Fuori pioveva a dirotto. Piccole gocce di pioggia tintinnavano sui tetti del vicinato e si abbattevano contro le foglie degli alberi, in un concerto che Shiki trovava al limite dell’esasperante. In quella mattina uggiosa, il piccolo genin dai capelli rossicci si stava annoiando a morte. Aveva il viso letteralmente spiaccicato contro il vetro della sua finestra: con il naso schiacciato e gli occhi spalancati, Shiki si ostinava a guardare fuori, cercando a tutti i costi qualcosa che lo colpisse, che lo distraesse dalla noia in cui sembrava ormai essersi perduto.
“Uffa, non c’è mai nulla da fare” pensò Shiki passandosi una mano sul collo.
Fuori, l’acqua scrosciante, forse animata da qualche impulso narcisistico, aveva preso a scendere più forte, come a voler fare un dispetto a quel povero ragazzino nevrotico.
-Certo che le nuvole devono essere proprio grandi per avere così tanta acqua- disse Shiki fra se e se -Mi chiedo cosa si provi a stare così in alto…-.
Immerso in interrogativi così esistenziali, Shiki fissò il vuoto per circa dieci minuti; non trovando però alcuna risposta, soffiò via quel frivolo pensiero come si fa con i denti di leone, determinato a fare dell’altro:un po’ indispettito, un po’ scocciato, decise quindi di staccarsi dalla finestra (su cui ormai era immortalato il suo alone) e sdraiarsi sul futon; sembrava però che non riuscisse a trovare una posizione che gli piacesse: Shiki, da buon anima in pena, continuava infatti a girarsi e rigirarsi, come un martire sulla graticola. Non ne poteva più: quella giornata era iniziata malissimo e sembrava non dovesse finire mai.
Optò in fine per sedersi con le spalle al muro, le ginocchia rannicchiate vicino al petto, in una posa che poteva ricordare quella di una mummia, visti il fisico scheletrico e la carnagione pallida di Shiki; l’espressione però non era affatto quella di un cadavere, anzi: sulla sua faccia troneggiava un sig. broncio, scortato da due occhi vispi e accigliati che continuavano a lanciare sguardi in giro per la stanza.
“Che palle mi annoio…”.
La sua attenzione venne poi catturata da Shika, il suo tanuki di pezza, steso sulla scrivania, con il pancino sventrato e dell’ovatta che gli fuoriusciva: anche i soldati migliori cadevano sul campo di battaglia: il mondo dei ninja non guardava in faccia a nessuno. Shika si era valorosamente “sacrificato” durante l’esame di passaggio al rango genin, e in teoria quello strappo non era una gran cosa; tuttavia, tutte le volte che Shiki aveva provato a rammendarlo, si era finito per pungere con l’ago, e, molto scazzato, aveva sempre mollato tutto di getto, maledicendo e mandando a quel paese il mondo intero e tutti i suoi stramaledetti abitanti.
Il desiderio di ricucirgli la pancia restava comunque fortissimo, ma, tolta la questione dell’ago, il problema di fondo era un altro: da quando era diventato genin, Shiki provava un enorme senso di colpa tutte le volte che giocava con i suoi giocattoli. Lui si divertiva un mondo con loro, ma appena iniziava i suoi giochi, nella sua mente si insinuava l’idea che ciò che stava facendo fosse ormai sbagliato, visto che non era più un bambino e doveva incominciare a fare l’uomo.
“Chi ha bisogno dei peluche ora che sono un ninja?!Pff, non io di certo…”.
Shika, come disteso su un tavolo operatorio, fissava il suo amico e padrone; il suo era uno sguardo che la mente di un bambino poteva leggere solo e soltanto come una supplica: l’ultimo desidero disperato di un moribondo. Shiki, di contro, girò (a fatica) la testa dall’altra parte.
-Ormai sono grande, non mi servono quest…- sbuffò gonfiandosi come un tacchino, per poi fermarsi di colpo: se ora non vedeva più il suo pupazzo preferito in fin di vita, dall’altro lato c'erano altri occhi che lo squadravano; dal lato opposto della scrivania, c’era infatti la sua cesta dei giochi, da cui tutti gli altri pupazzi, Shiki lo sapeva, sparavano giudizi taglienti dai loro occhi di bottone. Shiki cominciava a sentirsi a disagio nella sua stessa cameretta.
