata…quella risata che raggelava fin nelle ossa. Derisoria, cupa e cinica. Il suo cuore tremò nel realizzare che forse, in fin dei conti, il demone non aveva mentito a riguardo. Il dubbio prese piede, facendosi ogni secondo più grosso e potente come una valanga. L’idea di poter essere morto in un modo così idiota, divenne vivida. Ma per quanto la temesse, per quanto lo impaurisse, per quanto solo valutare quell’opzione lo facesse tremare, la rigettò. No. No…non lo accettava. Non era così. Non poteva essere assolutamente così. Ma se non lo era, allora cosa stava accadendo? Cos’era quel posto? Dov’erano gli altri? E, soprattutto, come cazzo ne sarebbe uscito? Non c’era niente, lì. Niente! Se non lui e quel buio fitto che tutto inghiottiva. O almeno così credeva.


« Questa volta l’avete combinata proprio grossa…voi, sudici umani. »

Quella voce! Profonda, ribollente di odio e d’ira, giunse dall’oscurità più profonda, laddove le ombre si muovevano nelle ombre, squarciando l’immobile silenzio di quel luogo. Yu sobbalzò nell’avvertirla, iniziando istintivamente ad arretrare, mentre la gola si faceva secca e l’incredulità preponderante. Scuoteva la testa in segno negativo: non poteva essere. No, era solo un incubo. A breve si sarebbe svegliato e tutto sarebbe finito lì. Giusto?
Sbagliato. E non ci credeva nemmeno lui. Gli occhi fissi nelle ombre, nella direzione da cui era provenuta quella voce cavernosa, sbarrati a sondare il buio, inutilmente, fino a quando la creatura non decise di palesarsi. A quel punto fu come se le tenebre si aprissero di proposito, quasi un tetro sipario, mostrando il corpo del demone lentamente, un pezzo per volta come se entrasse in un cono di luce che in realtà non esisteva. Prima una zampa, gli artigli candidi perennemente estratti, poi il resto dell’arto su fino alla spalla, mettendo in luce il petto e ben presto il muso adirato. Gli occhi brucianti, le zanne snudate e gli orecchi tesi all’indietro, mentre le code facevano da cornice, agitandosi nervose mentre uscivano una ad una dalle fitte tenebre fino ad essere tutte perfettamente visibili. Immenso, maestoso, per guardarlo per intero Yu doveva tirare indietro la testa quasi del tutto e…faceva dannatamente più paura di quando lo aveva affrontato precedentemente. Non più sostenuto dal chakra della dea, il Rosso si sentì schiacciare da quella presenza, da quella sua rabbia. Seppure apparentemente sembrasse non essere minimamente cambiato, a sguardo più attento lo Shinobi si rese conto che ciò che aveva davanti era leggermente diverso dal demone incontrato in precedenza. Non meno spaventoso, non meno furioso, non meno arrogante o superbo, ma…dava l’idea di essere molto provato. Le sue ultime parole, così roboanti in quel luogo isolato e illuminato solamente dal sole della divinità, tornarono a farsi sentire nelle eco della testa di Yu, accompagnate dalla risata sguaiata che ne era seguita. “La prossima volta che ci vedremo, il vostro mondo sarà mio” aveva detto…Così smargiasso e pieno di sé. Ma pareva che qualcosa non fosse andata proprio come aveva pianificato.


Ci rivediamo piuttosto presto dopotutto... Deglutì a vuoto Yu, mentre un tremolio nella voce tradì la paura che tentava di nascondere dietro quel finto sarcasmo. Ne, Kurama?


png


Un ringhio tonante gli riempì gli orecchi, furioso, prima che, senza nemmeno se ne accorgesse, una scudisciata di coda lo colpisse all’addome, scaraventandolo in aria e tagliandogli il fiato. Un fulmine fulvo, che tutto aveva fuorchè l’intenzione di farla finire in fretta. Yu venne schiantato a terra da una zampa con la stessa velocità con cui era stato precedentemente sbalzato, senza poter alzare un dito per difendersi. Schiacciato a terra dalla pressione dell’arto ferino, superato l’impatto alla schiena che non fu per nulla piacevole, il Rosso tentò di divincolarsi muovendo le gambe e le braccia, ma non ci fu modo di allentare la presa della volpe che torreggiava su di lui tra il trionfante e il furioso, con quell’espressione feroce che riusciva a raggelare anche la lava.

« Fai poco lo spavaldo moccioso! Sei vivo solamente perché mi servi. » Il ringhio giunse da tanto vicino che Yu ebbe modo di sentire il fiato caldo del demone sul viso. Le fauci enormi, a quella breve distanza ebbero il potere di fargli schizzare il cuore in gola, convinto che ormai non avesse più alcuna possibilità, salvo poi venir smentito dalle parole di Kurama stesso che catturarono la sua attenzione, un attimo prima che il muso del demone si allontanasse un poco. « Guarda come mi ha ridotto la sconsideratezza della tua razza…Il mio corpo dissolto, la mia anima dilaniata! Voi stupide scimmie spelacchiate siete il vero cancro di questa terra! » Qualsiasi tentativo di Yu di aprire bocca venne stroncato sul nascere dall’aumentare della pressione della zampa sul suo corpo e dal ghigno crudele che mise in mostra la chiostra di zanne affilate del Bijuu. « Ma non è così facile liberarsi di un demone. Gioisci moccioso! E sii orgoglioso! Perché da quest’oggi il tuo corpo mi apparterrà! »

Che cosa…? La voce uscì strozzata in un primo momento, tra il peso che gravava sul suo corpo e il groppo che improvvisamente gli aveva chiuso la gola. Che cosa significa?!

«…Che, se ti opporrai, farò di te il mio giocattolo. »

Yu riuscì a vedere il proprio stesso viso spaventato riflesso nell’iride scarlatta del demone, mentre gli sussurrava quelle parole a un soffio dalla faccia. Il tono talmente profondo e tetro da far vibrare ogni fibra del suo essere, aprendo un baratro di terrore in cui anche solo guardare dall’alto metteva la pelle d’oca. Non ci stava davvero capendo nulla. La sua testa era andata in tilt nel momento stesso in cui si era ritrovato appresso Kurama mentre gli vomitava addosso tutto il suo rancore per gli uomini e quella serie di informazioni che il Rosso faticava a ricollegare assieme. Però una cosa l’aveva capita. Al di là della naturale paura che provava nel ritrovarsi in quella situazione pessima, al di là del terrore che la volpe stessa aveva intenzione di alimentare con il suo comportamento, le sue parole e quei sorrisi crudeli…il demone aveva bisogno di lui. Vivo. Non sapeva cosa fosse accaduto di preciso, non capiva come potesse essersi dissolto il corpo del demone e non il suo, ma era chiaro che quella creatura per sopravvivere avesse necessità di un luogo in cui rintanarsi. Un contenitore. Due anime potevano abitare lo stesso corpo? Ci sarebbe stato qualcuno di predominante? Un Alfa e un Omega? Domande, queste, che il Rosso avrebbe dovuto farsi, ma che in quel momento non si pose…troppo preso dal lato ironico di quella faccenda, tanto da non riuscire a trattenere una risata, con evidente disappunto del demone che si espresse in un lungo e basso ringhio che nulla presagiva di buono.

In pratica stai dicendo che hai bisogno di me? Se ne uscì tra un colpo di quella risata quasi isterica e l’altro, mentre cercava di smettere e riprendere quel minimo di serietà utile alla sua irriverenza. Tu! Il Grande Predatore che si fa scarrozzare in giro da uno degli agnelli che tanto disprezza, e si nasconde nel primo buco disponibile proprio come una preda…c’è qualcosa di ironico in tutto questo. Lo derise, tirando in ballo il gran discorso che aveva fatto giusto poco prima - o almeno credeva fosse poco prima - a tutti e sette gli Shinobi della Nebbia, circa la sua superiorità. Oh, se ne rendeva conto Yu che sfidare così apertamente quel Bijuu era da folli, se ne rendeva conto eccome, così come comprendeva che quella sua eccessiva sicurezza fosse probabilmente alimentata dalla paura stessa, dall’inevitabilità delle cose, da non avere altra arma per ferire se non la propria lingua. Ma questo non cambiava il punto chiave di quella faccenda. Tanto più perchè significa…che non puoi uccidermi.

« TACI! » La zampa che teneva fermo Yu si alzò lievemente, senza lasciarlo libero, per poi premere ulteriormente addosso al ragazzo con più forza di prima, piantando gli artigli in quel suolo inconsistente e facendo strabuzzare gli occhi al Chunin che arrancò alla ricerca d’aria. « Quanta arroganza in un corpo tanto piccolo e fragile. Dovresti essere onorato di essere stato scelto moccios-..! »

E’ Yu! Quello fu il turno di Yu di alzare la voce, bloccando il discorso a metà e gridando con quel poco fiato che riusciva a richiamare nei polmoni. Aveva perso il conto di quante volte lo aveva appellato in quella maniera ormai, ne aveva avuto abbastanza. Il mio nome è Yu! Smettila di chiamarmi “moccioso”! A te piacerebbe che iniziassi a rivolgermi a te chiamandoti “stupida volpe”? Le code sferzarono l’aria nervose e irritate e gli occhi ferini del demone si ridussero a due strette fessure, mentre l’ennesimo suo ringhio minaccioso squarciava l’aria all’avvicinarsi del suo muso al viso del Rosso, che fu costretto a girarsi di lato pur continuando a tenere gli occhi sulla bestia. Risposta eloquente. Appunto. Biascicò, prima di riprendere parola: c’era una cosa che aveva detto la volpe che lo aveva lasciato perplesso. Piuttosto…hai detto che mi hai scelto. Perché io? Perché non qualcuno di più forte?

