Il giardino dei sentieri che si biforcano, Quest di firma dei Gatti - per Steve.(2°pg) e GrillWilde98

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view post Posted on 14/3/2019, 18:32     +1   -1
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23 febbraio 249. A pagina 9 si leggeva che un'offensiva di tredici divisioni nemiche di un paese sconosciuto - Kiri? il Suono? L'Aka, che ormai pareva dimenticata? Non si poteva ancora dire - era stata decisa per il 24 giugno di quell'anno, ma che dovette essere ritardata a causa della scoperta dell'infiltrato Ryo Maeda, datosi alla fuga. Una fuga che non avrebbe mai potuto essere concessa, non con le informazioni trafugate. Tale deposizione gettava su una moltitudine di infauste e recenti casualità una luce completamente inaspettata, tanto su Ryo Maeda, che su gli uomini che davano lui la caccia.


Miao a tutti! Primo post libero, fatemi conoscere i vostri personaggi, vi chiedo solo di concluderlo in uno spazio aperto, fuori dal villaggio.


Edited by Jöns - 15/3/2019, 08:20
 
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GrillWilde98
view post Posted on 16/3/2019, 12:10     +1   -1




Fuori pioveva a dirotto. Piccole gocce di pioggia tintinnavano sui tetti del vicinato e si abbattevano contro le foglie degli alberi, in un concerto che Shiki trovava al limite dell’esasperante. In quella mattina uggiosa, il piccolo genin dai capelli rossicci si stava annoiando a morte. Aveva il viso letteralmente spiaccicato contro il vetro della sua finestra: con il naso schiacciato e gli occhi spalancati, Shiki si ostinava a guardare fuori, cercando a tutti i costi qualcosa che lo colpisse, che lo distraesse dalla noia in cui sembrava ormai essersi perduto.
“Uffa, non c’è mai nulla da fare” pensò Shiki passandosi una mano sul collo.
Fuori, l’acqua scrosciante, forse animata da qualche impulso narcisistico, aveva preso a scendere più forte, come a voler fare un dispetto a quel povero ragazzino nevrotico.
-Certo che le nuvole devono essere proprio grandi per avere così tanta acqua- disse Shiki fra se e se -Mi chiedo cosa si provi a stare così in alto…-.
Immerso in interrogativi così esistenziali, Shiki fissò il vuoto per circa dieci minuti; non trovando però alcuna risposta, soffiò via quel frivolo pensiero come si fa con i denti di leone, determinato a fare dell’altro:un po’ indispettito, un po’ scocciato, decise quindi di staccarsi dalla finestra (su cui ormai era immortalato il suo alone) e sdraiarsi sul futon; sembrava però che non riuscisse a trovare una posizione che gli piacesse: Shiki, da buon anima in pena, continuava infatti a girarsi e rigirarsi, come un martire sulla graticola. Non ne poteva più: quella giornata era iniziata malissimo e sembrava non dovesse finire mai.
Optò in fine per sedersi con le spalle al muro, le ginocchia rannicchiate vicino al petto, in una posa che poteva ricordare quella di una mummia, visti il fisico scheletrico e la carnagione pallida di Shiki; l’espressione però non era affatto quella di un cadavere, anzi: sulla sua faccia troneggiava un sig. broncio, scortato da due occhi vispi e accigliati che continuavano a lanciare sguardi in giro per la stanza.
“Che palle mi annoio…”.
La sua attenzione venne poi catturata da Shika, il suo tanuki di pezza, steso sulla scrivania, con il pancino sventrato e dell’ovatta che gli fuoriusciva: anche i soldati migliori cadevano sul campo di battaglia: il mondo dei ninja non guardava in faccia a nessuno. Shika si era valorosamente “sacrificato” durante l’esame di passaggio al rango genin, e in teoria quello strappo non era una gran cosa; tuttavia, tutte le volte che Shiki aveva provato a rammendarlo, si era finito per pungere con l’ago, e, molto scazzato, aveva sempre mollato tutto di getto, maledicendo e mandando a quel paese il mondo intero e tutti i suoi stramaledetti abitanti.
Il desiderio di ricucirgli la pancia restava comunque fortissimo, ma, tolta la questione dell’ago, il problema di fondo era un altro: da quando era diventato genin, Shiki provava un enorme senso di colpa tutte le volte che giocava con i suoi giocattoli. Lui si divertiva un mondo con loro, ma appena iniziava i suoi giochi, nella sua mente si insinuava l’idea che ciò che stava facendo fosse ormai sbagliato, visto che non era più un bambino e doveva incominciare a fare l’uomo.
“Chi ha bisogno dei peluche ora che sono un ninja?!Pff, non io di certo…”.
Shika, come disteso su un tavolo operatorio, fissava il suo amico e padrone; il suo era uno sguardo che la mente di un bambino poteva leggere solo e soltanto come una supplica: l’ultimo desidero disperato di un moribondo. Shiki, di contro, girò (a fatica) la testa dall’altra parte.
-Ormai sono grande, non mi servono quest…- sbuffò gonfiandosi come un tacchino, per poi fermarsi di colpo: se ora non vedeva più il suo pupazzo preferito in fin di vita, dall’altro lato c'erano altri occhi che lo squadravano; dal lato opposto della scrivania, c’era infatti la sua cesta dei giochi, da cui tutti gli altri pupazzi, Shiki lo sapeva, sparavano giudizi taglienti dai loro occhi di bottone. Shiki cominciava a sentirsi a disagio nella sua stessa cameretta.
-Pff, se pensate che basti questo per farmi cedere…- disse Shiki ai suoi amichetti facendo il grosso -Ormai ci vuole ben altro!Sono un ninja…E poi cosa direbbe Mayuri se mi vedesse con voi…-.
Ma gli sguardi accusatori erano troppi, e troppo feroci. Shiki non seppe resistervi, si alzò di scatto e corse verso la scrivania: Il suo amico aveva bisogno di lui. Un buon ninja non abbandona mai un compagno.

