Forme e Vuoto, Quest eremitica dei Serpenti per Sir Onion (1° pg)

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view post Posted on 30/12/2018, 17:42     +1   -1
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Nelle zone selvagge all'estremo Nord del mondo, tra le colline alte e innevate e le nascoste piste dei cervi echeggia l'ululato dei lupi. Antichi predatori si acquattano per aggredire le loro prede nascosti nell'ombra fitta delle conifere, e su quei rami attende silente chi dà loro la caccia. E' qualcosa di primordiale. Qualcosa che resiste immutata da milioni di anni. Un gioco che non finisce mai. Una caccia continua, in cui da un momento all'altro il cacciatore può tramutarsi in preda. Annidata nel cuore di questo caos calmo, vi è Carcosa, la città eterna, in cui oscure e antiche creature lottano per sopravvivere all'antica battaglia.



Benvenuto! Come ti ho detto, non sono molto veloce, ma spero - salvo imprevisti - di rispondere una settimana dopo il tuo ultimo post. Qualora ciò non accadesse, ti avviserò per tempo. Ruola l'arrivo di Hideyoshi alla caverna di Ryuchi e anche i serpenti se vuoi - tranne Hakuja, se possibile.
Speriamo di fare qualcosa di carino, e che soprattutto ti diverta: a te!


Edited by Jöns - 10/1/2019, 12:55
 
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view post Posted on 15/1/2019, 22:38     +1   -1
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*Incubo lucido.
I volti di chi sapeva essere morto lo raggiungevano come di consueto, i loro sguardi immobili, neutri, in attesa di incrociare il suo perché vi vedesse ciò che voleva. Immagini alla mercé della sua mente, della sua follia, ad ogni istante pronta a tradirlo, a spingerlo verso un baratro di rimorso e disperazione. Sottile; camminava sul filo del rasoio, solo contro sé stesso, ad un passo dalla caduta. La sentiva, sibilava nelle sue orecchie, gli trapanava il cervello, ma non lo forzava alla veglia.
Così, immobile, li osservava sfilare di fronte a lui. Un sorriso beffardo, occhi verdi, capelli rossi, occhi neri, capelli neri, capelli bianchi, una risata imbevuta di sangue.
I vivi se ne stavano ben alla larga. Li cercava, ma essi lo evitavano, proseguendo foschi attraverso l'orizzonte carico di nubi impenetrabili. Sentiva di appartenere a loro, ancora, nonostante tutto. Sentiva di poterli raggiungere, nonostante lo sentisse alle sue spalle. Un movimento, un'esitazione, e lo avrebbe ucciso. Non osò girarsi. Non ancora, si disse, non ancora.
Occhi azzurri. Prima della fine.*


vDH65II



Otogakure no Sato, 10 marzo 249 DN, ore 5.20


*Cinguettio.
Pallida, la luce del mattino scivolò oltre la barricata della foresta, incontrando nella foschia che avvolgeva le rovine un'ultima linea difensiva. Un velo reminiscente di altre terre, di altre vite, l'albume fioco ma già grave sugli occhi... così lo ricordava, a Kiri. Ma erano gli occhi di un altro bambino, era la vita di un altro shinobi.
Disegnata dalla matita di un virtuoso dell'assurdo e del grottesco, la sagoma di un individuo perennemente estraneo apparve allo specchio. Evocato, temuto ma atteso, era il volto di un fantasma né giovane né vecchio, né vivo né morto. Gli occhi stanchi, cerchiati da occhiaie tanto scure e scavate che la luce delle iridi, un giallo sporco di verde, avrebbe brillato anche privo di fari mattutini. La pelle bianca, fragile e sottile, in più punti secca e squamata. Sarebbe bastato un leggero pizzico sugli zigomi, sulle spalle, sui dorsi delle mani per rivelare le ossa sottostanti... o, magari, nuova pelle lucida, pienamente formata, pronta a sostituirsi a quella crisalide morente.
Un brivido forzò il rettile allo spasmo, dolente, ma al tempo stesso vitale. Il freddo del mattino primaverile gli scivolò addosso ammantato di aghi, tanto gelido da bruciare, per lui, che attenzioni per quel momento non aveva oltre la mera risposta fisiologica.*


(In un piano diverso dal nostro...)