Tornò a voltarsi dritto per porre quella domanda, cercando di reggere lo sguardo iroso del Kyūbi, di leggervi una risposta. Quella che per lunghi istanti di silenzio non giunse dalla bocca del demone, quella che anche la volpe sembrava non riuscire a trovare. In fin dei conti, era una domanda lecita: per quale motivo decidere di prendere il suo corpo, quando poteva occupare quello di ninja ben più forti di lui? Vista la superbia di Kurama, gli sarebbe senz’altro convenuto rintanarsi in uno Shinobi più esperto, con maggiori conoscenze e capacità. Almeno questo era il punto di vista di Yu…e per un momento quasi ci sperò di ricevere una risposta sincera da quel demone. Lo aveva spiazzato un po’ con quella domanda, se n’era accorto. Kurama lo aveva guardato per lunghi attimi come se stesse chiedendo quella stessa cosa a sé stesso. Ma alla fine indossò di nuovo quel ghigno crudele e il ragazzino seppe che da quella bocca non avrebbe udito altro che bugie.

« Non ti fare strane idee…Yu. » Disse, calcando maggiormente sul nome del giovane. « Se ho preferito te a qualcun altro, è solo per sfizio. Un capriccio.
Mi hai dato del patetico, del senza palle e del bugiardo. Voglio proprio vedere chi sei tu per poterti permettere di dire tanto e poi…sarà un piacere ridurre il vostro mondo allo sfacelo, attraverso un umano stesso. »
Sogghignò, leccandosi le labbra e abbassando la voce che prese un tono tagliente come una lama. Il tono di chi sapeva di avere il kunai dalla parte del manico e ci godeva nel rigirarlo nella ferita aperta. « Magari potrei iniziare da quegli Shinobi che erano con te, che ne dici? Non vedo l'ora di sentirti scalpitare nel vano tentativo di fermarmi. »

NO! La rabbia, commista a paura, montò in un solo istante nel sentir minacciare i propri compagni, ma il grido di Yu non fu in grado di soverchiare la risata sguaiata della bestia. Si dimenò allora, come un serpente a cui è stata tagliata la coda, furioso, nonostante un attimo prima si fosse raccomandato di non credere ad una sola parola. Ma non poteva permettere che persone a cui teneva come Urako e Takumi finissero nel giogo di quella volpe, nemmeno se il rischio fosse stato minimo e quelle che gli aveva raccontato fossero tutte balle. Resti il solito bugiardo… Lo provocò. Chi ti dice che ti permetterò di fare quello che vuoi?!

La risata cessò e il muso della volpe si abbassò su Yu talmente tanto che, se fosse stato possibile, il ragazzo sarebbe riuscito a specchiarsi in uno dei suoi lunghi canini. Il fiato caldo e lezzoso del demone gli carezzò la faccia scostandogli i capelli della frangia e facendogli socchiudere le palpebre, ma senza distogliere lo sguardo da quello di Kurama. C’era una luce strana nei suoi occhi, sempre irritata, sempre pericolosa…ma con una punta di qualcosa che il Rosso non riuscì a definire. Un qualcosa che riverberò nelle parole che seguirono.

« Oh-oooh quanta presunzione, pensi di riuscire a resistermi? »

Vuoi scommettere?

Se pensava che si arrendesse senza nemmeno opporre resistenza, beh, quella vecchia volpe era proprio sulla strada sbagliata! Se fosse stato necessario avrebbe combattuto con le unghie e con i denti, strisciato nel fango come un verme. Col cazzo che gli avrebbe lasciato fare il bello e il cattivo tempo col suo corpo, tanto più dal momento in cui aveva minacciato apertamente persone per lui importanti. Forse sarebbe stato inutile, forse sarebbe stato ugualmente schiacciato dalla netta superiorità di forza del Bijuu, ma questo non significava che non avrebbe mosso un dito, lasciandogli carta bianca. Avrebbe lottato fino alla fine, senza regalare niente a nessuno! Se quella volpe voleva il suo corpo, se lo sarebbe sudato.
Vide il Kyūbi allontanare il suo muso di nuovo, allargando quel sogghigno con un che di compiaciuto, come se fosse sul punto di dire qualcosa. Ma quel battibecco venne stroncato proprio nel suo punto più teso. D’improvviso, uno scossone forte fece tremare tutto, come se quel mondo di tenebra stesse minacciando di collassare, prendendo in contropiede la volpe stessa che si guardò attorno stizzita, muovendo gli orecchi. Ci volle poco perché tre impulsi di luce che si susseguirono l’un l’altro a intervalli regolari attraversassero le mura invisibili di quel luogo. Al loro manifestarsi, il corpo di Yu si tese, attraversato da una forte scarica elettrica, una, due, tre volte, mentre un dolore intenso lo agguantò al petto, proprio dove stava il cuore, facendogli aprire la bocca in un grido muto. La vista iniziò ad offuscarsi prima che riuscisse a realizzare il tutto, la sagoma di Kurama divenne una macchia fulva sfuocata nell’oscurità, il peso della sua zampa sul corpo un elemento superfluo, via via sempre meno percepibile. Solo la sua voce restò. Così profonda e cupa, ma non abbastanza da mascherare completamente il divertimento di cui ne era intrisa. E fu proprio la voce di Kurama l’ultima cosa che Yu udì, prima di chiudere gli occhi e lasciare che la sua coscienza volasse via di nuovo. La risposta a quella sua ultima domanda.


« Scommessa accettata. »

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Riprese coscienza lentamente, letargico, come se stesse risalendo dal fondo dell’oceano e si dovesse riabituare con calma alla differenza di pressione della superfice. I sensi addormentati si fecero attendere, così come la chiara presa di coscienza di non essere più dove si trovava poco prima, ma in una posizione diversa con temperatura diversa e steso su qualcosa di consistenza diversa. La prima cosa a colpirlo fu un senso di pesantezza quasi innaturale. Il corpo non sembrava nemmeno il suo, le membra estranee…come quando gli si addormentava un braccio e per muoverlo doveva spostarlo con l’altra mano, sentendolo totalmente alieno e fuori dal proprio controllo. Poi giunse il freddo, che gli attraversò gelido le narici in quel lungo respiro da riemersione e che gli lambì tutto il corpo facendolo rabbrividire. I primi odori andarono a solleticare la sua coscienza, alcuni piacevoli, altri che gli mettevano la nausea…tutti commisti ad un forte e pressante lezzo di paura. Stimolata da quelle prime percezioni, la letargia prese a dissolversi e le prime ovvie domande a comporsi lentamente nella sua testa. Dov’era? Quello non era l’odore di casa…Cos’era successo? Pensieri sguscianti che appena formati si dissolvevano come nebbia, ma che lo aiutarono a emergere un altro poco, piano piano, facendo un’enorme fatica.
Sentì allora la terra secca e farinosa sotto i polpastrelli delle mani e i primi fastidiosi rumori che non sembravano avere pace. Attutiti, quasi avesse un cuscino sulla testa a coprirgli gli orecchi, ma anche così erano dannatamente irritanti. Una cacofonia assordante, molesta…di quelle che quando iniziano si sa che non si riuscirà più a chiudere occhio neanche a morire. Un brusio continuo che si faceva sempre più forte, inframmezzato da voci più alte della massa informe che lo attorniava. Un disturbo che ben presto fu fin troppo chiaro da poter essere sopportato a lungo. Aprì gli occhi con un certo malumore. Le palpebre stanche si alzarono piano, pesanti come il resto del corpo, mettendo in luce le iridi chiare del ragazzo che, contrariamente, di chiaro non vedeva nulla. La vista ancora appannata dal sonno e dalla spossatezza anormale che avvertiva, così come la testa che, per quanto pesante, era come se fosse vuota, i pensieri razionali coperti da una fitta coltre di bruma bianca…sì, un po’ come fosse sbronzo.


Quanto rumore… Borbottò, biascicando le parole con le labbra e la gola secche e impastate. Non ho un principio di sordità…

Era ancora tutto dannatamente confuso e quel casino non lo aiutava a schiarirsi le idee. Il suo corpo, però, sembrava essere a posto…almeno credeva. Si mosse un poco, strizzò gli occhi un paio di volte, girò il collo alla ricerca di una posizione più comoda - qualcosa di duro gli stava pungolando la testa in modo doloroso - piegò un ginocchio, portò una mano sull’addome, saggiò il terriccio con l’altra portandosela poi davanti al viso, quasi a voler constatare coi propri occhi cosa vedeva. Movimenti lenti, atti a controllare che fosse tutto a posto e, intanto, la testa cominciava a funzionare un po’ meglio, abbastanza almeno da scorgere una figura familiare tra gli spiragli della sua mano aperta. Urako. C’era Urako vicino a lui. Che strano…perché era lì? Non si vedevano da un sacco. Da dopo la missione ad Hatoma. Già. Yu si era tenuto alla larga sia da lei che da Shi perché pensava che, in qualche modo, ce l’avessero con lui per quello che era successo. Nemmeno loro l’avevano più cercato, Shi era persino partito per quella sua impresa personale. Poi c’era stato l’incidente, e tutto ciò che ne era conseguito. Neanche al funerale del ragazzone aveva visto Urako ed era stato così fino a…adesso. Perché anche in quello strano sogno la moretta si era fatta sfuggente. Che poi era davvero stato un sogno? Se chiudeva gli occhi e ci pensava sentiva ancora le parole della volpe rimbombargli in testa come un’eco. Troppo vivide per essere solo un’invenzione del suo subconscio. Ma faticava ancora a rimettere insieme i pezzi in maniera convincente. Erano più che altro le sensazioni ad esserglisi attaccate addosso come la resina e molte non erano piacevoli. Vedere Urako però lo era, in tanti sensi. Ne era sorpreso, stranito…forse non era vero che ce l’aveva con lui. Difficile da dire. Però era contento.