“Dottore presto, l’Ispettore è stato ferito…” belò una vocina esile e spezzata.
“Maledetti ribelli. Questa guerra non risparmia nemmeno i ninja più valorosi…Maledetti”.
Cosa facciamo?Ha perso molto sangue…”
“Infermiera: prepari tutto il necessario per una trasfusione e il tavolo operatorio: farò di tutto per salvarlo. Dio solo sa se lo farò…”.
Questa volta la mano attenta di Shiki non si punse: mentre con la mano sinistra aggiungeva dell’ovatta al ventre ormai vuoto del peluche, con la destra faceva passare l’ago da una parte all’altra della ferita; il rammento era fatto alla bell’e buona, ma avrebbe retto.

Nel frattempo aveva smesso di piovere. Non appena guardò fuori dalla finestra, Shiki corse a cambiarsi tutto eccitato; anche se non aveva chissà quali programmi per la giornata, non ne poteva più di stare confinato in casa. Aveva già dimenticato tutti i crucci esistenziali che lo attanagliavano fino a un minuto fa..
Si vestì in fretta e furia, non accorgendosi nemmeno di essersi infilato la maglietta al rovescio; si legò il coprifronte sul braccio sinistro, e Shika, tornato a nuova vita, alla cintura: era finalmente pronto per uscire.
Scese le scale, attraversò il soggiorno, passò per la cucina per sgraffignare qualcosa da mangiare e uscì veloce; fece tutto di soppiatto, quatto quatto: non voleva incrociare nessuno, e così fu.
Le strade di Konoha erano ancora bagnate e umide; i tetti degli edifici gocciolavano, l’acqua di scolo scorreva ai margini delle strade, e Shiki non poteva fare due passi senza finire dentro una pozzanghera. Era tutto dannatamente frustrante per lui: voleva un po’ di silenzio, era chiedere troppo, forse!? Esasperato da madre natura, decise di prendere la strada che portava fuori dal villaggio, per potersi così finalmente ritagliare un angolo di pace. Lungo la strada incontrò poche persone, e quelle che conosceva anche solo di vista, fece finta di non vederle: non era giornata per inutili convenevoli.
Uscì con calma dalla porta del villaggio, dirigendosi verso uno spiazzo aperto poco distante dalla strada principale. Camminando fuori dal villaggio dovette però ammettere a se stesso una cosa, seppur andasse in contraddizione con quanto avesse pensato fino a quel momento: il mondo appena risvegliatosi dal temporale, in fondo, non era così terribile, anzi; gli uccelli, con i loro cinguettii, avevano ripreso il volo, così come le api e qualche altro piccolo insetto; i fiori, quelli che erano sopravvissuti alla violenza del cielo, iniziavano piano piano a riaprire i petali, con la stessa calma degli amanti appena svegli che si stiracchiano vicini. Era come se tutto fosse avvolto da una calma soffusa, come se quel giorno l’alba fosse avvenuta una seconda volta quella mattina. Forse il problema non era la pioggia, ma il caos del villaggio. O meglio, forse era Shiki che faceva fatica a sopportare il trambusto cittadino...
Raggiunse finalmente lo spiazzo prescelto: l’erba era ancora umida, ma Shiki non vi badò; si trovò un bell’angolino sotto uno dei pochi alberi presenti, e lì vi si stese trionfante, stiracchiandosi ben bene.
“Il mondo dovrebbe essere sempre così, non credi Shika? ” domandò al suo peluche mentre si accarezzava il pancino con le mani umide dopo aver toccato l’erba.
-Sempre così, tranquillo…Sarebbe meraviglioso. Niente rumori fastidiosi, niente fretta, niente di niente. Ah, come sarebbe bello...-.
 
