Futuro, Time Skip 249-252 per Hideyoshi

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view post Posted on 29/10/2021, 16:13     +1   -1
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Mhh... mhhhh..

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Continua da qui

Kirigakure no Sato, Mizu no Kuni, ??? DN


Lacrime sulle guance del bambino. Occhi stretti, pugni stretti, come gli è stato insegnato. Non piange, resiste, appena geme.
Un'infanzia passata nella gelida vastità del palazzo, con soltanto la promessa di una fuga a riscaldarlo. Ma ogni volta diventava più difficile, più breve la caccia e rapido il ritorno.
Ogni volta, la prospettiva di diventare uno shinobi diventava più allettante.


"Andrà tutto bene, Hideyoshi-sama... vedrete che dopo i primi tre giorni d'accademia mi avrete già dimenticato."

Disse il maestro Hitoshi, chino al suo livello. Il cappello ne oscurava le fattezze, nascondendole alla memoria, ma il suo tocco era sempre familiare. Gli accarezzò il mento, scendendo poi a sistemargli le pieghe del kimono.
Sorrise.


"Ma prima che le mie mansioni mi conducano lontano da qui, a est, io voglio dirti ancora questo.
Tormenti o meno, il mondo andrà sempre avanti. Non dimenticarlo mai."


Si piegò verso di lui, lasciando cadere il copricapo e rivelando uno sguardo folle, omicida, privo di ciglia o sopracciglia. La testa era calva, il collo tozzo ed enormemente grasso, come una balena. Avvertì il contatto viscido del suo abbraccio, il suo alito contro l'orecchio.

"Guarda... non distogliere lo sguardo."

Disse; oltre la sua spalla, oltre il suo odore, la figura emaciata di un uomo dai capelli bianchi. Per quanto tempo era stato lì, a guardarlo?

ZGUR9UW



Rifugio dei ninja di Oto, Taki no Kuni, agosto 247 DN


Il limbo in cui era sprofondato dal momento in cui aveva perso i sensi continuava a tormentarlo, a spaccarlo a metà. Il corpo troppo debole per trattenere i deliri della mente, Hideyoshi si trascinava di stanza in stanza, cercando di non far notare a Yumi o ad Hiroga il proprio, penoso stato.
Giorno come notte, gli occhi del ragazzo vagavano attraverso lo spazio del rifugio, e che fosse dentro le case abbandonate o fuori, tra gli alberi e l'acqua, non faceva differenza: il mondo gli tornava ingannevole, né realtà né menzogna. Spesso erano immagini di vita quotidiana, visi gioviali e lavoro, il gioco dei bambini e le chiacchiere degli adulti... pur non potendo udire nulla, Hide capì presto di star osservando spaccati del passato altrui, giuntigli attraverso chissà quale scherzo della mente. Fantasmi.
Ma dormendo... se di dormire poteva parlarsi, sempre più e con più insistenza quello stesso mondo bussava alla porta, invitandolo a prendere parte al gioco cui, in veglia, doveva limitarsi obbligatoriamente ad assistere.
Ed ogni volta il Cantore non aveva scelta, la mente trascinata nel turbinio del sonno senza che avesse alcuna redine, alcun freno... ma non si trattava degli stessi sogni che aveva fatto per una vita: ora sapeva cosa stava osservando, era familiare con le scene, pur ogni volta dovendo sottostare al loro mutare in peggio. Dalla gioia si passava alla frenesia, dalla quotidianità alla rottura, dal gioco alla violenza. Watashi giungeva ogni notte, ed ogni notte Hideyoshi era una vittima.
Ma poi apriva gli occhi, e le sensazioni appartenevano a qualcun altro fino al nuovo sonno.


(Che cosa mi sta succedendo? La sua presa su di me si è allentata, ormai, ma è come se qualcosa si fosse spezzato... ogni cosa è alleggerita, privata di sostanza, sapore, odore, come se tutto ciò che ho attorno non fosse che metà di quanto è davvero... e stesso vale per le sensazioni che ne traggo.
Possibile che sia un effetto della convalescenza? Ormai sono passati mesi e mesi...)