Oh, ciao Urako… Sorrise debolmente, abbassando la mano al proprio fianco. Finalmente ti vedo.

Una frase semplice, stentata, che voleva essere ironica e simpatica e alleggerire un po’ quel momento bizzarro, ma che ebbe una reazione che Yu proprio non si aspettava. Fu solo in quel momento che si accorse dello stato sfatto in cui stava Urako. Era stravolta…il viso arrossato, gli occhi lucidi, inondati di lacrime che presto si gettarono in picchiata lungo le gote della ragazza. Le aveva viste, anche se la sua compagna le aveva asciugate in fretta e lui era ancora troppo confuso per capire di essere steso come uno straccio logoro in mezzo ad un campo di battaglia. La sua mente non riusciva ad elaborare tutte le informazioni per il momento, limitando le percezioni a loro due e a poco più della confusione che li circondava. Però Urako stava piangendo, qualcosa non andava…Non l’aveva mai vista piangere. Certo, triste e sull’orlo delle lacrime sì, ma non si era mai fatta vedere così da lui. Doveva essere successo qualcosa, cosa il Rosso faticava a capirlo. Però agì d’istinto. Il sorriso divenne un’espressione preoccupata e la mano che aveva tenuto mollemente poggiata sull’addome si allungò verso il viso della moretta.

Ehi, è tutto ok?

No che non era tutto ok. Era chiaro che non fosse tutto ok. Ma non riuscì a formulare una domanda migliore e quando Urako prese la sua mano con ambo le sue, avvolgendola con le dita, il calore che Yu sentì sulla pelle fu simile a quello che avvertì nel petto. Forse non era vero che erano arrabbiati con lui. Forse non era vero che quella missione aveva distrutto tutto. Altrimenti quel biglietto che aveva ricevuto e quella Urako inginocchiata accanto a lui che senso avrebbero avuto? Nessuno.
Sentì la moretta pigolare un
Tu---tto ok stentato e pastoso, tanto che gli sarebbe venuto di dirle dell’altro o addirittura di abbracciarla, ma da brava Kunoichi quale era, Urako si ricompose in fretta. Strofinò gli occhi di nuovo, raddrizzandosi e schiarendosi la voce prima di annunciare che se ne doveva andare perché altra gente aveva bisogno d’aiuto. Peccato avesse la sua mano ancora tra le sue, tanto che Yu si chiese se avesse intenzione di portarsela dietro. Ci volle poco, però, perché gliela rendesse, accompagnandola sul petto del Rosso e poggiandola lì prima di salutarlo con due pacchette gentili sulla stessa. Rintronato com’era la vide allontanarsi rapidamente, mentre quella sua ultima affermazione fece da cavatappi al cuscinetto di Yu. Di colpo la realtà che lo attorniava divenne vivida. Lo scoppiettare dei fuochi di campo, il fumo che da essi si alzava in cielo e i tanti…troppi lamenti che formavano quel brusio di fondo. Si alzò a sedere, faticosamente, guardandosi intorno confuso, il petto che doleva come se avesse preso una brutta botta. Ovunque corpi a terra venivano soccorsi da altri Shinobi…o corpi che non si muovevano, pianti dai propri compagni. Gli sguardi persi di alcuni, la rabbia di altri, la disperazione dei più e gli occhi vuoti di chi non ce l’aveva fatta. Fukagizu era un formicaio brulicante e sì, finalmente la sua testa stava rimettendo assieme i pezzi. Riordinò gli eventi dal loro arrivo in quella piazza, al manifestarsi della statua demoniaca con quei suoi serpenti maledetti, fino a…Kurama. Gli sembrava irreale, eppure sapeva che non lo era. Lo sapeva in un modo irrazionale e del tutto sensoriale.

Aaaaaah basta!

Col controllo del Suiton, raccolse dell’acqua nelle mani e se la schiaffò in viso strofinando con forza, per darsi una svegliata. Sogno o no adesso non era di certo quella la priorità. Ora l’importante era ritrovarsi e riunirsi tutti assieme, curando i feriti e mettendo i medici nelle condizioni di poterlo fare. Come stava facendo Urako che probabilmente avrebbe dovuto ringraziare…anche se non sapeva bene cosa fosse successo. Iniziò allora a guardarsi attorno. Non era ancora abbastanza in forze per potersi alzare in piedi, ma almeno poteva controllare se nei dintorni ci fosse stato qualcuno da aiutare. Se non riusciva a stare in piedi, ci si sarebbe avvicinato gattonando, non c’era alcun problema. Gli occhi scattarono di qua e di là per pochi secondi prima che il Rosso incontrasse la prima sagoma: stava riverso a terra a pancia in giù, non troppo distante da lui. Non fece subito caso all’aspetto familiare, il riverbero degli effetti dell’incoscienza ancora non aveva ritirato del tutto i suoi tentacoli, tuttavia senza troppi indugi Yu si mosse per avvicinarsi a quel primo corpo, pronto ad aiutarlo come meglio poteva o, quanto meno, a valutarne superficialmente le condizioni.

Forza, diamoci da fare!


|| Continua qui ||

Edited by Lucifergirl88 - 1/9/2018, 13:06
 
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4IYHNxM

Era fuori. Fuori dal Gedo, fuori dal mostro, fuori!
Respirò l'aria fresca con polmoni nuovi... Che erano in realtà i suoi, perché il suo corpo era tornato al suo posto, con tutti gli annessi e i connessi.
Oh, la gioia di sentirsi di nuovo le corna, la coda, la vita stretta, il viso rotondo! Sorrise di cuore, un ultimo momento di serena sospensione, prima che il mondo attorno a lei reclamasse il suo momento.

"Sì. Sì, giusto. Le cose da fare."

Chinuri: check. Era lì di fianco a sé. Si mise a sedere e se la infilò di nuovo nel fodero sulle spalle, guardandosi attorno mentre l'esercito di Kiri iniziava a riprendersi.

Kazora: check. Ecco sua sorella, anche lei riversa a terra vicino alla sua falce.

«Kazo-nee... Kazora!»

La chiamò ad alta voce, per poi gattonare verso di lei. Respirava, questo era un buon segno, ma aveva ancora gli occhi chiusi e non sembrava muoversi. Non era la sola, molta altra gente tardava nel rialzarsi, malgrado i corpi sembrassero sani o quantomeno intonsi.

«Ehi... Dai, nee-chan, alzati. Dobbiamo andare.»

C'era una certa fretta nel suo tono e nei suoi modi. Dovevano andare, sì. Dovevano trovare i loro fratelli di lama e lasciare quel posto orribile. E a proposito di lasciare...

"Urako!"

Aveva alzato gli occhi, ed eccola lì. Non più la saltellante e scoppiettante saetta che pattinava fra le zampe di Kurama, ma pur sempre Urako Yakamoto, la cosa più vicina ad un'amica che fosse riuscita a farsi a Kiri.
Emblematico, si sarebbe potuto dire.

«Urako...»

Si alzò in piedi, seria in volto. Almeno a lei doveva un saluto meno rabbioso. La ragazza era stata l'unica a darle credito, l'unica disposta a farsi tagliare la gola per uscire da quella prigione.
Solo che, dopo, non aveva fatto nulla. E per Shitsuki e i suoi sentimenti offesi, era comunque un tradimento.

«Mi dispiace, Urako. Io me ne vado. Col cazzo che continuo a servire un villaggio che mi usa così.»

Un pugno nello stomaco le avrebbe causato una reazione più ridotta, forse. Vide lo sconcerto, e poi lo sconforto, l'ombra di mille traumi, infine il silenzio. Sembrava aver dimenticato come si parlava, scuoteva la testa in silenzio... Perché non diceva nulla? Perché?

«Ti stupisci? Ero l'unica che non si è comportata come una fighetta piagnucolante!» Non c'è bisogno di ricordare che il metro di misura era quello Agiwara, e non altri. «E avremmo potuto essere fuori in un attimo! Ma no, andiamo a sfidare il Demone e a sacrificare una Figlia di Jashin, certo!»
L'acido sarcasmo trapelava da ogni singola lettera, e dal sogghigno storto sulle sue labbra carnose.

«O no? O ho visto solo io che mi hanno lanciato una Genjutsu contro e mi hanno legato come un fottuto salame contro la mia volontà?»

Finalmente Urako spiccicò una parola. Due, a dirla tutta. Si distaccò dalle azioni degli altri, senza giustificarli né condannarli. Neutralità pura, quella che una zelota come lei non poteva accettare in questo caso.

«E tu sei d'accordo? O semplicemente lo accetti perché non hai alternative?»

Colpita, di nuovo. Nessuna risposta a quella domanda, e per la Jashinista questo valeva come un sì. O era d'accordo o se lo faceva andare bene... E in entrambi i casi, per lei non era tollerabile.
La vita del ninja non era più tollerabile. Era resistita anche diversi anni, un miracolo si potrebbe dire, ma né lei né le sue sorelle si erano mai trovate davvero bene in quel sistema. Non era mai stato un "servire Kiri", ma una blanda collaborazione. Hayate sarebbe stato il primo Mizukage con cui questa collaborazione si sarebbe infranta.
Ironia della sorte: non era nemmeno il diretto responsabile della cosa.
C'era poco che si potesse fare, però.