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view post Posted on 17/3/2019, 16:52     +1   -1
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[Villaggio di Iwa]




Sin da quando si era impadronita della conoscenza del Bakuton, aveva reso gli allenamenti più estenuanti e costanti. Ryuu era divenuto lo spettatore dei suoi dilemmi quotidiani, non potendo, per forza di cose, consigliarla in eventuali sbavature meccaniche nell'esecuzione delle tecniche. Era pur sempre un infante. L'arsura della terra natia era tale da rendere tedioso il sonno stesso; permanere tra le braccia di Morpheo non sarebbe stato più possibile con il progredire del tempo. In Fu così che accadde quel giorno, con una lieve brezza ad accudirne la folta chioma cremisi. Come sempre, d'altronde, alle prime luci dell'alba, giaceva sul bordo della ringhiera, mentre il suo sguardo era orientato verso il villaggio stesso. Avrebbe atteso che giungesse l'orario prestabilito per portare Ryuu in zona franca, ovvero nel complesso scolastico adibito, per poi recarsi al di fuori delle porte per poter temprare maggiormente le proprie abilità.

- Quando si deciderà la Tsuchikage ad affidarmi qualche missione? UFF!

Proferì, con una tono di voce piuttosto disturbato. In effetti era diventata genin da abbastanza tempo per potersi permettere di essere mandata in missione. Gli unici problemi ad essersi interposti in quella sua ambizione erano state l'invasione delle creature codate e, nel contempo, la diatriba che si inasprì tra il Taisei ed il Kyodan. A maggiorare la sua insoddisfazione vi era anche l'acquisizione o, meglio, il risveglio del potere del Bakuton. Nel cuore di quella montagna aveva trovato una sorta di famiglia con la quale poter migliorarsi esponenzialmente; nel contempo aveva incontrato Rei, la quale le aveva insegnato a combattere in modo oculato. Certo, l'aveva battuta senza rischiare alcunché, ma era conscia di dover migliorarsi ulteriormente poiché ci sarebbero stati degli Shinobi più preparati e forti di lei anche qualora avesse ribaltato in un successivo scontro gli esiti del precedente.

Raccolse tutto l'armamentario e indossò il consueto vestiario da allenamento; non esitò, comunque, e sollecito Ryuu a fare altrettanto, ovviamente senza armi da portare con sé. Quando tutto fu pronto lo fece aggrappare sulle sue spalle e iniziò a balzare tra un tetto e l'altro per lasciarlo a scuola. Aveva dato delega alla signora del primo piano per andarlo a prendere alla chiusura della stessa, dato che lei difficilmente avrebbe potuto farlo. La vita all'interno del villaggio aveva già iniziato ad animarsi, fattore che fece sorridere in modo lieve la giovane kunoichi.

- Ryuu, fai il bravo e non far incazzare la signora! O dopo te la vedi con me.

Disse, plasmando un piccolo proiettile esplosivo nel palmo della mano. Celermente salutò il fratellino e giunse alle porte del villaggio; dopo aver spiegato il motivo del suo allontanamento cercò di raggiungere nel minor tempo possibile il campo di addestramento.

 
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view post Posted on 29/3/2019, 09:29     +1   -1
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L'uno seduto e finalmente quieto, meditando su chissà quali idilliache fantasticherie che vedevano solo lui e il mondo, e nessun altro; l'altra di corsa, a perdifiato, verso quel destino che forse non sapeva definire in alcun modo, verso cui non nutriva alcun sospetto circa la libertà che avrebbe potuto concedere, circa i suoi limiti tra assoluta libertà sul baratro del caos, e la più rigida predestinazione di una mente totalmente intessuta di possibili.
In entrambi, erano giunti a uno spartiacque possibile, l'uno giunto in una piccola collina, trovando ristoro sotto una titanica canfora con delle strane incisioni sul tronco secolare, l'altra appena passata, lungo il sentiero che l'avrebbe condotta al suo campo d'addestramento, di fianco a un identico albero.
Due alberi gemelli, cresciuti a decine di miglia di distanza. Ciascuno potè notare una strana forma minuta che li osservava tra i cespugli che crescevano là intorno, unico segno visibile dei piccoli e magnetici occhi che si aprivano come angusti corridoi in un crepaccio d'ambra e oro, come se procedessero tra meraviglie colme di ricchezze verso un'eterna notte nuda e primordiale che viaggiava inesorabile alla loro volta. Una porta su ciò che era in atto nel mondo, e su ciò che era di là da venire.
Una sensazione conturbante li avvolgeva, senza che potessero averne pienamente contezza. Un qualcosa di primordiale, di innominabile, poichè priva di parola. L'ombra scattò d'improvviso tornando tra le tenebre dei cespugli senza preavviso, sparendo alla loro vista. Chissà se era possibile dire lo stesso per il ricordo che aveva lasciato nelle menti dei due ragazzini, e chissà quali reazioni avrebbe potuto suscitare quella sua fuga improvvisa, e forse, se si fossero apprestati, non definitiva.
 