Fin dal momento in cui aveva riaperto gli occhi... no, fin dal momento in cui aveva sentito la progenie assalirlo, Hideyoshi aveva saputo che non sarebbe mai tornato quello di prima, ma questo...
La forza dei Kaguya già lo aveva abbandonato, assieme a molta dell'energia e del tono muscolare che un tempo aveva... ma ciò atteneva al piano materiale, puramente fisico, e benché il giovane potesse immaginare un collegamento tra mente e corpo, nulla avrebbe potuto suggerire uno stato psicologico simile.
Finché, un giorno, la verità non lo venne a trovare.
Si era allontanato dalle capanne, ben conscio del fatto che il suo assentarsi non fosse passato inosservato. Yumi doveva aver deciso di allentare l'allerta da qualche giorno a quella parte, perché sempre più al giovane era consentito vagare per le strade deserte, preda della sua stessa mente. Ma Hideyoshi era sempre stato bravo a nascondersi dietro una maschera, ed ora più che mai le sue espressioni erano divenute stanche, spoglie, sintetiche.
Così si allontanò, bastone alla mano, affrontando il sentiero scosceso che dal villaggio si inerpicava per la foresta. La debolezza che gli aveva impedito di camminare per parecchi giorni ancora lo tormentava, rallentandogli il passo e costringendolo ad appoggiarsi al bastone come un marinaio all'albero... e tuttavia andava avanti, salendo, nelle caviglie e nei polsi l'impressione che qualcosa lo traesse alla penombra degli alberi.
Sussurri, sguardi, un tocco gentile: l'oscurità lo prese sotto braccio, ed egli vi riconobbe la figura che gli era apparsa in sogno.


(Ailish-sama... siete parte di me, che io lo voglia o no... ogni volta che si avvicina la fine è la vostra immagine ad apparirmi, la vostra ombra a sollevarmi. Anche in questo delirio vi sono grato.)

Le disse, senza parlare, suo malgrado cedendo alle apparizioni che si era sforzato di ignorare. Ma lì, dopo la fatica della camminata, non poté che abbandonarsi alla sua accompagnatrice.
E non era sola; attraverso gli alberi altre immagini gli si fecero incontro, ma a differenza dell'ombra queste avevano la stessa sostanza delle visioni che aveva avuto al villaggio. Lo ignoravano, passavano oltre, ciascuna pensando ai propri affari.
Arrivarono infine sulla riva del laghetto che faceva da bacino ai rivoli che bagnavano l'abitato; una cascata rumoreggiava nella distanza, aggiungendo il suo tono a quello che altrimenti, fatto salvo il richiamo degli uccelli, era un silenzio perfetto.
Si spogliò, immergendosi lentamente nell'acqua. Il freddo lo punse come mai aveva fatto prima, afferrandolo e rubandogli le poche forze che ancora era riuscito a preservare. Dovette lasciarsi cadere nell'acqua, un braccio attorno alle radici di un salice per non scivolare del tutto. Ansimò, e rimase a quel modo finché la sensibilità al braccio non gli mancò, assieme a quella delle gambe.
Sconfitto, si lasciò andare, affondando fino al collo.
Gli occhi si fecero pesanti, il respiro flebile, e lentamente il Cantore vide la notte scivolargli addosso. Luci danzavano nel bosco, nel lago, illuminando il paesaggio come stelle. Uomini, donne, bambini, animali, tutti vennero lentamente avanti, bagnandosi nelle acque luminose. Alcuni lo videro, osservandolo con curiosità, o sorridendo, salutando. Altri passarono oltre.
Allungò una mano, la sua coscienza disciolta nell'acqua. Diluita oltre tempo e spazio.


(Kinji... non voglio... non voglio sparire...)

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Caverna di Ryuchi, profondità di Yu no Kuni, 249-251 DN


La mano di uno scheletro aleggia di fronte a lui, senza peso, senza moto. A sollevarla, lento, il risalire delle bolle attraverso la viscosità del liquido. La loro è una fuga costante, imposta dal ribollire delle fonti sotterranee, ma il contatto con quel corpo è puramente accidentale: esse lo tengono a galla, sospeso, ma non si curano di portarlo con loro. Né esso, in verità, ha il desiderio di seguirle.
Non c'è respiro, non c'è pensiero, solo voci disperse nel plasma verde che lo circonda. Viaggiano sull'onda del ribollire, venendo e andando senza trasmettere alcun significato. Ciascuna sensazione è fine a sé stessa, ciascuna realizzazione priva di memoria o aspettativa.


Debole, in corpo e mente.


Zanne, squame, sangue, ossa. La sua voce risuona nelle pareti della caverna, ad ogni eco guadagnando un carattere sempre meno umano. Urla; di dolore, di rabbia, di frustrazione. Gli occhi non vedono, ma al corpo è concesso di sentire più di quanto non sia lecito. Così, nell'oscurità più assoluta, il Signore di Ryuchi gli infligge un dolore che non ha paragone tra gli esseri umani; così, ogni giorno ad un passo dalla morte, il Cantore di Lame prende il posto che merita.
Prima di lui, soltanto un uomo. L'unico ad aver custodito il rotolo da eremita.



Voi esseri umani siete nient'altro che prede, nient'altro che sacche di sangue...