«Mi dispiace, Urako. Davvero. Ma io un'alternativa ce l'ho... E questa gente ha dimostrato di non meritare il mio aiuto né quello dei miei fratelli e sorelle.»

Si sciolse dalla vita il coprifronte. Non era mai stato particolare motivo di orgoglio, considerato anche che aveva portato lo squilibrio in casa sua quando solo due sorelle Agiwara su tre erano riuscite ad ottenerlo. In quel momento, le bruciava come il saio schifoso di Amaterasu e compagnia.

«Spero solo non sia tu a ricevere l'incarico di cercarmi.»

Le offrì un sorriso. Pallido, ma un sorriso. Se lo augurava davvero, perché le sarebbe proprio dispiaciuto dover combattere contro di lei. E poi, cosa avrebbe detto a Shi?
Meglio non pensarci.

Sentì altre voci attorno a sé. Il resto della squadra di Kiri si stava svegliando, doveva fare in fretta. Non poteva permettersi di essere fermata, ma non voleva nemmeno andarsene senza far capire loro dove avevano sbagliato. Compito delle divinità era di migliorare le persone, e in quanto Figlia di Dio avrebbe per lo meno lasciato un messaggio che li potesse far riflettere.

(Seh. Certo.)

Rivolse gli occhi azzurri ai suoi colleghi, presto ex colleghi. Aveva il coprifronte stretto in pugno e l'espressione indignata e ferita.

«Avrei perdonato la vostra ignoranza. Ma non la vostra blasfemia. E un villaggio che fa questo dei suoi alleati...» Tese il braccio, aprì la mano. «...Non è un villaggio con cui nessun Jashinista lavorerà più.»

Il coprifronte della Nebbia cadde a terra, con un leggero tintinnio.
Prese in braccio sua sorella, che ancora tardava a riprendersi. Era viva, sentiva il calore del suo corpo, il respiro che alzava il suo ampio petto. Sarebbe andato tutto bene, lo sapeva, Jashin le avrebbe protette. Lo aveva fatto fino a quel momento, lo avrebbe fatto anche con qualsiasi cosa il Mizukage avrebbe deciso di lanciare loro addosso.

Guardò in silenzio per l'ultima volta i ninja della Nebbia, poi si girò di scatto e corse via.

Shintou.
Doveva trovare Shintou.
Iniziò a correre da un sottocampo all'altro. Gli eserciti si erano radunati in quella zona prima che la grande statua demoniaca saltasse fuori, quindi per trovare i due inviati del Santuario avrebbe dovuto cercare oltre quelle fila.

«Mmh... Ma che cazzo...»

Abbassò gli occhi sulla sorella, che finalmente si stava riprendendo.

«Kazo-nee! Come ti senti? Stai bene?»
«Credo di sì... Mgh... Mettimi giù, mi viene da vomitare...»


Shitsuki interruppe la sua ricerca e lasciò che la sorella maggiore appoggiasse i piedi a terra. Inizialmente era un po' instabile, ma poi riuscì a riprendersi e a capire la situazione. Ovviamente, chiese che diamine fosse successo.

«Non c'è tempo per spiegarti tutto ora... Stiamo lasciando Kiri.»
«Cosa? Lasciare? Tsuki, vuoi tradire il villaggio?»
«Sì. Hayate ha tradito la mia fiducia e la sua parte di accordo. Nessun confratello dovrà più prestare la propria lama a un villaggio che non capisce con chi ha a che fare!»


La più grande non sembrava troppo convinta. Strinse le labbra, guardando la sorella minore con preoccupazione, ma poi sospirò e scosse la testa.

«Facciamo che mi spieghi meglio strada facendo... Ora andiamo, prima che il Mizukage ti lanci una delle sue spade nella schiena.»

Si affrettarono a muoversi. Dovevano trovare Shintou e Hikaru, e sperare che stessero bene tutti e due. Lungo la strada, Shitsuki narrò alla sorella le vicissitudini all'interno del Gedo Mazo, e l'indignazione della maggiore fu di conforto per colei che era stata sacrificata contro il suo volere. Almeno concordavano sul fatto che era stata una vigliaccata, per quanto Kazora, come suo solito, la punzecchiò con un «Immagino che tu abbia avuto molta voglia di spiegare loro cosa rappresenti, mh?»

Ma non c'era tempo per litigare: oltre una catasta di macerie, apparve finalmente la figura di suo marito, accompagnato da Hikaru che sembrava ancora più pallido del solito.

«Guarda, ecc-»
«SHINTOU!»


Shitsuki scattò come un falco sulla preda. Superò la sorella, dribblò Hikaru che aveva percepito benissimo la sua corsa e si stava opportunatamente spostando, e si lanciò a tutta velocità addosso a suo marito.
Dopo averlo visto appeso lassù, a quel pilastro blasfemo, e aver condiviso il suo corpo per un breve momento, la paura che gli fosse successo qualcosa di grave era reale e lecita. Ma vedendolo lì, un po' provato ma sano come sempre, le aveva tolto un peso dal cuore.
Dopo tanto dolore, tanta sofferenza mentale e fisica, l'unica cosa che avrebbe voluto fare era seppellirsi nel suo petto, respirare l'odore calmo della sua pelle, e dimenticarsi il prima possibile delle umiliazioni subite.

«Andiamo a casa. Subito.»

Kazora e Hikaru non chiedevano di meglio. Avrebbero avuto tutta la strada per parlare e aggiornarsi sulla situazione... Ma Jashin avrebbe lasciato quel luogo impuro, e i suoi figli avrebbero voltato le spalle a Fukagizu e al destino del Taisei e di tutti i burattini del teatro.

gaEo3EO


 
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view post Posted on 28/8/2018, 19:00
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Shintou era tornato.
Di nuovo nel suo mondo. Stava scendendo, leggiadro come un fiocco di neve e potè vedere cosa quella statua diabolica avesse fatto. I suoi occhi si posarono su quella desolazione eppure il suo essere era solo per lei.
Era di nuovo nel suo corpo. Di nuovo la sensazione della terra umida sotto di lui, il vento sulla pelle, il mondo con i suoi colori e la sua realtà lo riaccolse nel suo grembo come figlio a lungo perduto ora tornato.
Tentò di sollevarsi. Era stanco. Troppo…fece fatica a mettersi in piedi, a capire chi e cosa fosse intorno a lui.
Respirò a fondo quell’aria e tossì come un affogato che tornasse a respirare.
Si sollevò. Brutta idea. Le gambe lo ressero per pochi secondi. Cadde di nuovo.
Aveva i muscoli intorpiditi e la testa girava come se avesse perso una gran quantità di sangue. Sentiva un ronzio nelle orecchie. Come se la pressione fosse troppa bassa. E quindi restò così: in ginocchio, mani sulle gambe e respirava. Doveva respirare. Dare al corpo il tempo di riabituarsi alla vita.
Ad essere.
La sua mente continuava a mettere a fuoco i momenti trascorsi. Momenti. O giorni? Settimane? La barba era lunga uguale…non notava cambiamenti, né gli abiti sembravano così sporchi e luridi.
Il tutto poteva essere durato anche pochi minuti.
Eppure quei tentacoli ancora facevano capolino nella sua mente…tentacoli che afferavano sia lui che…

«HIKARU!»

Girò di scatto la testa. Che quasi svenì per il repentino cambio di posizione. Si alzò barcollando, cadde, si rialzò e ricadde. Andò a gattoni vicino al suo migliore amico.
Suo Fratello.
Lo sollevò di peso. Era sempre stato così pesante?
Per quel bastardo di Jashin! Odiava sentirsi così debole come un cucciolo di gatto.
Gli tolse la benda dagli occhi. Sentì se vi era battito. Due dita sul collo.
Si vi era.
Respirava? Si…debolmente ma sentiva il fiato sulla sua guancia.
Non sapeva se servisse ma il suo chakra iniziò a scorrere in quel cuore guerriero. Aveva perso troppe mani non avrebbe perso Hikaru non lì.
Se il suo destino fosse stato tornare da Jashin lo avrebbe fatto da quel guerriero impavido e formidabile che era. Non per merito di due tentacoli del cazzo, partorite da una statua di sterco richiamata da un lurido sputo d’uomo!
E finalmente la tosse. La vita iniziava a scorrere nel suo corpo.
Jashin non l’aveva preso. L’Inferno non aveva reclamato Giunco.
E Shintou si sedette a sedere con un tonfo sordo.
Si tolse una ciocca di capelli dagli occhi.
Erano cresciuti molto dall’ultima volta.
Certo la sua lunga chioma era un ricordo…ma aveva un’eternità per riaverla.

«Shintou san…»

Flebile la voce di Hikaru lo raggiunse. Un sorriso di felicità…
«Bravo ragazzo…bravo. Sei tornato. Lo sai però che odio I ritardatari.»
«Io…mi ricordo solo dei tentacoli…di quella statua…volevo proteggere Shitsuki…non sono…»

Shintou lo prese di peso.
Non gli fece nemmeno finire la frase.

«Shitsuki sta bene. Quindi non ci pensare. Sei stato bravo. »

Hikaru, ma Shintou lo fu? La risposta del samurai fu negativa.
Ma si sa, Shintou non era mai soddisfatto. Lottava con se stesso e i suoi limiti. Lo fece da malato, lo continuava ancora a fare oggi. Era la sua indole.

