Die andere Seite, Quest di II Livello (Immortalità jashinista) per ArdynIzunya

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view post Posted on 6/4/2022, 21:02     +1   +1   -1
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CITAZIONE
Continua da qui [X]

??? - Data ignota, verosimilmente autunno inoltrato



È rimasto lì, appeso per le braccia, come un coniglio acciuffato per le orecchie, anche dopo che lo strano ometto dalla parlata straniera ha preso e se n'è andato da dov'è venuto, senza una parola di spiegazione. Quel suo sguardo fisso e la faccia perennemente tesa in un'espressione di garbato interesse non lascia minimamente intendere se comprenda la lingua del Continente ninja o no. Potrebbe intenderla perfettamente, come non capire mezza sillaba. Ad ogni modo, non avrebbe lasciato un gran ché di tempo a Kacchan, se anche il ragazzone avesse voluto vomitargli addosso chissà che insulti o domande: dopo una rapida occhiata al prigioniero, avrebbe confabulato con uno degli sgherri della ragazza col mazzafrusto - un omaccione truce che lancia tuttora occhiate piuttosto diffidenti al nostro Signore dell'Oltretomba, come se temesse che le ombre della stiva vomitino di colpo altri spettri inquietanti - prima di girare sui tacchi, senza mai perdere quella sua espressione da pesce nella boccia.

Di slegarlo, nessuno sembra avere la minima intenzione.

Piscia e caga ancora in una ciotola, mangia quello che gli passano. Non patisce la fame, tutto sommato, ma avere lo stomaco pieno in breve tempo diventa un conforto insufficiente. Le assi della nave gli ballano sotto al culo, si sente spesso vagamente stordito senza capirne il motivo, le spalle fanno un male cane, i polsi si piagano e non serve quasi a niente che passino a medicarli due volte al giorno. Sì, sembrano proprio impegnarsi per tenerlo vivo, ma senza sforzarsi troppo per rendergli la faccenda umanamente accettabile. Le energie sembrano essergli tornate, dopo un numero imprecisato di giorni di traversata; tenere il conto del tempo che scorre sembra insolitamente difficile, come se il cervello fosse annebbiato in modo innaturale.

L'Akimichi... possibile che lo stia schivando?

Talvolta gli sembra di scorgerla in trasparenza, come se volesse parlargli al di là di una cascata: la figura tremante come un miraggio in pieno deserto, la bocca che si apre e si chiude senza emettere alcun suono, le mani che si protendono verso di lui, ma senza ch'egli riesca ad udire nemmeno una sillaba.
La stagione autunnale prosegue con lentezza, il clima insolitamente mite, umido, appiccicoso; le voci in coperta che si esibiscono in suoni, sillabe, parole a lui completamente ignoti. Le strida degli uccelli marini sono uguali ovunque, ma ai richiami dei gabbiano si mischiano gradualmente vocalizzi mai sentiti prima.

I richiami sono assordanti stamattina, come se un intero stormo di demoni piumati gridasse a perdifiato a bela posta, per farsi sentire, in seno a una baia dai fianchi rocciosi.

La nave è ferma: questo può capirlo dal rollio appena percettibile; là fuori c'è un inferno di bestie marine che urlano, che quasi copre i tonfi concitati dei passi dell'equipaggio al di sopra della sua testa. Non è la prima volta che si fermano in un porto. Fiora per lui non è mai cambiato un cazzo. Per quale motivo dovrebbe pensare che stavolta le cose vadano diversamente?



CITAZIONE
Sono alla disperazione ma sticazzi, dobbiamo iniziare. Perdona la veste grafica inesistente. Se effettivamente le cose stanno andando come spero, mi aspetto di avere più respiro (finito il corso per neo assunti e anche due delle 4 prove settimanali che mi sorbisco da Gennaio). Collegati alla B appena terminata, ma non serve che tu faccia un poema: Kacchan oramai non me lo devi presentare. Se hai domande rompimi pure, se non rispondo rompi pure il doppio.
 
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view post Posted on 20/4/2022, 10:40     +1   +1   -1
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Posizione Ignota

A bordo di una nave,
Data non pervenuta



Il rumore del sartiame che si tendeva, a poppa, appariva come un lamento flebile, nella notte, mentre lo sciabordare delle onde faceva da contralto, in una lenta nenia che acquietava il sonno, ma lì, nella stiva, in un cantuccio distante dove le assi di legno incatramato impedivano alla seppur flebile luce di passare, non vi era ne pace ne quiete, nonostante il lento oscillare del vascello ricordasse il lento dondolare della culla di un infante.

La corda di canapa stringeva dolorosamente intorno ai polsi, ormai segnati dalla fibra grezza, piagati. Prudevano da matti, ma in quella circostanza rappresentavano decisamente il male minore: le braccia tese, le spalle contratte da talmente tanto tempo che, ormai, non le sentiva nemmeno più. Ogni respiro, per Kacchan, rappresentava un calvario, appeso com'era in quella posizione, il buio della sua prigione ed il dolore come suo unico compagno.

L'avevano spogliato di tutto, lasciandolo vestito lo stretto necessario per coprir le vergogne, ma non i lividi e i tagli che sfregiavano il suo corpo martoriato. Sul fianco destro, all'altezza del costato, un grosso ematoma indicava il punto dove, probabilmente, più di una costola era stata incrinata; il viso tumefatto, gonfio, lì dove il naso era stato spaccato e lo zigomo fratturato rendevano i lineamenti quasi irriconoscibili. Le gambe, poi, seppur coperte dai pantaloni, serbavano anche loro uno stuolo di medaglie, fatti di tagli ed ematomi, nascondendo un ginocchio gonfio.

Lo scontro con quella donna, sulle Isole Orientali, l'aveva annientato completamente, le energie che faticavano a tornare. Certo, i suoi aguzzini facevano di tutto per tenerlo sul filo di lana, dandogli lo stretto necessario per non farlo morire di fame, sete o setticemia, ma... Il chakra sembrava non voler ricarburare il suo motore interno.

Inizialmente aveva supposto fosse dovuto alla misteriosa erba che aveva ingerito ad inizio scontro, eppure, presumeva, erano passati giorni da quando l'aveva assunta, il suo organismo doveva, per forza di cose, aver smaltito quella droga, eppure... Probabilmente stavano continuando a drogarlo, contaminando il cibo, per evitargli di usare quel suo "giochetto con gli spettri". Aveva cercato, malamente, di saltare qualche pasto e, in quelle circostanze, si era anche sentito vagamente meglio, sfruttando quelle poche energie ottenute per risanare le ferite interne più gravi. Poi, però, veniva preso di peso, costretto ad ingurgitare un qualche alcolico scadente, ma tanto forte da stordirlo completamente. Ed ecco che, nuovamente, si ritrovava senza forze, inerte, solo. Da quando si era risvegliato, nemmeno gli spettri si erano degnati di fargli compagnia, neppure quelli a lui più inseparabili.

Solo. Completamente solo. Abbandonato a sé stesso.

Vedi? È questo che succede, quando si vuole prestare aiuto agli altri.

Ti eri ripromesso di non farti fregare più, di vivere senza che nessuno potesse ostacolare i tuoi bisogni e desideri, ma guarda come ti sei ridotto, a voler aiutare una a m i c a che non si è fatta alcuno scrupolo ad abbandonarti, quando non le servivi più...

Nessuno verrà a salvarti, perché a nessuno importa davvero di te.


Paese della Pioggia - Ame no Kuni 雨の国

魂の庭 Tamashī no Niwa
covo delle Kage no Hotaru 影のホタル
15 Novembre 252 DN



Un lento ticchettio scandiva lo scorrere del tempo, in quella stanza buia e fredda, le uniche fonti di luce rappresentate dai led che illuminavano un grosso cilindro di vetro, una capsula di incubazione al cui interno, sospesa in una soluzione salina, ribolliva un liquido denso e scuro.

Il viso di Makoto Yotsuki era riflesso su quella teca resistente, nonostante il suo dito andasse, ritmicamente, a batterci sopra, osservando annoiata quel liquido reagire al suo tocco. Kacchan le aveva spiegato che si trattava di quella strana sostanza che permetteva a loro due di fare quelle cose strane che facevano. Non che ci avesse capito granché, solo che si chiamava... Cretinina? Chivallina? Boh, che le fregava. Quel che le importava, a lei, era che quella cosa che il suo corpo produceva continuasse a permetterle di fare quel che faceva, senza darle troppi problemi. Certo, lei era un caso a parte, ma per Kacchan, ogni volta, usarla era un calvario. Per estrarla, poi, non ne parliamo...

Con un sospiro rassegnato, la ragazzina incrociò le braccia sul tavolo da lavoro, osservando distratta tutti i macchinari strani che il suo aniki stava usando per portare avanti le sue ricerche. Anche di quelli, non aveva la benché minima idea di cosa servissero, nonostante alcuni li avesse lei stessa costruiti, seguendo le attente e precise indicazioni dello Yamanaka...

« Che fine hai fatto, fratellone? » Domandò rassegnata, senza ricevere risposta. L'ultima volta che l'aveva visto risaliva al giorno del suo compleanno, il 3 Ottobre, quando aveva ricevuto quella richiesta di aiuto da parte di Masaru. Come suo solito, non aveva minimamente esitato a correre in aiuto della Jinton, ma... Era da troppo tempo che non avevano più sue notizie e, in tutta sincerità, alla Yotsuki la cosa iniziava a pesare abbastanza.

Il rumore di passi in avvicinamento, tacchi alti che sbattevano sul pavimento piastrellato di quello scantinato, non preoccuparono minimamente l'adolescente. Sapeva perfettamente di chi si trattava dato che, tra gli abitanti del piccolo borgo, solo loro due avevano il coraggio di avvicinarsi a quel posto da incubo. La porta si aprì senza preavviso, la figura di Shiroko si sporse, permettendo alla luce in corridoio di illuminare lo studio. « Kacchan, ascolta, avrei bisogno di un tuo consulto per... »

L'albina si fermò sulla porta, sorpresa di trovare lo studio inattivo e Makoto lì, imperterrita a crogiolarsi nella sua tristezza e desolazione. « Ma... Ma come. Non è ancora tornato? » « No. » « Hai provato a contattarlo? » Domandò la pallida Shiroko, avvicinandosi all'amica che, in tutta risposta, allungò un braccio sul tavolo, frugando tra le carte lasciate incustodite e tirando fuori una catenella a cui era legato un ciondolo di cristallo chiaro. « Se lo è dimenticato qua. »

« Kuso. » Sibilò la più grande, appoggiandosi di peso contro il bordo del mobile, per poter osservare per bene il volto dell'amica: quello sguardo spento non le piacque affatto, mentre lei si rigirava quel monile tra le dita. Già una volta Makoto aveva sofferto la perdita di un fratello e conosceva perfettamente quel senso di impotenza nel non poterlo aiutare. Ci erano già passate e, di certo, la pallida donna non voleva rivedere la sua protetta nuovamente ricadere in quell'abisso di dolore.

