Con il Kyo Dan convenientemente uscito di scena, soltanto il Taisei era rimasto a ricevere lo sdegno e la furia dei ninja superstiti. Benché i loro scopi rimanessero polarmente opposti, i due ordini venivano a trovarsi, agli occhi del Continente, uniti nella responsabilità per le atrocità provocate. Una punizione sarebbe arrivata, presto per il Taisei, più tardi per il Kyo Dan, e ciascuno dei leader lì convenuti aveva già una propria proposta, tanto per l'itinerario quanto per la modalità.
Gli animi si scaldarono velocemente, pericolosamente, minacciando di trasformare quello che doveva essere un momento di raccoglimento, sollievo e cordoglio in uno di violenza sanguinaria. Il Kokage sarebbe stato il primo sul piede di guerra, la sua voce un misto di dolore ed odio, la sua avanzata arrestata da un improvvisato ma sempre più nutrito fronte di membri del Taisei. A raggiungerlo, presto, il Mizukage, che allungata una mano verso la spalla del parigrado avrebbe aggiunto la sua presenza, oltre che alla scena, al fronte che voleva Kataritsuen arrestato, interrogato e processato dalle autorità presenti su quella piazza. Alla stessa linea si sarebbe aggiunta sostanzialmente la Tsuchikage, che, nel lasciare agli altri la scelta della punizione, chiaramente manifestava di non disdegnare un processo sommario ed una punizione esemplare. Venuta meno la minaccia demoniaca, tornato il destino del mondo, tortuosamente, nelle mani dei suoi abitanti, altrettanto avrebbe fatto quello dei colpevoli. Questa era la volontà di tre dei sei.
Ma la voce che più di tutte si sarebbe imposta, il suo ergersi una diga contro la tensione montante, sarebbe stata quella di Himura Koshima. Il Kage d'Acciaio, noto per il suo temperamento tutt'altro che pacato, avrebbe costretto tutti a voltarsi e a ricordare chi fossero: ninja, soldati, fedeli ad un sistema di legge... almeno la maggior parte. Un processo era necessario, per capire, per punire e prevenire, arrestando sul nascere qualsiasi tipo di linciaggio o giustizia sommaria. Con il Consiglio di Kumo e l'Hokage a condividere questa linea di pensiero, pareva ormai chiaro come, nonostante la divergenza di metodo, l'arresto di Kataritsuen fosse imminente.
I suoi, tuttavia, non sembravano intenzionati a cedere il passo. I volti scolpiti nella pietra, avevano ormai formato un vero e proprio circolo attorno al loro leader silenzioso e inginocchiato, impedendo a chiunque di avvicinarsi. Nonostante le intenzioni pacifiche della maggioranza dei Kage, quello era uno stallo che non poteva risolversi senza l'uso della forza... e considerati i numeri, nessuno dei membri dell'Ordine poteva farsi illusioni riguardo il proprio destino.
«Fratelli, Kataritsuen-sama... vi prego.»Una voce si levò dalle loro spalle, oltre gli ultimi ninja attratti dal clamore. Lieve, pacata, eppure udibile anche sopra il brusio teso, presto avrebbe imposto alle molte teste di voltarsi per individuarla. All'aprirsi della folla, cinque uomini sarebbero apparsi alla luce flebile: le vesti semplici, larghe, dello stesso colore della pietra che dava forma alle immense mura, che appariva ora nuda sul fondo del cratere. La pelle cerea, le teste rasate, anche al buio della notte la loro vocazione non sarebbe sfuggita a lungo a chi guardava: monaci.
Al centro, vestito in maniera identica agli altri, il peso degli anni retto da un bastone, un anziano di bassa statura implorava il Taisei. Il volto una maschera di rughe scavate dal buio, ma sereno, quieto. Oltre l'età, lo distinguevano dagli altri due visibili marchi a forma di S sulle guance, rossi e orizzontali, a designarlo come Akihiro, Monaco Superiore dell'Ordine della Pietra e Daimyo di Ishi no Kuni. Il pacifico ordine monastico, dedito all'erudizione e alla preservazione di ogni sapere, aveva limitato la propria partecipazione al conflitto al concedere ospitalità ed asilo al Taisei, permettendo che avesse luogo il primo meeting tra L'Ordine ed i Cinque.