Ossa che schioccano, sbriciolate, muscoli strappati come fasci di lino. La sua carcassa è spezzata contro le pareti della caverna, lanciata come una bambola di pezza e così lasciata in terra. Sangue che scorre dalle ferite, dalla bocca, dalle narici. Un nettare prezioso, mai sprecato.
Infine, lente, mani invisibili lo trascinano via.


Il vostro odore, il vostro sapore... nient'altro che agnelli...

Uffff... riportatelo di sotto...


Occhi che scrutano, che cercano, che trovano. Denti che affondano: il suo calore una scia impossibile da fugare. Ogni ora è cacciato, ogni ora è scovato, braccato, ucciso. Il suo sangue dipinge ogni angolo dell'abisso, ad ogni schizzo generando ovazioni di piacere e desiderio nella moltitudine atterrita. Osservavano, come sempre, il maestro al lavoro.

Prede senza cervello, nati per soffrire e morire.

Aaaancora.


Corre, corre finché il cuore non gli esplode in petto. Sempre voltandosi, sempre sentendo su di lui lo sguardo del Signore di Ryuchi, la sua voce come un dardo in mezzo agli occhi. Ovunque, sempre.
E quando è scovato, combatte. Combatte come un topo in gabbia, una preda messa al muro. Ma le forze vengono sempre meno, e, quando lo fanno, il Signore pretende il proprio diletto. Piano, con metodica calma, spezzando ogni osso, recidendo ogni muscolo, gustando occhi e viscere.
Le sue zanne, enormi, precise come bisturi; il suo veleno lo stesso magma che anima le sorgenti.


In piedi, verme.

E ancora.


Di nuovo trascinato via... quel che ne rimane, almeno. Di nuovo i vermi lo nutrono dei loro simili, lavandolo nelle sorgenti delle profondità perché lo guariscano e ricostituiscano.
Poi, estratto da quel plasma ribollente, è pronto per una nuova caccia.


Naaah, basta così...

Stavo scherzando, idioti. Ancora...


A reclamare quello che fu di Otomika Kaguya, avevi detto...

Ogni lembo di pelle lacera, ricucito. Ogni osso sbriciolato, rigenerato. Le esalazioni della caverna avevano disciolto ciò che rimaneva della sua razionalità, rendendolo molle e malleabile.
Così, ogni giorno, è estratto dal liquido denso e colloso delle sorgenti, il suo corpo una larva pallida e traslucida. Ogni giorno vi ritorna, meno uomo e più... qualcos'altro.


Il Sutra non è mai stato suo, né di alcuno della tua razza bovina. Lui, uno stolto. Tu, un debole.

Shhh, sto cercando di capire a che punto è...


NON OSARE ZITTIRMI, VECCHIA! È già sufficiente che io intrattenga questo tuo vezzo.

Guarda che è quasi pronto.


Ad essere macellato, si. Poi verrà il tuo turno, finalmente.

Datti una calmata e fallo riportare di sotto, ci siamo quasi.


E avvertì Ryuchi muoversi attorno a lui, presto attraversandolo, correndo entro e fuori ogni ferita. Il ventre di un Serpente titanico, l'origine e la fine del mondo lungo le sue spire. La Caverna beveva del suo sudore e del suo sangue, prima e più di tutti, ed Hideyoshi, immerso in quel plasma, beveva del suo. Non esisteva altro all'infuori di quel legame: l'universo finiva all'ultima propaggine di Ryuchi, e così la coscienza del Cantore, divenuta parte funzionale di un organismo ancestrale e famelico.
Così potente, così penetrante, da non consentire che vi fossero ulteriori divisioni. Hideyoshi non era un ninja, non era un malato, non un penitente o un capo; non era mai stato nulla di tutto ciò. La sua mente non era sconvolta da altre realtà, né il suo corpo spezzato da forze oscure. Era un serpente, nient'altro. Un serpente, e perciò un servo.


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Rifugio dei ninja di Oto, Taki no Kuni, agosto 247 DN


Domandò, ma nessuno gli rispose... e lentamente, così come gli si erano cautamente avvicinati, gli spiriti iniziarono ad isolarlo. Sempre più, e quasi fosse un moto involontario, naturale, le luci si allontanarono, rimanendo ai margini della riva.
Di nuovo solo, anche in sogno, il Cantore chiuse gli occhi. Si sentì scivolare nell'acqua, affondare, annegare, e quando non poté più trattenere il respiro i polmoni si spalancarono, lasciando entrare un impeto gelido.
Ma non seguì la morte, né il dolore. Un senso di calma profonda lo pervase, ed aprendo nuovamente gli occhi si trovò immerso in un'oscurità liquida, densa, capace di sostenerlo tanto quanto la riva su cui si era appoggiato poco prima.
Galleggiò ancora in superficie, trovandosi lentamente alla deriva. In cielo le stelle erano scomparse, sostituite da un'unica aurora, eternamente distante. Tutto attorno, le luci che aveva visto aleggiare sull'acqua gli si fecero vicine, e fu soltanto allora, chinando il volto di lato per seguirne una, che Hide realizzò di star fluttuando assieme ad un gran numero di corpi.
Vide i loro volti, ma non li riconobbe, non più di quanto non avesse fatto con chi era arrivato assieme a lui. Morti, pareva dormissero, e la loro presenza non lo spaventò.


