Missione 5A - L' antica maledizione del Clan Ashura, Passaggio di rango per Egeria (Jonin)

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view post Posted on 11/3/2020, 14:46     +1   -1
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la curiosità e la sete di conoscenza guiderà l'animo umano fino alla fine dei suoi giorni...

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CITAZIONE
Piangiamo i nostri cari, ricordiamoli con grande rispetto e portiamo alta la loro memoria. Non abbiate però paura perché noi siamo nati nel sangue, viviamo nel sangue e moriremo nel sangue. Questa è la nostra benedizione.

Inori Ashura

||Mio solito post di intro per entrare nel mood. Dunque, sono abbastanza sicuro che sia la prima volta che ti mastero qualcosa quindi come faccio sempre ti do le linee guida di quelle che sono le mie "regole" per un buona missione:

Innanzitutto vale sempre e comunque il "meglio un post bello domani che uno brutto oggi", nel senso che per me la tua velocità non è importante, lo è molto di più la qualità di ciò che scrivi. Prenditi insomma tutto il tempo che ti accorre per fare bene. Io di mio cercherò invece di mantenere un ritmo costante per rendere tutta la vicenda scorrevole e godibile.
Poi mi piace molto l'iniziativa, non do mai paletti quindi non avere mai paura di osare, anzi, molte volte mi trovo a costruire la missione insieme al masterato se mi trovo davanti a belle trovate. Detto ciò però, specifico che le mie missioni vanno sempre "superate", che siano D o S. Ci troviamo in una A quindi mi aspetto il massimo, e sai quanto tosto io possa essere.
Infine, lo dico qui così non lo specifico più avanti per quando accadrà, ci saranno casi in cui ti chiederò dei dialoghi in off per snellire le situazioni dialogate, puoi fare lo stesso tutte le volte che vuoi.
Direi che basta, buon role e buon divertimento!

Ps. Primo post liberissimo, fermati al mattino del 10 Giugno, momento in cui ti accorgi che due ANBU del villaggio ti stanno seguendo da un po' . Se hai domande sai dove trovarmi||
 
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view post Posted on 14/3/2020, 20:07     +1   -1
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10 Giugno 249 DN – mattina



Deve ammettere che quei Suika, nonostante tutto, hanno un aspetto invitante.


La fruttivendola ne sta decantando le qualità con voce tanto stridula e penetrante, che la sente da quando ha messo piede nel rione principale del mercato - nonostante il cicaleccio delle comari e le grida altrettanto forti della concorrenza. Lì per lì ne è stata abbastanza infastidita. Ha stretto a sé il sacchetto contenente il pollo acquistato dieci minuti prima, e si è preparata a farsi strada nella calca con un respiro profondo, un po' come farebbe un palombaro prima di un'immersione.
Le donne che frequentano il mercato hanno sviluppato un proprio personalissimo stile di combattimento, basato sull'uso dei gomiti e dei fianchi: per quanto siano tutte delle civili e nessuna sia addestrata all'uso del chakra, urtare una delle parti elencate equivale a colpire un muro di mattoni. Una Taijutsu Proibita in piena regola.

Sguscia qui, sguscia là, lasciandosi in parte sospingere dalle correnti umane che fluiscono attorno alle bancarelle, si è trovata quasi schiacciata contro quei dannati cocomeri – tanto vicina alla fruttivendola urlante, da beccarsi due o tre goccioline di saliva in faccia, scoprendosi a soppesare concretamente l'idea di portarsene uno a casa.
La frutta sulle isole costa uno sproposito ma dopotutto, con la paga da Spadaccina, non sarebbe un dramma aggiungere qualche vitamina alla sua dieta. Qualcosa che non sia verde come le alghe, che non puzzi di alghe e non sappia di alghe, che a Kiri abbondano e costano poco.
Tuttavia, dopo un paio di secondi, nel momento in cui sente su di sé lo sguardo rapace della venditrice, decide che è giunto il momento di spostarsi: non è tanto perché viva da sola e un Suika intero sia davvero troppo grosso, o perché il profumo delle pesche di Momo lì accanto sia ancora più attraente.

È solo che non riesce a scrollarsi di dosso il prurito insistente che sente dietro alla nuca, da quando ha visto con la coda nell'occhio quelle sagome nere in cima al tetto.
E non le ha viste mica una volta sola.
Volta il capo quel tanto che basta per sbirciare il tetto dell'ostello alla sua destra e... sì, sono lì.

Passi una volta, che può essere un caso.
Passino due volte, ed inizia ad essere strano, perché gli ANBU non sono tipi da lasciarsi vedere da una chunin, a meno che non siano nel mezzo di un'operazione.
Quando le volte sono tre, vuol dire che devi collaborare.

Individua un vicolo fangoso subito dopo il chiosco della frutta, sulla sinistra, e non senza una certa fatica avanza ingobbita, al di sotto alle balconate delle clienti in coda, strizzate nella biancheria di cotone profumato di bucato.
Si aspetta quasi di udire un leggero “pop”, quando finalmente guadagna mezzo metro di spazio vitale, e sgattaiola silenziosa verso la penombra umida della stradina laterale.




Gli ultimi quaranta giorni sono stati follia pura.
Ha ricordi vaghi, di quando ha preso in affitto quella mansarda polverosa e si è trasferita in fretta e furia, con tutti i suoi libri e lo stretto indispensabile tra abiti, biancheria e suppellettili. Non aveva voglia di discutere con sua madre sugli orari dei pasti, sul dare il cattivo esempio alle bambine, su quanto fosse importante andare a letto presto e nel frattempo evitare le apparizioni di Kirotaba su qualsiasi superficie riflettente andasse a posare lo sguardo, sorbirsi le sue minacce e studiare una maniera per brandire Nuibari, quando l'idea di cucire un essere umano le faceva venire i sudori freddi. Non aveva voglia di esercitarsi di nascosto con la katana. Non sarebbe riuscita a fingere ancora per molto che andasse tutto bene, con gli incubi da cui si svegliava urlando e le voci nella testa. Ha appeso sui vetri sporchi della sua nuova abitazione delle vecchie tende portate da casa e ha tirato avanti fino alla fine, ingozzandosi di riso troppo cotto o ancora crudo, e di pollo scondito, mentre faceva la spola tra obitorio e biblioteca. E dopo aver ricevuto il Sigillo di Hayate, paradossalmente, l'andazzo non è cambiato affatto.

Al contrario: gli imprevisti si sono accumulati gli uni sugli altri, condannandola infine ad una sorta di rassegnazione incentrata sul soddisfare i bisogni primari, e sistemare il resto un poco per volta, iniziando dal sangue di quel Subaru che ha cucito in galera, che non voleva saperne di venire via dai vestiti. Ha finito per buttarli via, irrimediabilmente rovinati dall'ammoniaca. Si è accorta poi che quello del sangue non era un problema isolato: era completamente incapace di avviare la lavatrice, e distinguere il sapone dall'ammorbidente. Si è resa conto di non essere in grado comunque di produrre del riso al vapore accettabile, nonostante la pazzia fosse rientrata nei ranghi e il tempo libero triplicato. C'era poi polvere, polvere ovunque, i vetri lerci, cose marce in frigo, il resto dei vestiti da traslocare e riprendere ad allenarsi.
Probabilmente ha toccato il fondo nel momento in cui si è accorta che per quanto si sforzasse, non c'era verso: le jutsu che aveva creato con tanto lavoro, erano sparite.

Come, sparite?!

Sì, scomparse, come un paio di mutande lasciate ad asciugare senza mollette, in una giornata ventosa. Per quanto si sforzasse di comporre i Sigilli e impastare chakra, non c'era verso di rendersi invisibile, fendere l'aria come era abituata a fare, né tanto meno creare onde d'urto. Dopo aver superato, in ordine, momenti di panico, incredulità, rabbia, sconforto e disperazione, si era rassegnata ad accettare il fatto che il Sigillo dei Sette stava avendo un impatto superiore a quanto non credesse.
Ha comprato un paio di mezziguanti nuovi, per coprire i glifi sulla mano destra, e ha definitivamente deciso di non mostrare nemmeno un centimetro di Nuibari in pubblico, limitandone gli spostamenti a quelli necessari a raggiungere i luoghi di allenamento - quelli più fangosi, malridotti e meno frequentati - e sigillandola nel rotolo del richiamo nel mentre, oppure nascondendola in un vano del pavimento. Almeno finché non avesse studiato una maniera intelligente di portarsela dietro, senza farsi vedere da mezzo Villaggio.

In conclusione: per quanto la dura prova l'avesse resa decisamente una kunoichi più solida, avrebbe dovuto accettare la sensazione sgradevole che dà l'avere un cimelio unico in casa, e sapere di non poterlo proteggere sul serio.

Ci avrebbe lavorato su, poco ma sicuro, e alla sua maniera: prendendolo a testate fino a spaccarsi il cranio, o fino a frantumare il problema.