Si alzò in piedi. Molti altri lo stavano facendo, mentre il vento scompigliò come una mano dispettosa, la sua chioma bianca.
Ora stava cercando la sua amata Shitsuki e quell’iradijashin di Kazora.
Sicuramente stava con quella specie di prezzolati spadaccini di Kiri. Quindi trovare l’allegra comitiva con il copri fronte di Kiri e il gioco era fatto.
Il problema era uno solo: Shintou era un ricercato e il suo nome troppo conosciuto. Ma in quella circostanza il samurai ragionò come sua moglie: ‘sticazzi!
Chi va con lo zoppo impara a zoppicare. Stava prendendo il peggio da sua moglie. Quella brutale dose di menefreghismo e coattanza che tutti erano inferiori e loro onnipotenti.
Quindi sarebbe sceso tra quei pidocchi, l’avrebbe presa e chi si sarebbe messo in mezzo, sarebbe stato falciato.
Per fortuna, però, nulla di tutto questo accadde.
La voce risuonò cristallina e limpida, come acqua di fonte, e lavò ogni preoccupazione, dolore e quant’altro.




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«SHI CHAN!»



Kazora e Shitsuki.
Loro che erano Uno.
Due nel corpo ma Uno nell’anima, finalmente -Triangolo e Cerchio – si riunirono in quell’abbraccio tanto a lungo desiderato.
Quindi potevano tranquillamente lasciare quel posto dimenticato dagli Dei. Certo i Demiurghi erano contenti – ma questo Shintou non lo sapeva – ma da lì a poco la loro voce sarebbe risuonata nella sua testa.
La Legge dell’Equilibrio era stata preservata, i Bijuu rientrati in essa. Il loro destino unito a quello degli uomini – come da sempre doveva essere.
L’apporto del sankaku? Irrilevante. Ma utile perché non solo grazie a lui ma anche a molti altri questo fu possibile.
Quindi successo.
Ma da quel momento i suoi passi lo avrebbero condotto lontano dal mondo degli uomini. Quella era stata l’ultima volta(?) che il sankaku avrebbe diviso il suo sangue e messo il suo acciaio per loro.
La sua strada era al di là di tutto questo.
Presto lo avrebbe capito.
Ma ora….ora contava abbracciare Shitsuki, Kazora e Hikaru. Tenerseli stretti e andarsene il più in fretta possibile.
Aveva voglia di casa.

 
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view post Posted on 28/8/2018, 22:05
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Resti di Fukagizu, Gennaio 249 DN



Non si accorse celermente di quanto fosse accaduto, né dove si trovasse. La brezza del loco raso al suolo spirava tra i detriti, lambendogli la pelle candida. Quelle sensazioni, quei brividi, lo fecero rinsavire. Le Iridi diamantine si rivelarono nuovamente nella loro beltà e, sebbene fossero inizialmente non efficienti, si poté avvedere di essere vivo, o quantomeno le parti del corpo erano ancora ferree alle proprie giunture. Era finalmente tornato nel mondo reale, lasciando al pece dedalo dei ricordi il passato recente. Percepì le Hiramekarei fremere sul dorso, destate anch'esse dal presunto sonno a cui erano state relegate. L'avevano convinto? Che la Dea avesse posto fine alla sua goliardia retta dalla noia? Si, delle supposizioni su cui non si soffermò se non per degli effimeri istanti.

Adagiò entrambi le mani sul terreno; sudicie, a dire il vero, e particolarmente labili. Non riuscì ad issarsi immediatamente, dato che doveva ancora riprendere gran parte della propria forza. Probabilmente quella statua lo aveva privato del potere di cui disponeva e, ora, si stava lentamente accumulando. Attese, quindi, che fisicamente ogni singolo muscolo rispondesse in modo adeguato, non costringendoli a movimenti repentini che avrebbero potuto provocargli degli stiramenti o qualsivoglia fastidio. Usufruì delle Sogliole come leva per permettergli di assumere una posizione rispettosa e consona al ruolo che rivestiva. In secundis, necessitava di prendere visione del campo di battaglia e della situazione vigente per ciò che concerneva il folto gruppo proveniente dalla sua terra natia. Qualora tra le proprie fila avesse dovuto constatare la morte di qualcheduno, non ci sarebbe stato un'argine idoneo a limitare la sua ira. Le grida reboanti della Volpe parevano essere ancora insite nella sua mente, con le ultimi immagini vivide di quella contingenza. Strano, fin troppo strano. Volse il volto alla ricerca di qualche volto familiare; lo vide, uno dei sottoposti di maggior rango che aveva portato con sé in quella spedizione. C'era solamente un ordine da dare, e non indugiò nel farlo.

- Devi controllare lo stato in cui versano i ninja di Kiri e fare in modo che i più debilitati fisicamente vengano fatti controllare dai medici. Ce la puoi fare? Sentiti libero di dare il medesimo ordine a chi è in condizione di farlo.

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Domandò, sebbene fosse consapevole di non ricevere risposta negativa. Lo Shinobi acconsentì e, seppur con passo piuttosto flemmatico, procedé. Era realmente finito. Ora, però, la sua attenzione era rivolta alle rispettive fazioni del Kyodan e del Taisei. Doveva ancora portare a termine la missione più importante: ammazzarli tutti, fino all'ultima goccia di sangue. Probabilmente nessuno sarebbe stato in grado di rivelargli le informazioni di cui necessitava per conoscere il progredire degli eventi sin dal momento in cui erano stati risucchiati in quel mondo surreale. Avrebbe dovuto racimolarle autonomamente e, data la pericolosità della questione, avrebbe dovuto farlo con relativa cautela. Iniziò a tergiversare nella landa di Fukagizu alla ricerca dei suoi obiettivi e, nel contempo, dei Kiriani che avevano condiviso con lui la prigionia. Le innumerevoli domande che erano insite nella sua mente avrebbero trovato dinanzi a loro un impasse generale. Non vi sarebbero state risposte, se non quelle che lui si sarebbe voluto dare.


 
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view post Posted on 30/8/2018, 10:07

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Silenzio. Assordante, per certi versi. Tutt'attorno regnava un silenzio tombale e che nulla aveva a che vedere con l'apocalittica esplosione avvenuta qualche minuto prima. L'enorme voragine ricopriva per decine e decine di metri quel che rimaneva delle rovine di Fukagizu, ridotte ormai a poco più che polvere. La stessa che s'alzava nel turbinio di quella dolce brezza che ora si apprestava a soffiare sulla miriade di corpi riversi al suolo.
Riaprì gli occhi lentamente mentre tutt'attorno il mondo cominciava a riacquistare colori a lui familiari. Il cielo della notte era scuro eppure nulla di paragonabile alla fitta oscurità del tempio in cui era stato rinchiuso con i propri compagni fino a poco prima.


COSA CAZZO?!

Si issò sulle braccia di soprassalto, ancora seduto al suolo. Strani ricordi si affollavano nella mente e molti di questi sembravano appartenere più ad un incubo che a qualche situazione realmente vissuta. Il tempio, le colonne, i cuoi compagni ancorati ad esse. E poi Kurama. Il capo vagò in diverse direzioni prima di convincersi del fatto che non vi fosse alcuna traccia della volpe né del suo chakra. Che fosse tutto solo un sogno? Una considerazione legittima, eppure il dolore provato in quel luogo era stato ben più che reale ed il solo pensarci provocava lui uno strano senso di terrore. Strinse una mano attorno al cuore per cercare di rallentare i battiti allontanando quel sentore negativo mentre, inconsciamente, l'altra mano aveva raggiunto l'elsa della fidata compagna distesa al suo fianco. Percepì i suoi fremiti e con essi le medesime sensazioni che attanagliavano il suo cuore. Reale o meno quella esperienza aveva segnato entrambi e fu con quella consapevolezza che Mitsuaki si rimise in piedi. Della vecchia roccaforte non v'era più alcuna traccia se non per qualche logora colonna qua e la, così come non aveva lasciato alcuna traccia l'enorme statua sbucata fuori dal terreno. Ciò che rimaneva di quel disastro erano unicamente corpi esanimi sparsi ovunque, urla di disperazione e quella strana sensazione di vuoto che attanagliava l'animo. Cos'era davvero accaduto in quel luogo? Nessuno sembrava dare importanza ad una domanda di tale entità, presi com'erano dal panico di un risveglio tanto brusco. Individui prestavano soccorso ai propri compagni ancora riversi al suolo, shinobi con il medesimo coprifronte collaboravano per ricomporre le squadre con cui erano giunti sul luogo. Sembravano formiche rispetto a quella distesa desolata. Lo stesso spadaccino si prodigò per ritrovare i compagni di spedizione e fu proprio dopo qualche minuto di ricerca che lo Squalo inquadrò in lontananza una figura conosciuta. Piccola e minuta, impossibile non riconoscerla. Corse verso di lei con foga inaudita e senza darle nemmeno il tempo di reagire la strinse al petto, stringendo il più possibile. Lei sembrò riconoscerlo mentre probabilmente cercava di non morire soffocata per la stretta del giovane.

(Sono contento che tu sia salva Urako...)

E se ne andò con la stessa velocità con cui era arrivato, cercando altra gente da abbracciare (o forse stritolare). Si ritrovò quasi senza energie per aver vagato per l'intero campo di battaglia. Molti provarono ad evitare quella sorte ma la forza dello spadaccino era tale da impedire ai più di sfuggire al proprio fato. Diversi minuti (e svariate vittime) dopo, il chunin si ritrovò circondato da una folta delegazione di kiriani, pronta a ricongiungersi al resto della spedizione.
Il peggio sembrava passato, non rimaneva altro da fare che tornare alla Nebbia per cercare maggiori risposte all'accaduto.
 