(Di nuovo... questo è un sogno, un frammento del passato, l'immagine di ciò che è accaduto quando la Progenie ha iniziato il suo assalto.)

Poi, dal nulla, un tocco sulla pelle. Il Cantore fremette, ma non ebbe la forza di intercettare chi lo aveva sfiorato. un guizzo nell'acqua nera fu tutto ciò che riuscì a distinguere, le piante di due piccoli piedi.
Un bambino, ma nessuna luce ne seguì la scia.


(Che cosa?!)

"Ch.."

Disse, tanto con la mente quanto con la lingua, rendendosi conto di non avere voce per parlare. Le mani del bambino lo strinsero per le ascelle, e con insospettabile forza lo trassero a riva. Impossibile per il Cantore voltarsi, o portarsi in posizione eretta.
Dovette lasciarsi trascinare, conscio di non essere alla presenza di una comune visione, ma quando sentì nuovamente la terra sotto la nuca cercò immediatamente di individuare l'entità.
Dopo qualche istante, fu essa a rivelarsi: due grandi occhi, limpidi, color dell'oro, gli sorridevano a cinque centimetri dal volto.


(G-grazie... aiutami a sedere...)

Sentì le due piccole mani sollevargli le spalle, forzandolo in una posizione dignitosa. Il sangue gli tornò al cervello con irruenza, non portando con sé altro che nausea, e guardando in basso Hideyoshi si rese improvvisamente conto di non essere vestito. Il senso di vulnerabilità, di impotenza provato mentre scivolava nel lago aveva preso forma, assecondando la mente.
La creatura lo aggirò, presentandoglisi in tutto il suo grottesco pallore. Era un bambino, almeno nelle proporzioni, ma completamente glabro, la pelle traslucida. Calvo, magro, larvale, la luce che emanavano gli occhi li faceva sembrare due volte più grandi.
Sorrideva, con un accenno di timidezza, e quando il Cantore si rese conto di star pensando ciò che pensava tentò di dare una sterzata. A quel punto il bambino rise, mostrando una ghiera di denti aguzzi laddove avrebbero dovuto esservi quelli da latte. Anche messo di fronte a questa sinistra novità, tuttavia, il Cantore non avvertì timore, non come avrebbe fatto normalmente.
Qualcosa lo tratteneva; un limite che non aveva forma o sostanza, una mano invisibile a dirigere i suoi pensieri in un fluire predeterminato. Più vi si soffermava, più gli era evidente: ciascun pensiero compiuto era un sasso contro la corrente, emergendo in quel luogo evidente e manifesto come un grido a pieni polmoni.
Quel luogo esisteva soltanto nella sua mente: era un sogno, ma uno talmente lucido da risultare incomprensibile.


(Cos'è questo posto? Non il lago intendo... questo... mondo... non è reale, vero?)

L'essere tornò a farsi serio, un'espressione adulta ma inconsapevole. Chinò la testa calva da un lato, quasi ancora a domandarsi chi fosse quell'individuo galleggiato su dal nulla.

(Questo è un mio sogno, ma le visioni... le persone qui intorno appartengono al passato, ad un altro tempo. Come mai posso vederle? E cos.. chi sei tu?)

*Il bambino dovette comprendere ciò che il Cantore aveva da dire, perché con lo sguardo raggiunse le luci sulla riva... ma oltre ciò, non fece. Realizzando forse di essere stato troppo diretto, Hideyoshi si forzò a sollevare una mano per rivolgergli un cenno di scusa, ma a metà del gesto dovette interrompersi.*

"Sogno? Naah, cioè, in un certo senso..."

*Sentì dire ad una voce, alle sue spalle. Hideyoshi tentò di voltarsi, ma ad apparirgli non furono gli alberi che si aspettava, né le anime lucenti tra i tronchi... sagome lontane, avvolte dalla notte, prive di ogni luce. Impossibile dire cosa fossero con esattezza, ma lunghe e disarticolate si allungavano verso il cielo, più tentacoli che edifici, il loro profilo segnato da una strana foschia verdastra. La battigia si interrompeva bruscamente, piombando nel vuoto ed aprendo un baratro infinito.
In alto, solitaria, l'immagine che aveva perseguitato ogni notte del Cantore fin dal giorno in cui per la prima volta vi aveva posato sopra gli occhi: il disco solare oscurato da un'eclissi totale, eterna, impresso contro la volta celeste come un marchio a fuoco. La sua presenza pareva infettare ogni aspetto di quella visione, modificando caratteri altrimenti verosimili in grottesche parodie. Vi sopravviveva soltanto un'aureola di luce, un confine flebile tra la completa oscurità ed il cielo martoriato.
Il Cantore rimase senza parole, ma la misteriosa voce tornò per anticiparlo.*


"Questo è un postaccio, specie per uno come te... ma non è farina del tuo sacco, come si dice dalle vostre parti.
No, sei davvero dove non dovresti essere, Cantore di Lame."


