Superare i dubbi!, Hikaru Kamiya - Sessione Autogestita Speciale (Recupero PG e Time Skip)

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view post Posted on 7/11/2020, 17:52     +1   -1
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C
i sono momenti nella vita in cui inizi a dubitare di tutto, almeno a me succede spesso. Dubito su tutte le certezze che ho, ad esempio: chi penso che mi ami, mi vuole bene davvero? Il paese in cui vivo è davvero così pacifico come sembra? O nasconde qualcosa di oscuro? Sono davvero una brava ragazza? O lo penso soltanto? Come mi vedono realmente le persone che mi stanno accanto? Mi reputano simpatica? Sono davvero simpatica? Makigai è davvero una lumaca? O è soltanto un budino rosa che un giorno ho deciso di posare sulla mia spalla? C’è da dire che effettivamente parla e si muove… ma se lo stessi solo immaginando? Beh, forse adesso sto esagerando, ma a volte questi pensieri mi frullano davvero per la testa.
Alcuni affermano che questo modo di ragionare è sintomo di una profonda insicurezza, io però non la penso così. Credo che mettersi in dubbio possa portare a consolidare le proprie certezze, perché chi non si mette mai in dubbio, finisce per avere una visione distorta di se. Come quelli che pensano di essere bravi in qualcosa, voglio dire: se non si mettono mai in dubbio, senza mai chiedersi “sono davvero bravo?” come fanno a sapere esattamente se sono realmente bravi? Magari gli basta sapere che sono migliori di altri, ma ciò non toglie il fatto che possa esserci qualcuno di migliore.
Tuttavia, in questi momenti, per sconfiggere i miei dubbi mi ritrovo sempre a ripassare quelle che sono verità assolute e da lì confermare pian piano quelle che sono le mie certezze. Innanzitutto sono Hikaru Kamiya e questo è sicuro, sono un ninja del villaggio della Foglia, nel paese del Fuoco. Sono nata albina, una patologia che consiste nella mancanza di melanina nel corpo, ovvero la sostanza che “da colore” ad una persona. Ovviamente non serve solo a questo la melanina (che medico sarei a pensarla così?), ma vi risparmio la definizione medica. Quindi sono quasi completamente bianca, la mia pelle è estremamente pallida e così i miei capelli e la peluria del mio corpo, per questo motivo sono stata vittima di molti scherzi durante la mia infanzia. Sono figlia di Haru e Mizuki Kamiya, i migliori genitori che potessi avere e viviamo tutti insieme in una modesta casetta in periferia del villaggio, vicino alla foresta. Sono anche un medico e credo di avere delle capacità sopra la media in questo campo, almeno così dicono in molti, compreso il mio Maestro Kinji Uchiha, che ultimamente sostiene che il mio chakra sembra funzionare diversamente rispetto agli altri comuni ninja. Lo ha potuto constatare perché è dotato di una potente arte oculare e ha avuto modo di vedermi in azione mentre utilizzavo una tecnica curativa. Però la sua valutazione mi lascia perplessa: mi fido della sua arte oculare, non lo metto minimamente in dubbio, ma mi fido di meno della sua gentilezza. Lo conosco poco e siccome mi sembra estremamente gentile, può darsi che mi abbia voluto consolare e tirarmi un po’ su di morale facendomi sentire importante e unica, magari è il modo di trattare i suoi allievi affinché credano nelle loro capacità.
Una delle certezze sulle quali non sento di dubitare, però, è la mia volontà di essere d’aiuto alle persone: prendermi cura di qualcuno mi fa sentire bene e mi spinge a dare il meglio di me, per questo ho deciso di intraprendere la carriera del medico. Anche perché un giorno spero di curare mio padre che a causa di un incidente si ritrova paralizzato dalla vita in giù.

È così che voglio portare un insegnamento nel mondo ninja, voglio dimostrare come in un mondo dominato da contrasti e violenza, si possono raggiungere obiettivi anche con la pace, con le buone maniere, con la diplomazia: curare e non ferire; difendersi e non contrattaccare. Questo col tempo è diventato il mio Nindo. Qualcuno sostiene che il mio sogno è impossibile da realizzarsi, ma cosa è davvero impossibile? Non ci si allena una vita per diventare i più forti? Ognuno affina le proprie tecniche per far sì che non si venga sconfitti da qualcun altro, ed io voglio fare la stessa identica cosa. Voglio allenarmi e affinare le mie tecniche per rispettare e raggiungere il mio obiettivo.
Mi sento sempre un po’ ridicola al pensiero di aver dubitato delle mie certezze, dopo averle recuperate, ma credo che sia il giusto prezzo per rafforzarle.


Entrai in casa pian pianino facendo attenzione a non fare troppo rumore, era sera e spesso mia madre andava a letto presto e non volevo rischiare di svegliarla. Chiusi la porta alle mie spalle e trovai i miei genitori seduti intorno alla tavola a sorseggiare un tè. Li salutai con un grosso sorriso, mi tolsi le scarpe e mi diressi verso di loro per unirmi alla tavola. Fui contenta di trovarli lì, perché avevo una grande voglia di raccontare loro cosa mi disse il Maestro Kinji poco prima.

Hai la faccia di qualcuno che non vede l’ora di dire qualcosa!

Disse mio padre leggendomi negli occhi come era solito fare.

Ed è proprio così papà.

Risposi euforica mentre versai il tè in una tazza e passai una foglia a Makigai sulla mia spalla, ne andava ghiotta.

Ho visto il Maestro Kinji prima e mi ha confermato una cosa che mi accennò già tempo fa.

Mi fermai per sorseggiare e con la scusa osservai i miei genitori per constatare se erano incuriositi e vogliosi di sapere cosa avessi da aggiungere. Mi fissavano impazienti, così continuai.

Voi sapete che il Maestro Kinji è del clan Uchiha, tempo fa mi vide utilizzare una tecnica curativa con il suo Sharingan notando qualcosa di particolare. Disse che il mio chakra era più luminoso rispetto agli altri e che questo influiva molto sull’effetto della tecnica. Inizialmente non gli diedi molta importanza, sinceramente, mi sembrò solo molto gentile da volermi un po’ lusingare. Poco fa l’ho incontrato al chiosco, mi ha offerto una tisana e mi ha chiesto di infondere il mio chakra nella tazza, inizialmente sembrava non fosse successo nulla, ma poi assaggiando la bevanda è risultata molto più dolce rispetto a prima. Capite che significa? Questa è la prova che dimostra davvero la diversità del mio chakra! Non ha intaccato minimamente né la tazza e né la tisana, ma ne ha modificato la proprietà. Un cambiamento interno, non visibile. Questo è il proposito che mi sono sempre prefissata: un cambiamento che deve avvenire all’interno di noi. Solo così il mondo può sperare in una vera pace!!! È come se il mio chakra rispettasse la mia volontà! Non è bellissimo?