*Le parole dell'Hokage, tra le ultime che gli aveva rivolto, erano strisciate fuori dall'oblio confusionario in cui le aveva relegate, ed avevano incominciato a rodergli l'anima fin dalle prime fasi del ritorno, due giorni prima. Insaziabili, ne occupavano ora il centro.
Aveva augurato a Keiichi il paradiso, ma, se la sua fine era stata dettata dalla presa del Segno, tutt'altro poteva essere stato il destino del Rosso. Aveva sperimentato l'attrazione dell'Oblio troppe volte per non domandarsi se, allo scoccare dell'ora fatale, a prospettarsi vi fosse un viaggio di non ritorno... una trasformazione senza appello.
Lenta, una mano corse verso il mento affusolato, passando sopra l'accenno di barba rada e biancastra che era riuscita a sopravvivere, arrivando tra i capelli fragili e incolti. Una singola passata, e parecchi la seguirono, spezzati e travolti, per poi presentarsi alla spassionata indagine dello sguardo. Troppo a lungo il Segno era stato parte imperante della sua esistenza, troppo a lungo aveva rosicchiato ciò che di umano gli rimaneva... era cresciuto con la sua influenza, rafforzato in momenti di bisogno ma sempre, immancabilmente, tassato in quelli di forza. Non era quello il corpo di un ventiquattrenne, non era quello il corpo di un Kokage.
Doveva prendere quel sentiero. Doveva seguire il suggerimento di Kinji. Di nuovo, contro ogni consiglio di Kira e Yumi, doveva partire. Non gli rimaneva molto tempo.
Tre colpi sulla porta alle sue spalle lo costrinsero ad un brusco ritorno alla realtà; afferrò il ruvido mantello di lana che aveva appeso la sera prima, coprendosi per poi permettere l'ingresso.*




Yu no Kuni, 10 marzo 249 DN, ore 17.30


*Il sole andava spegnendosi alle sue spalle quando il Cantore seppe finalmente di aver raggiunto Yu no Kuni. Difficile dire quando avesse effettivamente passato il confine, giacché morfologicamente Suono e Terme non presentavano differenze di rilievo che ne rimarcassero la divisione politica. Per quanto ciò fosse comune ad ogni singolo Paese del Continente, almeno a quelli che non si affidavano a confini naturali, egli aveva sempre ritenuto quella transizione una delle più ingannevoli, quasi che la natura non avesse offerto ragione alcuna perché l'uomo dividesse quella terra in due, e la chiamasse con nome diverso. Un'evenienza tutt'altro che rara, anche questa... ma lì gli alberi erano gli stessi, il vento lo stesso, e così le colline, imbiancate a tratti da quelle che senz'altro erano le ultime nevicate di stagione.
Eppure era a Yu no Kuni.
Gli sarebbe piaciuto che a sottrarlo all'inganno fossero le colonne di vapore che si innalzavano dal seno di ciascuna valle, cariche d'acqua calda, traslucide e roventi al sole del primo crepuscolo... ma non fu così. Esse erano visibili già da diversi chilometri, ed alcune fonti emergevano persino nel confine del Suono, come era inevitabile che fosse. No; a fargli intendere definitivamente dove si trovasse, lanciato uno sguardo dal punto di vantaggio che aveva raggiunto, fu lo snodo tra la strada dell'ovest ed altre minori, che provenivano dal cuore delle Terme. Persino a quell'ora, in quel momento storico e in quella regione, il numero di persone a frequentare le vie minori era cospicuo. Nessuna folla, ma diverse sagome minuscole, ombre appena riconoscibili dalla distanza... e tutte evitavano attentamente di imboccare la strada per il Suono, quando nessuna vi proveniva.*


(Hai realizzato appieno il tuo obiettivo, Yo... il Suono è solo, dimenticato ed abbandonato.)