È il tipico vicolo da cui è meglio stare lontani: puzza di piscio e c'è immondizia per terra, ma in pieno giorno e durante il mercato è difficile che il proverbiale tagliagole kiriano si faccia vivo. A quest'ora i malviventi sono tutti a inseguire le borsette delle massaie distratte, o al porto a fare affari.
Riflettendo meglio, realizza che non avrebbe nulla da temere da qualunque rapinatore, sia uscendo in borghese o in divisa: quanto è stupida quell'ansia leggera che le si è appiccicata addosso?
Una crosta di luoghi comuni e raccomandazioni della mamma, roba che non va via manco se le dai fuoco.
Farsi vedere a spasso con Nuibari, quello sì che sarebbe un problema: i pesci piccoli scapperebbero.
Gli squali no.
Lei non è forte abbastanza da difendersi dai secondi, e l'asso nella manica del mimetismo l'ha abbandonata sul più bello.
A finire sgozzata in un vicolo come quello e derubata della katana, magari stuprata nel frattempo, non ci tiene per niente: meglio che nessuno al mondo sappia che è stata una femmina a prendersela, almeno finché non sarà forte abbastanza da far cagare tutti sotto.

Raggiunto un luogo abbastanza defilato e fuori portata di orecchio da parte di chicchessia, rallenta il passo fino a fermarsi, controllando che le pozzanghere che la circondano non abbiano un alone eccessivamente giallastro.
Nessuno finora ha saputo spiegarle perché gli shinobi debbano per forza indossare calzature aperte.




CITAZIONE
Eeh sì, so che sei esiggente, non rileggevo un post tre volte prima di inviarlo da un anno (mi rompo prima, ma qui non ho voglia di far cagate).
Restiamo quindi d'accordo che Nuibari resta a casa, lo dirò più chiaramente al prossimo giro se serve: visto che è uscita a fare spesa, Urako l'ha lasciata nel famoso vano del pavimento.

Grazie di aver accettato il masteraggio!
Penso che questo sia il momento giusto per affidare il pg alle tue maruvaggie grinfie: la fanciullina non avrebbe retto certe pressioni prima di avere a che fare con gli ultimi eventi, e dubito ne sarebbe uscita viva.
Mi auguro che il lavoro faccia divertire anche te^^
 
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view post Posted on 14/3/2020, 22:25     +1   -1
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Quando rallentò, riuscendo finalmente a divincolarsi dal marasma di gente della piazza, la giovane kunoichi notò le due ombre fermarsi ad osservarla da lontano. Rimasero in quella posizione per un lungo, tremendo e interminabile minuto, durante il quale i suoni si attutirono, le voci delle venditrici del mercato sembrarono rompersi d'un tratto e lo scrosciare mai troppo distante delle onde, a Kiri, si dissolse divenendo soltanto un eco. Urako batté le palpebre e se li ritrovò più vicini, alle sue spalle, oscuri così come le erano sembrati da lontano e con sul viso la loro maschera fredda e bianca.

Ti ringraziamo per la comprensione - disse uno, alludendo al posto isolato in cui li aveva condotti al ragazza - adesso, se permetti, dovresti tu seguire noi.

Non dissero altro, uno dei due non parlò neppure, e fecero strada sfrecciando in direzione opposta al cuore del villaggio, esattamente in bocca alla nebbia più fitta e impenetrabile che giganteggiava oltre i primi confini. Superarono tutte le zone abitate, aggirando anche le strutture più isolate e per alcuni minuti sembrò di essersi allontanati al punto da essere ormai lontani dalle mura del villaggio. Eppure erano ancora a Kiri, in un luogo però che la giovane ragazza non aveva mai visto: notò disegnarsi nella nebbia i contorni di una piccola struttura che si affacciava su un corso d'acqua, leggermente sopraelevato grazie alle palafitte che sprofondavano nel terreno umido, che si estendeva in degli acquitrini. L'odore che aleggiava nella zona non era decisamente dei migliori ma quando gli ANBU si fermarono proprio davanti la piccola rampa di scale in legno che saliva il soppalco, Urako capì che quella era la loro destinazione.

Silenzio.

Era l'unica cosa udibile nel raggio di diversi chilometri ormai, e se il vicoletto vicino al mercato non era tra il più sicuro dei luoghi, quello sembrava essere stato costruito per concedere agli omicidi uno scarico agile dei corpi assassinati, per lasciarli inghiottire dalla fanghiglia dell'acquitrino. Una volta dentro, il tepore e la luce di un camino acceso concesse ai presenti un po' di ristoro: in quella parte del villaggio l'umidità era altissima e la nebbia talmente fitta da poterla sentire attraverso la pelle, direttamente nelle ossa, facendo vibrare l'anima stessa anche di chi ci aveva vissuto dalla nascita. Era strano, era come aver viaggiato un'eternità nel buio, come se in quell'anfratto di terra in cui si trovavano non fosse mai uscito il sole, come se la cupa e grigia caligine fosse l'unica cosa esistente da sempre.

ANBU - Da questa parte.

Il fuoco scoppiettava illuminando quella che sembrava essere una stanza spoglia, con una mobilia in legno abbastanza basilare e fogli sparsi un po' ovunque. Alcuni erano tagli di giornali di circa una settimana prima, altri appunti, formulari ed altre sottigliezze che Urako poté assimilare ad un medico. I due ANBU la condussero oltre la porte di fianco al camino, facendola passare e rimanendo indietro, e proprio lì, all'entrata, si udì il primo suono da ormai parecchio tempo: un lamento, crudo e secco, poi prolungato. All'interno vi erano un uomo ormai avanti con gli anni, coi radi capelli brizzolati e gli occhiali spessi, e il coprifronte di Kiri portato come una mascherina chirurgica, e un ragazzo disteso sul letto, chiaramente sofferente.

Oh, è arrivata finalmente. - Fece per darle la mano ma poi si ricordò dei guanti in lattice. - Mi dispiace delle maniere, ma è una questione spinosa e molto delicata. Spero possa capire i motivi di tanta segretezza. Il mio nome è Hajime, sono felicissimo di fare la conoscenza di uno dei medici migliori di Kiri.

A quel punto si fece da parte per mostrare alla nuova arrivata il paziente che stava cercando di curare. Non era cosciente ma soffriva, lo si poteva leggere dallo sguardo e dal pallore del viso. I denti erano stretti e anneriti in prossimità delle gengive, le dita delle mani nere, tutte tranne il mignolo della sinistra, e il piede destro sembrava essere già piuttosto avanti con una cancrena. Sul tavolo del medico di fianco al letto e sul cestino sotto erano presenti una miriade di garze e fazzoletti sporchi di rosso, probabilmente sangue. Proprio in quell'istante poi, la Chunin gliene vide colare un rivolo dalle orecchie e dal naso. L'uomo cercò di intervenire tamponando e pulendo ma sembrava averlo fatto già troppe volte. Vi erano anche diversi intrugli e fogli con appunti sparsi: doveva aver provato già diversi trattamenti.

Hajime - Che cosa ne pensa?
 
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view post Posted on 15/3/2020, 21:26     +1   -1
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10 Giugno 249 DN – mattina



Se ne resta lì e finge di aspettarli pazientemente, mentre in realtà sta spiaccicando il pollo sempre di più tra avambraccio, braccio e torace: non le piace essere rinchiusa in una barriera – perché difficile che si tratti di altro, a giudicare dall'abbattimento dei suoni – e le piace ancora meno accorgersi di essere circondata, quando ormai gli inseguitori sono in piena vista e lei non può più farci niente.
Più svariate altre cose: tipo l'ennesima conferma del fatto di essere ancora una mezza cartuccia rispetto ai corpi speciali, nonostante Nuibari, e... quei cari, vecchi ricordi, dell'ultima volta in cui erano venuti degli ANBU a prelevarla, assieme al vecchio fetido. La volta che aveva avanzato dubbi sull'identità degli stessi elementi dei corpi speciali, e per poco Natsu no Kaze non la apre in due, dal perineo alla cima del cranio.
Era finita male, quella volta lì: erano crepati tutti in modo atroce, e una volta tornata a Kiri era pure finita in quarantena. E quando ne è uscita, nel momento in cui avrebbe avuto più bisogno di un po' di calore umano per rimettersi in piedi, Shi che prende e decide di fare lo stronzo.
Sembra passato un secolo...

Certamente ha imparato una gran bella lezione, quella volta: ANBU più anomalie vuol dire guai colossali; ma non è detto che anche senza stranezze, i membri dei corpi speciali vogliano portarla a fare merenda in un prato fiorito.

Risponde al ringraziamento con un cenno del capo, sollevando gli angoli della bocca nell'imitazione meccanica di un sorriso di cortesia. Naturalmente non può non permettere, ma almeno stavolta non individua alcuna peculiarità nell'aspetto dei suoi visitatori: uniforme standard, solita maschera di porcellana, niente estranei in vista, andatura follemente rapida. Tutto regolare, insomma.
Li segue dando fondo alle risorse di quelle sue gambette, più corte di qualche spanna rispetto a quelle dei suoi accompagnatori, sempre stringendo il pollo stecchito sotto l'ascella. C'è talmente tanta umidità nell'aria che respirare dà fastidio pure a lei, e i tetti scivolano come se fossero coperti da bava di lumaca. La portano sempre più lontano dal centro abitato vero e proprio, in una zona mai vista, dove di fatto non c'è niente da conoscere: zero campi di allenamento, nessuna abitazione, fattoria o manifattura, e questo per un bel pezzo di strada; un odore dolciastro di decomposizione inizia a filtrare attraverso la nebbia, e Urako attende con pazienza di oltrepassarne la fonte, per poter smettere di arricciare il naso.

Però è nel momento in cui l'odore si fa più intenso e compatto, che i suoi accompagnatori rallentano il passo.
Oh gioia.