« Ok, sai cosa? Andiamo a cercarlo. » La Yotsuki strabuzzò gli occhi, quasi faticasse a dare senso alle sue parole. « Cosa? E... E il covo? E gli altri? Dovremmo lasciarli soli? » « Stai tranquilla, lascerò un mio clone a dar loro supporto e poi sanno come cavarsela senza di noi. Non sono sprovveduti. » Così dicendo la donna allungò la mano sulla catenella che portava legata alla cintura dove, insieme ad un ciondolo che la identificava come aderente al credo jashinista, vi era un monile identico a quello lasciato incustodito dallo Yamanaka. Lo prese tra le dita, facendoci schioccare contro l'unghia del medio, producendo un suono limpido e cristallino, che immediatamente riverberò lungo la struttura cristallina, illuminandolo fiocamente. Nel vedere quel loro gingillo attivarsi, creato proprio da Shiroko, Makoto si tirò su, gli occhi ametista spalancati. Faceva sul serio, allora?

Una figura dai tratti confusi apparve tra le facce del cristallo, evidente segno di come la comunicazione avvenisse tra due persone estremamente distanti tra loro. « Oneechan, che succede? » Rispose una voce gioviale, presumibilmente dal timbro maschile, difficile da identificare a causa del disturbo delle trasmissioni. <b>« Otouto, abbiamo un problema. Aniki è sparito, non riusciamo più a metterci in contatto con lui. L'ultima volta era diretto a Sado, magari puoi fare qualcosa... » « Non preoccuparti, mi faccio aiutare dall'Ubriacona, se serve...» Shiroko quindi fornì lui una descrizione di Kacchan, del modo in cui si era camuffato, per occultare il suo aspetto, aggiungendo, inoltre, che era accompagnato da una donna, di cui non era certa di poter dare una descrizione attendibile, non sapendo se anche lei avesse optato per un travestimento.

« Tranquilla Oneechan, se Aniki è passato da queste parti, lo scopriremo senz'altro. » « Perfetto, tienimi aggiornata allora. Noi andremo ad Iwa, invece. » « Iwa? E perché mai, scusa?» Domandò Makoto, perplessa. « Dobbiamo scoprire che accidenti voleva Masaru da Kacchan e capire se è rientrata o se, come lui, non ha dato più notizie. Se la rintracciamo, potremmo capire se si sono effettivamente incontrati e se gli è successo qualcosa mentre erano insieme o se dopo, ad incarico finito. » Makoto, allora, scrocchiò le nocche, digrignando i denti, agguerrita. « Se per colpa sua gli è successo qualcosa, giuro su Raijin che questa è la volta buona che la spezzo in due.»

CITAZIONE
Uso questo pretesto GdR On per effettuare l'acquisto di 4 Unità Investigative (che confermerò anche nel topic adibito agli Inseguimenti e Cacce) per le Kage no Hotaru, scalando il loro costo dal conto di Kacchan (- 1.000 ryo) e le distribuisco in questa maniera:

2 UI nel territorio del Paese della Terra - Rintracciare Masaru Takeda, per ricostruire i suoi ultimi spostamenti [Avanscoperta]

2 UI nel territorio del Paese dell'Acqua, che si sposteranno poi verso le Isole Orientali - Rintracciare Kacchan Yamanaka, per ricostruire i suoi ultimi spostamenti [Avanscoperta]



 
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view post Posted on 27/4/2022, 22:12     +1   -1
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Hai segnalato nei vari topic lo schieramento delle UI? Chiedo giusto per scrupolo x.x

??? - Data ignota, verosimilmente autunno inoltrato



A quanto pare, qualcuno più disperato del Master di questa giocata c’è, ed è proprio il protagonista di questa vicenda: il fatto di essere approdato non sembra suscitare in lui più alcun tipo di emozione - dopotutto, ha toccato terra già chissà quante volte, e in nessuna di quelle occasioni la sua condizione ha subito una svolta.

Forse stenta lui per primo a realizzare cosa gli stia accadendo, quando due tra gli sgherri della donna che l’ha massacrato di botte scendono sotto coperta, lo sganciano con mal garbo, come un prosciutto pronto per essere affettato, e lo trascinano all’esterno. No, non voglio nemmeno pensare alle fitte di dolore che azzannano le spalle dello Yamanaka, quando gli arti cambiano bruscamente posizione dopo settimane.

La luce spiove dall’alto, incanalandosi tra le due pareti a strapiombo della falesia che circonda l’imbarcazione: ferisce gli occhi abituati alla penombra come lame di coltello, mentre gli uccelli marini planano radenti, sfiorando persino il volto del giovane con lo spostamento d’aria provocato dalle loro ali.

Se non cammina da sé, lo trascinano di peso, sollevandolo… ahimè sì, per le spalle. Forse gli conviene usare le sue, di gambe. Sotto i piedi rimbomba il vuoto di una passerella in legno prima, sostituita dopo qualche centinaio di passi dalla superficie dura e sorda di quella che deve essere pietra. Tutt’attorno stralci di dialoghi, urla, grida, richiami, imprecazioni, tutti in una lingua sconosciuta e incomprensibile; gli occhi hanno a stento il tempo di abituarsi alla luce esterna, che un’ombra torreggiante torna a fagocitarlo, quando oramai ha perso il conto dei passi che ha fatto. Di nuovo legno: un’altra passerella? Per dove?

Non sta entrando in un’altra nave stavolta: lo percepisce dall’improvviso abbassamento della temperatura e da quell’umidità spiacevole, di quelle che si formano solo nel sottosuolo o nei grandi edifici in pietra. I suoi carcerieri si arrestano. Scambiano diverse battute con un terzo elemento, la cui voce Kacchan non ha mai udito: accanto a lui ce n’è un altro, nella penombra si intuiscono vagamente le forme di abiti troppo spessi e ingombranti per essere semplici indumenti… e il metallo che luccica non mente. Non serve affatto conoscere la cultura del posto, per capire di trovarsi davanti a due guardie.

Gli occhi tornano faticosamente a mettere a fuoco la realtà che lo circonda. Si trova in un luogo buio, dalle pareti di pietra tagliata in blocchi quadrangolari; strane torce senza fiamma e senza manico rischiarano il buio, illuminando lo stretto indispensabile di una struttura che non condivide assolutamente nulla con l’architettura del continente Ninja. Kacchan si trova all’imboccatura di un corridoio eccezionalmente lungo; provare a voltarsi gli farà vincere uno strattone brusco dall’energumeno che lo trattiene dal lato sinistro. Riprendono a camminare. Lo Yamanaka è sempre solo. Gli ultimi giorni sono stati particolarmente attenti a tenerlo sedato. Il corridoio prosegue nel buio, interrotto ogni tanto da una porta di legno rinforzata in ferro o da stranissime scalinate arrotolate su se stesse, come i gusci delle lumache, che salgono dritte come tronchi d’albero verso i livelli superiori. Tutti gli uomini che incontrano sono armati. Si trova… in una fortezza, per caso? Che cazzo, è un soldato anche lui, a suo modo: sa riconoscere una fortificazione militare quando la vede!

Quando - dopo numerosi cambi di direzione, tali da far perdere l’orientamento a chiunque - una porta si spalanca davanti a lui, rivelando una buia stanzetta rotonda senza altre vie d’uscita, capisce di essere arrivato a destinazione.
C’è un’apertura in alto, sul muro, a circa tre metri di altezza rispetto al pavimento, protetta da sbarre di metallo; nella stanza un odore famigliare. C’è una specie di letto, formato unicamente da una tavola di legno montata su uno strano piedistallo; lì vicino una scatola di ferro con le ruote, catene e manette che pendono dalle pareti e un foro al centro del pavimento, che converge in leggera pendenza proprio verso quel punto, che sembrerebbe proprio un foro di scolo per l’acqua. Tutto sommato, non male come sistemazione. Almeno può dormire sopraelevato rispetto ai topi, e pisciare in un buco diverso dai suoi vestiti, senza chiedere il permesso di farlo.

Lo portano verso il letto, che - ora che si avvicina riesce a vederle - ha diverse cinghie di cuoio tutt’attorno ai bordi, come se servisse per… esatto, legarci la gente. Non può opporre resistenza. La merda che gli hanno pompato nel sangue è troppo forte. La nuca, la schiena, le natiche, gambe e talloni si adagiano sulla superficie dura, mentre le cinghie tornano a chiudersi attorno ai suoi arti. Ora se ne accorge: l’odore che sente, vago e misto alla salsedine, è sangue.

I due se ne vanno.
Uno biascica qualcosa tipo “divertiti” mentre esce, in quella lingua del Continente che Kacchan gli ha già sentito utilizzare quando era con Masaru sull’isola. E passano… pochi, pochissimi minuti, prima che la porticina torni ad aprirsi, lasciando apparire sulla sua soglia un uomo dall’età indefinibile, in quella penombra.
Entra e si muove con la disinvoltura di un macellaio nella sua bottega - pardon, il paragone forse è indelicato, ma rende l’idea. Ha metà del cranio rasato e attraversato da un’orrenda cicatrice che prosegue scendendo lungo il viso dai tratti regolari, quasi piacenti. Il ciuffo ricade sull’altra metà del viso, quella sana, quasi volesse mettere in sprezzante risalto con quella acconciatura ciò che di più orrendo porta sul corpo, coprendo nel contempo ciò che può essere bello o piacevole.
Quegli occhi chiari, dal colore indefinito, esprimono una sobria tristezza: un’espressione che non immagineresti mai sul volto di uno che, spalancata la scatola di ferro, ne estrae con movimenti rapidi e precisi una serie di attrezzi che farebbero dare di stomaco il più insensibile dei torturatori ANBU.

Ecco, no. Pare che qui, per far parlare i prigionieri, il ninjutsu non lo usino proprio.



 
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view post Posted on 29/4/2022, 09:54     +1   +1   -1
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Posizione Ignota

Roccaforte straniera in località non pervenuta,
Data non pervenuta



Lo scorrere del tempo, ormai, aveva perso d’importanza. Che senso aveva sapere quante volte quel continuo rincorrersi di sole e luna si susseguiva, se poi lui continuava a trovarsi nella stessa, identica, situazione? I giorni, ormai, si ripetevano uguali a se stessi, fino all’esasperazione: afflitto dai dolori per la posizione in cui era costretto e per le ferite riportate, perennemente stordito, reso poco lucido dalle droghe che lo costringevano ad ingerire, nascoste dalla misera facciata di un pasto frugale ed essenziale, che in più di un’occasione i suoi aguzzini erano stati costretti a farglielo ingerire a forza. Anche le funzioni corporali si erano ridotte al minimo, come se il corpo stesso cercasse in tutti i modi di assimilare e sfruttare quanto più possibile, di quello che otteneva, per poter sopravvivere. Certo, non andare di corpo non lo preoccupava poi molto, ma discorso diverso era se, al contrario, rischiava un blocco renale… Tanto per aggiungere la ciliegina sulla torta di merda in cui era immerso.

Doveva assolutamente fare qualcosa, qualunque cosa, per sottrarsi da quella situazione. Raccogliere energie, quel tanto da permettergli di cercare una via di fuga, al minimo segnale di distrazione: appariva come uno scenario tanto invitante, ma dall’attuazione impossibile. Niente bis, allora, di quanto accaduto in quel villaggio di aborigeni, con i suoi spettri di acre fumo nero ad atterrire quegli animi e permettergli di muoversi in tutta tranquillità. Evidentemente i Kami e le divinità protettrici di quella gente non avevano gradito quel suo spettacolo e, adesso, doveva inventarsi qualcos’altro per salvarsi la pellaccia.