*Simili pensieri popolarono la sua mente per le ore a seguire, il loro influsso più forte a mano a mano che l'oscurità gli precludeva la vista. Il mondo si ridusse presto ad un profilo spento, sagome titaniche placcate in argento, tra loro, immancabile, il respiro brillante delle fonti termali. Il Kokage non vi prestò occhio, la mente altrove, come di solito era, ed ogni altro senso occupato a seguire il ritmo dei passi. Erba, terra, roccia... il sentiero lo portò ad oriente, poi lievemente a meridione, finché a malapena uno sterrato rimase a facilitare la salita. Quando infine anche la Luna lo abbandonò, ed unica luce rimasero i lampi dietro una pioggia battente, Hide alzò lo sguardo.
Fango sotto ai suoi piedi, e fango di fronte a lui.*


"Questo è un luogo di preghiera e penitenza... chi v-"

"Il mio nome è Hideyoshi, figlio di nessuno, senza stirpe, servitore del Suono e del Fango. Sono noto a uomo e serpente come il Cantore di Lame."

*Disse, le parole appena udibili oltre lo scrosciare dell'acqua attorno a loro. Di fronte a lui, senza che avesse bisogno di distinguerlo, un devoto cencioso, e alle sue spalle il silenzio senz'aria dell'antro. Altri uomini e donne, senza dubbio, erano in ascolto oltre la soglia.*

"Porto in tributo il sangue versato negli anni al servizio del Signore della Terra, e quello di coloro i quali ho introdotto alla sua alleanza, per ricevere udienza, e reclamare l'ultima eredità del mio maestro."
 
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view post Posted on 19/1/2019, 18:26     +1   -1
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Alcune forme nere se ne stavano accucciate nel vuoto oltre la soglia, tra le sue colonne e aggrappate alla terra, mezze offuscate da quella penombra, mezze visibili in tutti gli atteggiamenti del dolore, della rassegnazione, della disperazione.
Lo fecero passare con tutti gli onori, e quando Hideyoshi prese le vie della caverna questi sgattaiolarono via tra quelle ombre sconvolti e impauriti come sorci. Pian piano stavano morendo, tutti quanti, giorno dopo giorno, gli fu chiaro da ogni sguardo che incrociò con ogni devoto lungo il suo cammino. Stava così, senza colpa e senza merito. Deportati da angoli del Continente ormai sconosciuti, trapiantati in un ambiente inadatto, nutriti come capitava, si ammalavano, diventavano inservibili, e qui il loro cerchio si chiudeva. Non erano criminali, non erano nemici, difficile dire cosa fossero ormai. Nulla di terreno, senza dubbio, nulla che potesse calpestarlo - null'altro che ombre in decomposizione, nere forme di malattia e inedia prostrate alla rinfusa in quell'oscurità che lo risucchiava giù, nel cuore di quel mondo.
"Reclamare l'ultima eredità del tuo maesssstro..."
Forse l'aveva avvertita fin dal suo ingresso nella caverna, quella figura leggera come l'aria e quasi altrettanto impalpabile che lo seguiva da allora.
"Devi esssssere proprio messo male."
Il sibilare di Jadoku meno intenso, non sapeva dire perchè. Notò forse un certo sarcasmo nella sua voce. Lo avvertiva strisciare insieme a lui tra le viscere della caverna. Riuscì a distinguere i suoi occhi luccicanti tra le ombre piantati su di lui.
 
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view post Posted on 10/2/2019, 09:40     +1   -1
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Caverna di Ryuchi, sotto Yu no Kuni, 10 marzo 249 DN, ore 19.00


"Il Culto ti riconosce, fratello.
Possano i Signori della Terra guardare con favore alla tua richiesta."