Emerge dalla nebbia un casotto di legno dall'aspetto dimesso, che allunga i pali nella fanghiglia circostante come un grosso ragno squadrato, rimasto impantanato nell'acquitrino. Il terreno è talmente impregnato e instabile, che è decisamente meglio servirsi del chakra per non sprofondare – e non riempirsi le famose scarpe aperte di brodaglia maleodorante.
Non arriva subito a capire che la sensazione opprimente che avverte, è dovuta all'assenza completa di suoni: niente garriti di gabbiano, gracidare di anfibi o ronzare di insetti. L'unico segno di vita è il fruscio degli abiti e il rumore acquoso delle scarpe sul terreno malsano. Nemmeno il vento ha voglia di smuovere l'aria, da quelle parti: la vegetazione palustre incurva le sue foglie allungate e bigie, immobili sullo sfondo, come dipinte su un paravento di carta.
È abbastanza anomalo da farle pensare a una seconda barriera, ma non farà domande, almeno per il momento: ora che non corrono più le dita iniziano a diventarle fredde e umide, e gli abiti da civile che indossa sono tutto fuorché adatti a un clima del genere. Persino entrare nel baracchino inquietante potrebbe essere un miglioramento, anche minuscolo, almeno finché non verrà il momento di spiegarle in che modo possa aiutarli: quella nebbia sembra tanto fitta da poter prendere vita, infilarsi nei polmoni e annegarla da dentro, per cui l'avviarsi degli ANBU su per la scaletta scricchiolante viene accolto come un promettente sviluppo... nonostante tutto.

La porta si apre, e... sorpresa!
Invece dell'ambiente completamente spoglio e marcescente che si aspettava, l'interno appare dotato di un minimo di mobilio. Elemento ancor più piacevole è il caminetto acceso che riscalda l'interno – l'esterno era talmente grigio e nebbioso, che non aveva manco notato il fumo uscire dal comignolo!
Un fruscio dal basso attira il suo sguardo, che scivolava dalle fiamme danzanti alla dotazione essenziale della stanza: ha urtato un frammento di giornale con un piede, uno dei tanti fogli ritagliati e scribacchiati che giacciono sul pavimento, sui mobili, su un po' tutte le superfici orizzontali presenti.
Come ordine e pulizia, quel posto è messo poso meglio di casa sua.
Dopo una rapida occhiata intuisce che l'inquilino coltivi interessi in medicina, ma non ha molto tempo di guardarsi attorno e carpire i numerosi testi stampati o annotati ai suoi piedi: viene scortata infatti nel secondo ambiente, oltre la soglia in legno che gli stessi ANBU non varcano.

Primo elemento spiacevole: un lamento risuona tra le pareti di legno, che guasta subito l'atmosfera casalinga ispirata dal focolare tiepido.
Ci sono due persone dentro la seconda stanza: uno che potrebbe essere suo nonno, il viso coperto alla maniera dei medici, e l'altro che a occhio e croce avrà poco più della sua età. Il lamento sembra provenire dal secondo, incosciente e abbandonato su un letto.
Quella gamba andrebbe amputata immediatamente, ammesso che sia ancora utile farlo.
Nel mentre si fa avanti il vecchio, muovendosi in sua direzione.

Non le sfugge il movimento della mano dell'uomo, e non fa assolutamente niente per provare a stringerla: cosa avrà toccato con quei guanti? Sposta lo sguardo dall'arto agli occhi della persona che ha davanti, cercando di penetrare la lucida barriera degli spessi occhiali che indossa: “Chi le ha detto che sono uno dei medici migliori di Kiri?” indaga aggrottando leggermente le sopracciglia, niente affatto esaltata da quella che sembra una leccata in piena regola.
Una leccata in un capanno isolato nel nulla, da parte di un tizio che si atteggia a medico, in una stanza che potrebbe benissimo essere il covo di uno psicotico. Il tutto ammantato da un'aura di mistero e segretezza che non può preludere a niente di buono.
Lei si trova a suo agio nei corridoi puliti dell'ospedale, con dell'attrezzatura decente, le protezioni idonee, le cartelle cliniche, i colleghi e gli armadi pieni di farmaci: quello che vede oggi sarebbe appena accettabile sul fronte di Fukagizu, non a Kiri.
Per quanto l'altro si sposti per mostrarle un paziente dal pessimo aspetto, di avvicinarsi non ha la minima intenzione. “Hajime... Hajime chi, se posso? È un medico anche lei?” domanda con tono più morbido, domandandosi se per caso dovesse conoscere qualcuno con un nome simile. Sicuramente non fa parte della cerchia della Sakamoto. Indossare un pezzo di stoffa sulla faccia non ti qualifica come medico, tanto per cominciare.

“Penso di non volermi avvicinare, prima di sapere se sia infettivo” ribatte asciutta e sospettosa, adocchiando dalla soglia le membra malmesse del ragazzo - “non voglio sindacare sulla segretezza, ma mi domando se questa includa la possibilità di curare il paziente, perché no, se non è infettivo e se lei vuole guarirlo, non vedo la minima motivazione per non portarlo in ospedale immediatamente” rimprovera non troppo velatamente il sedicente medico.
Quante probabilità ci sono che amputando quella gamba, il paziente non muoia comunque di setticemia o per l'emorragia? Perché non è stata amputata per tempo?
Queste ed altre domande da porre a quell'Hajime, appena avesse fornito le informazioni già richieste.



CITAZIONE
Per il momento non si avvicina, verosimilmente da quella distanza si vede bene solo la gamba e il fatto che il paziente sanguina. La faccenda delle dita magari la nota se si accosta (prossimo giro maybe).
 
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view post Posted on 15/3/2020, 23:18     +1   -1
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L'uomo sembrò stupito dalla fase della kunoichi, non riuscì a capire se fosse modestia o semplice curiosità:

Hajime - Beh, le stesse persone che ti pagano suppongo. Spero sia vero, ma immagino avremo modo di scoprirlo.

A quel punto, Urako esternò tutti i suoi dubbi cercando di rimanere il più distante possibile dal paziente. Non poteva essere sicura che fosse appropriato visitarlo senza un vestiario adeguato, quantomeno sterile e isolato da possibili agenti virali, o da qualsiasi altra cosa fosse infetto.

Hajime - Non ci siamo mai conosciuti, no. So di te solo quello che mi hanno raccontato, e tornando a prima spero siano tutte verità. - Sembrava lucido, pronto a rispondere senza titubare all'interlocutrice e a rimandarla a casa se non si fosse mostrata all'altezza, ma anche piuttosto stanco. Si tolse i guanti e li gettò nel cestino di fianco al tavolo - Per il resto sì, sono un medico ma non pratico la professione negli ospedali che frequenti. Agisco di più... su richieste specifiche, se così possiamo dire.

Si avvicinò di nuovo al paziente poggiandogli due dita sulla fronte, e chiuse gli occhi in segno di rassegnazione prima di spostare la sedia di legno da sotto il tavolo e lasciarsi cadere in preda a una stanchezza palpabile. Si tolse gli occhiali e abbassò la mascherina per concedersi lunghi e profondi sospiri, come si trovasse in mezzo a una ventata di aria fresca. Era esattamente quello di cui aveva bisogno: riposo e una boccata d'aria, oltre a una persona fidata capace di andare oltre il punto che aveva raggiunto lui.

Hajime - Apprezzo la sua premura per il paziente, dico davvero, ma lui non può andare in un ospedale per lo stesso motivo per cui lei è stata portata qui con questi metodi bruschi - Si prese qualche secondo, poi continuò - Non sarò io a darle tutti i dettagli del caso, perché non sono la persona più adatta, ma nessuno può e deve scoprire quello con cui abbiamo a che fare qui, per evitare che si possano ricondurre i sintomi a... qualcosa che il paese credeva di aver debellato ormai tanti anni fa.

Si rimise gli occhiali e si rialzò, prendendo un altro paio di guanti puliti per andare a toccare la parte da cui sarebbe dovuta partire l'amputazione del piede a causa della cancrena, rispondendo quasi ai pensieri della kunoichi e specificando uno dei dettagli di quella malattia tanto segreta e particolare.

Hajime - Duro, il sangue sembra essersi solidificato in metà del corpo. Il bisturi taglia la carne e trova poi un impedimento. Non riesco a praticare un'incisione abbastanza profonda perché non riesco a perforare il sangue. - Volse poi lo sguardo verso i rivoli sul volto che invece scorrevano liquidi e impetuosi, con sempre più abbondanza - Mentre lì scorre liquido, in una consistenza meno densa del normale, come se cercasse di contrastare la solidificazione dallo stomaco in giù.

Prese una siringa pulita e ne conficcò superficialmente la punta prima sul petto, poi sulla parte immediatamente sotto l'ombelico. Il primo tentativo portò a un puntino di sangue che immediatamente condusse a un'emorragia neppure troppo banale, il secondo rimbalzò, come si fosse scontrato contro una lastra di acciaio. Andò ad agire immediatamente sulla nuova ferita attendendo il responso della kunoichi:

Hajime - Lo abbiamo portato qui per studiarlo, perché purtroppo non è il solo che sta morendo con questi sintomi. Noi non dovremmo essere esposti al contagio ma in realtà non posso nemmeno darle la certezza. Allora, ha mai visto niente del genere?
 