Ripresi a sorseggiare e a fissarli per raccogliere le loro reazioni, ma qualcosa mi fece cambiare subito umore. Si guardarono sottecchi, quasi come se sapessero di più di quanto volessero dimostrare. A momenti mi sembrarono addirittura allarmati, anche se cercarono di nascondere la sensazione con dei sorrisi di circostanza. Diventai profondamente seria.

Cosa succede?

Niente tesoro, è una bellissima notizia.

Sdrammatizzò mia madre. La frase mi innervosì inaspettatamente, forse perché, per quanto tacita, non mi piaceva essere esclusa da una conversazione, soprattutto se questa includeva i miei genitori.

Perché mi trattate ancora da bambina? Davvero pensate che non mi sia resa conto della vostra vera reazione?

Mamma guardò preoccupata mio padre, mentre lui sospirò.

Credo che sia giunto il momento che tu venga a conoscenza di quanto sia accaduto, Hikaru…

Haru!

Lo interruppe mia madre.

Non serve a nulla rimandare Mizuki, nostra figlia è cresciuta abbastanza.

Sentii un profondo calore invadermi il corpo, non identificai la sensazione: paura? Preoccupazione? Rabbia? Sentivo che qualcosa di inquantificabile stava per sconvolgere la mia vita.

Dopo poco tempo dal nostro matrimonio, io e tua madre tentammo più volte di avere un figlio, senza molti risultati. Iniziammo a preoccuparci, così decidemmo di sottoporci a degli esami clinici. Grazie ai Kami, scoprimmo che eravamo entrambi in salute, ma riscontrarono in tua madre una lieve malformazione all’utero, non troppo rara, che le avrebbe arrecato difficoltà nel rimanere incinta. Tuttavia non fummo scoraggiati e continuammo a provare, finché ben presto Mizuki mi comunicò di essere in attesa di un bambino.

Si guardarono sorridendo e rivivendo il momento, mentre si presero per mano.

Fummo davvero contenti e l’averti in grembo mi rese la donna più felice della terra. Così dopo una splendida gravidanza nacque la nostra bellissima bambina. Tuttavia capii subito che qualcosa non andava per il verso giusto, i medici non riuscirono a farti piangere e iniziarono ad allarmarsi, probabilmente la malformazione all’utero ti arrecò dei danni. Così ti portarono in un’altra sala operatoria e dopo qualche minuto tornasti con loro piangendo forte come una qualsiasi altra bimba.

Concluse sorridendo. Tirai un sospiro di sollievo, volendo illudermi che ciò fu quanto avevano da dirmi, ma seppi in cuor mio che c’era dell’altro.

…tornasti albina, Hikaru.

Il fiato mi si spezzò in gola.

C-Che si-significa?

Appena nata, avevi la mia stessa carnagione olivastra e i capelli neri di tua madre.

La mia mente fu così in preda alla confusione che non riuscì a elaborare le informazioni che ricevette. Il mio viso andò in fiamme e la mia vista si annebbiò. Sentii un tale nodo in gola che mi venne estremamente difficile parlare.

M-Mi state dicendo che non sono vostra figlia? S-Sono solo il RIMPIAZZO DELLA VOSTRA VERA FIGLIA???

Non mi resi conto che iniziai ad urlare, mentre colpii forte il tavolo con le mani.

No, tesoro! Tu sei la nostra vera bambina!!!

Singhiozzò mia madre.

Calmati e lasciaci spiegare.

Intimò mio padre con un cenno della mano.

Nel momento in cui ti portarono in sala operatoria per rianimarti, strinsi forte il ciondolo che mi regalò mia madre, quello che porto tutt’ora al collo. Iniziai a pregare intensamente i Kami, scongiurandoli di non portarsi via la bimba che desiderammo ardentemente ed essi mi ascoltarono.

Continuò a tergiversare e la mia agitazione crebbe sempre di più in me. Ero impaziente, desiderosa di conoscere la fine del racconto. Così aprii bocca per ribattere, ma un altro cenno di mio padre mi bloccò.

Hikaru anche per noi è difficile parlarne, abbi pazienza e rispetto.

Dapprima fui infastidita da questa osservazione: a me furono nascosti degli eventi importanti riguardanti la mia vita, non a loro. Avevo tutte le ragioni di essere infastidita, ma non potei che provare ammirazione per la saggezza di mio padre, nonostante tutto.

Non fummo presenti all’accaduto perché in sala operatoria ebbero accesso solo i medici, ma uno di loro ci raccontò cosa successe.

Fecero di tutto per rianimarti, non capivano come mai non riuscissi a respirare, provarono ad indurre la respirazione con delle manovre e dei macchinari, ma non ottennero risultati. Finché il tuo cuoricino smise di battere.

Non so come di solito qualcuno prende la notizia della propria morte prematura, ma io non feci nulla. Non seppi cosa provare, magari non fu neanche qualcosa di così sconvolgente, d’altronde sono viva e vegeta e qualsiasi cosa fosse successa, l’ho superata egregiamente. Eppure sentii che dentro di me qualcosa avvenne: immaginate di stare al centro di una grande fortezza, fatta da varie muraglie concentriche dove ad ognuna di esse c’è un solo cancello che consente la comunicazione ai vari recinti. Ecco sentii come se quei cancelli si stessero chiudendo tutti, uno dopo l’altro, da quello più vicino a me a quello più lontano, lasciandomi completamente sola al centro di quell’enorme fortezza.
Il mio viso apparve completamente apatico, anche se avvertivo le guance umide, quindi immaginai che vennero solcate da qualche lacrima.


A quel punto un’infermiera fu incaricata di venirci a comunicare il decesso, ma una luce accecante invase la stanza, furono così abbagliati che non riuscirono a vedere nulla. Ma iniziarono a sentire il pianto di un bambino, anzi di una bambina ed eri proprio tu. Quando tornarono a vedere, trovarono te sulla barella che ti agitavi. La tua pelle scura si riempì pian piano di chiazze sempre più chiare e la folta peluria nera in testa, ciocca dopo ciocca, divenne platino.

Luce, tu sei un dono dei Kami, non guardare la tua patologia come un difetto, ma bensì come un pregio! Perché i Kami ti proteggono con la loro luce e in te Luce, non c’è nessun tipo di oscurità.