*La miserabile figura gli si fece incontro, aprendo lentamente le braccia in un sudicio abbraccio. Il Cantore non si sottrasse, né ricambiò, attendendosi quella forma di sgradevole benvenuto. Un contatto gelido; tra loro, nel bene e nel male, lo schermo dell'acqua... troppo poco, troppo tardi. Ma non era per il freddo, il bagnato o il sudicio che Hideyoshi guardava con sdegno a chi aveva davanti. Non era per l'appartenenza a quel culto di disperati, né per il fatto che avesse deciso di salutarlo con il contatto fisico. Nulla, nel singolo uomo, lo repelleva più di quanto lo muovesse a pena, e solo per quest'ultima avrebbe anche potuto decidere di rispettare quel misero cerimoniale... ma il sentore, il miasma che emanava, quello lo avrebbe fermato dal mostrare qualsiasi segno di fratellanza. La pelle e le vesti del cultista ne erano intrise, abbastanza da farlo quasi star male al mero contatto... e così, non dubitava, era per tutti i poveracci nascosti all'ombra della caverna.
Il contatto, fortunatamente, terminò così come era cominciato, e al Kokage fu concesso di proseguire. Fradicio e gelato, marciò verso l'antro che sapeva trovarsi oltre il muro d'acqua. Se per l'uomo adulto un temporale alle propaggini della primavera non era che mero fastidio, specie nelle Terme, dove calore e asciutto erano spesso a portata di mano, per Hideyoshi rappresentava un ostacolo considerevole. Il metabolismo letargico del Kokage non gli consentiva di esporsi al freddo per lunghi periodi, pena l'atrofizzarsi dei muscoli e dell'attività cardiaca, e il contatto con l'acqua non faceva che accelerare il dissiparsi del calore. Già a pochi passi dall'ingresso, quando la mole della caverna apparve al vaglio del tuono come una bocca spalancata, egli sentì le estremità perdere sensibilità. Aprì e chiuse i palmi al ritmo dei passi, più forte che poté, finché allo scopo di far scorrere il sangue si sostituì quello di sopportare quel passaggio cruciale.*


(Se ruoli si fossero invertiti... se tu fossi sopravvissuto, al posto mio... saresti venuto qui? L'avresti ritenuta una scelta saggia? Necessaria?)

*Si sorprese a pensare, mentre le esalazioni di Ryuchi lo investivano, mentre la luce scompariva e della pioggia non rimaneva che un rombo distante. Ricordava il giorno in cui aveva condotto Yo nelle profondità di quel luogo, perché apponesse il proprio sangue su quel pezzo di pergamena... sarebbe arrivato anche lui a pentirsene, prima o poi. Forse se ne era già pentito, esattamente come era successo per il Segno.
Esitò a distogliere lo sguardo dall'abisso, troppa la paura di incrociare lo sguardo lucido di uno dei miserabili, troppo il timore di incrociarvi un sorriso conosciuto o il riflesso di una chioma argentata. Forte del miasma, il Segno rafforzava la propria presa, ed un senso di lungo anelito aveva preso a farsi strada nello stomaco del Cantore... uno che sapeva bene non essere proprio. Continuò ad aprire e chiudere i pugni, sempre più lentamente ma energicamente a mano a mano che scendeva, a mano a mano che il sentiero d'accesso si frantumava in un numero soverchiante di gallerie e cunicoli.*