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view post Posted on 16/3/2020, 16:26     +1   -1
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10 Giugno 249 DN – mattina



Si fa bastare quella spiegazione, senza aggiungere commenti o schermirsi.
In questo momento le è difficile capire cosa provare: dovrebbe sentirsi orgogliosa, forse lusingata, ma il ragazzo steso nella stanza azzera qualsiasi sentimento positivo sul nascere.
L'apprezzamento delle “persone che la pagano” l'ha messa davanti a qualcosa a cui potrebbe benissimo non essere in grado di far fronte: è la parte calcolatrice coltivata da Kirotaba adesso che tiene le redini, quella che le emozioni, quando può, le scansa come un gatto fa con l'acqua.

Richieste specifiche... medico privato? Di quelli che fanno ogni genere di schifezza dove nessuno può guardarli?
Non si volta a guardare gli ANBU: la loro stessa presenza deve voler dire che è stata portata lì per volere dell'Artefice, e lei ha fatto un certo giuramento nei confronti dei suoi ordini. Dove non basta il giuramento, deve subentrare la fiducia.
“Sta bene” taglia corto, perché ai metodi bruschi è abituata e non la offendono più, e la faccenda della segretezza oramai l'ha capita; quello che la rende perplessa, è l'apparente tranquillità con cui l'uomo tocca la fronte del paziente: la esprime aggrottando le sopracciglia in modo evidente, senza fare commenti in merito - “Cosa è che il Paese credeva di aver debellato, e chi dovrebbe fornirmi i dettagli?”

Hajime-e-basta sembra provato: quel genere di spossatezza che ha sperimentato anche lei, durante l'addestramento per guadagnarsi il benestare del vecchio Spettro. Quando passi giorni febbrili sui libri, mal sopportando i momenti di pausa forzata imposti dalle esigenze fisiologiche, e notti agitate da incubi che ruotano attorno alle fatiche diurne: non crede di provare empatia, prima o poi ci si trova tutti ad affrontare momenti del genere.
Decide di avvicinarsi di un passo o due, tenendosi a un metro e mezzo dal letto: da quella distanza le condizioni delle dita appaiono in tutta la loro serietà, così come le tracce sui denti; le sopracciglia della quindicenne si sollevano in un accenno di sorpresa, quando la lama del bisturi si rifiuta di affondare nelle carni del ragazzo. Inala profondamente dal naso, frugando tra le memorie non così vecchie dei suoi giorni di tirocinio: “Qualcosa del genere no, sarebbe inesatto dirlo. Qualcosa di vagamente simile sì, in un paziente affetto da iperviscosità plasmatica che si è rifiutato di sottoporsi alla terapia per tempo... tuttavia era anziano, e non era un mio paziente: presentava altre lesioni superficiali, e non abbiamo verificato lo stato dei denti, né procurato lesioni per verificare le capacità di coagulazione del sangue. Eravamo ancora studenti... ma mi lasci indovinare” si interrompe bruscamente, sollevando lo sguardo dal corpo sofferente al viso del... collega? - “Niente tracce di Epatite C, sarebbe troppo facile. Quali sono i primi sintomi e quanto è rapido il decorso della patologia? Da quanto il paziente è in queste condizioni?
Tracce di demenza, finché è stato cosciente?
Che analisi avete fatto finora, e su quanti casi? Età media? Avevano qualcosa in comune?”
- e qui si interrompe di nuovo, sollevando di nuovo le sopracciglia in un'espressione che pare quasi essere di scuse - “abbia pazienza, ma sono ancora del tutto al buio.”
E se fosse rimasta irrimediabilmente al buio, incapace di isolare le cause del problema, forse la cosa migliore sarebbe stata dare fuoco a tutto e farsi mettere in isolamento: quell'idea però si sforza di scartarla rapidamente, non può già voler tagliare la testa al toro. Anche se sarebbe comodo. Non ha nemmeno iniziato, dopotutto. "Manipola spesso il paziente senza guanti?" domanda finalmente, per capire quale logica potesse esserci dietro a un'imprudenza così grossolana.



Mi gioco quello che ti pare che qualcuno ha spifferato che seguo una certa pagina Facebook.
 
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Hajime la lasciò osservare e valutare, quindi la vide perdersi nei dubbi e nella speranza di poter carpire ulteriori dettagli rispetto a quelli che aveva ricevuto, pochi a dire il vero. Il "medico" fece allora un paio di assensi con la testa, pronto a rispondere dove possibile ai quesiti della kunoichi, cercando di non lasciare nient'altro all'interpretazione, soddisfatto dell'atteggiamento dell'interlocutrice:

Hajime - Niente Epatite C, e in effetti vi è una viscosità ematica piuttosto anomala. Considerando che la viscosità del sangue dovrebbe aggirarsi tra i 1,4 e 1,8 centipoise, se quella del paziente è a dieci c'è qualcosa che non va. Praticamente il sangue è fermo, non circola, e si indurisce come ti ho mostrato. La cosa che mi lascia perplesso però è che dallo stomaco in su funziona tutto perfettamente, e quindi non sono presenti complicazioni a livello celebrare. Quel tuo paziente è sopravvissuto?

Prese da una tasca del camice un piccolo quadernetto e cominciò a sfogliarne velocemente le pagine, come se stesse cercando qualcosa in particolare. Agiva solo con la mano destra, la stessa con cui si era riposizionato gli occhiali per leggere quelli che dovevano essere i suoi appunti. La sinistra la teneva a riposo, lontano, come se volesse preservarla da qualsiasi tipo di contaminazione: era la stessa con cui, con due dita, aveva toccato la fronte del paziente.

Hajime - Ci sono teorie discordanti sul decorso della patologia, si parla di una settimana da quando si sviluppano i primi sintomi alla morte, ma anche di mesi, anni addirittura. Varia molto dal soggetto, e da come reagisce il loro sangue. - Sfogliò un altro paio di pagine, cercando probabilmente le risposte alle domande della kunoichi. Studiava quel caso da un po' e verosimilmente aveva molte deduzioni, teorie e magari progressi effettivi tra le pagine di quel taccuino personale. - Riguardo ai sintomi, il primo è senz'altro una copiosa epistassi, poi il sangue comincia a essere terribilmente liquido e il livello di piastrine scende a livelli preoccupanti. Questo può causare importanti emorragie anche a seguito di ferite lievi a cui si aggiunge, poco dopo, un intorpidimento degli arti che sfocia nell'indurimento del sangue e infine nella cancrena, come puoi vedere. A quanto pare la gente muore ancora prima di arrivare a... questo, ma il ragazzo non è stato così fortunato.


Stette per un po' in silenzio a quel punto, osservando il paziente soffrire nel lettino contorcendosi dal dolore, provando ad immaginare anche solo lontanamente che cosa stesse provando. Si tirò su gli occhiali e finalmente si decise a svelare alla ragazza il motivo per il quale aveva toccato il paziente senza guanti. Prese uno spillo sterile e si punse sulla punta dell'indice, lasciando che una goccia di sangue colasse in un vetrino. Quindi avvicinò il telescopio e lasciò che Urako se ne servisse.

Hajime - Incredibile, eh?

Se la ragazza avesse accettato di guardare, avrebbe notato le più particolari cellule di sangue che aveva mai visto nella sua carriera da medico. Era palese un'ipossia a causa dell'aggregazione dei globuli rossi, ma ancora più strano il loro diffondersi in maniera circolare, intorno quello che sembrava un microrganismo parassita.

Hajime - Ma ancora più incredibile è il fatto che se tra una decina di minuti ripetessi l'esperimento, non ci sarebbe più niente del genere. E' come se mi avesse infettato al contatto, per pochi secondi - Si prese una garza per medicarsi il dito - Visto così sarebbe facile dare la colpa a un qualche tipo di parassita, eppure nel suo sangue non c'è niente di tutto ciò. E'... impossibile, ma è così.

Continuò dunque a sfogliare il suo taccuino, fornendo le risposte alle restanti domande di Urako:

Hajime - Riguardo l'età sembra colpire maggiormente i giovani in forza, i ragazzi, dai 15 ai 30 anni direi, e no, non aveva tracce di demenza. Per il resto credo sia il caso di chiedere a qualcuno che possa fornirti informazioni più precise sulla storia della malattia. - Si sistemò gli occhiali - Vede, lei non è stata condotta qui per curare il mio paziente. Volevo solo illustrarle quello che è questa malattia, ci tenevo a fornirle questi dettagli. Ciò che accomunava tutti i malati la prima volta che il paese ha combattuto questo morbo era la loro... linea di sangue. Facevano parte di un clan ormai estinto, che è rimasto nella conoscenza comune come il Maledetto clan Ashura. Non deve sorprendersi se non ne ha mai sentito parlare, Kiri ha fatto un lavoro preciso per far sì che venisse dimenticato. Beh, la sua missione è dirigersi a Gashima, un piccolo villaggio a Sud-Est del Paese dell'Acqua, inghiottito dalla nebbia. A quanto pare la situazione è tragica e gli abitanti mostrano sintomi di questo genere. Lei dovrà avvicinare il Dottor Kaede, è lo scienziato che sul posto si sta occupando di sviluppare una possibile cura.

Si era fermato lì, non aggiunse altro in un primo momento, attendendo la risposta della kunoichi, eppure c'era qualcosa di non detto, che era rimasto tra le righe e sembrava essere proprio il vero obiettivo di quella spedizione.
 