Provare una via più diplomatica, sfruttare la sua parlantina, magari per cercare un accordo con i suoi aguzzini, per salvarsi la vita… Sarebbe stato l’ideale, peccato, solo, per quel piccolo dettaglio della differenza di idioma. Lui non capiva un’acca di quello che quei tizi dicevano e loro, presumeva, non capivano un’acca di quel che diceva. Non che fosse stato particolarmente loquace, in questi giorni di prigionia. Aveva preferito la via del silenzio, ascoltare, cercare di studiare e comprendere quel loro modo di parlare, sperando di riuscire, seppur in minima parte, a comprenderlo. Sfortunatamente, però, le droghe ovattavano la sua percezione dei suoni, sempre ammesso che ciò non fosse dovuto ad una lesione del timpano, quindi le voci fuori cabina gli giungevano parecchio sottili, difficili da afferrare.

Poi, però, qualcosa ruppe quella routine. Lo Yamanaka se ne accorse solamente quando sganciarono la carrucola che lo teneva appeso al soffitto della sua cabina, facendolo cadere rovinosamente a terra. Un verso strozzato gli sfuggì dalle labbra spaccate, il dolore alle spalle ad invadergli il corpo come una fiamma bianca, tanto intenso da farlo rabbrividire da capo a piedi. Pronunciò un’imprecazione, mentre cercava di mettersi dritto, provare, quanto meno, ad ergersi in ginocchio, ma gli uomini venuti a prenderlo non gliene diedero il tempo, agguantandolo in malo modo dalle braccia, procurandogli un’ulteriore incremento di glutammato peptide, come se non fosse palese come i suoi neuro recettori stessero mandando segnali a tutto spiano, fuochi d’artificio a forma di SOS, resi ancora più luminosi dal forte stress a cui era sottoposto.

Con uno strattone, cercò di divincolarsi dalla presa di uno dei due, tentando malamente di mettersi dritto da solo, provando a muovere qualche passo, incerto a causa delle gambe che formicolavano, per via della prolungata sospensione a cui era stato sottoposto, per non parlare delle penetranti stilettate che gli causava la lesione al ginocchio, una pugnalata dritta sul tendine del quadricipite femorale, tra la sezione della fascia lata e la rotula, che si ripeteva ogni qual volta poggiava il peso sull’arto sinistro. Lo spintonano, quando sembra rallentare il passo, strattonandolo, per farlo andare più veloce, ma al giovane non sembra importargliene poi molto.

La sensazione di calore della luce del sole è una carezza delicata, così come il soffio del vento un tenue palliativo ai suoi dolori. Anche la sensazione dei diversi materiali sotto i piedi nudi, in qualche modo, sembrano infondergli una tenue sicurezza. Quelle sensazioni sono segni evidenti del fatto che si, è ancora vivo e si, può ancora trovare un modo per scampare anche a questo supplizio. Il cervello, quindi, galvanizzato da tutti quegli enzimi in circolo, analizza famelico, gli occhi a scrutare quanti più dettagli possibili, le orecchie tese, pur di riuscire a capire dove si trovasse e cosa, quella gente, si dicesse. E quando si rende conto del luogo in cui si trova, il giovane non può far altro che sospirare, frustrato. Ora si che poteva dire addio all’idea di sgattaiolare via come un topolino: troppa gente armata con cui fare i conti, almeno nelle condizioni in cui versava, anche se… Per come era ridotto, anche un bambino armato di bastone poteva facilmente metterlo al tappeto.

Cerca di memorizzare la strada che percorrono, ma sa bene che ha poco senso: anche riuscisse a fuggire, sarebbe impossibile farla franca. Davvero, nella sua mente, si delinea l’idea di cercare vie traverse per ottenere la salvezza. In cuor suo spera lo stiano portando dal loro capo, forse quell’ometto bizzarro che gli era sembrato di aver visto, durante i primi giorni di prigionia…. Almeno lui, a differenza degli altri, gli aveva dato l’impressione di comprendere un minimo il suo linguaggio, magari avrebbe trovato un modo per patteggiare la sua libertà e…

Quando l’ennesima porta si apre, Kacchan quasi non si sorprende di ritrovarsi nell’ennesima cella. Probabilmente vogliono tenerlo qualche giorno li, prima di farlo parlare col loro capo, ma… C’è qualcosa, in quella stanza, che gli lascia una strana sensazione di disagio addosso. Prima ancora di notare le cinghie su quello che sembra un tavolo, è l’odore a fargli iniziare a battere il cuore all’impazzata, il respiro affannoso. Per un attimo la vista, già di per sè offuscata, si tinge di rosso, l’arredo di quel sotterraneo a sostituirsi con ben altra stanza di muratura, con un arredamento ben diverso, un bambino che veniva trafitto dalla lunga spada serpeggiante della Tsuchikage e il suo sangue ad insozzarlo da capo a piedi.

Un fremito, seguito da una risatina isterica, mentre la stanza, ai suoi occhi, cambia nuovamente aspetto: un vecchio deposito interrato, un uomo legato ad una sedia, con gli arti martoriati, l’odore di sangue ed urina ad ammorbare l’aria, appesantito da quello delle sigarette che lui era solito fumare. Le suole delle sue scarpe ormai guazzano nei liquami della sua vittima, sarebbe stato utile un canale di scolo, per ripulire quello schifo, ma a lui non importava. Dopotutto, aveva già le sue anime ad ammorbargli lo spirito, con la loro sete di vendetta, nei confronti dell’uomo sui cui si era tanto accanito. Quel mercante, alla fine, lo aveva lasciato lì, a macerare, avvolto dalle anime che bramavano lo scotto per le sofferenze che avevano patito in vita, a causa delle sue malefatte.

« Chikushou, ma che bel posticino… » Non può fare a meno di trattenersi, mentre lo prendono di peso e lo piazzano su quel tavolo, legandolo stretto con diverse cinghie di cuoio, immobilizzandolo per bene. Trattiene il fiato, divorato da sensazioni estremamente contrastanti, mordendosi il labbro inferiore, mentre saggia la morsa ferrea del cuoio sulla pelle nuda. Sa bene cosa succederà, di lì a poco, e tutto si sarebbe giocato su quel breve lasso di tempo, quel frangente in cui vittima e carnefice incrociano lo sguardo ed entrambi comprendono cosa ne sarà l’uno dell’altro.

Quando sente la porta aprirsi nuovamente, dei passi annunciare l’arrivo di chi è stato mandato a fargli pentire di essere uscito dal grembo materno, un brivido di eccitazione lo pervade da capo a piedi, consapevole di come, ciò che pronuncerà, potrebbe costargli la vita. Tutto, adesso, si gioca su una sottile, labilissima, domanda: colui mandato a torturarlo, sarà in grado di comprendere un minimo quel che lui avrà da dire?

« Anulare e mignolo della mano destra sono insensibili, così come il resto dell’avambraccio. Probabilmente è dovuto ad una lesione del nervo cervicale. Il ginocchio sinistro, invece, è già danneggiato, nel caso avessi intenzione di provare con una martellata sulle rotule. Se vuoi provare con dei chiodi sotto le unghie, non garantisco però di una sua utilità: per curiosità, una volta, l’ho provato… Certo, fa un male porco, ma… Beh, la sensazione del metallo nella carne è… particolare, forse è per questo che mi piace riempirmi di piercing in ogni dove… E si, ho anche esplorato l’intrusione di oggetti oblunghi in particolari orifizi e questo non di mia volontà. Lo sto dicendo giusto per dovere di cronaca, non vorrei snervarti nel tuo cercare di estrapolarmi informazioni sotto tortura.» Inizia a parlare il giovane, lo sguardo rivolto verso l’alto. Non ha ancora visto in faccia il suo aguzzino.

« E ti dirò, sinceramente non ho voglia di provare questa inaspettata inversione di ruoli, ma… Non ho la fortuna di certe persone, che puoi tagliuzzarle a loro piacimento e non batteranno ciglio, quindi perché perdere tempo a sporcare gli strumenti del mestiere? Ho cose in sospeso a cui tengo particolarmente portare a termine, perciò risponderò senza problemi a tutte le domande che mi farai. » Solo allora volge lo sguardo e gli occhi cobalto del giovane vengono attratti, curiosi, dal viso di quell’uomo. Ironico come avessero gli stessi gusti, in fatto di taglio di capelli, ma se lui aveva usato quello stratagemma per nascondere parte delle cicatrici da ustione, l’altro lo sfoggiava per risaltare l’enorme cicatrice che gli deturpava il volto. Gli occhi del giovane osservano curiosi la linea che, presume, sia stata tracciata da una lama, fino a fermarsi su quel suo sguardo sobriamente triste. Quell’uomo, deve ammetterlo, lo incuriosisce da matti… O, più semplicemente, il matto, lì dentro, è proprio lui, visto che sembra manifestare fin troppo spesso uno spiccato interesse per persone palesemente disturbate in qualche maniera: vedasi come è andata a finire con Jikan…

« Come te la sei fatta? » Gli domanda, visibilmente incuriosito. Il suo sguardo non si stacca da lui, cercando di seguirlo ad ogni suo passo. « Certo, sei tu che devi fare le domande, ma volevo provare a rompere il ghiaccio… Se vuoi, ti posso dire come mi sono procurato questa… » E, così dicendo, con un cenno del capo fa riferimento alle enormi cicatrici da ustione che gli coprono buona parte del braccio e del fianco, oltre che parte di collo e mascella. « Dalle mie parti esistono oggetti in grado di esplodere a comando, e ti sorprenderesti se ti dicessi che potrebbero assumere le forme più disparate. »



 
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view post Posted on 11/5/2022, 16:08     +1   +1   -1
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I movimenti del torturatore sono lenti, rilassati, incuranti, mentre apre uno dei cassetti del carrello di metallo e ne estrae una cote, rigirandola tra le dita per esaminarla da vicino; terminato quell’accurata ispezione, la poggia sopra al carrello, accingendosi a raccogliere degli altri strumenti, con aria meditabonda. Dal momento in cui ha posato il suo pesante scarpone di cuoio dentro a quella cella terrificante, avrà degnato Kacchan sì e no di uno sguardo in tralice, apparentemente sordo alla grandinata di informazioni - non richieste - che il biondino gli sta vomitando addosso.

Già, la lingua è l’unica cosa che non gli hanno legato.
Va da sé che il ragazzo la utilizzi al meglio delle sue facoltà.

Che l’uomo sia sordo, per caso?

Potrebbe benissimo esserlo; le implicazioni di questa ipotesi sono tuttavia una più sconfortante dell’altra.

I cassetti di quel carrello sono tanti: tutti producono un lacerante rumore di ferraglia sfregata quando vengono aperti, condita dal tintinnio di numerosi gingilli, la maggioranza dei quali Kacchan non può scorgere; il tintinnio si fa più intenso, quando il torturatore rovista tra gli strumenti, traendone infine due o tre, che sembrano incontrare le sue necessità. Li poggia tutti accanto alla cote, allineati, con cura ostentata, per poi fare un passo indietro e premersi i pugni sui fianchi, come immerso in un’ultima, intensa valutazione di quanto intenzionato a combinare di lì a poco.
Si passa la lingua sull’arcata dentale superiore, socchiudendo appena le labbra.
Annuisce appena, senza emettere un suono.

