Un vaso di pietra scura, Sumiye Fujimoto, Sessione Autogestita #2

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view post Posted on 6/2/2022, 15:20     +1   -1
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I caratteri dovrebbero essere poco più di 13000. Spero che la parte di addestramento possa contare effettivamente come tale, non ne sono certissimo.

16 Luglio 252 DN
Oggi, come al solito, piove. Fortunatamente sono riuscita a trovare il luogo ideale: abbastanza coperto, isolato e, cosa più importante, non molto distante dall’ospedale, in caso qualcosa vada storto.
Ricordo bene come mi sono sentita dopo essere stata dimessa dall’ospedale per la prima volta: fragile, spaventata, praticamente rotta. I medici mi dissero che tutto sommato non mi era andata così male, che la maggior parte degli shinobi a cui il morbo si era manifestato in modo simile erano riusciti a recuperare il controllo delle proprie abilità, eppure non potei fare a meno di pensare che il mio caso fosse diverso: oltre che con la malattia avrei dovuto inevitabilmente fare i conti con la paura.
A pensarci adesso mi sembra di ricordare di aver avuto una sensazione spiacevole prima che accadesse, come se una parte di me sapesse che qualcosa non andava. Non credo si tratti di qualcosa che io abbia veramente avvertito quel giorno, ma solo qualcosa che è apparso quando gli eventi sono diventati ricordi. In ogni caso, anche se avessi avuto davvero un presentimento, è certo che non diedi molta importanza alla cosa. Anche prima di quel giorno pensavo di conoscere il dolore: quante cose potevano far più male del venire bruciati dal magma generato all’interno del proprio corpo? La mia ingenuità di allora mi fa quasi sorridere. Quasi, perché pensare a quei momenti è abbastanza per spazzare via ogni sorriso dal mio volto. La verità è che uno Yoton dalla propria lava non è mai davvero bruciato, e che il dolore che sperimenta non è nulla in confronto a quello che il magma può davvero causare.
I medici mi chiesero tante volte se stessi facendo qualcosa di insolito, che avrebbe potuto scatenare l’attacco, ma quel giorno, in uno dei campi di allenamento, stavo solo facendo pratica con tecniche che ormai conoscevo bene. No, non posso negare di essere stata fortunata. La persona che mi aveva trovata, a terra e priva di sensi, viva per miracolo, il volto a pochi centimetri da una pozza di lava ormai quasi solida, ma ancora incandescente, era passata di lì per caso. Tempo dopo mi fu detto che, se il mio ricovero in ospedale avesse tardato anche solo di pochi minuti, probabilmente i danni causati dalle ferite interne sarebbero stati irreparabili.
Cosa ho provato, nel momento in cui mi sono resa conto di non aver più il controllo del mio chakra, che nulla mi avrebbe protetto dal magma incandescente, che, firmando la mia condanna con le mie stesse mani, avevo creato all’interno del mio stomaco? Ricordo solo due cose, prima che tutto svanisse: il dolore, terribile, inimmaginabile, e il terrore opprimente di una ragazzina di 15 anni che sente di star morendo e sa con tutta se stessa di voler vivere.

Sospiro. Va sempre a finire così. Non è per passare in rassegna i miei ricordi che sono venuta qui. Da quel giorno ormai sono passati mesi e, almeno dal punto di vista medico, la situazione è migliorata molto. Gli allenamenti sono stati lunghi e numerosi, ma hanno portato a degli ottimi risultati: sono stata in grado di generare magma anche direttamente nel sottosuolo, controllandone il flusso e la temperatura in modo soddisfacente. Vedendo questo si potrebbe pensare che il mio recupero sia completo, non è così. Dopotutto, nonostante i miei progressi, non ho fatto altro che rimandare il momento in cui avrei dovuto fare il passo più importante e più difficile.
Mi concentro, provando a svuotare la mente. So cosa devo fare, so come farlo, posso riuscire. Eppure, nelle parole che rivolgo a me stessa per affermare la mia determinazione, non posso fare a meno di percepire un’incertezza, nascosta sotto la superficie, ma innegabilmente presente. È possibile che non creda di potercela fare? No, sono pensieri come questi a rendere difficile una cosa che dovrebbe essere semplice e naturale. Calma. Il sangue degli Yoton scorre nelle mie vene, la lava non è una mia nemica. Chiudo gli occhi, focalizzando tutta la mia attenzione all'interno del mio corpo, sul flusso del chakra che, dopotutto, è una parte di me. Così, nella mia mente prima che nel mio corpo, il chakra prende forma, unendo fuoco e terra per formare la lava. Purtroppo quell’immagine mentale, fondamentale per trasformare in realtà ciò che altrimenti sarebbe solo una vaga intenzione, è la mia rovina: basta un attimo, un lampo, in cui immagino, o forse ricordo, cosa accadrebbe se non avessi il controllo, se ancora una volta la lava non mi riconoscesse, e la mia determinazione viene sommersa da un mare di paure, troppo terribili per esprimerle a parole. Finisco in ginocchio, tremante, respirando a stento, incapace di vedere nulla all’infuori di qualcosa che non è davvero lì, ma che il mio cuore sa rendere più reale della nebbia intorno a me e della terra su cui giaccio. No, nessun allenamento è riuscito davvero a farmi superare quel momento, tutto ciò che è successo dopo sembra insignificante in confronto a quel dolore, quella disperazione.