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10 Giugno 249 DN – mattina




“Era anziano, credo gli abbiano amputato qualche estremità e l'hanno costretto a curarsi, ma non so se ne sia uscito. Aveva un linfoma a carico dei linfoplasmociti, a quell'età difficile venirne fuori” spiega brevemente, escludendo quindi che la medesima patologia colpisca il ragazzo: quel genere di mali non colpisce mezzo corpo o parti a caso. Avrebbe dovuto avere i reni compromessi, oltre che al cervello e a un po' tutti i vasi sanguigni.
Come se si fosse finalmente accorto di aver compiuto una mossa poco intelligente, Hajime ora mantiene la mano con cui ha toccato il malato a riposo, senza posarla su altri oggetti, ma senza neanche precipitarsi a disinfettarla, come invece sarebbe saggio fare: comportamento né logico né giustificabile, in base alle sue conoscenze, mentre l'uomo continua a scartabellare e snocciolare informazioni meglio che può; infine si punge un dito, e la invita ad osservare attraverso il vetrino il contenuto del suo sangue.

Urako si china sullo strumento, dopo aver chiesto cautamente un paio di guanti, prima di decidersi a girare cautamente le manopole di plastica che sporgono ai lati per mettere a fuoco le lenti – sempre molto poco entusiasta di toccare qualsiasi oggetto in quel casotto, senza indossare protezioni.
“No, non c'entra niente” sentenzia, senza staccare l'occhio dal microscopio, sentendo i muscoli della schiena irrigidirsi nel momento in cui l'occhio cattura qualcosa di ben poco normale - “Il mio caso aveva problemi con gli anticorpi, qui sono i globuli rossi ad essere danneggiati... apparentemente per colpa di quella roba. Hanno un nome?” domanda osservandone confusa le forme sconosciute, cercando di classificarle in base alle categorie conosciute durante gli studi e soprattutto, chiedendosi per quale cavolo di motivo Hajime se ne stia tanto tranquillo!
Quelle... cose... innescano in lei il fascino dell'ignoto, assieme alla repulsione innata per quanto esista di brutto, cattivo o dannoso: come se potessero saltarle addosso e procurarle qualcosa di orribile, se le perdesse di vista anche solo un secondo.
Per quanto sia abbastanza fresca di specializzazione, la memoria non la aiuta: non ha mai visto niente del genere.
E la cosa non le piace.
Avrebbe dovuto studiare meglio? Troppe distrazioni?
Grugnisce appena, senza staccare l'occhio dal macchinario, almeno finché la seconda rivelazione non la costringe a scollarsi e a riportare lo sguardo sul medico, con un sopracciglio sollevato per l'incredulità: “cioè, passano tranquilli e pacifici attraverso la pelle priva di lesioni, ma poi decadono prima di fare danni permanenti?! E addosso al paziente non c'è niente del genere?!”

La bufera che le scatena in testa la portata dell'informazione per poco non la fa perdere di vista lo spiegone seguente, in particolare quel “la prima volta”, quel “maledetto clan Ashura” e il verbo “avvicinare” associato a tale dottor Kaede. La prima e la terza cosa in particolare, perché dopo il ritorno dei Bijuu, un vecchio clan con maledizione annessa sembra quasi una storiella della buonanotte. Le altre due cose le piacciono di meno. Ascolta immobile con le mani a mezz'aria, espressiva più o meno come una mantide religiosa essiccata, fermandosi a riflettere ancora per qualche istante, anche dopo che il medico ha già terminato la sua ultima spiegazione.
“Quindi, mi faccia capire se ho afferrato il discorso” replica finalmente, sfilandosi i guanti e cercando un cestino dove buttarli - “Il dottor Kaede, un suo collega prontamente informato del mio arrivo, non vede l'ora di collaborare con Kiri e mi aspetta a Gashima” domanda aggiungendo a bella posta dettagli mai proferiti da Hajime, non senza lanciare un'occhiata in tralice ai due ANBU sulla soglia “perché un morbo misterioso con non ben note modalità di diffusione sta decimando la popolazione.
Popolazione che, essendo il clan Ashura estinto, non ha niente a che fare con esso...? Lui incluso?”
domanda volutamente pedante, mentre allunga un indice verso il paziente.
Non saprebbe dire se le dispiacerebbe di più doversi infiltrare e far collaborare una persona che non ha voglia di farlo, o sapere di non essere affatto immune da quella roba... e non sapere nemmeno come proteggersi. L'ultima domanda, quella sul motivo per cui il medico abbia deciso di portarsi via un paziente per lavorarci in solitaria, sarà probabilmente legata alla figura di quel Kaede: sarebbe stato tutto più semplice, se i due fossero stati in buoni rapporti, ma non ci conta per niente.

 
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Hajime - Strepitoso, eh? Beh, è il protagonista della malattia, la cosa più strana senz'altro. Potremmo associarlo al nome che è stato attribuito al morbo.

Per le affermazioni successive di Urako, il medico non cercò nemmeno di celare un sorriso amaro e rassegnato, di quelli che si fanno quando cominci a capire come va il mondo, soprattutto se vivi in un paese dove del sole vedi solo una sagoma soffusa tra la coltre perenne di nebbia.

Hajime - Sei sveglia, capisco perché hanno richiesto una come te per questa missione - Si diresse finalmente verso il lavello per lavarsi le mani e applicarsi un cerotto sul dito, doveva aver finito con le dimostrazioni - Gashima stessa ha richiesto l'aiuto di Kiri per ciò che sta succedendo là, in maniera ufficiale anche. Sappiamo entrambi che il Mizukage, viste le circostanze, avrebbe comunque mandato qualcuno a verificare la situazione, quindi è andata anche bene.

Diede un ultimo sguardo al paziente che sembrava essersi leggermente stabilizzato, sotto il probabile effetto di morfina nel migliore dei casi, quindi cambiò stanza attendendo che la kunoichi lo seguisse e chiuse la porta dietro di lei. Si trovavano nel salotto saturato dal crepitio delle fiamme del caminetto e Hajime si accomodò in una delle sedute che davano proprio sul fuoco, per godere a pieno di quel caloroso abbraccio. Agli angoli della stanza però, i due ANBU rimanevano immobili e glaciali, ben resistenti al fuoco a pochi metri da loro. Il medico fece cenno ad Urako di accomodarsi:

Hajime - Kaede si è mostrato entusiasta di poter collaborare con un medico di Kiri: non ha formazione ninja di nessun tipo ma è uno dei migliori chimici e biologi del paese. Non è un medico nel senso stretto del termine, è più uno scienziato, sta studiando la malattia per sviluppare un vaccino, e l'idea di poter mostrare il suo lavoro a un ninja lo elettrizzava, almeno da quanto mi hanno detto. Per il resto... - Ripensò al paziente che aveva in cura e a cui Urako si era riferita durante il suo discorso nella stanza. - Non voglio prenderla in giro, sarebbe un insulto alla sua intelligenza. Non ho richiesto, anzi, Kiri non ha richiesto che uno degli infetti venisse portato qui per essere curato. Il mio compito non è fare stare meglio quel povero disgraziato, ma capire se... - Si tolse gli occhiali e si portò indice e pollice tra gli occhi, poi celò il viso tra le mani, cercando di trovare le parole giuste da affidare alla ragazza - Mi è stato chiesto di studiarlo per capire se fosse un membro del Clan Ashura. E' questo che a Kiri interessa, che non ci siano altri Ashura in vita, perché se un Ashura non si ammala di questa Maledizione, allora la rende un dono, un potere diabolico. Lo chiamavano Chiton, l'arte di manovrare il sangue.

Edited by Griever_ - 21/3/2020, 22:23
 
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10 Giugno 249 DN – mattina




Aiuto... ufficiale?
Fissa da sotto in su il medico che si lava le mani con cura, gli occhi leggermente più aperti del normale: quella è una notizia più che buona, e non le dispiace nemmeno che quello non se la sia presa per il tono poco urbano.
Segue Hajime nel locale accanto, non senza lanciare un'ultima occhiata al ragazzo che adesso sembra aver trovato un minimo di requie, e prende posto dove le viene indicato, ignorando il leggero disagio che le provoca la disparità di trattamento riservata agli ANBU.
Certo che ad essere dei soldati scelti, non sempre ci si guadagna.

Si lascia affondare nello schienale della poltrona, ricordandosi all'improvviso di aver abbandonato il pollo nell'altra stanza.
Quando diamine è successo?!
Forse nel momento in cui ha preso i guanti per toccare il microscopio... mah...
Tuttavia si vede costretta a inclinarsi un poco in avanti, pollo o non pollo, quando il discorso su Kaede entra nel vivo: niente cura?

“Crede che sia colpa del ragazzo allora, se si è diffusa questa piaga? Che sia lui il paziente zero?” domanda aggrottando le sopracciglia e lanciando uno sguardo in tralice verso la porta che mette in comunicazione le due stanze – un po'come se temesse di veder sbucare il paziente all'improvviso, trascinando i piedi come uno zombie e vomitando strani vapori infetti dalla bocca spalancata.
“Quindi in sostanza: gli Ashura hanno due possibilità. Ammalarsi e morire, oppure non ammalarsi e diventare dei pericoli pubblici, in grado di infliggere la stessa condizione che ha colpito Gashima.
Di gente guarita e portatrice del morbo avete notizie storiche? O è per questo che tiene il paziente qui... in caso si rimetta...?”
- e di conseguenza diventi rischioso averlo in giro, vivo, vegeto e ammorbante. Non lo domanda, ma è abbastanza sicura del fatto che se mai avessero accertato legami di sangue con gli Ashura, il ragazzo sarebbe stato abbattuto come un vitello storpio.