A quelle parole ebbi un tonfo al cuore: erano le parole che mio padre mi ripeteva spesso sin da quando ero piccola. Continuò a ripeterle ogni qualvolta fui giù di morale per via degli scherzi che mi fecero gli altri bambini, oppure ogni qualvolta non riuscii ad accettare la mia diversità. Le interiorizzai pensando fossero una consolazione, un modo per darmi forza, ma in quel momento suonarono alle mie orecchie con un significato completamente diverso. Ero davvero tanto confusa e non seppi come reagire, rimasi lì a fissare il fondo della tazza dove era rimasto ancora del tè, freddo ormai. Anche i miei genitori sembrarono scossi: mia madre si lasciò andare ad un pianto silenzioso e liberatorio, non fu facile per lei mantenere un segreto del genere e finalmente se ne liberò; mio padre aveva un’espressione torva, lui più di chiunque altro capiva i miei stati d’animo e fui sicura che in quel momento si preoccupò maggiormente per ciò che stavo provando e per ciò che avrei potuto fare.
Mi alzai di scatto e mi avviai verso la mia camera, avevo bisogno di stare da sola per riflettere, mio padre si sporse sul tavolo per cercare di afferrarmi un braccio, voleva sicuramente aggiungere qualche parola di incoraggiamento. Strattonai la sua mano, facendogli perdere l’equilibrio e cadde su un fianco.
Reagii in un modo che non mi sarei mai aspettata da me stessa: in condizioni normali, l’avrei subito soccorso e aiutato a rialzarsi, sapendo che non poteva farlo da solo, ma mi fermai a fissarlo per poi voltarmi e continuare il mio passo per chiudermi a chiave in camera mia.
Il senso di colpa per la grave mancanza di rispetto che dimostrai a mio padre, si andò ad aggiungere a tutte le altre emozioni che mi vorticavano nel petto. Soffriva molto per la sua condizione e sapevo che quel mio gesto lo avrebbe ferito. Non meritò affatto quell’atteggiamento, ma sentii come se il mio cervello si fosse bloccato, non riuscii a metabolizzare le informazioni ricevute. Probabilmente qualcuno di più lucido avrebbe potuto vedere le mie reazioni come esagerate e forse lo furono, ma anch’io venni ferita e volevo che pure loro potessero provare ciò che provavo io. Un atteggiamento del tutto infantile, lo riconosco, ma in quelle condizioni non riuscivo ancora a rendermene conto.


Sentii i miei discutere fuori dalla porta, solitamente prestavo attenzione a cosa dicevano per capire la conversazione, ma in quel momento non mi importò nulla. Mi lasciai cadere supina sul letto e iniziai a fissare il soffitto, versavo in uno stato di confusione tale che non capivo più cosa stavo provando.

Hikaru?

Provò a stimolarmi Makigai, ma non le risposi, non mossi neanche un muscolo. Così pian piano lasciò la mia spalla e si andò a rintanare nel cassetto del comodino vicino il mio letto, che tenevo appositamente libero per lei.

Innanzitutto sono Hikaru Kamiya e questo è sicuro? Sono un ninja del villaggio della Foglia, nel paese del Fuoco. Sono nata albina… No! Non sono nata albina, lo sono diventata… perché? Che senso ha? Come è possibile acquisire una patologia del genere dopo la nascita? Sono figlia di Haru e Mizuki Kamiya? Crederanno davvero a questa storia? E se invece i medici mi hanno rimpiazzata alla loro vera figlia e si sono inventati questa messinscena per mascherare la loro negligenza? Sono ancora i migliori genitori che potessi avere? Non lo so… Ma forse sì! Non posso dubitare del loro amore… ma perché mi hanno nascosto una cosa del genere? Perché tutto mi appare diverso da come sembra?

Persi le mie certezze, quelle verità assolute che mi servivano per contrastare i dubbi e divenni così vulnerabile ai tranelli della mia mente che ogni cosa mi apparve distorta, anche la più lieve sensazione. Riconobbi il bisogno di reagire, di razionalizzare, come di consueto facevo.

Tutto è cominciato perché ho raccontato le novità del Maestro Kinji, ma non riesco a capire perché hanno deciso di rivelarmi gli episodi della mia nascita dopo avergli parlato della particolarità del mio chakra. Non riesco a trovare un collegamento, un nesso logico… Aspetta!

Di scatto mi misi seduta sul letto.

Papà dice sempre “i Kami ti proteggono con la loro luce”… Ci sono! I miei genitori collegano la particolarità del mio chakra alla benedizione che ho ricevuto dai Kami. Attribuiscono a loro la mia singolarità.

Ricaddi sul letto, sentii un groppo in gola e avvertii la voglia di piangere, ma mi costrinsi a non farlo.

La voglia di aiutare il prossimo e la speranza di portare la pace nel mondo ninja, sono davvero io a provarle? O sono anch’esse cose instillate in me dai Kami, come il chakra e la vita stessa. Devo concludere dunque che ciò che mi caratterizza è qualcosa che non mi appartiene… Chi sono io allora?

Fu una notte insonne, i pensieri e i dubbi non mi lasciarono riposare. Mi resi conto che era mattina solo perché i primi raggi del sole iniziarono a illuminare fiocamente la stanza. Non avevo idea di come fare ad affrontare la giornata o il resto che avevo da vivere della mia vita, sapevo solo che volevo togliermi i dubbi che mi ronzavano in testa.
Così ha sempre funzionato la mia mente: presentato il problema inizio una serie di ipotesi e di contro-ipotesi su cosa potrei fare per risolverlo, così stilo uno schema con le ipotesi che ritengo più appropriate e mi faccio una scaletta dei passi che devo rispettare. Non sempre mi riesce e quella volta non fui in grado di elaborare nulla, ma decisi di cominciare da qualcosa che ritenevo decisamente importante.
Uscii dalla mia stanza e mi diressi in camera da letto dei miei genitori dove regnava un pesante silenzio. Probabilmente anche loro non riuscirono a riposare, mi avvicinai a mio padre e mi stesi sopra di lui, avvolsi le mie braccia intorno al suo collo e poggiai la testa sul suo petto, lui ricambiò il mio abbraccio e mia madre poggiò la sua mano sul mio capo. Come immaginavo erano entrambi svegli, non pronunciammo neanche una parola, lasciammo che quel momento fosse l’unico a parlare. L’unica certezza alla quale decisi di aggrapparmi fu quell’amore.
L’odore della pelle di mio padre e il calore della mano di mia madre mi aiutarono a rilassarmi, poi mi alzai e li lasciai riposare. Non credo che avessero dubitato del mio amore, così come feci io con il loro poco prima, ma sicuramente dopo quell’abbraccio avrebbero potuto riposare più serenamente. Andando in cucina notai il ciondolo di mio padre sul tavolo, lo presi in mano e lo fissai: un cerchio fatto di pietra di giada con un’incastonatura in oro raffigurante una gru. Non se ne separava mai e ormai lo conoscevo così bene da capire il motivo per il quale lo lasciò lì: voleva che lo tenessi io. Probabilmente era questo che voleva fare quando lo lasciai per terra, senza aiutarlo a rialzarsi.