"... di Lame"

*L'eco che seguì l'ultima parola riuscì quasi a sfuggirgli, tanto fu veloce. Eppure le orecchie del Cantore non si erano ancora liberate della voce che aveva sentito chiamarlo in sogno, durante il delirio... ma, appunto, di delirio si trattava.
Per la prima volta da quando era arrivato al lago, Hideyoshi valutò seriamente l'ipotesi di essere uscito di senno. Si portò una mano sulla fronte, respirando lentamente, tentando di ritornare in sé... ammesso che rimanesse qualcosa a cui tornare.*


"Che nome pomposo."

(L'intervento... Yumi mi ha dato qualcosa? Gli effetti... la Pro...)

"Si ma non ignorarmi però."

Un'improvvisa realizzazione gli si palesò, e assieme ad essa, quasi a confermarne la veridicità, dalle profondità emerse una moltitudine di figure mostruose. Più ombra che sostanza, sprazzi di memoria nella mente di chi le aveva combattute. Artigli, denti, tentacoli, il loro sangue scorreva nelle sue vene, ma il terrore gli apparteneva totalmente. Improvviso, questa volta incredibilmente vicino.

"CHI DIAVOLO SEI?! MOSTRATI DANNAZIONE! DOVE MI HAI PORTATO?!"

Gridò, le parole riverberanti quanto i pensieri, voltandosi freneticamente per individuare l'origine di quella orrenda voce. Ma la creatura non si mostrava; sempre, ad ogni guizzo d'occhio, egli la sentiva spostarsi oltre il confine della vista. Ma era lì... era prossima. Se avesse guardato da una parte, ed allungato il braccio dall'altra, si disse, sarebbe riuscito a sentirla... ma quando tentò, agitandosi in quella frenesia, non raccolse altro che aria.
L'essere era dentro di lui... forse parte di lui. Eludeva ogni suo senso con precisione perfetta, gli leggeva nel pensiero, diceva esattamente quello che Hideyoshi temeva dicesse. Non c'era altra spiegazione, era impazzito.
Per lunghi secondi la creatura nella sua testa non proferì altra parola, limitandosi ad evitare i suoi sensi mentre questi, sbracciandosi allo stesso modo del corpo, cancellavano luci ed ombre attorno a lui, mutilando quanto di quella scenetta avesse ancora una parvenza di realismo.


"Datti una calmata, altrimenti scombini tutto... che cavolo, pensavo ti sarebbe piaciuto.
Uno fa tanta fatica per imparare la lingua, per essere simpatico... ti poteva andare peggio, sai? Qui dentro è pieno di tizi che se ne fregano.

Ehhh... ok, aspetta. Pure questa mi tocca fare."


Lentamente, di fronte agli occhi di Hideyoshi l'oscurità e la foschia iniziarono a prendere forma. Un condensarsi progressivo, indipendente rispetto alle aspettative o ai desideri di chi guardava. La prova definitiva che quell'entità esisteva fuori della sua mente.
Presto, al posto di quel rimestare indistinguibile sarebbe apparsa una figura dai tratti umani. Difficile dire quali fossero stati i criteri di scelta dell'entità, anche perché, prima che acquisisse corpo, il Cantore non avrebbe saputo dire se la voce fosse maschile o femminile. Sta di fatto che gli apparve vestita di abiti variopinti, i capelli e la barba un groviglio arruffato di nero e castano. Si curò di aggiungere un gran numero di dettagli al proprio aspetto, molti dei quali difficilmente distinguibili nella luce mutevole del luogo, ma, complice con ogni probabilità la situazione stessa, l'insieme non gli riuscì particolarmente realistico. La figura appariva umana, ma la pelle di buona parte del volto era tumefatta, grigiastra, mentre quella del braccio sinistro appariva nera, squamata, invadendo l'intera mano quasi fosse stata appena ficcata nei carboni ardenti. Da quell'artiglio, risalendo la lunghezza dell'avambraccio, una lunga cicatrice, ancora madida, coronata di sangue raggrumato. La gamba destra era messa ancora peggio: Hideyoshi la vide di sfuggita, ma era chiaro come l'entità non si fosse curata di... completarla. Essa appariva praticamente priva di muscoli o pelle, scendendo dal ginocchio come essiccata, cornea.