*Eppure mai rischiò di perdersi, mai per un istante vacillò nel prendere la strada giusta. La lenta marcia lo condusse oltre terra e vapore, radice e cristallo, dove caverna e salone si univano una transizione indistinguibile... e poi ancora oltre, dove solo il vento rimaneva a denunciare l'enormità del vuoto attorno a sé, ed ovunque era il buio più fitto. Quel senso di insopprimibile volere lo condusse infallibile, disegnando nell'oscurità immagini viste da altri, ricordate da chi lo aveva preceduto in quel cammino.
Eppure, per quanto vuoto e silenzio dominassero in quel labirinto sotterraneo, le sue rovine non potevano chiamarsi necropoli. La vita continuava a circondarlo, pulsante, nutrita dalla terra stessa. Se ad accompagnarlo erano da principio gli sguardi vacui di chi era venuto lì a servire e morire, presto il Cantore avrebbe goduto di ben altra compagnia. La luce debole della sera aveva ormai interamente lasciato il posto a quella delle torce quando, finalmente, ai sussurri dei cultisti presero a sostituirsi i sibili. Correvano sulla roccia, su di lui, attraverso di lui, affilati come schegge di vetro ed eloquenti quanto se non più della parola. Un timore traditore prese a germinargli nella mente, nutrito solo ed unicamente da un irriducibile senso di autoconservazione, un istinto che aveva fondamento sul qui ed ora, al bando tutto il resto... ma più forte era il Segno, la razionalità, l'appartenenza che sentiva a quel luogo e il fatto che, lo riconoscesse o meno, Hideyoshi si trovava lì nel suo elemento. Le forze avevano incominciato a tornargli dal momento stesso in cui aveva abbandonato il freddo e il bagnato, ed ora, persino attraverso le piante dei piedi, sentiva il calore termale irradiarlo come un'ondata guaritrice. Solo le esalazioni rimanevano, ma a questo punto la loro presenza era tanto opprimente da non poter suscitare nemmeno fastidio: era nel ventre della bestia, era dove il mendico e il malato non si spingevano. Ad ogni angolo lo stomaco si torceva, il bambino che era in lui lo afferrava per le gambe, piangeva perché tornassero indietro... ma nient'altro che morte e disperazione lo attendevano alla luce del giorno: l'uomo, lo shinobi e il Kokage lo sapevano. Se un futuro per lui c'era, riposava nel punto più basso di quell'inferno.
Quando il suo accompagnatore decise finalmente di farsi udire, Hideyoshi arrestò il passo... e con esso, almeno momentaneamente, il pensiero*


"Conducimi dal suo signore, o fai silenzio."

*Rispose, non concedendo il minimo terreno. La creatura era di poco rilievo, in ogni senso. In passato aveva più volte rivelato come la propria utilità fosse sorpassata dall'indole infida e traditrice, e perciò, salvo un momento di pausa per domandarsi come mai il rettile avesse deciso di legarsi agli esseri umani, il Cantore aveva presto cessato di evocarla sul campo di battaglia. La ferita ricevuta dalla Luna Rossa a Shimo no Kuni, dodici anni prima, restava prova vivente di quanto poco Jadoku avesse da offrire.
Forse.*
 
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view post Posted on 4/3/2019, 11:01     +1   -1
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In quell'oscurità lunga e fredda che scendeva intorno a sè lo sentì un'altra volta. Quasi volesse schernirlo, o volesse assentire, gli fu imperscrutabile. Lo vide solo strisciare in quelle tenebre, guidandolo e seguendolo in quei cunicoli dimenticanti, in quell'oscurità dove non si alzava mai sole nè luna, che non portava mai a un vero posto dove andare. Era tutto intorno a loro. Prima della loro nascita e dopo la loro morte. Assediato dalle tenebre la morsa del freddo lo strinse. Quella debolezza contro cui tentava di combattere e che lo stava consumando pezzo a pezzo.
Un fiume sotterraneo scrosciava lento alla loro destra, e due sagome lo solcarono coi piedi rigidi come alberi a bompresso di navi alla deriva. Le rive e l'oscurità si saldavano senza giunture, e in quello spazio indefinito una leggera nebbia ricopriva ogni cosa all'orizzonte e l'aria scura pareva condensarsi in una lugubre cappa venefica che incombeva tetra e inesorabile sino a domini sconosciuti, quasi fosse una promessa di dignità che si snodava attraverso abissi privi di ogni luce, ma profondi e maestosi a loro volta. Abissi in cui riluceva la scintilla e la vaga promessa di quel luogo, tra speranza e illusione, messaggeri del freddo fuoco sacro della terra sconosciuta, in cui giacciono i sogni degli uomini sepolti a metà strada.
Da sotto le sue vesti si sentì fragile e magro, tremante come un cane. Una sensazione che doveva far cessare al più presto, che non poteva e doveva palesare in alcun modo, non ora che il suo percorso era giunto ormai alla fine. Lo avvertiva intorno a sè, anche allora. Dapprima una singola presenza che ben conosceva, che si limitò a scrutarlo nell'ombra senza rivolgergli parola, e forse di questo avrebbe dovuto temere, memore di quanto accadde a Taki. Passò indisturbato, per ora. E mentre il cobra restava altero e silenzioso nell'angolo di oscurità che era riuscito guadagnarsi, poteva ora avvertire la presenza di quell'orda micidiale che, come uno stormo di pipistrelli impiccati alle pareti, come guerrieri aborigeni in crepitante attesa, sembrava intonare chissà quale canto tribale e demoniaco, e l'uomo di marmo che fissava come un giudice assente quell'oscura e sibilante sarabanda, unica forma sfiorata da un barlume di luce avara, rendeva ogni anfratto di quel luogo uno spettacolo tra la tempesta e l'incubo. E come in ogni incubo, tra le ombre del cunicolo che si andava spalancando, c'era un mostro che lo attendeva alla fine.