Ecco uno dei casi in cui essere nata come una signora Nessuno, ultima esponente di molteplici generazioni di gente a caso, non le fa schifo per niente.
Quella gente non ha chiesto di nascere Ashura, ed è stata massacrata senza remore: chi ha dato l'ordine, era certo che un potere simile sarebbe stato incontrollabile. Se quella storia è grave come le è stata presentata, gli Ashura non hanno conquistato Kiri solo perché gente più ricca e con più agganci li ha battuti sul tempo, e li ha fatti sterminare prima.
Verosimilmente con costi umani esorbitanti.
Non sa come dovrebbe sentire, nei confronti della notizia: pietà per i morti, o rassegnazione? Non se la sente di biasimare quella scelta: dopotutto è troppo facile abbandonare l'equilibrio, quando si ha tra le mani una risorsa troppo forte.

“Non le nascondo che avere del personale sul posto già al lavoro e bendisposto verso Kiri è già più di quanto non mi permettessi di sperare” confessa tamburellando le dita sui braccioli della poltrona.
Prende un profondo respiro, intrecciandosi le dita in grembo: “In sostanza andrò a Gashima e mi farò aggiornare da Kaede sulle sue ricerche, nell'ottica di bloccare la diffusione del morbo, se non proprio di trovare una cura. Nel frattempo lei terrà sotto controllo il malato che ha qui, e se dovesse risultare quello che lei teme... si muoverà di conseguenza. Ho capito bene?
Ha bisogno di ricevere aggiornamenti regolari da parte nostra?"


Ha appena finito di formulare la domanda, che un pensiero scomodo le attraversa la mente. Decide di dargli voce, anche se non è eccessivamente convinta che ne valga la pena: è giusto uno scrupolo. "E... questo solo per pensarle tutte... per caso sa di qualcuno che potrebbe voler ostacolare le operazioni, o peggio?” domanda infine, osservando intensamente le lunghe ombre che il fuoco disegna sul viso attempato dell'uomo.
"Da come ne parla, il Chiton sembra un'arma potente. Dove c'è un'arma, ci sono almeno due che litigano per ottenerla. Saprà bene cosa è successo a Fukagizu, vero?
Dei Bijuu non avrebbe dovuto sapere nessuno. Sarebbero rimasti delle leggende, se solo quella banda di pazzi esaltati non li avesse rilasciati.
Qui si parla di un Villaggio in quarantena e di troppe persone che ne sono a conoscenza... già tra noi due, Kaede e i due ANBU qui dentro siamo in cinque, sei col Mizukage e chissà quanti altri shinobi di rango elevato"
osserva senza indurire eccessivamente il tono della voce.
"Sempre volendo sperare che non siano rimasti discendenti nascosti degli Ashura, decisi a rendere alla Nebbia pan per focaccia" conclude allargando le braccia, per quanto consentitole dai braccioli.

 
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view post Posted on 21/3/2020, 17:55     +1   -1
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Hajime si rimise gli occhiali, ascoltando quello che la kunoichi avesse da dire, in risposta agli ultimi dettagli che le aveva concesso. Le rispose annuendo lievemente, sebbene fossero evidenti dei dubbi nel suo sguardo, che immediatamente sviscerò:

Hajime - C'erano tutte le condizioni perché fosse così - disse in risposta alla possibilità che il ragazzo fosse il paziente zero - ma dopo tutti i test che ho fatto, dubito che sia un Ashura.

Non ne era felice, era ovvio che sperasse di aver immediatamente trovato il colpevole, eppure la strada sembrava ancora lunga, quell'uomo sdraiato sul lettino non era probabilmente che una vittima, come tutti coloro che stavano patendo lo stesso destino a Gashima.
La Chunin continuò quindi le proprie considerazioni su quanto avesse sentito, cercando di farsi un preciso quadro generale sugli Ashura e sull'abilità che li aveva resi tanto controversi.


Hajime - Sì, è più o meno così. So che Kiri reclutava gli Ashura da bambini nei corpi speciali, come medici soprattutto. Pensa a quante cose avrebbe potuto portare nel campo della medicina un'abilità come questa. L'idea era probabilmente quella di tenere d'occhio il clan, così da agire immediatamente nel caso le cose fossero peggiorate. - Si portò una mano a massaggiarsi il mento, pensandoci un attimo e cercando di ricordare i rapporti tra il villaggio e il clan - In realtà erano pochi, inizialmente, gli Ashura che sviluppavano il Chiton, e tra questi la maggior parte si ammalava. Quelli che rimanevano venivano immediatamente intercettati dai piani alti di Kiri, come le dicevo. Dopo qualche anno però si ammalarono anche gli Ashura che avevano imparato a controllare decentemente l'abilità, e in poco tempo la percentuale tra ammalati e sopravvissuti cominciò a pendere in maniera incontrollata verso i primi. Quelli che erano già ANBU morirono, la gente cominciò ad allontanarli e isolarli, anche chi non aveva mai mostrato sintomi, e pian piano dalla quarantena totale si passò allo sterminio... sebbene la storia racconti di come siano tutti morti per la malattia.

Incrociò le dita e rimase per un po' a fissare il fuoco come se ci potesse leggerci dentro quella storia, come se stesse leggendo un libro. Abbassò lo sguardo d'un tratto, consapevole che tutto quello che aveva detto era successo davvero, il sangue di un intero clan sporcava le vesti della Nebbia e la popolazione del villaggio non lo sapeva nemmeno; per lei erano solo gli Ashura maledetti.

Hajime - Storicamente, anche gli Ashura più forti non erano capaci di "creare" la malattia, non si è mai verificato infatti un caso di contagio con sangue non Ashura. Da medico penso sia perché il parassita che hai visto prima sopravvive solo pochi secondi in corpi senza quella linea di sangue, sebbene nel loro di base non ci sia. Parliamo però di persone capaci di controllare ciò che scorre nelle nostre vene, quindi onestamente non riesco nemmeno a pensare a cosa potesse fare un Ashura con il Chiton a piena potenza. - Poi rispose alle altre domande: - Da quel che so sì, poteva capitare che chi mostrasse i primi sintomi riuscisse poi a riprendersi, e in realtà, molto più raramente, anche chi fosse a un passo della morte, come il mio paziente. - Questo rispondeva anche all'altra domanda, ma Hajime preferì parlare in maniera trasparente per non lasciare nulla al caso: - certo, nel caso in cui mostrasse miglioramenti... beh, dovrei agire immediatamente.

Per il resto, Hajime fu lieto di vedere la kunoichi ben disposta a collaborare, così come gli avevano detto di Kaede. Due bravi medici a lavoro su quella storia non potevano che portare a risultati, sebbene non fosse esclusivamente quello il focus. Urako centrò ancora una volta la questione con le sue ultime considerazioni: dovevano capire chi avrebbe potuto ostacolarli in quella vicenda, da eventuali squadre esterne agli Ashura stessi in prim'ordine.

Hajime - Kiri ha saputo scegliere ottimamente le persone a cui affidare determinate informazioni. Gashima è completamente isolata, gli unici rapporti che arrivano dal villaggio sono affidati a una squadra scelta dal Mizukage in persona. Questo varrà anche per lei, non potremo aggiornarci direttamente, ma potrà dare un resoconto periodico a questa squadra che, nel caso, potrà informare anche me. Le verrà spiegato tutto quando arriverà lì. - Sembrava piuttosto sicuro di quelle parole, considerata la gravità della vicenda, il Mizukage doveva aver organizzato tutto nei minimi particolari - Quanto ad eventuali Ashura ancora in vita, è chiaramente l'unica minaccia che preoccupa Kiri e che deve preoccupare tutto il paese. Non devo spiegarle quello che potrebbero fare, hanno un'arte diabolica ed è la loro presenza che dobbiamo scongiurare. La malattia è troppo simile a quella causata dal Chiton per essere una coincidenza, quindi da qualcuno deve pur essere arrivata. - Si voltò verso la ragazza serio in volto, stringendo i braccioli della poltrona con nervosismo e preoccupazione - Prima ancora che il vaccino, il suo obiettivo deve essere la ricerca del paziente zero, di un eventuale Ashura. Sarà lì per salvare delle vite, da medico, ma se incontrerà un Ashura dovrà agire da ninja.

Edited by Griever_ - 21/3/2020, 22:15
 
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view post Posted on 24/3/2020, 15:47     +1   -1
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ERA ORAH


10 Giugno 249 DN – mattina



“Mmmh...” mormora di rimando, annuendo con gesti lenti e ridotti, continuando a tamburellare le dita sul bracciolo, portando lo sguardo dal volto del medico alle fiamme danzanti nel camino - “è stato l'insorgere del morbo e la sua virulenza a portarla a pensare che fosse un discendente del Clan, o c'è dell'altro? Che test ha eseguito per le sue verifiche?
So di avere parecchie domande”
commenta tirando su un angolo della bocca, nella brutta copia di un sorrisetto di scuse.
No, non aggiunge nessun “ma”, contrariamente a quanto ha sempre fatto: la parte razionale nella sua testa ritiene di non doversi scusare di nulla. Sta facendo il suo lavoro, anche se la voce dell'abitudine protesta a gran voce.
Cerca di non passare per arrogante con un uomo adulto, per l'amor dei Kami! E bla, bla, bla...
Prende un respiro profondo, affonda i polpastrelli nei braccioli, sbatte le palpebre un paio di volte e si sforza di zittirla.