Kami-chan?

Mi voltai verso Makigai, lasciandomi scoprire mentre versavo una lacrima di rammarico per ciò che feci la sera prima.

Perdonami Maki per come mi sono comportata anche con te ieri sera.

Non c’è nulla di cui tu debba essere perdonata. Capisco molto bene come ti senti… e a volte abbiamo bisogno di stare soli con noi stessi.

Mentre aspettavo che il mio piccolo budino rosa finì di arrampicarsi fino alla spalla, indossai il ciondolo, poi uscii di casa. Era ancora l’alba e c’era un solo posto dove volevo andare per riflettere: il monte dei Kage, da dove si poteva ammirare il sole sorgere pian piano e osservare tutto il villaggio di Konoha. Lo raggiunsi in meno di mezz’ora, mi sedetti su una roccia e lasciai che i raggi tiepidi del sole accarezzassero il mio corpo, chiusi gli occhi e presi un profondo respiro. Poi alzai il ciondolo e l’osservai.

Cosa c’è raffigurato sopra?

È una gru.

Mmmh… ha un aspetto molto particolare.

Questo stile di manifattura veniva utilizzato tra gli artigiani dei Guan-Shen, è come se fosse una loro firma.

I cosa?!?

Guan-Shen, era un’antica tribù nomade. Fino a circa un paio di decenni fa rimaneva una piccolissima rappresentanza che si era stanziata nel Paese della Cascata, ora credo non esistano più dei componenti ancora in vita.

Ooooh… Come fai a sapere tutte queste cose?

Vanto una buona conoscenza in campo di culture religiose, infatti conosco i Guan-Shen perché erano famosi principalmente per il loro culto alle divinità della luce.

Aggrottai improvvisamente la fronte, quasi come se ci fosse qualcosa di importante che avevo proprio davanti ai miei occhi e che non riuscivo a cogliere. Abbassai il ciondolo e fissai il sole che stava nascendo.


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Il cielo abbracciava la superficie dell’acqua di un grande stagno e i due elementi diventavano uno, separati al centro da un grande sole che tingeva tutto d’oro con la sua Luce. Una grande Gru cantava il suo lamento, con voce vissuta e lingua incomprensibile. Il suo sguardo incontrava il mio e nei suoi occhi potevo vedere il mio riflesso. La mia anima era attratta, scalpitava per uscire dalle mie membra in quel canto che le mie orecchie non potevano comprendere, ma che faceva piangere il mio spirito. L’ombra non esiste. L’ombra è solo assenza di Luce. È la Luce che rende visibile l’ombra. È la Luce che accarezza l’essere e lo rende possibile. Senza di essa, il tutto è nulla. Il tutto è nulla.




Ehi! Kami-chan? Tutto bene? Hai l’espressione di qualcuno che ha visto un fantasma.

Credo di aver capito!

Mi alzai di scatto e pulii la polvere dai vestiti.

Cosa hai capito?

Ti spiego per strada.

Scattai sulla via verso casa di tutta fretta. Non avevo acquisito ancora per intero la mia lucidità mentale, mi sentivo ancora abbastanza confusa, ma avevo degli indizi su cui basarmi. Le informazioni iniziarono a mettersi al loro posto.
Entrai in casa e trovai i miei a tavola che facevano colazione, cercarono subito di avere un confronto con me, ma li rimandai mentre entrai in camera mia. Dovevo loro delle spiegazioni, ma non volevo farlo frettolosamente. Così preparai lo zaino grande che di solito usavo per le missioni che richiedevano più giorni e lo riempii con tutto l’occorrente per un viaggio, lo misi in spalla e poi tornai in cucina.


Hikaru, dove vai?

Quell’interrogazione mi pesò davvero tanto, non avevo riflettuto molto sulla separazione, ma ciò che ancora di più mi pesava era il non avere una risposta sicura a quella domanda.

Va in cerca di risposte.

La capacità di mio padre di trovare le parole giuste al momento giusto, mi aveva sempre attratto, avrei sempre voluto essere saggia almeno la metà di lui. Era proprio come diceva, mentre pensavo ad un luogo o un posto preciso per concretizzare ciò che avevo in mente e dare così una risposta a mia madre, lui andava dritto al fulcro della questione comprendendo cosa il mio cuore stava realmente cercando: risposte.

Mamma, papà… Non voglio minimamente che voi dubitiate del mio amore per voi. Il vostro amore è al momento l’unica certezza che ho ed è ciò che mi sta dando forza. Sapete benissimo come io tendo ad essere sempre molto razionale e riflessiva nelle cose che affronto, ma questa volta voglio farmi guidare dall’istinto. Quindi non so esattamente dove sto andando, ho solo degli indizi, ma in qualunque caso saprò cavarmela.

Sentivo il bisogno estremo di piangere e di sfogare parte di quello che provavo dentro, ma non volevo. Volevo dimostrare di essere cresciuta sufficientemente da dominare le mie emozioni e di essere adulta abbastanza da poter affrontare un viaggio come quello che mi stavo accingendo a compiere. Sicuramente andarmene per un periodo imprecisato, avrebbe dato loro una profonda preoccupazione, appunto per questo non volevo lasciarli con l’immagine di una frignona. Era giunto il momento di cambiare.
Aprii la porta e uscii appena fuori l’uscio e senza voltarmi mi rivolsi a loro.


Vi voglio bene…

Ed accelerai il passo. Forse apparentemente potrebbe sembrare una separazione fredda e priva di sentimenti, ma dopo tutte le emozioni che avevo vissuto nelle ultime ore, iniziò a nascere in me la voglia di dare il giusto peso alle cose: seppure una separazione, quello non era un addio! Forse avrei impiegato pochi giorni, qualche mese o addirittura degli anni, per trovare le risposte che stavo cercando, ma alla fine sarei tornata comunque a casa mia, dai miei amati genitori.
Ormai ero lontana da loro ed ero quasi vicina ai cancelli del villaggio per avvisare i ninja di guardia della mia partenza, perciò non sentii mai le parole che si scambiarono.