Edited by Jöns - 5/3/2019, 23:35
 
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view post Posted on 9/3/2019, 16:52     +1   -1
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VfVFIeq



Caverna di Ryuchi, sotto Yu no Kuni, 10 marzo 249 DN, ore ???


*Il silenzio tornò a riempire le ferite aperte dal sibilare della creatura, che, così come lo aveva approcciato, tornò all'irrilevanza. Crepitio tra i crepitii, sibilo tra i sibili, gli strisciò avanti, guida invisibile ma mai irreperibile, costantemente sul ciglio delle capacità sensoriali del Kokage. Hideyoshi non dubitò per un istante che lo stesse portando in profondità, dove gli aveva chiesto: non per devozione, né tantomeno per altruismo... piuttosto per una forma di malata curiosità, il bisogno di affogare la noia e la grettezza di quell'esistenza nel sangue altrui, guidandolo verso quella che certamente sarebbe stata una morte orrenda. Il jonin lo capiva bene, e, stante l'esito invariato, le motivazioni della creatura non gli constavano.
Altre, inevitabilmente, convennero: la loro presenza un’increspatura nel buio, un cenno viscido al limite della sua coscienza… le percepì strisciargli accanto, intorno, curiosità mista a fame, rabbia, invidia e perfidia. Un pubblico tutto per lui, unico uomo in quelle profondità maledette. Eppure, per allora, la paura che lo aveva attanagliano prima di varcare il ciglio dell’abisso sembrava appartenere a qualcun altro… l’ineluttabilità di quanto andava accadendo, di quanto era da venire, lo aveva ormai reclamato come se ciascun passo non fosse che il volere di un'entità superiore. E non un dio qualunque, un pantheon o uno spirito freddo e distante… ma una congrega di anime ed edifici, un simbolo a cui Hideyoshi aveva già sacrificato la parte più rilevante di sé. Quella era stata la sua giustificazione ultima per quel viaggio, ed ora, nel raggiungere il fondo dell’abisso, sarebbe servita ad assorbire ogni accenno di umanità minacciasse di tradirlo.
Nessuna pietà per il codardo, nessuna compassione per il debole. La mente corse agli occhi azzurri, alla loro costante presenza… erano tra coloro che ora lo seguivano, perennemente vigili alle sue spalle. Se si fosse voltato, anche solo per un istante, lo avrebbero fatto a pezzi.*


(No. Non c’è via oltre questa.)