«Vi prego di farvi da parte, e di consentire che non sia fatta violenza. Non di nuovo.»Nessuno si mosse, nessuno tranne i ninja, che lentamente si aprivano per consentire il passo al Daimyo. Kataritsuen rimaneva chino sul corpo del compagno, immobile, e, dopo essersi voltato un istante per confermare questo stato di cose, sarebbe stato un altro membro dell'Ordine a prendere parola.
«L'Ordine non ha fatto nulla di cui debba ritenersi colpevole! Kataritsuen-sama ha agito per il b-»«Kataritsuen-sama, chi vi circonda vive e muore sulla vostra parola, vi ha seguito fin qui con la massima fedeltà, è morto in ogni angolo del Continente per voi, per l'ordine che incarnate. Non aggiungete altra morte al vostro dolore, alla distruzione del nostro paese e del Continente... vi prego: è finita, è tempo di pace, di verità e giustizia. Ascoltate la parola di chi vi circonda.»Lentamente, come destatosi da un lungo sonno, la giovane Guida dell'Ordine levò il capo. Nei suoi occhi, oltre il riflesso delle luci che ancora danzavano in cielo, nient'altro. Un vuoto terribile, completo, ogni luce confinata ai margini degli occhi, colata lungo le guance in una processione d'argento.
Nel vederlo riaversi, Satoshi gli allungò una mano sulla spalla, ma Kataritsuen non ricambiò il contatto, né fisicamente né visivamente. La sua attenzione era rivolta al cerchio di uomini e donne che gli faceva ostinatamente e devotamente da scudo. Prima che il subalterno potesse nuovamente intervenire in sua vece, parlò.
Una voce roca, stanca.
«Etsuya-san...»Interrotto sul nascere, l'uomo si voltò verso il ragazzo, lo sguardo interdetto.
«Lasciateli passare, è finita, io...
Conducili a casa, non sono più la vostra Guida. Non potrei esserlo.»Uno ad uno, esterrefatti, i membri dell'Ordine si sarebbero voltati verso il loro leader. Increduli, straziati da quelle parole, si sarebbero guardati tra loro, avrebbero mosso alcuni passi verso Kataritsuen, gli avrebbero rivolto degli appelli... ma senza esito. Lo sguardo del ragazzo, se tale era davvero, rimaneva inafferrabile.
La sua voce, tuttavia, guadagnava di intensità.
«Continente Ninja, a te faccio una sola richiesta: lascia andare i miei fratelli! Lascia che sia io a pagare per loro, quale sia la punizione che mi attende! Lascia che tornino al loro studio, alla loro missione, al loro lavoro senza colpa. Ogni azione intrapresa dall'Ordine in questi mesi è stata un mio prodotto, ogni loro decisione un mio comando.
Sono io l'unico responsabile della tua rabbia e frustrazione.»A queste parole, definitivamente, l'unità dell'Ordine sarebbe andata in pezzi. Molti sarebbero caduti in ginocchio, perduti e sconvolti, ignorando chiunque fosse passato oltre.
L'anziano Akihito, tuttavia, non aveva finito. Voltandosi verso i Kage e i loro sottoposti, specialmente chi si era pronunciato per un giudizio sommario, avrebbe rivolto loro il suo ultimo appello.
«A voi, grandi Kage, kunoichi e shinobi di questa terra, chiedo di consentire che un processo abbia luogo, un vero processo, che coinvolga ogni rappresentanza del Continente e che consideri la posizione del Taisei per quella che è. Per le sue ragioni, i suoi segreti e i danni causati.
Chiedo inoltre che tale processo si prepari ed avvenga qui, nella Pietra, il Paese che più di tutti ha concesso all'Ordine, che gli ha dato asilo e fiducia, che ha gli ha consentito di coordinare i vostri sforzi... e che più di tutti è stato tradito e ferito dal suo agire. Kataritsuen e i suoi, se riterrete di arrestarli, saranno custoditi nelle nostre prigioni sotterranee, sorvegliati da vostri ninja selezionati, se lo riterrete necessario. Vi sarà data ogni possibilità di raccogliere prove, testimonianze e confessioni, ed altrettanto sarà garantito loro.
Questa concessione vi chiedo, in nome degli dèi e della loro giustizia.»Una richiesta pesante, di notevole portata, che avrebbe aperto la strada ad una vera e propria inchiesta. La decisione, per forza di armi ed autorità, rimaneva comunque nelle mani dei Sei.