"Allora? Che ne pensi?"

"Dove... dov-"

"Si, si, "dove sono?!", che palle... sei a casa mia. Chiamala... una dimensione parallela. Uuh, una dimensione parallela... cool, ma non dovresti essere qui, nel senso che quelli che vivono dalla tua parte qua dentro ci finiscono senza saperlo, e non ci restano mai a lungo... non nello stesso posto, perlomeno.
Tu invece ti sei andato a ficcare in un bel casino... ed eccoti qua, a parlare con me. Devi essere messo parecchio male."


Il viso sconvolto dello shinobi non dovette suggerirgli una maggior comprensione di quanta non ne avesse prima, ragion per cui, interrottasi per un istante, l'entità sospirò profondamente prima di avvicinarsi. Il Cantore fece per ritrarsi, ancora intimorito, ma l'altro non vi badò minimamente.
Lo raggiunse, sedendogli di fronte per scendere al suo livello.


"Si, c'hai preso. È stato il contatto con i miei simili a portarti qui. Onestamente non so dirti bene come sia possibile, ma ogni tanto succede.
Vieni, ti faccio fare un giro."


Gli estese l'artiglio carbonizzato, minimizzando riguardo l'intera situazione. Hideyoshi non ricambiò il gesto, continuando a rivolgergli quello sguardo sconvolto, incredulo. Nella sua mente una quantità indescrivibile di pensieri, di domande, molte delle quali non valeva nemmeno la pena porre: una dimensione parallela, aveva detto. Il cliché dei cliché. Doveva essere un sogno. Un delirio.
Sarebbero passati diversi secondi prima che, spinto da chissà quali forze, il ragazzo ricambiasse quella stretta. Forse per pura inerzia, per rassegnazione, o magari per malsana, mai sopita curiosità. Fatto sta che lo fece, e in quel contatto avvertì un brivido difficilmente descrivibile. Di nuovo il sangue gli andò al cervello, mentre l'entità lo issava in piedi, ma questa volta la risalita gli riuscì facile, priva delle pastoie che la convalescenza gli aveva inflitto.
Nella sua mente, tra il terrore e l'ignoto, una bolla. Un'increspatura, via via sempre più grande ed evidente, alta tanto da provocare un distaccamento. Tornato in posizione eretta, Hideyoshi realizzò di essersi lasciato indietro qualcosa. Forse sé stesso, forse il mondo che aveva appena abbandonato.
Guardò finalmente negli occhi l'uomo che aveva di fronte, ed egli fece altrettanto. Nell'orbita destra, prima completamente vuota, un bagliore rossastro.




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Clc38Op



Caverna di Ryuchi, profondità di Yu no Kuni, marzo 252 DN


Mmmmh-mmmmh... ci sei arrivato. Lo vedi che non sei stupido.

"Si, mia signora."

E non ti scordi le buone maniere, a differenza di quell'altro. Quell'altro era un vero buzzurro.

Hideyoshi aveva passato una vita all'ombra di Otomika. Talmente tanto che, ad un certo punto, aveva perso sé stesso nell'idea di doverne ricalcare la sagoma. Ailish aveva sperato di trasformare questa vocazione una realtà politica... il Segno, invece, di farne una realtà in tutto e per tutto.
Aveva odiato Otomika, l'aveva odiato per l'inganno ed il sopruso al quale lo aveva sottoposto; aveva ammirato Otomika, desiderando in ogni momento possedere un briciolo della sua forza, in ciò provando disgusto per sé stesso. Ammirazione e repulsione, costanti ed inestricabili, lo avevano accompagnato dall'adolescenza a quel momento. Non esisteva una via di mezzo, non se non incarnata dal suo stesso vivere: sentir pronunciare il nome dello Spettro gli faceva chinare il capo e rivoltare lo stomaco, ciascun moto assolutamente genuino e contrario all'altro, in un'ambivalenza tanto netta da spezzarlo in due.
"Quell'altro", l'aveva chiamato Hakuja. "Un vero buzzurro".


Otomika aveva la forza di diecimila uomini. L'unica cosa che valesse la pena rispettare. Per arrivare in questa stanza ha massacrato ogni uomo o serpente stupido abbastanza da sbarrargli la strada.
Era un vero predatore.


Ha rotto il cul-voglio dire, ha sconfitto anche te, se non ricordo male.

Manda emise un sibilo dei suoi, tanto sottile e profondo da incrinare il cristallo e trafiggere i timpani.

Ti ricordi malissimo, vecchia, come al solito. Se non si fosse fatto ammazzare da quella ragazzina, avrei avuto io il privilegio.