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NGDR - 10° Anniversario
view post Posted on 2/9/2018, 23:46







JZlrz7S

JZlrz7S

Evento


覚醒 Kakusei: Risveglio









Fukagizu: rovine di pietra e di carne ormai fredda costellavano la polvere sporca di Ishi no Kuni. L'uno dopo l'altro, occhi si aprivano a scrutare le profondità della cupola blu petrolio che si spalancava sopra le loro teste: si scoprirono distesi a terra, supini oppure col viso affondato nella terra arida, col viso sul petto di un compagno così silenzioso, contro l'orecchio premuto sull'uniforme... la pelle così fredda contro la guancia.
Si erano spenti così, come nel sonno: erano quelli che gli occhi non li riaprivano, gli shinobi che saranno presto coperti da lenzuoli candidi e riportati in patria con tutti gli onori che spettano ai caduti. Lo sarebbero stati presto, almeno, ma non era quello il momento: era il tempo del risveglio, della realizzazione... della rabbia, una rabbia che monta silenziosa.

Era una fiammella esile, come di cerino: si accese al risveglio, il brivido freddo sfiorava le membra – carezza della morte che sarebbe passata oltre, per questa volta. Si scaldava, si alimentava della mestizia: nel campo di corpi riversi e immoti, sui volti impalliditi dei compagni; bruciava nei ricordi e nelle promesse vuote, negli inganni e nell'ultima menzogna... crepitò, divampò, ruggì, quando lo sguardo si posò su di lui, e lo riconobbe.
Un solo uomo, causa e radice di ciascun male, della totalità del dolore inflitto agli esseri umani lì riuniti come candide pecorelle, poi passate a fil di spada; il suo lutto insignificante, di fronte all'enormità delle sue azioni.

Hajime giaceva a terra, spezzato e calpestato come una bambola abbandonata da una bambina in fuga da un esercito. Gli occhi spenti fissavano il cielo, ma senza vederlo: non si mossero quando Kataritsuen si chinò su di lui, con una delicatezza intrisa di dolore.

«Hajime... Hajime mi senti?»

Gli mise dolcemente una mano sotto la nuca, per sollevargli la testa. Lo studioso ebbe un breve spasmo, i polmoni si gonfiarono d'aria, ma quando espirò lo fece gettando fuori un fiotto di sangue.
Sangue raggrumato, scuro e denso.

«Kata...kun... Non mi sento tanto bene...»

La voce era poco più di un tremolante ricordo di quello che era stata. Quella voce così ardente di passione e interesse, che non taceva un secondo quando c'era qualcosa di esaltante di cui parlare. Quella voce spezzata era la rappresentazione di Hajime stesso, pallido e morente, tra le braccia del suo amico.

«Resisti, Hajime... Ti cureremo, tornerai a stare bene...»

Stava mentendo, e lo sapeva. Lo sapeva anche Hajime, che con faticosa lentezza spostò gli occhi a incrociare quelli del leader del Taisei. Cercò di alzare una mano, ma gli costava troppo sforzo anche solo muovere le dita. Kataritsuen gli andò incontro, stringendo quella mano sempre più fredda con la sua.

«Mi dispiace... Mi dispiace...»

Apparve una goccia sulla guancia dello studioso. Pioveva, ma non dal cielo.

«No... Sono io che non ho capito... Che non ti ho protetto... Sono io che ho permesso che questo accadesse...»

Hajime tossì un altro fiotto di sangue nel tentativo di scuotere la testa.

«Smettila... È colpa mia... Mi avevano promesso mia madre... Che sarebbe tornata... Che l'avrei riportata in... In vita. Avrei dovuto capire che...»

In un accesso di tosse, si contrasse e irrigidì. Rischiò di soffocarsi col suo stesso sangue, che aveva imbrattato le vesti di Kataritsuen.
Rosso come il Kyo Dan, sul blu del Taisei. L'ironia dei due schieramenti che avevano contribuito a creare quel disastro, quel dolore, quei morti.
Morti a cui presto se ne sarebbe aggiunto uno.

«Non piangere... Ti prego... Ricordami come... Com'ero... Prima...»

Altre gocce che scendevano sul volto esanime dello studioso, e non accennavano a smettere. Kataritsuen aveva smesso i panni del soldato e del leader nell'istante in cui aveva capito che tutto era perduto, e in quel momento la sua giovane età e tutto il suo dolore lo stavano facendo tremare come una foglia. Strinse il corpo dell'amico, chinandosi su di lui fino a che le loro fronti non si toccarono.

«Ricordi quel giorno... In cui pioveva così forte che ci si erano bagnati tutti i libri... E tu... Eri così arrabbiato... Ma io ti guardavo e non riuscivo a non ridere? E alla fine ridevamo tutti e due?»
Le labbra esangui del ragazzo si stirarono in un sorriso debole, ma reale.
«Ti avrei... Preso a schiaffi. Ma eri così... Buffo... Fradicio com'eri. Me lo ricordo...»
«Sarà così che ti ricorderò. Finché avrò vita... Sarà così che resterai con me.»


Due ragazzi fradici di pioggia, ebbri di vita e di risate. La semplicità di un acquazzone che lavava via i problemi, le paure, le responsabilità. Un futuro che, in quel momento, era davanti ai loro occhi, e un amico vicino con cui ridere e non pensarci.

«Mi piacerebbe... Molto.»

Ci fu un rumore di passi concitati. Qualcuno urlò il nome di Hajime, ma il ragazzo dall'anima lacerata stava già chiudendo gli occhi.

«Mamma... Arrivo...»

Quando Satoshi crollò in ginocchio di fianco a loro, era già tardi. Hajime spirò con espressione serena, cullato dai singhiozzi di Kataritsuen a cui presto si unirono quelli del più anziano studioso. Il dolore di chi aveva perso un figlio, un amico, non dissimile da quello di tante altre persone in quel villaggio che avevano subito la stessa sorte. I lamenti si levarono frammentati, e si persero nella tragica cacofonia di centinaia di umani sofferenti.




In disparte, nuvole leggere di fumo azzurrino si sollevavano in aria, spandendo attorno una fragranza di erbe bruciate – un sollievo quasi fuori luogo, nella desolazione della Roccia: un kiseru sporgeva dal cappuccio di una figura ammantata, curva sul suo bastone. Gli occhi dell'anziana donna erano puntati sulle figure distrutte, accartocciate: scosse lentamente il capo, le labbra vizze contratte e arricciate in una smorfia di disprezzo contenuto a stento, solo per decenza.
“Manpeiko-sama... abbiamo cercato ovunque...”
Il sussurro dell'uomo allampanato che l'ha raggiunta è a mala pena udibile, attraverso le labbra sottili che sfiorano quasi la falda del cappuccio della donna - “Non ce lo spieghiamo. Neanche una traccia di lui. Neppure una scintilla di chakra. Alcuni degli altri sembravano aver sentito qualcosa... ma non è durato.”
Gli occhi severi della donna non si staccano per un istante dallo spettacolo di cordoglio, mentre il suo sottoposto prosegue, mormorandole all'orecchio le informazioni appena raccolte: “... come se il chakra dei Kami li avesse abbandonati di colpo, quando erano sul punto di trovarli. Non riusciamo a spiegarcelo.” La voce dell'uomo trema leggermente all'ultima affermazione.
Un lungo silenzio cala tra i due.
“La tua fede è messa quindi alla prova?”
Le labbra di lei si muovono, senza che alcun altro muscolo del viso partecipi al dialogo: parla tra i denti, una sottilissima vena di disprezzo avvelena le sue parole - “N... no, Manpeiko-sama! La mia fede è ancora salda!”
Sembra rattrappirsi sotto lo sguardo ardente di lei.
“Non è da tutti mantenere la fede, nel momento della prova. Non ti biasimerò, né te, né i nostri confratelli che dovessero dubitare. Tuttavia, non tollererò alcuna insincerità da parte vostra.”
Aspirò una lunga boccata dal kiseru profumato, e le erbe pigiate nel fornello arsero del colore della brace.

Senza i loro Kami, erano poco diversi da quel ragazzino blasfemo e dai suoi sottoposti: senza una guida vera, una guida forte, si sarebbero dispersi come un gregge all'arrivo dei lupi. Il suo ultimo avvertimento ai Kage avrebbe potuto salvare numerose vite umane, ma non era abbastanza ingenua da sperare che ciò la risparmiasse dalla furia dei superstiti: era giunto il momento di ritirarsi tra le ombre, in silenzio e in incognito. Il momento di meditare, pregare ed osservare con pazienza e dedizione: aveva forgiato i suoi discepoli a tale disciplina, non dubitava del fuoco d'amore che aveva seminato nelle loro anime. Qualcuno dei suoi pupilli non sarebbe più tornato indietro, altri l'avrebbero fatto; avrebbe patito l'eterno rammarico e l'amarezza del maestro, alla vista dei discepoli dispersi dal vento e dalle intemperie della storia, ma assai più luminosi avrebbero brillato coloro la cui convinzione avesse trionfato sulle tenebre della notte.
A costo di non vedere il termine della loro impresa, sapeva che presto o tardi la loro sofferenza sarebbe terminata: l'avrebbero ritrovato, e il loro anelito sarebbe stato finalmente pago.

Si sarebbero ritirati nelle ombre: così era stato negli ultimi duemila anni, così sarebbe stato nell'avvenire, finché non fosse di nuovo venuta la loro ora. Uno dopo l'altro, con passo felpato, abbandonarono il campo di battaglia: facendosi uno con l'oscurità, sgusciando tra le luci sanguigne dei fuochi da campo, muovendosi con circospezione - l'attenzione di coloro che potrebbero sterminarli, ironia della sorte, l'hanno presa tutta loro: Taisei... gli stolti avrebbero avuto ciò che si meritavano, mentre loro avrebbero trovato la loro vendetta.
Un giorno.