Estrae dal fodero che ha appeso alla cintura un pugnale piuttosto spartano: nessuna decorazione ingentilisce l’elsa, ma le regolari striature bluastre che percorrono la lama assomigliano pericolosamente a quelle di una katana. Se non è acciaio, deve trattarsi di qualcosa di altrettanto letale.
Il dubbio che il tipo stia affilando il pugnale a bella posta, per sovrastare il fiume di parole dello Yamanaka, è più che legittimo; fatto sta che, ultimato anche l’ultimo preparativo, il pugnale raggiunge gli altri strumenti sul carrello.
Dalla sua angolazione, Kacchan più scorgere chiaramente una tenaglia - beh, un classico - un martello e un punteruolo. Chissà se quello là ha capito mezza parola di ciò che gli è stato detto. Perché se dovesse decidere di fracassargli la roba “giusta”, quella tortura sarebbe stata una perdita di tempo per ambedue… ma nulla vieta allo Sfregiato di utilizzare quegli strumenti nelle maniere più fantasiose.

Il biondino sta giusto blaterando qualcosa sugli esplosivi che saltano in aria a comando, che quello con due ampie falcate si porta rapidamente accanto al lettino: ora si muove in modo fluido, rapido, energico, e senza emettere più che un leggero fruscio. Le sue movenze potrebbero ricordare quelle di un gatto, ma forse di questo allo Yamanaka non può fregare di meno, perché una frazione di secondo dopo si trova la bocca tappata da un massiccio guanto di cuoio, il pollice e l’indice dell’uomo che afferrano la protuberanza terminale del mento e la spingono con implacabile lentezza verso l’alto, per rinchiudere definitivamente la lingua dietro la doppia barriera di denti e oltre, fino a esporre la gola inerme del ragazzo, spingendo il cranio verso l’alto.

Può sentire distintamente le dita dell’uomo - quelle dell’altra mano s’intende - senza guanti, carezzargli il collo, esplorarlo in tutta la sua superficie, quasi volesse prendere confidenza con ogni muscolo, ogni fibra, ogni vaso sanguigno, ogni cartilagine e osso.

“Quello che vogliono sapere da te, ragazzo-soldato dell’ovest, è una cosa sola.”

Quindi parla.
Comprende la sua lingua.
La voce è baritonale, ruvida, calda, di quelle che preferiresti sentire sussurrare all’orecchio in momenti e luoghi ben più piacevoli di quelli in cui si trovano; la parlata presenta un accento straniero indefinibile, diverso da tutti quelli che ha sentito finora, stemperato fino ad essere a stento impercettibile: leggermente strascicato, tende a deformare lievemente le vocali che pronuncia, senza tuttavia mascherarne l’essenza.

"Dicono che tu lotti coi fantasmi.”

Ecco qui.
Non è una domanda: è un’affermazione.
Il mento di Kacchan torna libero.
L’uomo compie un passo indietro, fissando il ragazzo con quella sua espressione mesta, che forse ha più a che fare coi suoi lineamenti che con la sua reale disposizione d’animo… un po’ come il falso sorriso stampato sul muso di certi cetacei.
Lo Yamanaka è libero di parlare, adesso… ma l’ampiezza di quella libertà potrebbe essere meno estesa di quanto lo shinobi non possa ritenere auspicabile.

 
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view post Posted on 16/5/2022, 10:49     +1   +1   -1
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Da che mondo è mondo, da sempre la sapiente arte del "parley" ha aiutato, chiunque avesse la spiccata capacità di saper muovere la lingua a dovere, a tirarsi fuori dai guai. Ovviamente, come in qualsiasi ambito, è fondamentale sapere cosa dire, con i giusti modi e tempistiche. Kacchan, tutto sommato, non era poi così pessimo: nonostante i modi lo potessero identificare come un tipo rozzo, sapeva perfettamente quando mostrarsi a modo... Certo, i suoi trascorsi potevano dire il contrario, ma... Ok, non prendiamoci in giro: Kacchan era pessimo, a parlare, anzi. La stragrande maggioranza dei problemi in cui si era cacciato sicuramente li avrebbe potuti evitare tenendo quella sua boccuccia di rosa chiusa, sigillata a doppia mandata. Basti pensare a quanto accaduto con la Tsuchikage o, più recentemente, con suo cugino Hachi.

Insomma, era più forte di lui: non riusciva a stare zitto. E, di fatto, legato su quel tavolo, alla mercé del suo aguzzino, non poteva fare a meno di parlare, forse per stemperare la tensione che provava in quel momento, smorzare l'eccitazione che quella situazione sul filo del rasoio gli causava... Reazioni che, di certo, una persona sana di mente non avrebbe mai avuto: dove una persona normale avrebbe avuto paura e terrore, lui si sentiva fin troppo su di giri. Quel brivido che stava provando, nel ritrovarsi ad un passo dal baratro, dove una sola virgola fuori posto poteva fargli dire addio agli innumerevoli sacrifici che aveva fatto, per arrivare fino a lì... Le sue ricerche, tutto ciò che aveva costruito in quegli anni, con le Kage no Hotaru, rischiava di venir annientato, spazzato via, solo perché aveva deciso di aiutare quella serpe che poi lo aveva mollato li, al primo segnale di pericolo.

Digrignando i denti al pensiero di quell'infame, continuando a sproloquiare mentre il tizio che gli faceva da muta compagnia si prodigava a tirar fuori, con calma e producendo quanto più sferragliamento possibile, per incutere timore nel suo animo, tutti gli strumenti del mestiere, lo Yamanaka iniziò a saggiare la presa delle cinghie sulla sua carne nuda sperando, forse, di trovare un legaccio fissato male, o magari leggermente più allentato, per riuscire a liberarsi. Come però la vita insegna, da gran carogna qual è, i due stronzi che lo avevano condotto lì l'avevano legato fin troppo bene, tanto stretto che, a stento, riusciva a muovere polsi e caviglie.

Con un sospiro mesto, continuò pertanto a rivolgere la sua attenzione al suo "nuovo compagno di stanza" che, in tutto questo suo straparlare, sembrava non aver battuto ciglio. Niente di niente. Il pensiero che, forse, potesse non capirlo, o peggio, lo raggelarono sul posto, costringendolo a rivolgere lo sguardo al soffitto, pallido come un cencio. No, non potevano aver mandato uno incapace a comunicare per svolgere un interrogatorio sotto tortura... A meno che non avessero alcuna intenzione di torturarlo. Bella merda allora. « Non ci voglio morire qua, e che cazzo...» Farfugliò tra sé e sé, cercando nuovamente di allentare la presa delle cinghie da almeno uno dei suoi polsi. Era pronto anche a rimetterci un mano, se fosse servito ad uscire vivo di li, ma...

L'uomo nella stanza insieme a lui, finalmente, si prodigò a degnarlo di attenzioni, afferrandolo saldamente per il collo, spingendogli il viso verso l'alto in modo tale da lasciar scoperta la zona giugulare. E parlò. " Allora il bastardo la capisce la mi lingua..." Si ritrovò a pensare lo Yamanaka, sensibile al tocco della sua mano la quale, sapiente, si fermò proprio sulla vena giugulare, così sensibile nel riuscire a riconoscere le pulsazioni cardiache.

La voce bassa, roca dell'uomo, con quella sua particolare intonazione, nella cadenza delle parole, scivolano all'orecchio in maniera fin troppo suadente. C'era da dire una cosa: Kacchan non è omosessuale. Certo, la parentesi con Jikan gli ha permesso di esplorare lati della sua sessualità che aveva solo supposto, scoperti con Natsuko e Masaru, ma adesso.... Per parafrasarla alla "Kacchan maniera": Mi piace la patata, ma non disdegnerei una bella cavalcata con sto tipo"

Cercando quindi di mantenere la mente sgombra da certe visioni fin troppo perverse, lo Yamanaka cercò dei restare lucido, ancorato al presente e alla realtà, anche se, doveva ammetterlo, era maledettamente difficile. " Sono fottutamente malato in culo." Pensò, ringraziando i Kami di avere ancora addosso i vestiti, o di certo il tutto sarebbe stato fin troppo imbarazzante.

L'uomo allentò leggermente la presa sul suo viso, in maniera tale da permettergli di rispondere alla sua constatazione, sempre se, davvero, ne necessitasse una. A quanto pare aveva destato il loro interesse, ma fino a quanto? Se avesse collaborato con loro gli avrebbero concesso la salvezza? Difficile capirlo, allo stato attuale dei fatti. Occorreva fare c'è la pesca, forse: buttare l'esca con l'amo, attendere di attirare l'attenzione e...

« Mh…. Non li chiamerei, esattamente, fantasmi, quanto piuttosto… Costrutti Residuali. Vedi, la morte di un individuo lascia, dietro di sè, un Residuo Energetico, quella che comunemente chiamereste anima. Ogni volta che un essere vivente muore, il suo Residuo Energetico si ricongiunge alla membrana energetica che suddivide la nostra dimensione dalle altre presenti nell'universo. Io, semplicemente, intercetto i Residui Energetici e li tramuto in Costrutti, i quali poi eseguiranno i miei comandi. Ovviamente questi Costrutti Residuali sono amorfi, ma conservano dentro di sé una Traccia spazio-temporale che ne identifica l’Orma Terrena, ovvero l’essere a cui appartenevano, prima della morte. Grazie alle mie capacità, riesco ad insinuarmi nella mente altrui e, così facendo, riesco a trovare i Residui Energetici più affini a colui contro cui mi trovo. In questo modo la sua mente sarà suggestionata e vedrà i Costrutti Residuali con le sembianze di persone conosciute. Oh, beh, detto così sembra abbastanza difficile, ma… Si, se vogliamo semplificare tutto il procedimento all’osso, lotto con i fantasmi. » Spiegò Kacchan con voce roca, a causa del lungo silenzio che si era impostato negli ultimi giorni. Lo sguardo cobalto rimase fisso in quello dell'aguzzino, quasi a cercare di leggere uno spiraglio di quello che poteva passargli per la mente.

Un sorrisetto beffardo si delineò sul viso, i muscoli che gli facevano quasi male, nel fare quella smorfia, come se i suoi muscoli facciali avessero dimenticato come si facesse. « Potrei mostrartelo, se vuoi, ma... Come dite voi, noi soldati dell'ovest abbiamo un piccolo motore interno che ci permette di fare le nostre magie e sfortunatamente quei tuoi amichetti che mi hanno portato qui, beh... Me l'hanno messo fuori uso. Certo, basterebbe aspettare che il mio organismo smaltisca la droga che mi hanno fatto assumere, ma poi, davvero vorreste vedere i miei fantasmi in azione? Chi vi assicura che, magari, non li utilizzi contro di voi per scappare?» Si interruppe per qualche istante, giusto per dare il tempo al suo interlocutore di assimilare quanto detto.

« Facciamo un accordo: mi lasciate buono, mi liberate e tutti tranquilli e sereni, e io vi faccio vedere come funzionano i miei amichetti, senza fare male a nessuno. Perché, fidati, ce ne sono di fantasmi, qui dentro, che avrebbero una gran voglia di avere un confronto con chi li ha fatti passare a miglior vita e, credimi, non sarebbe un bello spettacolo...» Concluse, chiudendo gli occhi ed immettendo un profondo respiro. Difficile riuscire, nelle sue attuali condizioni, a materializzare alcunché, ma poteva pur sempre vedere qualcosa... Quando riaprì gli occhi, questi avevano iniziato a presentare, sulla sclera, una marcata venatura nera, preludio alla solita emorragia che ne causava l'oscurimento totale. Poteva apparire come una piccolezza, ma in quello stato era uno sforzo non da poco. « Eh sì, ne intravedo giusto qualcuno, intorno a te... Mh, devi averne uccisi parecchi, per esserne circondato in questa maniera. Cos'è, te ne interessa qualcuno in particolare, oppure semplicemente ai tuoi compari preoccupa che possa esserci qualcuno, nelle fila nemiche, con una capacità del genere? »
 
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view post Posted on 12/6/2022, 22:09     +1   -1
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??? - Data ignota, verosimilmente autunno inoltrato



I borbottii a mezza bocca e le proteste a denti stretti dello Yamanaka, il torturatore dagli occhi tristi non sembra nemmeno sentirli - o più probabilmente, data la distanza ravvicinata, li ignora a bella posta. La cosa spettacolare sarebbe stato osservare le sue espressioni facciali, dal momento in cui Kacchan avesse iniziato a cantare come un fringuello nella stagione degli accoppiamenti, sciorinando con dovizia di particolari i dettagli più intimi riguardanti la sua relazione personale con i suoi “costrutti residuali”.

