Misa Ogawa少女, Das MädchenLa testolina bionda della nostra piccola jashinista è come impazzita: si volta adesso a destra e ora a sinistra, in modo assai frenetico pur di seguire il discorso. Le cose, tuttavia, cominciano a non tornarle e per qualche istante blocca lo sguardo sull’anziano signore. Lo scruta da testa a piedi, come se avesse iniziato a cercare qualcosa.
E’ sconvolta, ma la vocina della peste bianca che si trova innanzi a loro la fa tornare presso questo mondo; quindi si volta di nuovo, guidata da un senso di imbarazzo.
Non sa più cosa pensare, a riguardo di quest'ambigua vicenda.
L’uomo che li aveva portati al campo, effettivamente, aveva accennato alla questione degli umani. Ma lei non aveva capito nulla. Aveva annuito e lasciato tutto ai suoi superiori.
Ora però è difficile annuire e far finta di niente; per la mente le balenano idee malsane, illlazioni niente affatto piacevoli.
Guarda quella bambina e si chiede cosa possa aver fatto: ha fatto a pezzi degli infedeli? E allora perché darsi così tanto da fare, si chiede lei. Perché lavorare così tanto per delle persone comuni? Certo, Misa lo sa: non tutti gli jashinisti mangiano la carne altrui; non tutti gli jashinisti provano nei confronti dei blasfemi il medesimo disprezzo che le è stato inculcato sin da bambina.
Ma le pare comunque troppo allestire un campo simile e darsi così tanto da fare.
Per di più la sorella di questa piccolina dovrebbe vivere vicino casa sua, ma lei non ha idea di chi possa essere quella donna.
E’ tutto confuso, adesso; tutto più grigio e sfumato di quanto non lo fosse stato cinque minuti prima.
Vuole sapere, ma qualcosa le dice di dover fare la brava e tacere. I suoi superiori devono pur conoscerle, queste cose. Perché mai lei dovrebbe curiosare in faccende così delicate che non la riguardano nemmeno?
L’anziano la tira in questione. Lei si ricorda di drizzare la schiena e apparire sicura.
Gli occhioni ambrati della piccola sono adesso puntati su di lei.
La mira con una malcelata curiosità. Si sente a disagio: sembra impossibile da trattare, quella peste.
Però questa qui parla. Sputa informazioni senza nemmeno pensarci; Misa avrebbe potuto sapere tutto grazie a lei.
Così comincia a prendere la situazione un po’ più seriamente, riuscendo in un certo qual modo a motivarsi.
E’ vero, vorrebbe comunque sparire: non le piace quest’atmosfera da litigio familiare in cui emergono segreti man mano che si aggiungono le parole.
Atsushi-sama sembra particolarmente turbato adesso: le si rivolge con una voce quasi pietosa, con occhi che invocano il suo aiuto. E lei, che è lì, con la testa annebbiata da tutti questi dubbi, da tutto questo mistero, cosa deve fare? Rispondere dicendo che no, a casa sua non è affatto conveniente spellare le galline, ma nemmeno dar alito ai segreti di famiglia davanti agli ospiti. Per di più non è permesso nemmeno distruggere i propri vestiti, per quanto possa sembrare assurdo.
Così sospira - si sforza di non rendere il gesto troppo teatrale - e fissa gli occhi rossi in quelli scuri della bambina. Com’è che si chiama? Kourui. Sì, Kourui-sama.
No, no, no.
No. Non è Kourui.
Ma che razza di nome è Kourui!
E’ Kousui. Kousui-sama. Sì, così le sembra giusto.
— “Kousui-sama” ripete, stavolta a voce.
S’inchina un poco, forse in un modo un po’ maldestro: non le riescono affatto questi saluti. Di solito abbraccia le persone che saluta: sua madre, suo padre, suo fratello…chi altri saluta solitamente? La sua migliore amica? Quella maledetta che non si fa vedere da giorni? Non l’avrebbe più abbracciata!
”Il luogo da cui vengo non è molto lontano da qui, sapete? E’ simile a questo. Ci sono enormi spazi aperti e i ragazzi sono liberi di giocare dopo aver adempito alle funzioni religiose. Non siamo in molti: voi, credo, siete di più. Però ve l’assicuro: è un bel posto. Ma ci sono delle regole, come ha fatto ben intendere Atsushi-sama. Ecco, per esempio, il cibo è molto importante, quindi non va distrutto. I vestiti lo sono anche, perché sono il lavoro di giorni e giorni. Credetemi, piacciono anche a me, i vestiti. Ne avevo uno davvero bello, che anch’io rovinai e non riuscii più ad avere indietro”.
Prova ad avvicinarle. E’ cauta, si muove lentamente, ma cerca di essere naturale in ciò che fa. Insomma, cerca di non muoversi come un t-rex, quantomeno.
Il ciondolo di Jashin che porta al petto viene fuori dalla maglietta, accidentalmente. Stava lì lì per uscire da un po’, ma Misa non se n’era accorta.
Si ferma a qualche metro di distanza dalla sua interlocutrice. -
“Se volete, potrei raccontarvi qualcosa sul posto da dove vengo. Potremmo sederci un pochino: ho male alle ginocchia. Questa situazione ha dato noia anche a me, sapete? Potremmo fare merenda, anche”.
Non sa che genere di sguardi le stiano rivolgendo tutti adesso, ma è pronta a scommettere che la piccola, bianca peste che ha davanti le farà un qualche dispetto e scapperà via. Lei è stata bambina da poco; anche lei era irrequieta. Ma quando faceva la cattiva, però, c’era sempre un motivo.
Però, spera che quella le dia retta: incredibilmente ha di nuovo fame.