La rivedremo?

Certo che la rivedremo Mizuki, d’altronde sta succedendo esattamente tutto ciò che avevo previsto.



~~~





Dal paese della Cascata mi aspettavo principalmente rocce ricoperte di muschio e tanta umidità, invece rimasi piacevolmente sorpresa nel percorrere lunghe praterie verdeggianti attraversate da fiumi che si interrompevano per dar inizio prima a delle splendide colline tondeggianti e poi a delle alte montagne leggermente innevate. Dovetti superare l’intera montagna, perché avevo letto su diversi documenti che i Guan-Shen si erano stanziati sul versante opposto del monte che ospitava il villaggio della Cascata: quello che si affacciava sul mare del nord. Non sapevo dove era esattamente ubicato il villaggio dei Guan-Shen, ma per intuizione immaginai che essendo un popolo che venerava la luce, non poteva che stanziarsi molto vicino alla vetta della montagna, dove la coltre di nuvole non ostruiva i raggi del sole. Impiegai diverso tempo per trovarlo, probabilmente passò una settimana o più dalla mia partenza da Konoha, il pericolo delle bestie codate imperversava ancora nel mondo ninja e dovetti essere molto cauta a raggiungere quelle terre. Pochissime case, ormai abbandonate, facevano da contorno ad un tempio non troppo sfarzoso alle pendici del picco più alto. Era evidente da ciò che rimaneva del villaggio che i suoi abitanti dovevano essere una tribù di gente pacifica, perché non c’erano muraglie o recinzioni e l’agglomerato non era stato costruito in un posto così nascosto o difficile da raggiungere. In effetti non mi aspettavo altro da un popolo per lo più di religiosi.
Un leggero strato di neve ricopriva il terreno e avvicinandomi al tempio notai che erano presenti delle impronte che disegnavano dei percorsi in zone strettamente limitrofe. Mi aspettavo di trovare il luogo completamente abbandonato e invece qualcuno ci abitava ancora. Raggiunta la porta bussai e nel farlo mi accorsi che era aperta.


È permesso?

Dissi varcando la soglia lentamente e guardandomi intorno per cercare di individuare qualcuno.
La stanza in cui mi ritrovai non era eccessivamente spaziosa per un tempio, ma era comunque abbastanza ampia, illuminata da alcune vetrate presenti solo sul soffitto. Una serie di cuscini era poggiata sul pavimento difronte un grande altare. Quest’ultimo non era per niente sfarzoso, rappresentava la figura di una donna intagliata grossolanamente nel legno, dalla sua nuca si diramavano in un cerchio tanti rametti dorati a formare una sorta di emanazione luminosa. Dietro la statua c’erano tre porte: una grande a due ante proprio alle spalle della figura in legno e altre due più piccole, una alla destra e una alla sinistra di quella grande. Ben presto dal piccolo uscio di destra fece capolino una simpatica signora anziana, incuriosita dalla mia voce.


È benvenuto chiunque voglia investire il proprio tempo nella preghiera.

Feci un inchino in segno di rispetto.

Buongiorno! Ehmmm… no, in realtà non sono venuta per pregare, sono giunta fin qui per… per… beh, ecco… Non so neanche io esattamente perché sono qui, in realtà non mi aspettavo neanche di trovare qualcuno.

La signora si avvicinò a me a piccoli passetti e mi guardò strizzando gli occhi, probabilmente per cercare di mettere meglio a fuoco il mio viso, a qualche passo da me spalancò le palpebre e iniziò a scrutare intorno a me, quasi come se la mia immagine occupasse più spazio rispetto a quanto ne occupava realmente, ma non vi badai molto. Aveva in mano un canovaccio da cucina e in effetti da quando aprì la porta entrò un ottimo odore di cibo.

Mi spiace averla interrotta, stava cucinando? Tolgo subito il disturbo.

Dissi indietreggiando.

Ma no, mia cara, nessun disturbo… è da tantissimo tempo che non ho il piacere di avere compagnia! Prego accomodati, pranza con me e non fare complimenti.

In effetti sentii lo stomaco brontolare e per quanto avessi ancora dei viveri, li conservavo per un viaggio di ritorno. Tuttavia c’era qualcosa di strano, probabilmente erano le mie paranoie da ninja, ma era evidente dal mio abbigliamento che fossi una kunoichi, eppure quella donna non sembrò minimamente allarmata, anzi mi invitò a pranzare con lei, senza titubanze. Forse avrei dovuto stare in guardia io stessa, magari quella signora nascondeva qualche segreto oscuro. La scrutai cercando di celare i miei intenti, aveva dei lunghissimi capelli bianchi raccolti in un grosso chignon sulla testa, tenuto da due lunghi fermagli a spiedo, indossava uno strano abito tradizionale bianco con dei ricami in oro, non ne avevo mai visto uno così. Parte del vestito era coperto da un grembiule da cucina e le lunghe maniche erano legate in un nodo dietro la schiena. Spesso anche la mamma faceva così per evitare di cambiarsi d’abito, legava le maniche del kimono dietro la schiena per avere maggiore comodità mentre cucinava. Il suo viso era solcato dall’età in maniera evidente, ma tra le tante rughe si poteva vedere un po’ di trucco sotto gli occhi, probabilmente un simbolo tipico della sua tribù che contrassegnava il suo grado. Più la osservavo e più il sospetto nei suoi confronti spariva: mi sembrò una semplice nonnina gentile e ospitale. Quindi non persi troppo tempo e accettai il suo invito a pranzo, mi fece cenno di seguirla e tenni il suo passo finché non varcammo la porticina da cui era uscita. Ci ritrovammo in una piccola cucina tutta rivestita di legno, con un basso tavolo quadrato e quattro cuscinoni, uno per lato. Nonostante entrasse uno spiraglio di luce da una piccola finestra opposta alla porta, quel luogo rimase ancora un po’ buio. La signora mi invitò a sedermi perché il brodo di pollo era quasi pronto e dopo una breve preghiera di ringraziamento ai Kami per il cibo, iniziammo a mangiare.

Sono proprio una maleducata, non mi sono ancora presentata, sono Masuyo e sono la sacerdotessa della tribù Guan-Shen… ciò che ne rimane…

Concluse borbottando.

Piacere! Io sono Hikaru Kamiya, kunoichi del villaggio della Foglia, nel paese del Fuoco.

Alla mia presentazione la signora sembrò sconvolta, perché sgranò gli occhi e le cadde la posata dalle mani. Probabilmente non era abituata a vedere ninja da quelle parti, di conseguenza non sapeva riconoscerli e forse fino a quel momento non aveva capito di averne difronte uno. O forse non si aspettava che una ragazzina potesse farsi da sola un viaggio così lungo. Tuttavia tornò subito composta e sorridente.

Cosa ti ha spinto a venire fin qui?

Non volevo che sapesse tutto, fui sempre restia a raccontare le mie cose personali ad altre persone, soprattutto se queste non le conoscevo abbastanza. Quindi decisi di dirle solo una parte della storia.

Mio padre mi ha dato questa collana che apparteneva a mia nonna.

Dissi mentre infilavo una mano nella maglia per tirare fuori il pendaglio.

Avevo letto su alcuni libri che questo genere di ciondoli venivano realizzati dalla tribù Guan-Shen e così sono stata spinta dalla voglia di conoscere le mie origini… per questo sono venuta fin qui.

Le mostrai la collana e la prese in mano per fissarla in lunghi secondi di silenzio. Imbarazzata, continuai.