Al riprendere del racconto sulla triste sorte degli Ashura, torna ad osservare il viso stanco di Hajime, annuendo all'occorrenza, mentre una leggera smorfia di disapprovazione si va allargando sul suo viso, via via che il discorso prosegue. “Non avevano fatto niente di male, in sostanza” - commenta, enunciando l'ovvio.
Mano a mano che acquisisce nuovi dati, la situazione va perdendo ciò che per lei poteva avere di scontato, offuscando ulteriormente i confini tra ciò che ha sempre considerato positivo, e ciò che non lo è. “Nessuno ha mosso un dito per evitare che la situazione degenerasse, e il Villaggio ha dato il colpo finale” afferma senza domandarlo realmente “anche se non erano realmente contagiosi. Troppo costoso ricercare le cause, nonostante i benefici a livello bellico?” domanda con un tono di voce più basso e velato, quasi più a se stessa che al medico, che come lei sembra cercare conforto abbandonando lo sguardo alle fiamme. Si rilassa meccanicamente contro lo schienale, poggiando la nuca sulla superficie imbottita.

“Abbiamo parlato di una malattia diffusa, ho dato per scontato che i pazienti si siano trasmessi l'infezione tra loro, ma se l'organismo che ha isolato non attecchisce al di fuori del sangue del paziente, l'ipotesi va a decadere; gli Ashura stessi non potevano trasmettere la malattia a gente di sangue comune, ma potevano in ogni caso colpirli col Chiton.
Se per qualche motivo non ci troviamo davanti ad una mutazione della malattia – ipotesi da non escludere - più che il focolaio, dovremmo individuare un vero e proprio Untore, che attacca consapevolmente dei civili inermi. E credo che il movente per farlo ce l'abbia... un motivo bello grosso, tra l'altro... però … perché proprio Gashima...
continua a riflettere a voce udibile, augurandosi che Hajime la corregga, se sta dicendo cose errate.

Se fosse un Ashura e volesse vendicarsi, lo farebbe a Kiri. Non attaccherebbe gente a caso, nemmeno per testare le sue armi, o rischierebbe di essere fermata prima del tempo, a meno che non desideri attirare l'attenzione per distoglierla da qualcos'altro...

La quindicenne scuote la testa all'improvviso, si porta le mani alle tempie e le massaggia brevemente a occhi chiusi, come per scacciare un mal di testa che non ha. “Direi che la cosa migliore che possa fare adesso, sarebbe partire e mettermi al lavoro.
Si tenga il pollo e ci faccia un brodo, le farà bene”
conclude staccando il dorso dallo schienale della poltrona e stirando gli angoli della bocca nell'ennesima – alquanto fredda - imitazione di un sorriso.



CITAZIONE
Faccio male a pensare che le info (per il momento) il briefing iniziale si concluda qui?
 
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view post Posted on 26/3/2020, 00:26     +1   -1
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Hajime non sembrò minimamente disturbato dalle domande della kunoichi, anzi, era ben lieto di fornire quanti più dettagli possibili: In un certo senso, sì. Lui è stato uno dei primi infetti sicuramente ed è quello che ha mostrato peggioramenti molto più rapidi rispetto ad altri. Il decorso che sta facendo la malattia è lo stesso, quindi se due indizi fanno una prova... - Si voltò verso la porta chiusa dietro cui riposava il paziente - però esaminando il suo sangue non ho trovato riscontri specifici con il clan Ashura. Dagli studi fatti sulla malattia, al tempo, si evinceva un certo comportamento del sangue, non c'era un parassita nemmeno lì ma... tracce, tracce di qualcosa di esterno e singolare sì. Lui non ne ha traccia, eppure lo trasmette. Sono a un punto morto.

Era una base da cui partire, tutto il resto che c'era da scoprire sulla malattia e sugli Ashura, Urako avrebbe potuto ricercarlo a Gashima. Kaede studiava il caso da un po', avrebbe senz'altro potuto aggiornarla ulteriormente sugli sviluppi a cui era giunto. Per il resto, in risposta alla considerazione della kunoichi sull'operato di Kiri e la reale pericolosità del contagio, chiuse gli occhi scuro in volto, in empatia con ciò che poteva provare un medico davanti a quelle rivelazioni:

Hajime - Non sta a noi giudicare, signorina Urako. Kiri agisce sempre per il bene del villaggio. - La Chunin non seppe dire se ci credesse davvero, ma in fondo non avrebbe fatto troppa differenza. Infine si arrivò al punto focale, alla vera missione di Urako, al compito che Kiri le stava assegnando a conti fatti: Esattamente. Se il virus è mutato e dal paziente zero si è diffuso anche a linee di sangue differenti, allora una cura è l'unica salvezza. Se invece è un Ashura che sta cercando di vendicarsi del paese, partendo da una zona nascosta al mondo come Gashima, allora è lui che devi trovare.

Il medico si alzò a quel punto, prendendo esempio da Urako e le affidò il resto della vicenda, sperando che da quell'isola immersa nella nebbia potesse far arrivare buone notizie.

Hajime - Buona fortuna signorina Urako, quanto a me farò qui la mia parte. Farò arrivare a lei e al dottor Kaede eventuali novità dal mio paziente. - Si fermò un attimo, concedendosi poi un sorriso sincero - E grazie per il pollo.


La partenza era fissata alla sera dello stesso giorno, in un molo a Kayama, un piccolo villaggio portuale non distante da Kiri. Era una spedizione gestita interamente dai piani alti della nebbia, specificatamente per Gashima. Oltre al passeggero più importante, Urako, vi erano anche diverse casse di attrezzatura medica e medicinali, richiesti direttamente dal dottor Kaede. Considerando la totale chiusura di Gashima invece, il percorso che avrebbe compiuto la nave sarebbe stato sotto la completa giurisdizione del Mizukage, la cui squadra avrebbe verificato che non si virasse dalla rotta concordata. Era una zona completamente immersa nella nebbia e in fondo, Gashima era conosciuta anche per quella: era il villaggio bianco, che respirava l'umidità dell'Acqua e la nebbia più fitta dell'intero paese. Era la peculiarità che lo aveva reso negli anni il covo preferito di fuggiaschi e ricercati, il cuore di quella che era la civiltà "oltre il velo", che in genere i piani alti ignoravano. A soffrire della piaga erano però anche i civili: uomini, donne e bambini cresciuti tra il soffiare della brezza marina e la densità di quella terrificante e affascinante caligine. Fu proprio nella nebbia che qualche ora dopo fu possibile vedere il tenue colore arancione dell'alba, con il sole nascosto ma presente a illuminare prima da lontano, poi sempre più vicina la terra decimata da un morbo irrazionale. Mentre l'equipaggio si preoccupava di scaricare tutto il materiale medico richiesto, i due stessi ANBU che avevano avvicinato Urako il giorno prima, avevano invece il compito di scortarla fino all'abitazione di Kaede il più velocemente possibile, senza troppi fronzoli. Camminarono per diversi chilometri nella nebbia e tra il silenzio e la "meravigliosa compagnia" che riuscivano a tenere i due guerrieri scelti, sembrarono durare un'eternità, in direzione dell'entroterra. Si stavano muovendo verso il Nord-Ovest dell'isola, luogo che si perdeva nella fitta vegetazione di una foresta di bambù. Quando finalmente, dopo aver anche risalito e disceso una piccola zona montuosa, si insinuarono tra i monti in una vallata grigia e umida, si presentò davanti ai tre Kiriani una grande abitazione di due piani, con un'ampia entrata con giardino. Uno dei due ANBU si avvicinò lentamente al cancello di ferro chiuso e poggiò un palmo su di esso concentrando una gran quantità di chakra:

ANBU - Stai indietro per favore. Disse rivolgendosi a Urako e lasciando che un bagliore azzurrino anticipasse l'apertura del cancello. A quel punto si mise di lato, in maniera speculare all'altro ANBU, e fece cenno alla kunoichi di entrare - Il signor Kaede è dentro, ti sta aspettando.
 
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view post Posted on 30/3/2020, 14:33     +1   -1
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10 Giugno 249 DN – sera



Strano a dirsi, ma l'apprezzamento del pollo ha strappato un sorriso anche a lei: uno divertito, privo di scherno. Il presentimento che sarebbe stato l'ultimo per un bel pezzo ha iniziato a pungolarla da quel momento in avanti.

Non avrebbe avuto tutto questo tempo a disposizione per fare i bagagli: il tragitto di ritorno fino a Kiri e quello dal Villaggio a Kayama avrebbero richiesto il loro tributo, come anche la sistemazione del cibo deperibile rimasto in frigorifero. L'idea di tornare e trovare strane creature mutanti in cucina la entusiasma molto meno che dimenticare a casa lo spazzolino da denti.
Biglietti per i suoi non ne lascia neppure.
No, non sa quanto durerà la missione, non crede sia saggio lasciare in giro tracce che riguardano i suoi incarichi né pensa sia utile “viziare” i suoi vecchi, dando loro la falsa speranza di poter avere notizie regolari da parte sua... specie dal momento in cui Nuibari è entrata a far parte della sua vita.

La katana l'avrebbe lasciata al Palazzo del Kage, ben custodita nei sotterranei, piuttosto che rischiare un furto accidentale in sua assenza. Ed è così che di buon'ora si mette in marcia verso Kayama, con una sacca decisamente più pesante del solito e l'augurio di non aver dimenticato nulla di fondamentale importanza.