Mmmmh-mmmh, tragico... versami da bere, Yoshi-san.

Camminò lentamente verso il trono del Saggio, sollevando l'enorme brocca alla sua sinistra e versando il liquido bollente. Si avvertì camminare, muovere gli arti superiori; percepì il contatto rovente della ceramica sui suoi palmi... ma era ancora distante, nebuloso, condiviso con quel miserabile animale che abitava la Caverna. Aveva il suo volto e parlava con la sua voce, ma non era meno uno schiavo degli invasati che abitavano le gallerie superiori.
Eppure, da qualche tempo, qualcosa era cambiato; un punto di vista estraneo si era andato aggiungendo, capace di osservare il comportamento in natura di quell'essere, di descriverne le caratteristiche. Che fosse stato per il lento adattamento ai vapori della caverna, o solo per il semplice trascorrere del tempo, Hideyoshi era lentamente tornato, riconoscendosi all'interno di quel guscio pallido e molle, nei gesti e nei pensieri.
Palmo a palmo aveva ripreso possesso di una coscienza, scavando come un parassita. Lì, rinchiuso, aveva iniziato a guardare, a ricordare, sempre più riprendendo controllo di sé.
Forse sapevano, forse non sapevano: non avrebbe fatto l'errore di suggerirglielo. Non che ci fossero particolari strategie in atto: Hakuja e Manda, ma in generale gli abitanti di Ryuchi, avrebbero potuto farlo a pezzi indipendentemente dal suo essere capace di ribellione... ma l'avevano tenuto in vita sino a quel punto, ridotto in quello stato... a che scopo? Per divertimento? Per...


OI! Sveglia!

Il tè era strabordato fuori dal vaso, riversandosi in terra e scottandogli anche le dita dei piedi. Era servita la voce della vecchia perché se ne accorgesse, perché rimettesse in terra la brocca.

"Scusate, mia signora."

Non era forte a sufficienza... il morso lo ha consumato, come sospettavo.

Stronzat-ahem, fandonie. Sarebbe morto già da un pezzo. No, no, si sta solo riprendendo. Come IO sospettavo, il nerbo è lo stesso di quell'altro... almeno in radice. Ha assimilato la trasfusione a dovere. Adesso è solo questione di riprendere una forma definita.

Si, buongiorno, sto parlando di te.


Commentò, ricambiando lo sguardo inebetito dello shinobi. Impossibile per Hideyoshi guardarsi dall'esterno, prendere piena coscienza di come quelle creature lo avessero ridotto... ma poteva immaginarlo. Qualsiasi fonte di luce gli infliggeva un dolore fitto e costante, qualsiasi pietanza in forma non liquida gli era impossibile da digerire. La notte, nel silenzio umido e soffocante della caverna, gli capitava di toccarsi il volto, trovandolo madido e cedevole, la cartilagine non più resistente alla pressione di un pezzo di gomma.
Eppure era vivo. Nonostante tutto, nonostante lo stato in cui ricordava essere riemerso da Bousun, i Serpenti avevano mantenuto la loro promessa. Ma per quanto tempo lo avessero tenuto lì, per quanto ancora programmassero di farlo, impossibile dire.
Qualcosa, nelle profondità del suo stomaco, si contrasse in un moto di disgusto.


È un inutile spreco di risorse. Avresti dovuto scartarlo una volta esaurito il suo scopo, invece ci stai prendendo gusto. Troppo.
Questo non è un gioco.


Avvertì l'enorme rettile ritrarre le proprie spire, volgendo la propria figura verso l'oscurità che regnava nell'antro. Un massiccio spostamento d'aria ne accompagnò l'uscita di scena, assieme al crepitare della terra sotto il suo peso.
Rimasero, infine, soli.


Pfft... certo che è un gioco.

Torniamo a noi, Yoshi-san...


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Otogakure no Sato, 2 dicembre 252 DN


La neve ostruiva per larga parte la vista, affrontando una lotta senza fine contro il calore che si spandeva dall'interno. Lenta, fiocco dopo fiocco, montava l'assalto alla base della finestra come soldati alla breccia, perendo in un bagno di condensa ed immediatamente sostituendo la perdita. Il Cantore la osservava distratto, la mente ben lontana da simili valutazioni, porgendo la nocca dell'indice destro al contatto con il vetro gelido. La mano e il capo erano le uniche membra risparmiate alla copertura della pelliccia, godendo non meno della grande fiamma che ardeva nel focolare.
Fuori, distanti e velati dalla foschia, suoni ed immagini della vita che non aveva pensato di udire ancora.


"È un miracolo che tu sia qui. Nelle tue condizioni, non speravamo più di rivederti."

La voce di Yumi gli era altrettanto benvenuta, pur carica dell'usuale tono severo... o forse proprio per questo.