Mi aspettavo di trovare un villaggio abbandonato ed ero pronta a cercare tra dipinti e vecchi manufatti. Sono contenta di aver trovato qualcuno con cui parlare. Cosa è successo a questa tribù e a questo villaggio?

Masuyo sembrò essersi rabbuiata parecchio da quando le diedi il ciondolo e forse farle ricordare le sorti del proprio villaggio avrebbe peggiorato il suo stato d’animo, infatti pentendomi della domanda mi accinsi a deviare la conversazione su qualcos’altro, ma lei si mise subito a parlare.

La tribù dei Guan-Shen ha origini antichissime e molto lontane da questi luoghi. Inizialmente era un popolo nomade, in cerca di seguaci che avessero voglia di ricevere la benedizione attraverso la Luce. Diventati troppo numerosi, si decise che le tre famiglie più antiche guidassero un proprio gruppo e così la tribù si divise. Ogni gruppo portava il simbolo della famiglia che le guidava: una carpa, una volpe e una gru.
Col passare degli anni, molti meno seguaci si unirono alle famiglie e i pochi esponenti rimasti decisero di stanziarsi, uno dei tre gruppi si fermò in questo posto, nel Paese della Cascata. Dal ciondolo avrai capito quale delle tre famiglie fondò questo piccolo villaggio.


Allungò il braccio per restituirmi la collana e l’immagine in oro della gru scintillò ai riflessi della luce del sole.

Lo stanziarsi, però, portò gli ultimi componenti del popolo della Gru a mettere su famiglia con gli abitanti dei villaggi vicini e lo stesso accadde per il popolo della Volpe e della Carpa. Così pian piano i Guan-shen si estinsero. Non so per le altre due famiglie, anche perché ne ho perso completamente i contatti, ma per quanto riguarda la famiglia della Gru, sono l’ultima rappresentante.

Con un’espressione triste, ma rassegnata, raccolse le ciotole dalla tavola e io l’aiutai con il resto.

Io non mi sono mai sposata, non ho figli e non ho una discendenza. Prima di me, la sacerdotessa era mia sorella maggiore e la speranza di vita di questo villaggio era in mano a suo figlio, ma questo conobbe una bellissima ragazza di un villaggio lontano e si sposarono. La guida spirituale dei Guan-shen è sempre stata una donna, quindi mia sorella avrebbe passato la nomina di sacerdotessa a sua nuora, ma il figlio si oppose e preferì andare a vivere nel villaggio d’origine della moglie. Per molto tempo riuscimmo a rimanere in contatto con loro e spesso vennero a trovarci, fino all’arrivo della grande sciagura chiamata Watashi dopo la quale perdemmo completamente i contatti. Continuammo a mandare lettere che non ebbero mai risposta, così iniziammo a temere una loro dipartita, mia sorella spirò con questa consapevolezza…

Non seguii per bene tutta la vicenda, mi preoccupai più per il suo stato d’animo perché le ultime parole le pronunciò fissando profondamente il vuoto davanti a se. Cercai quindi di cambiare discorso.

Mia nonna si chiamava Hotaru Kamiya, per caso la conosceva? Sa dirmi se era di questa tribù?

La signora si voltò di scatto e mi guardò profondamente negli occhi per degli attimi che sembrarono ore. La situazione iniziò a prendere una piega che non mi piacque affatto: mi sentii a disagio e Masuyo iniziò a mostrare un viso che mi mise un po’ in allarme.

Potremmo andare a vedere nell’archivio.

Non finì la frase che subito si precipitò fuori dalla porta e la seguii. Entrammo nel grande portone dietro la statua, la signora prese una lanterna e l’accese e iniziammo a scendere una lunga scalinata di un cunicolo spoglio. Sembrò quasi che stessimo raggiungendo il cuore della montagna. Ci ritrovammo presto davanti ad un portone di pietra: le ante senza maniglie erano aperte e presentavano degli strani segni incisi. Varcammo la soglia e ci trovammo in un’ampia grotta completamente buia e piena degli stessi segni presenti sulla porta. Masuyo raggiunse dei bassi scaffali riempiti da pochi faldoni, su una mensola vuota poggiò la lanterna e iniziò a cercare tra i titoli dei raccoglitori, poi ne prese uno.

Questo è il registro degli ultimi venti anni, dagli un’occhiata.

Disse liberandomelo tra le mani.

Io vado a controllare dei documenti in quella cassettiera laggiù.

Indicò un vecchio comodino vicino l’ingresso. Aprii quel faldone che conteneva pochissime pagine, questo a dimostrazione che negli ultimi venti anni il villaggio fu abitato da pochissime persone. L’occhio mi cadde subito sull’ultimo nome.

Haru Kamiya… ma è mio padre!

Sopra il suo nome era riportato il nome di Hotaru Kamiya e affianco a quest’ultimo c’era Masuyo Kamiya. Raggelai. Il collegamento tra ciò che mi disse la signora e ciò che lessi, fu immediato. Poi sentii un forte tonfo che fece tremare tutte le ossa del mio corpo. Mi voltai di scatto e vidi che l’enorme portone era chiuso e la signora non era con me. Lasciai cadere il registro per terra e mi precipitai alla porta, feci subito un tentativo per aprirla, ma quel portone era decisamente pesante.

MI FACCIA USCIRE!!!!

La voce delle mie urla e i tonfi delle mie mani contro la parete di roccia si dispersero cupi in quella grotta.

Sapevo che non dovevo fidarmi… ed ora che faccio?

Versai subito in uno stato confusionale.

Perché mi fa questo?

Passai le mani tra i capelli, nel disperato tentativo di mantenere la calma.

Se il suo racconto è vero, significa che sua sorella era mia nonna, quindi lei è la mia prozia! Probabilmente mi ha rinchiuso qua dentro per vendetta: non avrà accettato la decisione di mio padre di abbandonare il villaggio e di crearsi una famiglia a Konoha ed ora vuole farmi morire qua dentro per fargli un torto...

Mi guardai intorno per cercare qualcosa che mi potesse aiutare ad uscire, ma quel posto era completamente spoglio, tranne che per lo scaffale e il comodino. Buttai fuori tutti i cassetti: non c’era niente; poi cercai dentro le cartelle, ma trovai solo pagine piene di nomi.

K-Kami-c-chan!

La voce di Maki mi fece per un attimo tornare in me, era rimasta nascosta nella mia giacca per tutto il tempo, eravamo d’accordo che in presenza di sconosciuti rimanesse nascosta per sicurezza. Forse Makigai avrebbe rappresentato la mia speranza per uscire da quel posto, quella brutta vecchiaccia non aveva messo in conto un risvolto simile.

Maki, mi devi aiutare, quella signora ci ha chiuse qui dentro e…

K-Kami-chan… senti anche tu questa strana pressione?

Di che pressione parli? Che tipo di pressione?

Dissi agitata prendendola in mano.

Non sto affatto bene qua dentro Kami-chan… perdonami, non so che mi succede… so solo… che… devo andare via…

Fece appena in tempo a completare la frase che scomparve in una nuvoletta bianca. Da quando firmai il contratto con le lumache, Makigai era sempre stata al mio fianco e nell’istante in cui scomparve, sentii un pezzo della mia anima staccarsi. Era come se venissi privata di una parte del mio corpo. Un profondo senso di abbandono mi pervase e rimasi li ferma a fissare il vuoto. Poi sentii salire la rabbia dal mio ventre che arrivò fino al mio viso. Iniziai a sbattere contro il portone.

CHE COSA HAI FATTO A MAKIGAI??? FAMMI USCIRE BRUTTA STREGA!!!