Insomma, per gli amici: i famosi fantasmi.

L’epidermide attorno agli angoli degli occhi tristi sembra incresparsi, denotando quella che forse potrebbe essere una leggera sorpresa. Un maestro nell’arte di suscitare dolore è più che abituato ad estrarre informazioni, ed è decisamente avvezzo a raccoglierle con perizia, come l’agricoltore fa col riso. A tempo debito. Dopo aver gettato le basi che porteranno il soggetto di turno a confessare qualunque cosa, pur di far smettere il dolore. E Kacchan, quelle basi, le ha viste soltanto da lontano.

Difficile essere certi che lo Yamanaka abbia notato o no quell’infinitesimale movimento, complice l’oscurità e la distanza non eccessivamente ridotta. In ogni caso le piccole rughe si distendono abbastanza rapidamente - quando il poveraccio arriva più o meno a parlare della… Onda energetic- ah no, era una Membrana. Dicevamo. Il ragazzo forse avrebbe avuto la sensazione di interloquire con un muro, a giudicare dall’espressività marmorea esibita da quel volto indurito da anni di lavoro tra i più truculenti, tanto che quel destro diretto alla tempia proprio non se lo sarebbe potuto aspettare.

Quando vede l’arto mettersi in moto, non può farci assolutamente nulla: legato come un salame, è come beccarsi una martellata in piena faccia - ma con un martello fatto di marmo, mica di ferro. Giusto per rendere l’idea.
Lo prende sullo zigomo destro: il posto giusto per evitare di mandarlo al tappeto. Qualche centimetro più indietro, e gli avrebbe fracassato l’articolazione della mandibola - sente l’osso scricchiolare sinistramente, forse addirittura la proverbiale esplosione di stelline birichine davanti agli occhi, ma non sviene.

Il fascinoso bruto dal cranio semi-rasato sospira mestamente, fa un passo indietro, inclina la testa di lato e squadra la sua vittima con quella sua espressione assorta; lascia allo Yamanaka qualche minuto per riprendersi - certamente non per pietà - prima di far udire di nuovo la sua voce. Se la schiarisce raspando il catarro con un paio di colpetti di tosse, sputa per terra e infine: "Il mare attorno all’isola è pieno di squali” racconta con aria casuale, contraendo leggermente le labbra nella pallida imitazione di un sorriso - "E a loro le tue stronzate non interessano” aggiunge, alludendo senza troppi fronzoli alla sorte del nostro eroe, se non fosse stato in grado di soddisfare il suo oscuro ospite.

… ospite che non può vedere le ombre addensarsi ai margini della fioca luce della cella, mentre Kacchan ci riesce benissimo, complice la botta di adrenalina innescata dal gancio in faccia.

 
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view post Posted on 30/6/2022, 10:49     +1   -1
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Sapeva perfettamente di star dando perle ai porci: per chi non era del mestiere, quel suo sproloquiare sarebbe apparso come il ciarlare di un folle che aveva ormai perso il nume della ragione, anche se... Anche per i piú avvezzi del settore, quel che lui stava cianciando probabilmente appariva come il delirio di un matto. Ah, il bello di effettuare ricerche scientifiche di cui non frega nulla a nessuno, se non a lui. E per giusta ragione: dopotutto, lui é l'unico a saper fare questa cosa, no? Quindi a chi altro dovrebbe interessare? Giusto? Giusto?!

Fatto sta che, in un primo acchito, lo Yamanaka sembra percepire il suo interesse o, piú semplicemente, il suo aguzzino stia malamente tentando di raccapezzarsi in quel suo racconto, ma poi lo perde per strada. Come lo capisce? Bhe, un minimo riesce ancora a percepire le emozioni altrui: sente, sotto pelle, il fremito che genera la curiosità verso l'ignoto... Anche perché non ha modo di percepire null'altro, visto che la stanza é buia, lui immobilizzato come un salame e il viso dello straniero a malapena visibile, se non per sua regia concessione.

Capisce di aver perso il suo interesse ancor prima di ricevere il pugno in faccia: sa che, da qualche parte, nel suo discorso, sta cacando fuori dal vaso, ma non con la classica fatidica "goccia", ma in maniera proprio bella abbondante. É strano il modo in cui se ne accorge: si vede quasi come un osservatore esterno alla scena, si sente parlare e pensa "Cazzo, ma sto minchione quanto parla? Ancora che spara cazzate? E dire che non gli hanno torto ancora un capello..." E quando le nocche marmoree impattano contro il suo zigomo destro, Kacchan non può far a meno di farsi scappare una risata singhiozzante, talmente invischiata in un ansito di dolore che il suono che produce, ormai, perde la sua natura iniziale.

Come se non fosse già ridotto ad uno schifo, il dolore si irradia su tutto il viso, anestetizzandolo, facendogli perdere la sensibilità della zona colpita, mentre la vista si offusca leggermente, quasi faticasse nuovamente a metter a fuoco le figure presenti nella stanza e... Aspetta. « Eh eh eh, coglione io ad essermene dimenticato... » Farfuglia tra se e se, cercando di riprendere fiato. Come aveva potuto dimenticarsi di quel minuscolo, insignificante, quanto fondamentale dettaglio? Il dolore. L'adrenalina. Quelli erano stati gli inneschi motrici durante la sua prima crisi, le fonti sorgenti che gli avevano permesso di vedere, per la prima volta, quelle ombre. Per vincere l'intorpidimento indotto del chakra, dovuto alla droga che gli avevano somministrato, doveva aumentare le dosi in circolo di adrenalina, inasprire il dolore, esacerbare il suo equilibrio mentale, e l'unico modo per farlo era...

« Dillo alla nutrita schiera di squali che ti porti dietro. Penso a loro possa interessare parecchio quel che ho da dire... Vediamo, magari ne riconosci pure qualcuno... Proviamo a chiederlo a tua madre, se é del tuo stesso avviso. Anzi no, forse hai ragione, non le interesserebbe... É troppo concentrata a succhiarmi il cazzo, mentre parliamo. » Gli occhi blu cobalto fissano quelli dell'aguzzino, sul viso un'espressione beffarda, denigratoria. Sa perfettamente di star bluffando: i contorni delle ombre sono ancora troppo sfocati, impossibile riuscire a distinguere alcun tipo di lineamento tra quella marasma amorfa, ma deve riuscire, in qualche modo, ad instillargli il dubbio, l'incertezza nella veridicità delle sue parole, ma anche istigarlo ad una risposta violenta, spingerlo a farsi colpire di nuovo, e quale modo migliore se non il classico, sempiterno, colpire sulla sfera personale? Sempre ammesso che sua mamma fosse davvero morta. In caso contrario avrebbe dovuto velocemente cambiare il tiro...

Digrigna i denti, facendo formicolare nuovamente il viso per via del dolore, in modo tale da poter innescare la scintilla utile per far iniziare la produzione di chiralina: sente l'occhio destro iniziare a bruciargli, la sclera ad iniziare a scurirsi lentamente e tra le ombre della platea intravede la sagoma familiare di Chiyo, seppur ancora sfumata e non del tutto definita. "Lo so che ci siete, vi vedo! So che avete qualcosa da dire al nostro comune amico. Non avrete altra occasione di questa, per riservagli lo stesso trattamento che lui ha servito a voi... Aiutatemi, e io vi ricambierò il favore..."
 
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Quello deve essere matto come un cavallo.

Oh, no: un altro di quelli.



Ma dove cazzo sono andati a pescarlo, un coglione del genere?!

Adesso ride, ma smetterò abbastanza presto. Un cazzotto o due lo reggono tutti.



Sarà una tattica studiata dai ninja di merda, ignorarlo è la cosa più sana.

Uno o più tra questi pensieri, o pensieri molto simili a questi, potrebbero aggirarsi nel cranio irregolarmente capelluto del melanconico torturatore: dedurlo dal volto è cosa ardua, dato che dalla famosa alzata di sopracciglia, sembra essersi morbidamente adagiato e modellato in un’espressione di calma e ponderata attenzione. La stessa che mostreresti al tuo migliore amico mentre ti racconta della tipa gnocca che l’ha mandata in bianco, ma senza un briciolo di empatia.

La maschera non sembra patire alcuno scossone, nemmeno quando il nostro Kacchan menziona la cara mamma e le sue presunte occupazioni ultramondane: le iridi verde sporco riflettono fiocamente i contorni del volto del ragazzo, senza restituirne i dettagli dell’espressione. Un muro impenetrabile agli occhi azzurro intenso che cercano di frugargli l’anima, nell’attesa che le droghe lascino il passo all’adrenalina e che l’unica, l’ultima arma a disposizione dello Yamanaka si renda fruibile.

Sclera annerita…

Un lampo di interesse attraversa lo sguardo del silente carceriere, che solleva la mano con cui ha percosso Kacchan, stavolta senza ripetere la violenza: la apre, pollice e indice che stringono la base degli zigomi del prigioniero in una morsa e gli voltano delicatamente la testa da un lato all’altro, come si fa di solito con un bel taglio di carne esposto sul bancone del macellaio. Da quella distanza, Kacchan può notare una catena d’argento luccicare attorno al collo dell’uomo, infilandosi poi negli oscuri recessi dei suoi abiti, tesa verso il basso da qualcosa di pesante - un pendente, verosimilmente.

Sono lì, vicinissimi.
Come al di là di un velo increspato di nulla.
Le mani eteree che si protendono verso Kacchan, turbando barriera sottile, sempre più esigua, che li separa… che separa lo Yamanaka dal trasformare quel carcere brulicante di stranieri del cazzo in una lattina di carne in scatola.

“Mhmh…” grugnisce l’uomo, che sembra essere giunto a una decisione: molla il viso dello Yamanaka, si gira, va verso il carrello e dopo aver carezzato con le dita i pezzi di ferro assortiti che ivi giacciono in attesa, ne sceglie uno piuttosto corto e sottile. La lama affilatissima luccica in cima all’impugnatura: decisamente un bisturi, piuttosto simile a quelli che zio Hachi adopera con tanta maestria.
L’uomo torna a voltarsi verso il prigioniero legato come un salame, i passi pesanti che risuonano contro il soffitto della cella come colpi di mortaio, e si rigira la lama davanti agli occhi, come per valutarne le condizioni; annuisce, apparentemente soddisfatto, poi la solita, pesante mano torna a calare sul volto di Kacchan, stavolta premendogli forte sulla bocca e inchiodandogli la testa alla tavola di legno.