"Si. Avrei voluto essere qui... ma non ho avuto alternativa."

(Come sempre)

"Come sempre."

Sedette accanto a lui, allungando una mano per prendere il braccio ancora nascosto sotto il mantello. Lo tastò, lentamente analizzandolo con l'ausilio del Terzo Occhio.
Dopo qualche secondo, Hideyoshi sorrise.


"Il ritratto della salute."

La donna sospirò lentamente.

"Non sembri meglio di come ti ho lasciato. Ma nemmeno peggio, il che è... sorprendente. Hai una vaga idea di cosa ti abbiano fatto quelle creature?"

Ci hanno uniti.
(Silenzio.)

"Hanno fatto quel che volevano, come al solito. Ma Kinji Uchiha aveva ragione; il chakra naturale è riuscito a fare quello che nessuna terapia ha potuto. La mia mente è di nuovo integra, Yumi-dono... come non lo è stata fin dal giorno in cui mi hai salvato, cinque anni fa. Il mio corpo, in qualche modo, seguirà.
Gli devo la vita."


"In qualche modo...
Devi anche a me la vita, ricordatelo. La devi anche al villaggio. "In qualche modo" non basta. Non hai idea-"


La porta si aprì di scatto, rivelando la figura di Hiroga e quelle di numerosi altri alle sue spalle, avvolte da un brusio concitato. Lo shinobi si era lasciato crescere la barba, che ora avvolgeva il viso in un manto biondo ed ispido. Sotto, tuttavia, l'espressione di sorpresa era impossibile da nascondere.

(Discreto... sanno già tutti che sono qui?)

"PORCA-"

Lanciò uno sguardo a Yumi, soffocando quell'impeto praticamente sul nascere. Allora si voltò verso gli altri, mimando doverosità.

"Shh, via! Tornate a lavoro!"

Quindi, chiusa la porta, gli si fece a sua volta incontro, riprendendo la stessa identica espressione di prima. Il Cantore non poté non sorridergli di rimando.

"Porca puttana sei vivo. Sei vivo! Kami... avevamo scommesso.

Ah-eh... io ho sempre scommesso che ritornava, sia chiaro."


Confessò, lanciando occhiate alla Dominatrice delle Sabbie ogni parola per due.

"Sono vivo. Ancora.
Avete fatto un ottimo lavoro in mia assenza."


"Come fai a dirlo?"
"Certo che abbiamo fatto un buon lavoro."


Un secondo di silenzio, quindi fu Yumi a riprendere in mano la conversazione.

"Sei tornato da mezz'ora. Dobbiamo discutere di un enorme numero di questioni, prima tra tutte la situazione che sta attraversando l'intero Continente."

Non gli sarebbe servito un rapporto dall'intelligence del Suono per intuire che qualcosa, decisamente, non andava. Sotto le avvisaglie di una vita normale, civile, al suo ingresso al villaggio il Kokage aveva avvertito pesante il sentore di una minaccia incombente. Il Suono, più di altri villaggi, vi era sventuratamente abituato, ma Hideyoshi aveva attraversato abbastanza catastrofi da riuscire a percepirne la diversa intensità.
Il silenzio per le strade, le luci assenti dietro le finestre, gli sguardi della gente... per quanta della propria sofferenza egli potesse inconsciamente proiettare all'esterno, Hide era abbastanza sveglio da capire quando essa gli fosse davvero estranea.


"Hai ragione, come sempre...
Dove sono gli altri? Vorrei parlare con tutti quanti."


Yumi trasse un nuovo sospiro, appoggiandosi allo schienale della propria sedia prima di riprendere parola. Il tono, nonostante quella pausa, come sempre non mutava.

"Kira-san, non è qui, come al solito. Non fosse per il fatto che invia rapporti costanti, saprei meno di lei di quanto non ne sappia di te. Yukai-dono è in Accademia. Kuro-san è in studio, ma è stato informato del tuo ritorno."

"Non si è nominato Secondo Taisho, nel caso te lo stessi chiedendo, AHAHAHAHA-ahem."

Seguì un ennesimo, lungo momento di silenzio, fin quando lentamente, per lo sgomento dei presenti, il Cantore si lasciò andare ad una breve risata. Un moto genuino, proveniente da chissà quale, recondito anfratto della sua coscienza. Qualcosa di tanto semplice e tanto distante, inusuale, che Yumi ed Hiroga lo guardarono come se fosse in fin di vita.
Dovevano essere passati dieci anni da quando aveva trovato l'ultima volta le forze per ridere. Di qualcosa, di sé stesso.
Forse anche di più.


"D'accordo. Andiamo noi da lui, allora."

Edited by Sir Onion - 7/1/2022, 23:41
 
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