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view post Posted on 6/4/2019, 11:35     +1   -1
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[Villaggio di Iwa]




Celermente avanzava con lunghe falcate per giungere nel minor tempo possibile alla meta designata per quella mattina. Il pensiero era parzialmente orientato al piccolo Ryuu, dato che, come di consueto, lo lasciava tra le mani apparentemente sconosciute di terze persone. Certo, si fidava, ma avrebbe sempre dubitato delle reali intenzioni di tali persone. Mentre si addentrava nei territori aridi nei dintorni di Iwa, si poté avvedere di non essere sola. In un primo momento non diede mera importanza alla contingenza, ma dopo una dozzina di secondi qualcosa la turbò, sebbene non sapesse cosa fosse. A tentoni cercò di avvicinarvisi di un paio di passi per avere una visione maggiormente accurata di quella figura, e poté scorgere tra le fronde di un cespuglio due iridi le cui peculiarità colsero impreparata la minuziosa attenzione che Myako aveva riservato loro. Probabilmente si trattava di un animale che si aggirava incautamente da quelle parti e da una prima valutazione quelle sembianze erano accostabili a quelle di un felino. Ne era consapevole, dato che anche lei accudiva un animale della suddetta specie.

- Hey, vieni qua...

Disse sussurrando, tentando di lusingarla con un pezzo di carne che aveva portato con sé. Da una parte era ancora inquieta per quella situazione, per quella presenza. Dall'altra, invece, quell'incontro aveva sollecitato quella sua voglia di conoscere chi si trovasse al di là di quelle foglie. Non sapeva a cosa fossero dovute quelle sensazioni, ma erano insite nel suo animo e non poteva reprimerle. Forse spaventata, forse annoiata, quella figura sgattaiolò via celandosi tra le fronde dei cespugli successivi. Non seppe per quale motivo, ma la rincorse cercando di non intimorirla ulteriormente.

- Fermati!

 
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view post Posted on 8/5/2019, 17:09     +1   -1
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La inseguì tra i cespugli, e poi nella vasta brughiera che si stendeva a perdita d'occhio sino alla catena di calce a sud, mentre i limiti del mondo parevano dissolversi. L'oscurità in cui iniziava a penetrare, seguendo quella piccola sagoma appena visibile, era cieca e impenetrabile. Un'oscurità che ottenebrava gli occhi e faceva male alle orecchie a forza di ascoltare. Non potè fare a meno di arrestarsi per riprendere fiato, per recuperare le forze, per provare a lenire quell'infido, costante dolore in crescendo. Non un suono oltre al vento fra gli alberi di quel giardino freddo, buio e autistico, il sentiero in terra battuta appena visibile, le braccia tese ogni volta che avrebbe tentato di alzarsi per mantenere l'equilibrio, mentre i canali a semicerchio trasmettevano informazioni ininterrotte, e da queste i calcoli vestibolari in corso nel suo cervello sfornavano eguali risultati. Una storia vecchia come l'uomo, vecchia come il mondo. Inseguire la verticalità. Sempre più, in alto, sino a toccar le stelle. Le stelle sopra di lei non si vedevano, immerse nella nebbia. Avrebbe dovuto salire ancora a lungo. Ma doveva rialzarsi per poterlo fare. E cadere altrettante volte, altrettante volte meno una nel caso migliore. Non c'è caduta che vada per gradi. Il dolore cessò lentamente, e avrebbe potuto addentrarsi lì, per capire come uscirne, o perché vi fosse entrata, o che fine avesse fatto l'oggetto del suo desiderio innominabile. E verticalità rispetto a cosa? Appunto, un'entità senza nome, nel cuore di una notte fosca e irreale, vena o matrice. Attorno alla quale lei e le stelle invisibili giravano come un unico satellite attorno a un punto fisso. Come un pendolo che nella sua rotonda segna i lunghi moti giornalieri di un mondo in continuo divenire, unica ancora di certezza la cui realtà è sempre avvolta in un mistero insondabile.


Purtroppo non possiamo aspettare oltre. Qualora Grillwilde tornasse, ci muoveremo a tempo debito


Edited by Jöns - 8/5/2019, 20:44
 
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