È l’occhio destro a interessargli, quello maggiormente macchiato da quel catrame incomprensibile, ben diverso dal rosso cremisi che un’emorragia potrebbe scatenare.
“Questo è interessante. Lo porto di sopra” - annuncia, tenendo la lama sospesa davanti alla faccia del ragazzo di Konoha - “Dicono che voi soldati dell’ovest vi scambiate gli occhi come dono di ospitalità. Questo è un occhio bello strano, e tu hai diversi pasti da ripagare. È arrivato il momento. Anzi, credo che questo non servirà” commenta, riferito al bisturi - “Non credo che tutti voi usate una lama per gli occhi, se li scambiate così spesso, no?” - domanda retorica, visto che Kacchan non può aprire bocca.

Lo strumento finisce conficcato a pochi centimetri dalle dita del ragazzo come se fosse un coltello nel burro.

Le dita, ormai libere, saettano verso il volto del giovane.

Un indice si fa strada tra la palpebra superiore e il bulbo oculare.

Lentamente.

Assaporando ogni momento con libidinosa intensità.

Sul volto del carceriere si dipinge un nuovo sentimento.

Soddisfazione.

La mano che blocca la bocca del ragazzo si sposta, lasciandolo libero di riempire la cella di tutte le urla che fosse riuscito a esalare, per scivolare sulla sua fronte e dare più saldezza alla presa, mentre la sua gemella prosegue nell’esplorazione dei recessi più umidi e oscuri, dove (forse) nessun altro è potuto giungere finora.




CITAZIONE
No, l’occhio non l’ha ancora staccato.
L’adrenalina fa il suo lavoro: adesso il contatto con le Anime è possibile, chiaramente non attingerai al repertorio di tecniche di Limite alto. Sii creativa.
 
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view post Posted on 13/7/2022, 10:45     +1   -1
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Perché tutto doveva essere così dannatamente, maledettamente difficile? La mente di quell’uomo sembrava essere saldamente rinchiusa in una roccaforte inespugnabile; nulla, delle sue emozioni, sensazioni o pensieri, filtrava attraverso la maschera di cera del suo volto. Da che aveva memoria, quella era la prima volta, in assoluto, dove le sue capacità telepati ed empatiche risultavano tanto inutili, e la cosa lo infastidiva non poco.

Certo, da quando era apparso il Morbo le sue capacità extrasensoriali ne avevano particolarmente risentito, ma era riuscito, ciononostante, a conservarne una piccola traccia, quel tanto di necessario ed utile per permettergli di svolgere al meglio quei suoi “giochetti mentali” che gli avevano insegnato a fare. Anche plasmare le Anime Arenate non era mai stato così complesso: se avevi accesso, anche un minimo spiraglio, alla mente di chi ti sta intorno, risultava facile plasmare quelle energie ad immagine e somiglianza delle persone defunte a loro legate, ma adesso… Possibile che le capacità mentaliste così tipiche degli Yamanaka avessero così fortemente influenzato la sua abilità di manipolazione della Chiralina?

Una constatazione dei fatti più che logica da trarre, ma Kacchan, in quel momento, non ne era ancora davvero consapevole: la rabbia e la frustrazione non lo rendevano abbastanza lucido da giungere a tale conclusione. Forse, se avesse compreso questo suo limite, avrebbe potuto trovare la forza necessaria per salvarsi?

Il carceriere, semplicemente, ignora l’ennesimo sproloquiare del più giovane: è del mestiere, sa perfettamente come tenere sulle spine i suoi prigionieri, come farli crollare, a livello fisico e mentale. Dopotutto la tortura non è solo fisica, ma anche psicologica: questo Kacchan lo sa bene, ed è quando l’uomo mostra il suo interesse verso il suo occhio destro che sente la poca stabilità che ha vacillare. Al solo pensiero di perdere un occhio, il cuore dello Yamanaka perde un colpo: no, non può assolutamente permetterselo! È un fottutissimo cazzo di medico, senza un occhio perderebbe la percezione della profondità e come cazzo avrebbe fatto, allora, ad operare, a portare avanti i suoi esperimenti? Cazzo, lui era diventato ninja solo ed esclusivamente per questo!

Cosa cazz… Fermo, razza di idiota! Non è il fottuto Sharingan! Avrebbe voluto pronunciare, ma la mano dell’uomo soffoca le sue parole in mugugni incomprensibili, esacerbando la sua esasperazione. Si divincola, cerca in tutti i modi di liberare il volto, i tendini sul collo tesi come corde pronte a spezzarsi per la troppa tensione, mentre le cinghie sui polsi, semplicemente, segano la carne, nel vano tentativo di liberarsi. Così peggiora solo le cose: sarebbe bastato uno spasmo involontario della mano del carceriere unito ad un suo movimento e la lama del bisturi si sarebbe potuta facilmente conficcare nel suo bulbo oculare, tanto era vicina.

Lo sguardo spalancato, vitreo, dello Yamanaka si sposta oltre la spalla dell’uomo, in cerca delle ombre lì presenti: vede Chiyo atterrita quasi quanto lui, come se non sapesse in che modo essere d’aiuto. Seriamente? Lei, una Achimichi alta intorno ai due metri, cento chili di peso, una stazza tale da poter facilmente sovrastare per forza e mole il suo aguzzino, trema come una bambina di cinque anni? Ormai Kacchan non ragiona più: completamente in balia degli eventi, non può far altro che riversare la sua rabbia sullo spirito della sua defunta compagna, l’unico viso distinguibile in quella moltitudine di ombre che, esattamente come lei, sembra inebetito, incapace di prendere alcuna decisione autonomamente.

”Renditi utile, cazzo! Fa qualcosa!” La maledice, il ragazzo, riversandole uno sguardo furente che, in vita, Chiyo non gli aveva mai visto, pieni di un odio viscerale, tanto oscuro e profondo da render ancora più inquietante il progredire dell’emorragia intraoculare tipica dell’incremento della produzione di chiralina.

Se non fosse stato per lui, per la sua capacità di manipolare la Chiralina, lei sarebbe stata solo un mero ricordo nel cuore dei suoi cari, semplice energia che fluttua nel circolo naturale delle cose… Era grazie a lui se quello spettro poteva anche solo sperare di poter avere un qualche peso decisionale sulle faccende di questo mondo terreno… Era solo grazie a lui se… Era quel che era in vita… Perché lui aveva voluto che quella sua energia rimasta assumesse quella forma, quell’aspetto, quella caratterizzazione, in modo tale da farlo sentire meno solo, meno sporco quando li usava per sopravvivere. Era la sua fottuta umanità, quella sua spiccata empatia verso gli altri a spingerlo a rendere umane quelle forme: erano Energie Residuali di gente morta. Appunto. Sono morte. Non sono più nulla, non hanno più nulla, quindi perché chiedere loro il permesso di poterle utilizzare? Perché farsi scrupoli di coscienza, nel cercare di assecondare loro richieste o capricci? Perché doveva assoggettarsi al loro volere, quando erano loro che dovevano piegarsi al suo? Lui era il solo a poter produrre e manipolare chiralina, sviluppare e sfruttare quella naturalmente presente nell’ambiente intorno a lui, quindi perché doveva lasciarsi suggestionare da quel che potevano pensare o volere persone ormai morte e sepolte?

Era la sua umanità, il problema: quel suo irrefrenabile desiderio di empatizzare col mondo intero non faceva altro che tarpargli le ali, imprigionarlo, impedirgli di dare libero sfogo ai suoi impulsi, fare davvero ciò che più voleva. Ecco a cosa Jikan faceva davvero riferimento, quando parlava di avere assoluta libertà: non aveva nulla a che vedere con l’allontanare le persone da sè, lasciare che il loro parere potesse influire sulle proprie scelte, no… Era una prerogativa che nasceva dalla consapevolezza che il tutto doveva nascere dal proprio io più profondo: da quel mostro fatto di egoismo ed egocentrismo, lo stesso che aveva visto fare capolino con Giman, ma che era stato malamente tenuto a bada da quel suo dannato perbenismo, dal suo volere costantemente apparire più buono di quanto in realtà non fosse.

Basta fare il bravo ragazzo. Basta essere sempre quello prodigo ad aiutare gli altri. Basta ad essere quello pronto a subire, pur di salvaguardare il bene del prossimo. Basta farsi sopraffare dalle avversità della vita.

La vita umana è come un pendolo che oscilla incessantemente tra il dolore e la noia, passando per l'intervallo fugace, e per di più illusorio, del piacere e della gioia.

Era stato questo il suo mantra, per una vita intera e, come tale, si era lasciato oscillare, ad aspettare, paziente, l’ennesima batosta che sarebbe giunta sul suo groppone. E lui lì, a farsi trovare pronto, perché voleva essere in grado di rendere meno esacerbante la vita per gli altri, ad aiutarli a superare l’ostacolo… Ma a lui, chi ci pensava? Chi lo aiutava a rendere più leggero il dolore? Chi lo aiutava a render più tenue la noia? NESSUNO.

Il rumore della lama del bisturi che impatta contro la superficie del tavolo su cui è legato genera una leggera vibrazione che si irradia lungo il braccio e, in quell’attimo, Kacchan sembra ritrovare una calma che non gli appartiene, glaciale. La figura di Chiyo si rilassa, lasciando scivolare le braccia lungo i fianchi, sul viso un’espressione del tutto neutrale, indifferente. Lentamente perde colore, lineamenti, tornando ad essere un’ombra come tante, come tutte le altre presenti in quella stanza. Nulla di umano, solo banalissimi e semplici flussi energetici che lui è in grado di usare.

Lo sguardo del giovane torna sul suo aguzzino, sulla sua mano protesa, sulle dita che trovano facile accesso alla carne molle che avvolge il suo occhio. La pressione che percepisce sul bulbo oculare è rivoltante, gli attorciglia le viscere, ma non ha alcuna intenzione di lasciarsi sfuggire alcun urlo. Le sclere di entrambi gli occhi si tingono, nere come la pece, l’azzurro cobalto degli occhi quasi rifulge, le pupille dilatate. La concentrazione di Chiralina nella stanza aumenta, quella naturalmente presente amplificata dall’organismo dello Yamanaka, rendendo la luce nella stanza più smorzata, le ombre più tangibili e definite…

Erano quello che la Morte si lasciava dietro, al suo passaggio, resti lasciati lì a far da carcassa. Lui, semplicemente, era il suo Necrofago. Levatemelo di dosso. Ordina gelido. E come un marasma informe, le ombre avrebbero trovato forma e consistenza in una accozzaglia di braccia e tentacoli, escrescenze membranose da rendere il tutto un parto raccapricciante di una qualche mente contorta e malata, da cui era difficile comprendere se si trattasse di un conglomerato di più coscienze o di una singola, grande, volontà alveare.

La creatura lovcraftiana avrebbe quindi cercato di bloccare l’aggressore o, quanto meno, rendere meno ferrea la sua presa, in modo tale da cercare di liberare almeno un braccio dello Yamanaka… Magari quello stesso dove, a pochi centimetri dalla sua mano, l’uomo aveva lasciato incautamente il bisturi…

CITAZIONE
Sfrutto l’occasione per dare un primo incipit narrativo alla modifica che voglio dare alla disciplina personale di Kacchan.

Avevo discusso con i narratori di quanto mi pesasse vedere come la capacità di interagire con i fantasmi non fosse più prerogativa unica del mio personaggio, di come, ormai, il concept fosse diventato “facilmente accessibile” a tutti.