Tutto quello che ottenni furono delle contusioni alle spalle e nient’altro.

Devo ragionare, calmati Hikaru! Calmati!!!

Poggiai le mani lentamente sulla parete di roccia e mi concentrai.

Sono un ninja… non devo dimenticarlo!

Raccolsi più chakra possibile nelle mie braccia e iniziai a spingere. Mi accorsi che i segni che ornavano le pareti iniziarono ad emettere un tenue bagliore in prossimità delle mie mani.

Cos’è una sorta di tecnica sigillante che reagisce al chakra?

Iniziai a fare numerosi tentativi impiegando un quantitativo di chakra sempre maggiore, ma finita la spinta i segni tornavano a spegnersi.

MALEDIZIONE!!!

Presi la lanterna e la scaraventai contro la porta, questa si frantumò in mille pezzi e la fiamma si spense lasciandomi completamente al buio. Usai tantissimo chakra e mi sentii stanca, caddi sulle ginocchia e affondai il viso nelle mani, scoppiando in un pianto amaro.

Perché? Perché??? Perché sono venuta qui?

Continuai a piangere convulsamente senza trattenermi, non mi importò di passare per una bambina, riconobbi l’esigenza di buttare tutto fuori. Non potei fare nient’altro, ormai era finita. Mi vergognai per come feci credere ai miei di essere capace di badare a me stessa e di averli delusi miseramente. Mi resi conto del mio atteggiamento infantile e della mia imprudenza e quella fu la conseguenza.

Uccisa dalla mia stessa famiglia.

Continuai a singhiozzare probabilmente per ore, fino allo stremo delle forze. Poi svenni.





Il cielo abbracciava la superficie dell’acqua di un grande stagno e i due elementi diventavano uno, separati al centro da un grande sole che tingeva tutto d’oro con la sua Luce. Una grande Gru cantava il suo lamento, con voce vissuta e lingua incomprensibile. Il suo sguardo incontrava il mio e nei suoi occhi potevo vedere il mio riflesso. La mia anima era attratta, scalpitava per uscire dalle mie membra in quel canto che le mie orecchie non potevano comprendere, ma che faceva piangere il mio spirito. Improvvisamente però l’animale prese sembianze umane, aveva le mie stesse fattezze, ma lunghissimi capelli e vesti tessute da raggi solari. Il suo canto cambiò e divenne comprensibile.

Non puoi donare Amore se di esso privi il cuore. L’Amore è ciò che fa risplendere la luce. Io e te siamo Luce. Se la luce è forte, l’ombra non può esistere. Dove c’è amore non c’è odio. Dove c’è Luce, non c’è ombra.



Sentii un profondo calore che scaturì dal petto e che pian piano invase tutto il corpo. Mi accorsi di essere così leggera da non avvertire più il pavimento sotto i piedi. Le lacrime che solcarono le mie guance erano calde. Percepii tutto il calore dell’amore che i miei genitori mi avevano dimostrato in tutti quegli anni: ogni gesto di gentilezza, ogni parola dolce, ogni rimprovero educativo, ogni litigio scoppiato per una prudente preoccupazione; tutte quelle dimostrazioni di sentito affetto vibrarono nel mio cuore. Non so come spiegarlo per bene ma sentivo come se quell’ardore riuscisse ad uscire da ogni poro, come se attraverso quel calore riuscissi a toccare ogni parete di quella grotta. Ritornai in me ed aprii gli occhi, l’antro era illuminato da una luce intensa, mi guardai le mani e poi tutte le parti del corpo che riuscivo a vedere, ero io che emanavo luce. Alzai lo sguardo e notai che i segni incisi sulle pareti rocciose iniziarono a brillare di un’intensa luce dorata. La porta si spalancò pian piano. Fu nel momento in cui provai a fare un passo che mi accorsi di trovarmi a mezz’aria, ebbi un sussulto e precipitai per terra. Nell’alzarmi notai che non stavo più brillando e approfittai del bagliore che scaturiva dalle incisioni per sgattaiolare fuori.
Salendo dalle scale trovai Masuyo seduta sugli ultimi gradini, piangeva e stringeva un pacchetto di lettere legate tra loro con dello spago. Il rancore che provai per lei poco prima, sembrava essersi dissolto, tuttavia rimanevo seria e in attesa di spiegazioni. La fissai e non proferii parola.


La leggenda narra che in questa grotta si rinchiuse la dea della luce del sole che, in seguito a delle delusioni, aveva perso la fiducia nell’umanità. Fu l’amore e la gioia della sua famiglia che la convinse ad uscire. Sai benissimo che il confine tra mito e realtà è sottilissimo. Infatti si racconta che quei segni furono proprio opera sua e sono impregnati della sua essenza, per questo solo la sua luce può aprire la porta.

E come faceva a sapere che in me c’era proprio la sua luce?

Perché altrimenti la porta non si sarebbe mai chiusa… Questa grotta rappresenta la prova per capire chi ha ricevuto la benedizione della dea. Si chiude solo se in te c’è la luce dei Kami e si apre solo quando chi è all’interno supera una prova. Sinceramente Hikaru, abbiamo sempre pensato fosse solo una leggenda, tant’è vero che abbiamo usato la grotta come archivio, ma quando sono uscita per andare a prendere un’altra lanterna per leggere le lettere di tuo padre e ho sentito la porta serrarsi dietro di me, mi sono spaventata e ho iniziato a pregare incessantemente affinché tu potessi capire come uscire il prima possibile.

Singhiozzò commossa. Come feci a pensare per tutto quel tempo che una signora anziana avesse potuto chiudere un enorme portone spesso di roccia, da sola? Mi sentivo in colpa per averle rivolto tante parole cattive mentre ero bloccata. Continuai però a mantenere un aspetto serio e distaccato.

Non c’è più dubbio, in te Hikaru risiede la luce dei Kami. Me ne sono accorta appena hai varcato la soglia del tempo: emanavi un’aura luminosissima. Sei destinata a grandi cose.

Sorrise dolcemente e rividi nel suo viso l’affetto dei miei genitori.

So tutto di te e della tua nascita, Haru ce l’ha scritto. Eravamo d’accordo sul farti venire qua quando saresti stata grande abbastanza, per farti conoscere il tuo passato pian piano, ma poi non abbiamo più ricevuto notizie… e il resto lo sai. Solo che mi aspettavo che saresti venuta con entrambi i tuoi genitori o con almeno uno di loro.

Mio padre è rimasto paralizzato in seguito ad un incidente, non può più camminare e mia madre si prende cura di lui, quando io non ci sono.

La zia sussultò portando le mani alla bocca e lasciandosi cadere qualche lacrima. Ecco da chi avevo preso la commozione facile.

Perché lei e mio padre mi avete sempre tenuto all’oscuro di tutto?

Lentamente si alzò aggrappandosi alla parete.

La Luce deve brillare spontaneamente. Se ti avessimo detto tutto sin da subito, la conoscenza avrebbe interrotto il normale processo ed era necessario che tu scoprissi tutto pian piano. La curiosità deve generare la domanda e poi deve arrivare la risposta. Solo così la Luce può crescere… è tutto scritto.

Ho la sensazione che ancora mi nascondiate tante cose.

Replicai leggermente infastidita.

È così infatti…

La superai e mi diressi verso la porta d’ingresso, fu allora che mi resi conto che si era fatta sera.

Resta con me e ti insegnerò tutto ciò che so. Scoprirai chi sei e cosa puoi fare, ma un passo per volta. Quanto tempo impiegherai per raggiungere il tuo obiettivo, dipende solo da te…

Mi voltai e la fissai con determinazione.

D’accordo… così sia!