 
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view post Posted on 3/9/2018, 15:25
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E dopo l'abbagliante albore generato da Ōmikami, furono le tenebre. Estirpato come un'erbaccia aggrappata a un terreno non suo, il suo spirito venne smembrato e lasciato fluttuare nel nulla, insignificante dedalo di frammenti dispersi. Difficoltoso ritrovarsi, tra la miriade di anime spezzate e perdute in quel luogo affacciato sull'oceano morente; doloroso tornare tutto d'un pezzo. Non riusciva a formulare alcun pensiero in quello stato frammentario. Sapeva soltanto, con una certa chiarezza, di dover annaspare in quel mare d'anime per racimolare il più velocemente possibile i cocci del suo essere. E così fece.
Fu un risveglio alquanto burrascoso, e scomodo. Aveva il viso piantato a un suolo privo di qualsiasi tipo di calore, le membra doloranti e formicolanti di chi si è appena rimesso in sesto; sollevare le palpebre fu faticoso tanto quanto realizzare dove si trovasse. Appunto. Dove diavolo si trovava? Pur sforzandosi - puntellando le mani al suolo per sollevarsi a mezzo busto, prima di strofinare col dorso della destra l'occhio - non riusciva minimamente a capire che luogo fosse quello. Era morto? Ōmikami aveva deciso di porre fine alla sua vita a causa del fallimento nei confronti di Kurama? Forse. Ma no, non poteva essere così. Le parole della volpe a nove code erano abbastanza chiare, mentre riverberavano nella sua mente sotto forma di ricordi. 'La prossima volta che ci vedremo, il vostro mondo sarà mio.' Sospirò, sollevando lo sguardo smeraldino verso un cielo scuro come la pece: era costellato di piccoli punti luminosi, simile a stelle. Ma non vi era luce in quel mondo tanto potente da poter fornire una guida, un indizio. Non riusciva a vedere null'altro che se stesso, e cominciò seriamente a credere di essere finito in un'altra ala di quel tempio maledetto.
Non di nuovo.. sussurrò, portando la mano sinistra davanti al viso e tirando indietro la testa in un moto di esasperazione. Ne aveva abbastanza di quei giochetti: voleva tornare a casa, suonare un po' l'erhu e magari affogare la frustrazione di quei momenti nel seno prosperoso di Sachiko-sensei. Ma nemmeno il tempo di pensare a una cosa del genere, che fece piegare le labbra in un sorriso divertito, subito s'accese qualcosa nella sua testolina, spegnendolo. Fino a quel momento non era solo. Dov'erano tutti gli altri? Dov'era lui?
Si guardò attorno.
..Yūzora? sussurrò a voce moderata, aprendo bene le orecchie per captare qualsiasi movimento potesse ricondurlo al compagno. Nulla. Decise di alzarsi sulle sue gambe, barcollando quel minimo per ristabilire poi il perfetto equilibrio. Non demorse. Strinse i pugni, digrignando i denti. Yu! chiamò nuovamente il compagno, con più determinazione, sperando in una qualche reazione degna di nota che potesse fargli identificare la sua esatta posizione in quello spazio oscuro. Ancora un silenzio tombale in risposta, alquanto preoccupante. Dov'era finito? Una certa preoccupazione serpeggiò dentro di lui, mandandolo nel panico. Era realmente solo la dentro? Cosa doveva fare esattamente? Di certo andare alla ricerca del compagno, tanto per cominciare. Ma appunto, da dove poteva cominciare se nulla sembrava indicargli la via da seguire? Non aveva elementi su cui appoggiarsi, su cui poter fare teorie; nemmeno le stelle, punti fittizi disegnati nella volta di quel luogo, potevano fargli da guida. Ma ecco che una luce si mosse in fondo, squarciando il nero col colore freddo del ghiaccio. Quello era il punto di partenza, l'unico riferimento al quale potersi appigliare. Decise di seguire quella luce.

Quel punto luminoso era l'unica speranza che aveva di trovare una via, un indirizzo che lo portasse fuori o che quantomeno gli consentisse di capire dove si trovava e come ci era finito la dentro, solo come un cane. S'affrettò per raggiungerlo e quello che vide una volta giunto a destinazione fu qualcosa che gli fece mancare l'aria nei polmoni. Un'effimera fiamma dalle sfumature bluastre fluttuava nel nulla di quel luogo maledetto, e più avanti un'altra, e un'altra ancora. Una scia che si perdeva nei meandri dell'oscurità, mentre i suoi passi incerti riecheggiavano nelle sue orecchie come un'eco simile alle campane che suonavano per i morti. Quelli erano fuochi fatui. Allora era morto davvero? Scosse la testa, sbuffando una risata nervosa. Quello non poteva essere l'inferno, giusto? E quelle fiammelle non sembravano ricondurre a nessuna figura che conoscesse. Non vi erano manifestazioni, né dolore. Tanto bastava per archiviare quel pensiero, no? No. Per quanto s'imponesse di pensare in positivo, poteva benissimo essere un'altra la verità. Nessuno d'altronde poteva dargli la conferma che lui stesso non fosse una di quelle fiamme vaganti, per quanto sentisse benissimo le sue membra ed esse rispondessero bene ogni comando. Si guardò le mani, stringendole a pugno.


Potrei essere morto e nemmeno essermene accorto, ma non avrebbe senso.
Pur ammettendo che lo fossi, possibile che non possa vedere nulla? Non dovrei poter vedere quanto meno i poveri disgraziati che hanno subito la mia stessa sorte? Forse.. questo è l'inferno che hanno pensato per me. Nessuno può vedermi, parlarmi.. e io non posso fare altrettanto. Una fiamma vagante, condannata alla solitudine eterna.. senza poter vedere né sentire..


Dovette pensare, sprofondando nel baratro della disperazione personale. Se fosse stato così, allora non avrebbe più potuto suonare, dipingere, bere, fare sesso; non avrebbe più rivisto la brutta faccia di Eichiro, né punzecchiare quell'irriverente ragazzino dalla chioma fulva. Aveva pensato all'inferno come un'eterna sofferenza fisica, ma mai avrebbe pensato potesse esistere un girone solo per lui, fatto di sofferenza anche psicologica. Doveva proprio essere stato un gran figlio di puttana in vita, se i Kami avevano deciso di creare ad hoc qualcosa soltanto per la sua bella faccia. Sommessamente, se la rise. Non aveva scampo. Ma fu proprio allora, nel momento di minimo bagliore del fuoco della speranza, che avvenne qualcosa che lo fece avvampare nuovamente. Non era solo la dentro.

Stupidi, insignificanti umani.. come ho potuto farmi ridurre così?!

Qualcuno in quel buco oscuro stava parlando; voce cavernosa, simile al ringhio di un animale ferito nell'orgoglio, colma di risentimento. Avrebbe giurato potesse avere una nota femminile, ma non poteva esserne certo. Era troppo distante. Aveva detto 'stupidi, insignificanti umani', tra l'altro. Non un buon segno. Non dirmi che..? mormorò fra sé, affranto. Non ci voleva un genio a capire che si trattasse di un essere del tutto simile a quel Kurama da strapazzo, ma cosa ci faceva li un bijuu? Era quantomeno curioso che dovessero condividere lo stesso girone infernale, così come lo era il fatto che presumibilmente qualcuno era riuscito a farlo fuori.

Non l'avranno vinta, no. Se pensano di aver risolto la questione si sbagliano di grosso. Rimpiangeranno amaramente questo giorno..

Continuava quel sussurro che riecheggiava negli angoli di quel posto immenso, riverberando come l'onda di un oceano nella sua testa. Suo malgrado, non poteva fare altro il castano se non continuare a seguire quella luce, passando da una fiammella blu all'altra con cautela, silenzioso. Rimanere fermi in attesa di qualcosa, di un miracolo che possibilmente non sarebbe mai arrivato, non era contemplato.

Tempo al tempo, e la vendetta sarà mia. Dolce. Spietata.

Più avanzava e più riusciva a comprendere il sentimento di rancore insito in quelle parole velenose, adesso più chiare mano a mano che si faceva più vicino alla sua fonte. Quasi gli ricordavano di tutte quelle notti insonni che aveva passato a casa dei suoi genitori, rimuginando su come e quando farla pagare a suo fratello per quel sorrisetto da mangia merda urticante che gli rivolgeva ogni tre per due, o a suo padre, che l'aveva schiacciato, umiliato, quasi ucciso. Tempi passati che s'affacciavano costantemente sul suo presente, che l'avevano reso quello che era adesso. Arrivato in prossimità della creatura, Takumi arrestò il suo incedere. Era.. maestoso, composto di fiamme, enorme. Un felino graffiato da sfumature nere irregolari, un predatore solenne da ammirare in silenzio, con timore. Oh no, ditemi che sto sognando.. s'espresse, esasperato. Un altro demone no, ne aveva abbastanza di quella tracotanza da strapazzo o della depressione bavosa di un essere che poteva avere tutto ma che passava il suo tempo a piangersi addosso.
Due erano le code che frustavano nervosamente lo spazio oscuro, mentre la perfetta figura stagliata nell'oscurità, con gli occhi bicromi brillanti - giallo il destro e verde il sinistro - e i contorni sfuocati per l'intensità del calore delle fiamme che l'avvolgevano, adesso puntava il suo sguardo felino sul piccolo intruso, interrompendo il suo monologo.