Il mio intento, quindi, è quello di cercare di costruire un certo distaccamento dal vecchio concept e avvicinarmi a quello nuovo: una versione molto più impersonale, che tende a non voler cercare più di “umanizzare” le energie residuali lasciate da ciò che muore, ma di usarle come fini a sè stesse, ovvero energia da plasmare e usare a proprio piacimento, dove la conformazione umanoide che si dà è dettata dalla mera capacità Yamanaka di infiltrarsi nella mente altrui e cercare, quindi, di creare forme umane utili per facilitare tale processo. Quindi l’interazione verbale con gli stessi altro non è il riuscire, da parte dello Yamanaka, di racimolare info dalla mente avversaria.

Ovviamente è ancora un concept work in progress, ma mi piacerebbe iniziare a delineare un certo distaccamento, in maniera tale da poter giustificare, poi, la modifica vera e propria, quando questa avverrà.

Che poi, diciamocela tutta, la situazione casca a fagiolo. Kacchan è ancora troppo Sweet Boy, occorre togliergli del tutto quel poco di zucchero che gli rimane :coffee:
Spero solo che questo suo “sviluppo mentale” sia comprensibile… Ultimamente mi sembra di aver perso la capacità di scrivere in un italiano vagamente accettabile :siga:
 
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view post Posted on 2/8/2022, 23:10     +1   -1
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CITAZIONE
Non farti paranoie sull’italiano, sei perfettamente comprensibile u.u
Ok per lo sviluppo del concept: non è vincolante, sei sempre in grado di “tornare sui tuoi passi”, in caso cambiassi idea.

??? - Data ignota, verosimilmente autunno inoltrato



Trattenere le urla deve costare uno sforzo titanico, a quella mezza cartuccia pallida e smunta. L’uomo sembra esserne fastidiosamente consapevole: alla soddisfazione che scintilla nei suoi occhi presto si accompagna un nuovo barlume - divertimento, presumibilmente. Si aspetta di giungere a un inevitabile punto di rottura? Si domanda forse quale esso possa essere: se griderà, di orrore o di dolore, o di ambedue, almeno quando vedrà il proprio bulbo oculare stretto tra le dita lorde di sangue del torturatore.

Se si accorge che le ombre nella stanza si fanno più dense?
Difficile capirlo: pare proprio di no, visto che non stacca lo sguardo dalla sua suppostamente inerme vittima. La sua concentrazione è massima. Il fluido color bitume che cola dall’orbita dello Yamanaka potrebbe benissimo contenere del sangue, ma come capirlo, se ciò che sgorga dall’orbita sono unicamente lacrime nero pece?

L’ordine giunge infine, graffiando quel silenzio carico di lievi rumori umidi e viscidi e le ombre, finalmente, prendono vita.

Se se l’aspettava?
No, no, non pare proprio. Così come non sembra aver badato all’articolazione del pollice dello Yamanaka, che decide di cedere proprio in quel momento con uno schiocco: una lussazione in piena regola - questo il ninja medico lo sa benissimo. Dolorosa, sì, ma più che adeguata per aumentare le probabilità di far scivolare l’arto fuori dalla presa delle pastoie in cui è intrappolato.

E mentre il pollice di Kacchan fa “croc”, il mostro oscuro dispiega i suoi mille tentacoli, abbarbicandosi alle forme muscolose dell’uomo. La presa non è ancora salda come potrebbe essere se lo Yamanaka fosse completamente ristabilito, tuttavia sembra riuscire a imporre una certa resistenza ai movimenti del bersaglio… così come centra l’obiettivo di distoglierne l’attenzione dalla sua stessa incauta mossa. Deve sfilare il dito dall’occhio ovviamente, mentre una smorfia di sorpresa (poca) mista a rabbia (molta) ne deforma i lineamenti regolari; le sue mani viaggiano tra le pieghe degli abiti, cercando e sfilando alcuni pugnali dall’elsa forata - armi da lancio? - con cui presumibilmente cercherà di colpire e ferire quei tentacoli che minacciano di sopraffarlo, più forti ogni minuto che passa. Si muove come un gatto, graffiando l’aria con affondi fulminei e spostando il peso da una gamba all’altra come un esperto danzatore, ma l’acciaio attraversa le ombre come farebbe col fumo di un caminetto acceso. Il culmine del caos sembra scatenarsi nel momento in cui un brusco movimento lo porta a rovesciare il pesante carrello a terra, con un fracasso assordante di metallo su pietra, seguito dallo sparpagliarsi al suolo di decine di strumentini diversi.

Che sia questa l’apertura che lo Yamanaka sta aspettando?



CITAZIONE
Ruola tranquillamente l'infittirsi delle ombre; se vuoi approfondire il nuovo concept, hai pieno spazio (se vuoi chiedermi reazioni, scrivimi pure)
 
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view post Posted on 24/8/2022, 10:55     +1   -1
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Carpe diem.
Cogli l'attimo.


Oh, eccome se lo fa. Un'occasione troppo ghiotta, quella che si delinea difronte lo Yamanake e non può far altro che accalappiarla. E, com'è che si dice? L'occasione fa l'uomo ladro.

Non appena i Costrutti si fiondano sul suo carnefice, si muove in automatico, quasi senza pensare, la mano a stringersi in maniera tale da far disarticolare il pollice in un sonoro crack, nemmeno avesse spezzato un croccante biscotto. Certo, il dolore è atroce e ben presto si fa sentire, ma ehi, vuoi mettere con quello che avrebbe dovuto patire, se gli avessero strappato l'occhio? Insomma, una bazzecola, acqua fresca, a confronto.

Certo, senza il pollice opponibile è un po' difficoltoso riuscire ad afferrare gli oggetti, ma quel bisturi, così piccolo e sottile, è così facile da agguantare e la sua lama affilata talmente invitante... Con un gesto secco, quasi incurante del fatto che, con qualche millimetro di errore, avrebbe potuto tagliarsi qualche tendine, o peggio, Kacchan taglia le cinghie che lo costringono su quel tavolo, rotolando sulla schiena per poi cadere dall'altro lato, in maniera tale da avere quel supporto come divisorio tra lui e il suo avversario, il quale non sembra particolarmente apprezzare la strana piega che sta prendendo quel suo interrogatorio, preso com'è ad evitare che i tentacoli dei Costrutti gli si avvinghino troppo addosso. Nella colluttazione ribalta il carrellino con tutti gli attrezzi che si era preparato e Kacchan non può far a meno di buttarci una veloce occhiata, quasi a voler cercare un'arma migliore rispetto a quella che ora tiene saldamente nella mano sana. Niente di particolarmente utile alla sua attuale causa, specie considerando la qualità del filo della lama.

Kacchan alza lo sguardo cobaltino, incrociando quello dello straniero, quasi avesse intuito le sue intenzioni, a volergli impedire di armarsi meglio di quanto in realtà già non sia. Un ghigno beffardo si dipinge quindi sul viso del biondo Yamanaka il quale, grazie ai suoi studi, sa benissimo in che punti tagliare, in che modo permettere alla già affilata lama del bisturi di fare più danni di quanto normalmente non potrebbe fare, a causa delle piccole dimensioni.

Lo straniero scatta in avanti, per poter colpire, ma la figura di Kacchan, ancora accucciato, svanisce in una nube di fumo acre, nera e densa, urticante quasi quanto la presa stessa di quegli immondi tentacoli la cui sorgente, ora, ha preso il posto del giovane, ricomparso proprio alle spalle del nemico. La lama scatta, rapida e precisa, bassa in direzione del muscolo semimembranoso, a voler recidere i legamenti del muscolo bicipite femorale e la benderella ileo-tibiale, dietro entrambe le ginocchia. L'acciaio trova facile accesso alla carne, nonostante la protezione del tessuto e l'urlo di dolore dello straniero fa intuire come il colpo sia andato a segno. L'uomo cade in ginocchio, reso impossibilitato a rimettersi in piedi dalla ferita subita.

Ha ancora frecce nel suo arco, il bastardo, e prontamente tira fuori il suo asso dalla manica, o meglio, dallo stivale: un pugnale viene sfilato prontamente ed impugnato, pronto a colpire con un fendente all'indietro lo Yamanaka che cerca di schivare, provando semplicemente ad abbassarsi ulteriormente, nel tentativo di scivolargli da sotto il braccio e provare a colpire i tendini dell'arco ascellare. Non scende abbastanza in basso, però: certo, la lama non lo colpisce, così come fa cilecca anche il suo colpo, ma un colpo alla tempia riesce a raggiungerlo, costringendo lo Yamanaka a sbilanciarsi di lato, frastornato.

Così facendo aprirebbe uno spiraglio alla sua difesa troppo ghiotto e Kacchan non può permettersi di venir sopraffatto, non dopo esser riuscito finalmente a liberarsi: agisce d'istinto, colpendo al costato, cercando di perforare un polmone, buttandolo a terra, nel tentativo di sopraffarlo, ma qualcosa non quadra, lascia stranito il giovane, che si ritrova a carambolare per terra insieme all'avversario, in una mischia corpo a corpo che vede volare calci e pugni da ogni direzione.

Figlio di puttana... Biascica con rabbia, ritrovandosi sotto di lui, bloccato a terra da una salda presa sul collo. Il manico del bisturi fa capolino tra le pieghe della camicia dello straniero, rimasta conficcata nel fianco. Sembra quasi bearsi di quella scazzottata, non risentire affatto della fatica e del dolore, anzi: sembra quasi che ne tragga forza e giovamento e a Kacchan questa cosa non va affatto giù... Così come non va giù l'aria nei polmoni, soffocato com'è dalla mano dell'uomo.

Allunga le mani verso il suo viso, cercando di spingerlo via, graffiarlo, ed è allora che le dita incontrano il freddo metallo di una catenella sottile. Non ci pensa due volte, la afferra, cercando a sua volta di strangolarlo con quella e, così facendo, la sfila dal suo rifugio di stoffa, rivelando un ciondolo che Kacchan riconosce troppo bene. Shiroko ne possiede uno identico, così come Eiji. E loro sono gli unici jashinisti che abbia mai conosciuto in vita sua. E se due, di loro, ne possedevano uno, come reliquia al culto, per la regola del non c'è due senza tre...

Bastardo, sei un fottuto jashiista... Lo straniero quasi impietrisce sul posto, sembra per un attimo cercare di fare mente locale di quanto Kacchan abbia appena detto e, se dapprima la presa sul collo sembrava farsi più tenue, dare spiraglio di esser smorzata, ora è ulteriormente salda ed immobile, al suo posto, mentre il giubilo dipinto sul suo volto viene cancellato da una furia feroce. Lo colpisce con forza con la mano libera, un pugno dritto sui denti, tanto forte da spaccargli le labbra e riempirgli la bocca di sangue.

Tossisce lo Yamanaka, ma non molla la presa, anzi: con una rotazione della mano afferra con maggior saldezza la catenella, mentre l'altra mano si serra sul polso della mano che gli tiene la gola. Voi stronzi fortunati avete una cosa che mi interessa particolarmente... Provò a dire, mettendo in mostra un sorriso sanguinolento. Facendo sfoggio delle forze fisiche ancora in possesso, avrebbe cercato di tirare verso sè l'uomo dalla presa sulla catenella, a volerlo costringere a chinarsi maggiormente in avanti. A quel punto avrebbe tentato di riprendere il bisturi con l'altra mano e provare a colpirlo dritto sulla giugulare.