9 Settembre 252 DN
Le passeggiate al porto sono ormai diventate un'abitudine. Mi piace guardarmi intorno, osservando i pescherecci attraccati e i pescatori intenti a riparare le reti. Tra tutte le navi ce n'è una in particolare che cerco sempre con gli occhi, quella su cui sono salita per la mia prima missione, una Yoton inesperta in mezzo al mare con quella squadra sgangherata e un fanatico a bordo. Certo che ne è passato di tempo. Adesso l'Hinode non c'è, ma, in verità, nemmeno io sono qui per passeggiare. La mia imbarcazione dovrebbe partire tra poco, quindi devo sbrigarmi. Trovarla non è difficile: il numero di shinobi a bordo è tale da attirare l'attenzione su di lei, e basta un attimo per verificare che il nome coincide con quello che mi è stato comunicato. Tutti gli shinobi che vedo sono in uniforme, come ci si aspetterebbe per un'occasione ufficiale. È abbastanza comune che io non indossi il giubbotto che mi identifica come chunin, non sento tutto questo bisogno che le persone che mi incontrino riconoscano il mio grado da come sono vestita, soprattutto non adesso che sono in queste condizioni, ma oggi non è questione di preferenze personali. Siamo la delegazione inviata da Kiri ai festeggiamenti per l'anniversario della nomina del Raikage, o, forse in modo più corretto, alla seconda Festa della Rinascita, la nuova festività istituita da lui stesso. Dalla salita al potere di Imai Eiji, questo il nome del nuovo kage, la Nuvola si è mostrata sorprendentemente aperta alle altre genti del continente e, se alcune voci sono vere, non solo a loro. Se si trattasse di un altro luogo sarei sicuramente curiosa ed entusiasta di vedere qualcosa di nuovo, ma Kumo è...
Stringo i pugni, faccio un respiro profondo per scacciare i pensieri e mi appresto a salire a bordo. Sono passati sei anni.

Il viaggio lo passo seduta in un angolino sottocoperta, contesa tra il desiderio di quiete, che mal si accorda con le conversazioni degli altri passeggeri, e quello di non cadere preda dei ricordi più tristi e della paura di recarmi nel luogo dove è morto mio padre. Come unico compagno ho un libro sulla storia del Paese del Fulmine che sono riuscita a procurarmi, e che si rivela abbastanza interessante da tenere la mia mente a bada per la maggior parte del tempo. La lettura, qualche sortita sul ponte per prendere una boccata d'aria e poco altro, sono sufficienti ad intrattenermi fino alla nostra prima destinazione. Agli altri non dedico che un'occhiata un po' distratta, giusto per evitare di non riconoscere qualcuno che mi sentirei in dovere di salutare, ma non mi pare ci siano volti noti. A differenza di Kiri, Kumo non è sul mare, quindi l'ultima parte del viaggio dobbiamo farla a piedi. Ormai si è quasi fatto buio, e arrivare al villaggio da soli potrebbe rivelarsi abbastanza difficile, ma ad attenderci c'è una guida locale, con la pelle ancora più scura di quella di alcuni dei Kumani che avevo incontrato al Torneo Chunin. Non ho tanti ricordi dell'ascesa, solo la stanchezza, il buio, il freddo pungente e il curioso accento della persona che stiamo seguendo. Quel che è certo è che a un certo punto mi ritrovo in albergo, troppo stanca per avere voglia di fare lo sforzo di pensare. Una volta congedati è questione di minuti e sono distesa sul letto della mia camera, con gli occhi che si chiudono.

Non dormo bene, anzi, ho l'impressione di non dormire proprio, ma di dibattermi in un dormiveglia tutt'altro che piacevole. Alla fine quella situazione diventa insopportabile e mi obbligo ad aprire gli occhi e a mettermi a sedere sul letto. Con un po' di sforzo, e dopo essermi sciacquata la faccia, riesco a capire che è presto, praticamente l'alba, ma in qualche modo il mio corpo sembra essersi riposato almeno un po'. Passo qualche minuto lì nella mia stanza, ormai priva di sonno, e poi concludo che forse l'essermi svegliata così presto è una cosa buona. Mi preparo rapidamente, ma con una certa cura, ed esco. Chiedo qualche informazione alla reception, dove credo ci sia ancora la stessa persona che ci ha accolti ieri sera, e sono fuori. Ho il programma dei festeggiamenti, e mancano molte ore al discorso del kage, che dovrebbe essere il primo evento importante della giornata. Mi hanno dato anche una mappa del centro del villaggio, quindi anche perdersi dovrebbe non essere un problema. Alla luce del sole nascente osservo Kumo per la prima volta. La prima cosa che noto è quello che deve essere il palazzo del Raikage, una struttura di vetro incastonata tra picchi montuosi e che sovrasta l'intero villaggio. Senza pensarci gravito in quella direzione, salendo le molte scalinate che incontro e attraversato le strette strade sospese nel vuoto. Non che io non abbia una destinazione, anzi, so esattamente dove devo andare, è solo che è... difficile, non mi sento ancora pronta ad andare lì. Prima voglio vedere il sole tra le montagne almeno una volta, e poi a quest'ora non troverei mai un fioraio aperto.