La segretezza e la serietà della situazione si palesano con granitico rigore, al suo arrivo al porto: anche senza riuscire a vederli, percepisce su di sé gli occhi degli ANBU che sorvegliano il perimetro... o forse è solo la sua aspettativa a giocarle qualche scherzo spiacevole, ma supporre il contrario sarebbe sciocco. Il paranco che ha appena terminato di issare a bordo dell'imbarcazione le pesanti casse colme di attrezzatura sta giusto venendo scostato dalla fiancata: ciò la spinge ad accelerare il passo, anche se è arrivata con un discreto anticipo sull'orario concordato.
In giro non si vede altro personale medico oltre lei; gli altri – ANBU ed equipaggio - sembrano piuttosto presi dalle loro faccende, e le passano accanto accennando al massimo dei cenni col capo.

Sembrano tutti abbastanza tesi: hanno gli sguardi fissi in avanti e le labbra tirate nell'espressione tipica di chi sta impiegando tutte le proprie energie mentali. Tutti tranne lei, che per quanto avverta su di sé la pressione della macchina umana appena messa in moto, in questo momento materialmente non può fare nulla. A costo di sembrare noncurante verso le persone al lavoro, avrebbe optato sulla ricerca di un angolino tranquillo sottocoperta: avrebbe rimpianto quelle ore di riposo, se non le avesse sfruttate ora che le ha a disposizione, se lo sente.


11 Giugno 249 DN – alba



La nottata trascorre scomoda, tormentata da un sonno irregolare; l'alba le dà un benvenuto altrettanto umido e spiacevole, quando mette piede sul ponte, gli occhi semichiusi, infagottata nell'impermeabile grigio e con la testa incassata tra le spalle. L'alba dipinge di pallido oro l'orizzonte a est, ma non la conforta, se non per un brevissimo istante: per quanto affondi le mani nelle tasche, nemmeno un metro di lana potrebbe tenere fuori l'alito gelido e salmastro del mare notturno.

Presto voltano le spalle al mare e al pallido sole velato di bianco, per immergersi in un mare altrettanto denso e umido: la visibilità in quell'area appare subito scarsissima, tanto da farle dubitare ad ogni passo di trovare del solido terreno sotto i calzari. La nebbia ingoia vorace ogni rumore, lasciandoli soli col rumore ritmico del proprio fiato, della ghiaia che scricchiola sotto i piedi e degli abiti che frusciano ad ogni passo. Di Gashima ricordava poco e niente: è trascorso troppo tempo dalle lezioni di geografia dell'Accademia, ma ha avuto modo di ripescare da uno scatolone e sfogliare il suo vecchio manuale, poco prima di uscire. Pare che quella nebbia opprimente sia una cosa ordinaria, per quella zona, ma prima di vederla non avrebbe mai creduto a quella che le sembrava un'esagerazione.
Dopotutto, anche al Villaggio capitano giorni di nebbia pesante, e nessuno ne fa una tragedia.

Avrebbe avuto diversi chilometri di strada, per familiarizzare con l'idea che sopravvivere in un posto del genere avrebbe richiesto un attaccamento alla vita fuori del comune, anche per una persona abituata a vedere a meno di un metro dal naso, tutti i santi giorni.
Lo stesso suolo su cui corre appare offuscato ed evanescente, tanto da farla sobbalzare più di una volta, quando per caso incappa in un avvallamento inatteso o incespica in una radice. Ai loro lati due muri di nulla canuto, da cui sarebbe potuto emergere letteralmente di tutto, senza che lei possa avere modo di accorgersene per tempo.

Per quanto facciano la stessa compagnia del pollo morto che ha lasciato da Hajime, se non fosse per la presenza dei due laconici ANBU, quel viaggio sarebbe stato un incubo: più volte le fronde scheletriche dei bambù si fanno sporgenti dai lati del sentiero, protendendosi come zampe di mantidi giganti, facendole condensare goccioline di sudore sul dorso... sudore che aumenta con la salita, assieme agli scivoloni e ai passi falsi, da cui i suoi accompagnatori sembrano essere immuni.
Non sa se ammirarli, invidiarli, o abbassare la testa e lavorare sodo... sì, forse la terza opzione è la più sensata.

La villa a cui sono diretti emerge letteralmente dal nulla, senza nemmeno annunciarsi col suo profilo scuro nella nebbia. Sembra abbastanza isolata da evitarsi ficcanaso e seccatori, ma è abbastanza immersa nella nebbia da poter essere circondata da elementi ben peggiori.
Avrebbe dovuto affidarsi alle mani esperte dei soldati scelti, cui obbedisce prontamente, scostandosi dalla serratura; aspetta che il cancello si spalanchi davanti a lei prima di avviarsi a larghe falcate verso l'interno.
“È permesso?” - domanda con cautela, senza alzare eccessivamente la voce, mentre fa il suo ingresso. Non sa cosa aspettarsi: avranno ammassato lì dentro tutti i pazienti, o in quel posto è soltanto allestito il laboratorio di Kaede?

 
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view post Posted on 1/4/2020, 10:15     +1   -1
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la curiosità e la sete di conoscenza guiderà l'animo umano fino alla fine dei suoi giorni...

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Non ci siamo Eiki, non ci siamo! Capisci quanto è importante tutto questo per me? Lo capisci? Non puoi continuare a chiedermi il cibo mentre sto operando con cose così delicate, ci sono delle priorità! E poi hai mangiato giusto mezz'ora fa, mezz'ora! - Era una voce maschile, giovane, ma dalla posizione della kunoichi, ormai quasi sull'uscio della porta, non fu possibile determinare con chi stesse parlando quello che doveva essere il dottore. Hajime non aveva effettivamente specificato se il medico fosse da solo o se avesse già di base dei collaboratori con cui anche lei avrebbe dovuto lavorare. In ogni caso, quando la Chunin si palesò davanti alla porta, la voce si zittì d'un tratto dopo un sonoro singulto: non se l'aspettava. - A-arrivo. Non passarono che un paio di secondi prima che il medico aprisse la porta, presentandosi agli occhi della kunoichi che rappresentava l'aiuto che Kiri aveva offerto a Gashima. Mostrò il sorriso più fascinoso di cui disponeva e si fece immediatamente da parte per fare accomodare la propria ospite.

Kaede - Incantato. Io sono il dottor Kaede e voglio subito informarla di essere onoratissimo che una kunoichi del suo calibro si sia prestata a dare una mano a un villaggio desolato come il nostro, per quanto... beh, sì, la situazione potrebbe portare scompiglio anche al suo villaggio. Ma sto divagando, prego, prego.

Kaede era un uomo sulla trentina con i capelli color rame tutti scompigliati, ma in una maniera che difficilmente Urako aveva avuto modo di vedere a Kiri. In quei giorni di quarantena e studio doveva aver avuto poco tempo per darsi una sistemata per l'arrivo della Chunin, ma la cosa non sembrava turbarlo troppo, anzi, era soltanto emozionato ed esaltato. Gli occhiali poggiati sulla punta del naso non erano particolarmente spessi, e piuttosto piccoli a dire il vero: erano probabilmente usati insieme ai microscopi per ottimizzare il controllo dei dettagli più che per un effettivo sostegno alla sua vista, che dietro a quegli occhi azzurrissimi sembrava funzionare benissimo. Urako poté notarlo da come venne praticamente squadrata da capo a piedi, ma non per un qualche pensiero malizioso, era più un'espressione di meraviglia e incredulità. Era vestito con il tipico camice bianco da laboratorio, sebbene di quel colore non fosse rimasto praticamente più nulla: era un'esplosione di grigio, rosso, verde, blu e anche qualche striatura di nero. Quei colori erano disseminati anche in concomitanza della porta adiacente al salone d'ingresso, probabilmente zona di esperimenti vari. Stette a guardare la nuova arrivata in quel modo per i dieci secondi più lunghi della vita della Kiriana, nel silenzio più assoluto e in un imbarazzo che venne a crearsi più rapidamente di una pozzanghera in una notte di tempesta.

Kaede - Ehm... posso offrirle un biscotto? Ha fatto colazione?

Fece un paio di passi indietro riuscendo a schivare per miracolo degli scatoloni sul lato della stanza, quindi raggiunse il tavolo e versò quello che doveva caffè su una piccola tazza. Poi aprì il coperchio di un contenitore e ne uscì un biscotto con dei chicchi di cioccolato. Fu in quel momento che un miagolio amplificò la situazione già abbastanza agghiacciante, ma in fondo poteva aver contribuito a spezzare il silenzio che si stava nuovamente generando. Kaede trasalì, quindi balzò verso i piedi del tavolo per prendere al volo, con una maestria acquisita probabilmente negli anni di convivenza con quell'animale, un gatto dal folto pelo ramato.

Kaede - Lei è Eiki! Mia fidata consigliera, dalla massima educazione e con un gran rispetto per i miei studi. Non osa infatti mai entrare nelle camere sterili, vero Eiki? - La gatta lo osservò con lo sguardo più stufato del mondo e si limitò a un lungo e lamentoso miagolio che soddisfò abbastanza il dottore. La mise giù a quel punto e tornò a rivolgersi al medico che, da Kiri, non era certamente venuta a perdere tempo. Deve scusare il disordine ma come sa sono stati giorni terribili. Allora, quanto sa del Chiton? Ha domande prima che le illustri i miei studi?
 
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