Se quel bastardo era davvero un Immortale come Shiroko ed Eiji, non aveva alcuna possibilità di ucciderlo, certo... Ma poteva sempre metterlo fuorigioco e vivisezionarlo per cercare di carpire cosa rendesse quei bastardi così disgustosi alla Triste Mietitrice.
 
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view post Posted on 12/9/2022, 21:22     +1   +1   -1
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??? - Data ignota, verosimilmente autunno inoltrato



La mischia è qualcosa di furibondo, che va oltre ciò che può essere definito animalesco.
Tentacoli eterei di costrutti avvinghiati a membra umane che si agitano, odore acre di sudore che impregna i vestiti, lame che fendono l’aria e schizzi di sangue caldo che si mischiano con la polvere del pavimento, serpeggiando lentamente tra le pietre che costellano il pavimento, per raggiungere lo scolo appositamente progettato per accogliere i fluidi corporei delle vittime. Il finale non era - e non è tuttora - affatto scontato: le conoscenze mediche di Kacchan ne fanno un pericoloso avversario, finché avrà quel bisturi in pugno, mentre il jashinista ha dalla sua il banalissimo fatto di non poter crepare.

Abilità che il konohano ha tutte le intenzioni di mettere alla prova.

Certamente Hachi non ha potuto fare a meno di notare la reazione che il torturatore ha avuto, al solo sentir nominare il suo solo e unico dio: le nocche le porta ancora stampate in faccia, e se non ha sputato cinque o sei denti, lo deve solo alla leva del bisturi nella gabbia toracica dello sconosciuto. Eh… s’è incazzato, e non poco: non è la catenella il problema, non è per quella che respira così pesantemente, digrignando i denti, paonazzo in volto.
Poco sembra fregargliene, se la catenella gli sta segando la pelle del collo e se la giugulare sembra volergli scoppiare: il problema sono le mani dello Yamanaka chiuse attorno al ciondolo, perché è questo che tradisce lo sguardo, fisso in quella direzione.

Quel braccio di ferro sarebbe potuto durare ancora per diversi minuti - o almeno, finché il cervello dell’uomo non avesse staccato la spina per debito di ossigeno -, se non fosse stato per la dannata catenella: il cedimento è improvviso, seguito dal ruggito del combattente appena privato del sacro simbolo del suo kami.
Hachi ha tra le zampe qualcosa di assai prezioso, ma il preziosissimo collo del suddetto ninja è ancora stretto nella ganascia d’acciaio del bicipite avversario. Dal fianco di quest’ultimo si riversa un discreto quantitativo di sangue, tributo versato dal bisturi libero di tagliuzzare i tessuti molli ad ogni movimento del suo bersaglio. Ma di nuovo, non sono né il dolore, né la sofferenza ad affliggere davvero il muscoloso carceriere.

”NON NOMINERAI IL SUO NOME INVANO, LURIDO SCARAFAGGIO OCCIDENTALE” - ruggisce infine, sbilanciandosi per strappare di mano il ciondolo allo Yamanaka. Sembrerebbe completamente dimentico del fatto che gli basterebbe soffocare Kacchan, per potersi riprendere il suo ninnolo con tutta calma.

 
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view post Posted on 15/10/2022, 17:32     +1   -1
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Sentiva il terreno sbriciolare sotto di sé, aprire pian piano una voragine che si faceva sempre più vicina, pronta ad inghiottirlo, farlo sprofondare in un baratro senza fondo, da cui, se vi fosse caduto al suo interno, non ne sarebbe più uscito. Sapeva bene di starsi spingendo troppo oltre, ma non poteva, non voleva tirarsi indietro, non ora che era così vicino dall’ottenere quel che tanto bramava.

La testa gli girava, il respiro reso affannoso dal peso del braccio del suo aguzzino, pesante come un macigno, che gli opprimeva la gola, resa arsa dalla reazione allergica che gli innescava l’aumento dei livelli di chiralina nel suo organismo. Il sapore metallico del sangue gli riempiva la bocca, insieme ad un fastidiosissimo retrogusto amaro, gli imbastavano la lingua la quale, come suo solito, in certe occasioni non riusciva proprio a stare ferma.
Kacchan Yamanaka
Jashin. Jashin. Jashin. Lo nomino quanto cazzo mi pare e piace, quel bastardo di merda.
Biascicò a denti stretti. Nella mano destra stringeva ancora, in maniera quasi convulsa, il ciondolo che gli aveva strappato dal collo, nel tentativo vano di strozzarlo con la sua catenella, ora penzolante inerte intorno alle dita. Il bisturi, invece, era ormai scivolato via dalle dita della sua mancina, completamente imbrattata di sangue: non il suo, ma del suo aguzzino il quale, nonostante tutti i fendenti ricevuti, non sembrava batter ciglio, la sua forza intonsa, a renderlo imprevedibile come un toro inferocito nel bel mezzo di una corrida.

Quella dannata resistenza al dolore, la spiccata capacità di non cedere alla fatica, trarne forza e sfruttarla contro l’avversario, ignorando il dolce sussurro della morte… Li odiava, quegli schifosissimi bastardi, è solo perché non poteva avere a libera disposizione quella loro inumana capacità, ma non era detta l’ultima parola. Ora che aveva a che fare con uno di loro, aveva la possibilità di mettere le mani sul loro genoma, scoprire cosa permetteva loro di ottenere tali poteri, e non si sarebbe lasciato sfuggì un’occasione simile. Per niente al mondo.

Sentì la pelle iniziare a prudere in maniera quasi dolorosa, mentre si faceva sempre più pallida e fredda, i livelli di chiralina tanto alti da sentirla addosso, come quando si passa il palmo della mano su una superficie impolverata. Quella rissa da bar stava durando troppo e lui era stanco: se il suo aguzzino traeva forza da una vita impossibile da spezzare, lui avrebbe tratto forza da tutta la morte che si portava dietro.

Con in mano ancora il monile, lo afferrò per la mascella, cercando di spingerlo via, serrando le dita nella carne più morbida delle guance, gli occhi, resi nero pece dalla chiralina, fissi in quelli del suo assalitore, in cerca di un contatto, un’apertura utile per insinuarsi nella sua mente e permettere, così, alle forme chirali, di assumere forme più familiari allo straniero. Dall’ammasso informe con cui inizialmente l’aveva colpito, i diversi tentacoli si divisero dal corpo centrale, assumendo forme umane, le cui mani si andarono ad artigliare alle membra dello straniero, stringergli le braccia, le gambe, il capo, in modo tale da farlo inarcare all’indietro, esalargli nelle orecchie parole che solo lui avrebbe compreso. Parole di rammarico, di rabbia, di delusione, di gioia o amore, poco interessava a Kacchan cosa i morti avevano da riferire al suo aggressore: ciò che gli importava era che lo destabilizzassero quanto bastava per permettergli di uscire dalla sua morsa o, quanto meno, riuscire a respirare liberamente.

Kacchan Yamanaka
Voi figli di puttana avete qualcosa su cui desidero ardentemente mettere le mani. E ho tutta l’intenzione di scoprire il segreto della vostra immortalità, anche a costo di vendergli l’anima, e quel fottuto bastardo infame.
 
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view post Posted on 1/11/2022, 22:53     +1   -1
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??? - Data ignota, verosimilmente autunno inoltrato



Gli occhi del carceriere si sgranano di colpo, fino a mettere a nudo le sclere bianche, attraversate da sottili capillari arrossati dall’ira selvaggia; un ringhio bestiale risale dal fondo della gola dell’uomo, insinuandosi tra i denti digrignati, fino a spalancargli la bocca nella furia di un ruggito animalesco. Le pietre coperte di umidità riverberano la sua furia, facendo risuonare la stanza con l’eco di mille grida… qualcosa che ci si aspetterebbe che possa sbriciolare la stessa fortezza, sprofondandola tra i flutti neri di quel mare senza nome.

Eppure le mura se ne restano lì in piedi, immobili, fregandosene dell’incazzatura solennissima che sta scuotendo uno dei loro abitanti, infischiandosene del rivoltante ammasso informe che si gonfia all’interno della cella e dei suoi tentacoli orripilanti, che si vanno attorcigliando attorno al corpo nerboruto del jashinista. Più le ombre prendono forza, più lo Yamanaka sembrerebbe stanco, il suo aspetto fresco e giovanile che si va trasformando sempre più in una maschera funebre. Le dita agili si arrampicano sul volto coriaceo del suo carceriere, cercando di affondare in qualche anfratto poco piacevole.
Ciò che avviene subito dopo, naturalmente, sembra durare meno di un istante.

Dopotutto il tempo vola, quando ci si diverte.

Per un attimo infatti, Kacchan avrebbe sentito le dita affondare in una sorta di cavità calda e umida; l’attimo dopo, qualcosa di estremamente duro avrebbe stretto le stesse dita in una morsa crudele, improvvisa, facendo scricchiolare le ossa, mentre la stretta sul collo si allenta di colpo. Può tornare a respirare, giusto in tempo per poter gridare di dolore: con un disgustoso CRACK, le falangi cedono sotto la pressione dei denti dell’altro, mentre un ginocchio si avvicina alla faccia del konohano a velocità tanto, troppo elevata.

E poi diventa tutto buio.

* * *



”Ricominciamo da capo, topo di fogna dell’ovest”

Per prima cosa, quando riapre gli occhi, può notare che soffitto e pavimento si sono invertiti; nota inoltre che il suo nuovo amico si è fatto medicare il torso, trattamento che tuttavia non ha riservato alla mano che gli ha maciullato. Ecco, la mano sta una schifezza. Da bravo medico, Kacchan ha un’idea abbastanza precisa della quantità e della natura degli agenti patogeni che albergano nel cavo orale di un essere umano e sa, di conseguenza, quali potrebbero essere gli esiti di quella lesione, se non dovesse venire curata. Al netto delle ossa rotte, chiaramente.

Ovviamente è di nuovo legato come un salame, ancora più stretto di prima; a giudicare dal malessere causato dal sangue affluito alla testa, è stato riappeso alla tavola da… un po'.

Il tono con cui il torturatore gli ha parlato è tornato pacato, vagamente divertito. Al collo ha di nuovo appeso il suo ciondolo, in bella vista sui pettorali villosi e fasciati dalle bende. ”Ti ho già detto che voglio qualcosa da te, e tu ti sei messo a fare il coglione per farmi incazzare.
Poi hai pure detto che vuoi qualcosa dal Sommo, e che ti va bene fare uno scambio con Lui per averlo, e lo dicevi mentre mi facevi incazzare peggio di prima.
La femmina più stupida della costa ovest sa trattare meglio di te, al mercato della seta, lo sai questo?”
- domanda con voce falsamente annoiata, mentre avvicina il viso a quello di Kacchan. A una distanza decisamente fastidiosa.
Il timbro di voce che utilizza subito dopo è flautato, carezzevole: come se si stesse rivolgendo a un bambino piccolo, cosa che stona terribilmente con quella sua inflessione straniera, che fatica a tenere a bada.

”Io ti ho chiesto se parli o no coi fantasmi, e voglio una risposta chiara, non le tue stronzate. Se no ti strappo quegli occhi di merda - e sai che lo farò - prima di buttarti a mare con la gola aperta. Hai capito o no?” - domanda di nuovo, fissando le iridi color miele in quelle cerulee e affaticate dello Yamanaka.






CITAZIONE
Non hai fatto errori, capiamoci. Lo spunto di Kacchan però mi serve tutto.
 
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22 replies since 6/4/2022, 21:02   341 views
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