A un certo punto mi sono decisa. I miei passi, nelle fredde strade di Kumo, mi hanno portato in quel luogo che una parte di me non avrebbe voluto mai vedere. Non è facile spiegare a un bambino piccolo il motivo per cui, improvvisamente, uno dei suoi genitori non c'è più. Quando gli chiedevo della mamma papà mi diceva sempre che era dovuta partire, ma mi voleva tanto bene e che ci saremmo rivisti presto. Non mi sarebbe mai venuto in mente di pensare che sarebbe potuto esserle accaduto qualcosa di brutto. Adesso me lo chiedo, ogni tanto, ormai purtroppo so che le cose non sono così semplici, né così belle, e di lei non abbiamo più saputo nulla da allora. Eppure, almeno un po', credo ancora a quelle parole, e, non lo so, forse non riesco a non aggrapparmi all'illusione di poter rivedere, un giorno, anche lui. Tutti questi anni ed è ancora difficile guardare in faccia la realtà, anche quando è proprio di fronte a me. Stringo i pugni. È dura, ma so che devo farcela. Faccio un respiro profondo e alzo, lentamente, lo sguardo. Davanti a me si erge una lastra di roccia scura, una lapide, in memoria di coloro che sono caduti a causa del Divoratore.

Non so dire quanto tempo io abbia passato lì. Ho pianto, questo lo so, e lo testimoniano le guance ancora bagnate e il sapore salato delle lacrime in bocca. Ho parlato, a lungo, la voce rotta dai singhiozzi, a quella solitaria stele di pietra. Ho parlato come se davanti non avessi avuto solo un freddo monumento, ma il calore della persona che, più di qualunque altra, avrei voluto avere vicino a me. Sei anni, sei lunghi anni, raccontati tutti a qualcuno che non c’era più. Ricordi, paure e timori, di una ragazza debole, spaventata, sola, in un mondo forse troppo difficile per qualcuno come lei. Desideri, sogni e speranze di qualcuno che, nonostante tutto, queste cose non aveva alcuna intenzione di perderle. A un certo punto le lacrime sono finite, così come le storie da raccontare, ma sono rimasta lì ancora a lungo. Dopotutto i cuori di un padre e una figlia non hanno davvero bisogno di parole per comunicare. Così alla fine, quando mi sono alzata per andarmene, nonostante la stele non avesse risposto nemmeno una volta, mi sono sentita davvero come in passato quando parlavo con lui. Takashi, papà, non mi ha mai detto che fossi troppo ingenua, eppure a una bambina come me lo dicevano in molti. Mi diceva che sarebbe stato difficile, questo sì, ma che credeva in me. Lo so, è una cosa che una persona gentile, e Takashi lo era, avrebbe potuto dire solo per non distruggere tutte le illusioni di qualcuno ancora troppo giovane per confrontarsi con la realtà. So anche, però, che non c’era mai stata una volta in cui non avevo creduto a quella sua fiducia, non importava se essa riguardasse le cose più piccole o quelle più grandi, e questa volta, in cui la fiducia l’avevo avvertita nel silenzio e in una terra straniera, non era stata diversa. Così alla fine, quando mi sono alzata per andarmene, ero sempre la stessa ragazza debole, spaventata e sola, ma anche speranzosa, ottimista e coraggiosa che si era recata lì per porgere un saluto a suo padre, la stessa ragazza, per cui forse il mondo era sempre troppo difficile, ma che era pronta a mettere tutta se stessa per cambiarlo almeno un po’. Ero, e sono, una ragazza piena di paure, ma determinata ad affrontarle, una a una, a dimostrare, a se stessa e a suo padre, di essere più forte di loro, di poter vincere sulle difficoltà. Alla fine lì, in quella solitudine, avevo affrontato due delle più terribili, la più recente e una delle più antiche. Questo lo testimoniava il mazzo di fiori bianchi, lasciati ai piedi della stele in un vaso, che non avevo con me nel momento in cui mi ero recata lì. Il vaso, non particolarmente grazioso, era di pietra scura e, se qualcuno lo avesse toccato, avrebbe sentito che, nonostante la bassa temperatura di quella giornata a Kumo, quella pietra era calda al tocco.
 
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view post Posted on 6/2/2022, 15:59     +1   -1
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A Man of No Consequence

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Only love per Sumiye.

Bellissima autogestita, mi ha davvero tanto commosso.

Riguardo l'addestramento, che sarebbe la parte iniziale del post, è molto border line: non è specificatissimo, ma direi che, ciò nonostante, sia più che sufficiente per prendere i 100 exp.
 
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1 replies since 6/2/2022, 15:20   50 views
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