~~~






Ero nervosa, non li vedevo da parecchi anni ormai e restai lì con la mano a mezzaria davanti la porta di casa.

Bussa, che stai aspettando?

E se non mi dovessero riconoscere?

Impossibile, sei la loro figlia! E poi è vero che sei cresciuta, ma non sei cambiata così tanto.

Lo stesso non si può dire di te Maki, non so se hai notato che non posso più portarti sulla spalla…

Stai dicendo che sono ingrassata???

Cresciuta… sei solo cresciuta!

Conclusi sorridendo. Poi presi un bel respiro e coraggiosamente bussai. Fu mia madre ad aprirmi, non era invecchiata neanche di un giorno, ma mi stupii nel vedere che diventai alta quanto lei. Da sopra la sua spalla scorsi mio padre seduto al tavolo che sorseggiava un tè, esattamente dove lo vidi l’ultima volta. Lei mi fissò per qualche secondo, poi scoppiò a piangere e mi abbracciò. Quanto mi era mancato l’odore dei suoi capelli: orchidee e menta, la lozione che le compravo sempre io. Mi era mancato tantissimo anche l’odore di casa mia, quell’odore antico emanato dal legno ormai stagionato, ma che comunque riesce ancora a darti quella sensazione di familiare intimità. Ebbi l’impressione che fossero passati solo pochi minuti da quando me ne andai.

Vi saluta la zia! È arrabbiata con voi perché non vi siete fatti più sentire… a proposito, abbiamo tante cose di cui parlare!

Innanzitutto sono Hikaru Kamiya, ho quindici anni e sono un ninja del villaggio della Foglia, nel paese del Fuoco e sacerdotessa della tribù Guan-Shen. Non sono nata albina, lo sono diventata subito dopo in seguito alla benedizione che ho ricevuto dai Kami della Luce. Sono figlia di Haru e Mizuki Kamiya, i migliori genitori che potessi avere che mi hanno dato l’amore che oggi mi spinge ad andare avanti e raggiungere i miei obiettivi. Sono anche un medico e credo di avere delle capacità sopra la media in questo campo perché il mio chakra è diverso dagli altri. Esso reagisce alle mie emozioni e ai miei sentimenti e quindi alla mia volontà di essere d’aiuto alle persone. Prendermi cura di qualcuno mi fa sentire bene e mi spinge a dare il meglio di me, per questo ho deciso di intraprendere la carriera del medico.
I Kami mi hanno dato la loro benedizione e la loro luce, per un motivo ben preciso: portare un insegnamento nel mondo ninja, dimostrare come in un mondo dominato da contrasti e violenza, si possono raggiungere obiettivi anche con la pace, con le buone maniere, con la diplomazia: curare e non ferire; difendersi e non contrattaccare. Come? Con l’amore. L’amore racchiude in se una potenza che molti sottovalutano. Sarò un catalizzatore: farò riemergere la luce che è già presente in tutti i cuori. Per alcuni sarà semplice, per altri sarà estremamente difficile. Impiegherò la mia vita per raggiungere anche quei cuori più duri, quelli che sembrano non avere la possibilità di essere raggiunti da un piccolo spiraglio di luce. Non so ancora come fare, ma lo scoprirò. Perché? Perché questo è il mio Nindo!

 
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