Esprimere quello che avvertiva dentro di sé con sincerità quasi disarmante non era stato per nulla semplice per il castano, che credeva spesso di poter apparire stupido nel farlo, o debole. Lui, che aveva imparato col tempo e a sue spese ad essere un cuore di pietra, un tempio impenetrabile fatto di sagacia e sarcasmo. Ma non poteva farci nulla, oramai. In presenza del Rosso, il suo cuore non conosceva alcuna vergogna e le sue difese si annullavano, permettendogli con estrema facilità di profanare la sua anima. Forse era proprio quella ritrovata capacità di esprimersi, in qualche modo, nonostante tutto, la chiave di volta di quel sentimento tanto tormentato che per molto tempo lo aveva fatto soffrire, portandolo ad affogare nel cinismo, nel menefreghismo e nell’opportunismo. Come sempre, sin da quando era entrato burrascosamente nella sua vita, Yūzora si confermava il suo raggio di luce nell’oscurità; il cuore che aveva perduto e che, ritrovato, avrebbe protetto contro tutto e tutti, con le unghie e con i denti. E lo sapeva bene che tutto questo tendeva ad inibirlo, costringendolo a mitigare quella sua vena violenta e meschina per paura di spaventarlo, di farlo scappare, di farsi detestare per il vile essere umano che era diventato a suon di pestaggi, rappresaglie e insensibilità.. ma cosa poteva farci? Per anni, da che aveva incontrato per puro caso il suo sguardo nel quartiere Hōzuki dove al tempo viveva con la sua famiglia, inconsapevolmente era divenuto la sua motivazione a vivere, a non mollare, a reagire. Senza saperlo, Kyōmei Yūzora lo aveva salvato dall’oscurità che si allargava dentro di lui, ritagliando un piccolo spazio bianco a difesa del bambino che non era potuto essere. Gli doveva più di quanto riusciva effettivamente a dargli, questo era poco ma sicuro, e proteggerlo, da se stesso o dagli altri, era una scelta consapevole e per nulla scontata. Nel proteggerlo non stava soltanto proteggendo il suo Mizukage, come il soldato che gli avevano insegnato ad essere, ma proteggeva anche una parte di se stesso, la sua felicità e il sentimento che, forse, aveva salvato entrambi.
Sorrise bonariamente, indugiando sulle espressioni che si pennellavano sui lineamenti del suo viso mentre carezzava il serpente d’argento al suo collo, custode della iridescente bolla. Te lo prometto. rispose allora, non appena ebbe finito di parlare, stringendo dolcemente la sua mano al petto, giurando a se stesso che mai gli avrebbe fatto scordare chi era, chi erano. Promessa facile da fare e altrettanto da mantenere, perché quella dimora (piccola scusa della loro escursione clandestina) mirava proprio a quel proposito. Li, più che in qualunque altro luogo, poteva essere semplicemente Yu, e lui semplicemente Takumi.
Sospirò piano, non appena il contatto fra i loro corpi caldi venne meno. Un po’ gli dispiaceva di aver mandato in frantumi quel momento tanto intimo, ma era giusto togliere entrambi dall’imbarazzo delle loro reciproche confessioni e godere insieme di una serata tranquilla. Con garbo e attenzione ai più piccoli dettagli, versò per entrambi una generosa coppetta di ottimo saké - che Tanaka-san aveva insistito a regalargli dopo aver saputo che avrebbe cambiato casa, come buon augurio. Ne porse una al suo ospite, prima di prendere la propria e immergersi nuovamente nel tepore dell’acqua calda. Lo osservò attentamente, cogliendo nell’immediato il sorrisetto furbo dietro quell’innocua domanda. Mattaku. La curiosità lo stava divorando, ne era certo. Vediamo.. cominciò, facendo volutamente il vago, dilatando il discorso per poter giocare ancora un po’ con la sua cocente curiosità. Brindiamo a noi, a questa magnifica serata e a questa nuova residenza, che vorrei presto poter chiamare casa. concluse, alzando leggermente la coppetta e portandola di conseguenza alle labbra, saggiandone il contenuto fumante. Era squisito. Il vecchio Tanaka sapeva bene come viziarlo e ci era riuscito per l’ennesima volta! Ovviamente non è ancora completata, ma non è questo quello che intendo. confessò, rifacendosi al discorso del chiamare casa quella lussuosa dimora e forse rispondendo ai dubbi che quell’affermazione avrebbe potuto generare nel Rosso. Si. Era arrivato il momento di dirglielo. Manca qualcosa di più importante.. manca ancora il cuore, per poterla definire davvero casa. concluse, osservandolo con sguardo magnetico, seducente, attento, felino, alludendo molto chiaramente al fatto che mancava proprio il giovane uomo dalla chioma fulva che aveva accanto per completare l’opera, per sentirsi davvero a casa. Lui, il cuore di ogni cosa.