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Si. Stai sognando, ragazzo. Ma questo non significa che non sia reale. rispose alla domanda retorica dell'umano sotto di lui, incredulo dinnanzi alla sua grandezza. Avrebbe potuto schiacciarlo con una sola zampa, o divertirsi nel vederlo correre alla ricerca di un riparo in grado di impedirgli di raggiungerlo, come un topo squittente nella disperata speranza di una salvezza. Eppure non poteva schiacciarlo, no. Quel ragazzo così scettico e strafottente serviva al suo scopo, e per quanto poco avesse voglia di affidarsi a un lurido umano per compiere i suoi piani, doveva farlo. Mi stai dicendo che questo posto esiste? Che tu esisti? prese a domandare il castano, temporeggiando poi un momento per rimettere assieme i pensieri. Era davvero reale, tutto quello che stava vedendo? Era tutto così dannatamente assurdo che era quasi del tutto sicuro che si sarebbe svegliato da li a poco e ci avrebbe riso volgarmente su, dandosi del cretino. Ma per il momento doveva concentrarsi, esplorare ancora, uscirne fuori. Tu chi saresti, tanto per cominciare? proseguì quindi, dando spago a quell'assurda visione, sperando di trovare uno spiraglio per svegliarsi definitivamente da quell'incubo senza capo né coda. Sono colui che non vorrai avere come nemico, mio giovane contenitore. sibilò sicuro dei suoi mezzi l'enorme felino in fiamme, snudando i canini in un sorriso sornione, macabro e pericoloso. Si sollevò sulle zampe per potersi quindi avvicinare di qualche passo al 'contenitore', come l'aveva definito, artigliando il suolo con le unghie affilate senza però fare il benché minimo rumore. Teso come una corda, Takumi indietreggiò di mezzo passo. I tuoi simili mi hanno ridotto in questo stato, e adesso ho bisogno di prendere il controllo del tuo corpo e della tua mente per regolare i conti con loro. Per questo sono qui. proseguì con estrema sicurezza il felino, ben conscio del fatto che l'umano non avrebbe capito appieno quelle sue parole. E come avrebbe potuto? Era solo uno strumento, e gli strumenti non possono capire il disegno dei Kami. Nell'esporre quella spiegazione elementare, fece per girare cauto intorno a lui, disegnando idealmente la sua gabbia. Era pronto a balzare sulla preda, e il castano avvertì tutta la pressione che questi voleva buttargli addosso. Quel suo giro s'arrestò a 360°, e un altro sorrisetto s'affacciò sulle labbra del predatore, mentre il ragazzo dallo sguardo smeraldino lo osservava con un misto di allarme e scetticismo. Sai, ci sono davvero pochi umani come te.. così inclini a divertirsi alle spese del prossimo.. volle complimentarsi, ma non per fargli un piacere. Voleva irretirlo, esaltare le sue potenzialità per farlo cedere senza sprecare le energie per sottometterlo. Era stato spezzato e non poteva permettersi ancora di surclassare la coscienza del suo ospite, a meno che questi non avesse abbassato abbastanza la guardia da permettergli di sua sponte di perpetrare la sua vendetta. Ma Takumi non sembrava affatto impressionato da quel vezzo, tanto che sollevò un sopracciglio e scosse poi il capo. Certo.. naturale.. a chi voleva darla a bere, di grazia? Fidarsi di un demone è la cosa più stupida del mondo e a stento il castano si fidava di se stesso, quindi figuriamoci. Quella conversazione aveva del surreale. ..beh, è stata una bella chiacchierata, micione. Se non è un problema per te, adesso vorrei proprio svegliarmi. era tempo di finirla con quella farsa; continuare a dare spago a un incubo di quel calibro era come spianare la strada alla follia. Ne aveva abbastanza. Dunque fece per dare le spalle al suo incubo personale, e s'allontanò di qualche passo, strafottente, facendogli cenno di saluto. Ah e buona fortuna con i tuoi piani diabolici, mi racconterai poi della caccia davanti a una buona bottiglia di saké. concluse.

Adesso era il momento opportuno per svegliarsi; dopo la realizzazione, arriva solitamente la coscienza. Eppure non fu così. Sistemandosi sulle zampe e calcolando la distanza che lo separava dalla preda, l'enorme felino di fuoco balzò sul suo tramite, atterrandolo. Non poté fare nulla per evitare quell'assalto e in men che non si dica si ritrovò schiacciato da un peso più grande di lui, con una zampa enorme sulla schiena e degli artigli affilatissimi a un millimetro dalla carne. Digrignò i denti il castano, cercando con lo sguardo infuocato quello del demone che non tardò a farsi più vicino.
Oh ti sveglierai non dubitarne, piccolo impudente. gli sussurrò suadente, col muso vicinissimo all'orecchio. Un ringhio basso, l'alito infuocato che gli frustava il viso. Gli artigli dell'animale affondarono nella carne, in profondità, strappandogli un urlo tremendo che quasi poté avvertire le sue corde vocali sfilacciarsi. E nel momento in cui lo farai, tu sarai mio.. che a te piaccia, oppure no. concluse, scivolando con la zampa come l'avesse immersa in un panetto di burro ammorbidito, squarciandogli la schiena fra le urla, facendogli sentire quanto reale fosse il suo 'incubo'. Sbuffò una risata il felino, e da quel momento il castano prese a contorcersi in mezzo alle fiamme. Lo liberò dalla presa, allontanandosi di qualche passo, osservandolo soddisfatto e sadicamente divertito, prima di tornare indietro e saltare su un'altura invisibile, accucciandosi elegante e gustandosi il macabro spettacolo orchestrato da lui stesso, dall'alto.

Gridava il castano, come non aveva mai fatto in vita sua. Quel dolore era reale, troppo per poter essere sopportato. A stento riuscì a trascinarsi sui gomiti nel tentativo di allontanarsi; si contorceva selvaggiamente per spegnere quelle fiamme che gli stavano portando via la pelle nella maniera più brutale, mentre una paura matta s'impossessava del suo essere, simile a quella provata al tempio dal momento in cui la sua schiena aveva preso a bruciare e il dolore, talmente forte, aveva lasciato posto all'indifferenza dell'insensibilità. Ma questa volta era diverso. Era qualcosa di più profondo, di continuo, di incessante. La mente divenne talmente obnubilata da non riuscire a formulare nessun pensiero, ma abbastanza lucida da captare qualcosa e appigliarsi a una speranza, pur folle essa potesse essere. Aveva sentito qualcosa.. qualcuno che lo chiamava, in mezzo alla risata del suo carnefice che non faceva che alimentare quel sentimento di collera e terrore dato dall'impotenza. Non conosceva quella voce.. o forse si? Non ricordava dove l'aveva già sentita. L'oscurità parve pulsare. Ma poi eccone aggiungersi un'altra, che parve squarciare ogni cosa con la potenza di una pugnalata dritta al cuore. 'Hai promesso'.


Yū..zora..

Fu come un balsamo per lui, allungare sofferente la destra verso quel cielo celato dalle fiamme bluastre e afferrare saldamente la mano guantata che si era materializzata a poca distanza dalla sua posizione. Aggrapparsi a quell'idea fu come essere investito in pieno da un getto d'acqua fresca, che non soltanto aveva miracolosamente spento le lingue di fuoco che l'avviluppavano, ma fu in grado persino di trascinarlo via da quel mondo per salvarlo dalla perdizione.
Curioso, il demone felino dalle due code rimase spettatore della scena, senza sollevare nemmeno una zampa. Si leccò i baffi. Era stato un bello spettacolo.
A presto, mio sfacciato ninnolo. sussurrò, poggiando pigramente il muso sulle zampe incrociate. Tutto a tempo debito.



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Non ci capiva un accidenti. Aveva sollevato le palpebre con una debolezza in corpo immensa, e la vista sfocata aveva agganciato praticamente solo il meraviglioso colore dei capelli del compagno, che stava tenendogli stretta la mano destra. Allora quello che aveva vissuto era davvero un incubo. Eppure c'era qualcosa di strano, perché sentiva un caldo tremendo e la gola era completamente riarsa. Non riusciva a dire niente, solo a respirare faticosamente a causa della forte febbre che pareva strozzargli il respiro nel suo percorso lungo la trachea e dimezzare l'ossigeno nei polmoni. In quello stato pietoso, non fu in grado di comprendere appieno le discussioni che stavano avvenendo con la ragazzina - che.. si.. ricordava di averla vista correre verso Kurama come avesse bevuto chissà quanti litri di alcolici - e il ragazzino dalla chioma fulva, ma quando la più piccoletta gli porse la borraccia, accostandola alla sua mano sinistra, non poté che stringere la presa, bisognoso. Arigatō. riuscì semplicemente a farfugliare, pur con una certa fatica. Senza attendere alcun aiuto da parte di nessuno, sciolse morbido la presa sulla mano del compagno e, faticando come una bestia, fece per sollevarsi sul busto, accompagnato poi dal movimento perspicace del rosso che lo sorresse per evitare che s'affogasse come un cretino. E bevve; assetato, confuso, senza prendere fiato. Sembrava non bevesse da giorni e non riusciva a levarsi di dosso quella sensazione di forte calore che l'avvolgeva.
Non appena ebbe svuotato la borraccia, si riprese l'aria come fosse stato in apnea per qualche secondo di troppo, grato di quel minimo sollievo dall'arsura che stava provando. Fu allora, dopo qualche secondo, che si sentì spingere verso il basso dalle stesse mani che prontamente l'avevano aiutato a stare su, e il castano, affaticato, accaldato, non poté fare a meno che assecondare il volere del rosso, lasciandosi andare con un sospiro, cullato dalle premure del compagno finalmente ritrovato. Aveva mantenuto la sua parte della promessa.



CITAZIONE
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