-Pff, se pensate che basti questo per farmi cedere…- disse Shiki ai suoi amichetti facendo il grosso -Ormai ci vuole ben altro!Sono un ninja…E poi cosa direbbe Mayuri se mi vedesse con voi…-.
Ma gli sguardi accusatori erano troppi, e troppo feroci. Shiki non seppe resistervi, si alzò di scatto e corse verso la scrivania: Il suo amico aveva bisogno di lui. Un buon ninja non abbandona mai un compagno.
“Dottore presto, l’Ispettore è stato ferito…” belò una vocina esile e spezzata.
“Maledetti ribelli. Questa guerra non risparmia nemmeno i ninja più valorosi…Maledetti”.
“Cosa facciamo?Ha perso molto sangue…”
“Infermiera: prepari tutto il necessario per una trasfusione e il tavolo operatorio: farò di tutto per salvarlo. Dio solo sa se lo farò…”.
Questa volta la mano attenta di Shiki non si punse: mentre con la mano sinistra aggiungeva dell’ovatta al ventre ormai vuoto del peluche, con la destra faceva passare l’ago da una parte all’altra della ferita; il rammento era fatto alla bell’e buona, ma avrebbe retto.
Nel frattempo aveva smesso di piovere. Non appena guardò fuori dalla finestra, Shiki corse a cambiarsi tutto eccitato; anche se non aveva chissà quali programmi per la giornata, non ne poteva più di stare confinato in casa. Aveva già dimenticato tutti i crucci esistenziali che lo attanagliavano fino a un minuto fa..
Si vestì in fretta e furia, non accorgendosi nemmeno di essersi infilato la maglietta al rovescio; si legò il coprifronte sul braccio sinistro, e Shika, tornato a nuova vita, alla cintura: era finalmente pronto per uscire.
Scese le scale, attraversò il soggiorno, passò per la cucina per sgraffignare qualcosa da mangiare e uscì veloce; fece tutto di soppiatto, quatto quatto: non voleva incrociare nessuno, e così fu.
Le strade di Konoha erano ancora bagnate e umide; i tetti degli edifici gocciolavano, l’acqua di scolo scorreva ai margini delle strade, e Shiki non poteva fare due passi senza finire dentro una pozzanghera. Era tutto dannatamente frustrante per lui: voleva un po’ di silenzio, era chiedere troppo, forse!? Esasperato da madre natura, decise di prendere la strada che portava fuori dal villaggio, per potersi così finalmente ritagliare un angolo di pace. Lungo la strada incontrò poche persone, e quelle che conosceva anche solo di vista, fece finta di non vederle: non era giornata per inutili convenevoli.
Uscì con calma dalla porta del villaggio, dirigendosi verso uno spiazzo aperto poco distante dalla strada principale. Camminando fuori dal villaggio dovette però ammettere a se stesso una cosa, seppur andasse in contraddizione con quanto avesse pensato fino a quel momento: il mondo appena risvegliatosi dal temporale, in fondo, non era così terribile, anzi; gli uccelli, con i loro cinguettii, avevano ripreso il volo, così come le api e qualche altro piccolo insetto; i fiori, quelli che erano sopravvissuti alla violenza del cielo, iniziavano piano piano a riaprire i petali, con la stessa calma degli amanti appena svegli che si stiracchiano vicini. Era come se tutto fosse avvolto da una calma soffusa, come se quel giorno l’alba fosse avvenuta una seconda volta quella mattina. Forse il problema non era la pioggia, ma il caos del villaggio. O meglio, forse era Shiki che faceva fatica a sopportare il trambusto cittadino...
Raggiunse finalmente lo spiazzo prescelto: l’erba era ancora umida, ma Shiki non vi badò; si trovò un bell’angolino sotto uno dei pochi alberi presenti, e lì vi si stese trionfante, stiracchiandosi ben bene.
“Il mondo dovrebbe essere sempre così, non credi Shika? ” domandò al suo peluche mentre si accarezzava il pancino con le mani umide dopo aver toccato l’erba.
-Sempre così, tranquillo…Sarebbe meraviglioso. Niente rumori fastidiosi, niente fretta, niente di niente. Ah, come sarebbe bello...-.