*Parte di sé sarebbe rimasta irrimediabilmente attaccata all’Hideyoshi dell'ingresso, al gelido terrore che risaliva fino al torneo di Kiri, alla stessa, letale oscurità. Vi sarebbe tornato altre mille volte, in quel cammino, ed altrettante avrebbe trovato ragione di fare marcia indietro. La stessa determinazione disperata che gli aveva prestato soccorso ad Oto, ad Ishi, a Taki e a Suna lo pervadeva ora, essenza di un nido che il giovane aveva fatto proprio solo in un momento nebuloso, rimarcato dalla cicatrice che portava in fronte. Un sentimento forte, ma altrettanto crudo e spietato: era vittoria o morte, per lui, che di ben altri sentimenti era nato e cresciuto; era la legge del Suono e dei Serpenti, la stessa che si apprestava ad impugnare contro il Verme di Ryuchi.
Così discese, laddove nessun uomo dovrebbe, percependo l'energia della caverna farsi quasi insopportabile. La pietra stessa pareva muoversi sotto i suoi piedi, viva attorno a lui, tegumento buio e fangoso di uno stomaco insaziabile, senza fondo… le esalazioni, ancorché impercettibili a chi non fosse sensibile al chakra naturale, avrebbero schiacciato chiunque non si scoprisse più serpente che uomo. Ultima conferma di ciò che il Cantore andava lasciandosi alle spalle, ogni passo uno spasmo per abbandonare la muta precedente.
Con essa, inevitabilmente, sparivano anche protezione e familiarità, sensazione e tepore. A mano a mano che la pietra si faceva più sottile, meno roccia e più muscolo, così pareva al Cantore che fuggisse la temperatura. Il calore umido che gli aveva permesso di scrollarsi dosso il gelo della pioggia ora lo tradiva, riprendendosi quel che aveva dato con gli interessi: nuovamente, nello scendere, la pressione del pavimento sulle piante dei piedi si fece cruda e distante, la sensibilità destinata a sparire presto fin sopra la caviglia man mano che il tatto si ritirava per sopravvivere. Se quello era un rito di passaggio, allora Hideyoshi era destinato ad emergervi neonato, nudo, gelato ed inerme.
Al sibilo di chi lo circondava andò ad aggiungersi, senza soluzione, quello dell'acqua. Ma se il suono aveva pervaso le gallerie già dai momenti seguenti l'incontro con Jadoku, al Cantore non sovvenne il passaggio fino a che la sua ovvietà non gli apparve manifestamente. Un fiume sotterraneo, lo scroscio placido, ma, in quel luogo, amplificato fino ad essere onnipresente. E se all'uomo comune la nuova presenza sarebbe senz'altro servita a spiegare razionalmente il gelo che aveva preso a strisciare per la pietra, ora al Cantore non pareva questa che un'eventualità di mera circostanza. Il fiume era tale, e basta: non poteva essere l'acqua la responsabile del suo assideramento, non lì. Trecento metri sopra, senz'altro, ma ora l'accusa non poteva che cadere sulla caverna... e, cercando ovunque conferma di tale assunto, gli parve sempre più che così fosse.
Cocito; occhi affilati come rasoi lo scrutavano oltre un sipario d'argento, elegante e discreto, appena percepibile sul velo ovattato della pelle. Baluginava appena sopra il pelo dell'acqua, i riflessi alla mercé tanto del moto quanto della fiamma distante.*


(È qui... ci siamo...)

*Seppe, le caviglie al seguito del rettile nel guadare il torrente. Il pubblico si era già raccolto sui propri spalti, la trepidazione palpabile, udibile. Malgrado buio e spossatezza minassero la comprensione, il sentore non poteva essere imitato o confuso: era in quel luogo che lui e Yo avevano affrontato il Verme, anni prima. Allora, tuttavia, non gli era stato imposto un simile peso... non si era trascinato dietro una simile natura.
Cadde in ginocchio, dapprima lentamente, poi, tradito da torpore e gravità, con un colpo riecheggiante. La necessità di ingannare il pubblico con ostentazioni di vigore era stata lavata via del tutto: solo Hideyoshi rimaneva, tremante, dalle labbra lo stesso vapore che infestava le acque vicine.
Sentì il suo sguardo su di lui, di fronte a lui, unirsi agli occhi azzurri. Su quale dei due fosse il più terribile Hideyoshi avrebbe scommesso la propria vita; l'aveva già fatto, viaggiando sin lì.*


"Mio signore di Ryuchi, vengo da te come servo, a reclamare quello che fu di Otomika Kaguya.
Ad egli concedesti il tuo favore, e lo concederai a me, alle stesse condizioni."


*La supplica e la sfida, l'inevitabile duplicità che una firma sul Sutra dei Serpenti imponeva.
Chiuse gli occhi, lentamente, attendendosi l'inevitabile.*
 
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view post Posted on 29/3/2019, 19:05     +1   -1
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"E lo concederò a te."
Così sussurrò possente, spiegando la sua mole e la sua immane lunghezza in quel lago sospeso sul nulla. Le forme ai lati tremavano mentre la sua si incurvava in spire convulse e agitandosi in flutti, e celere sferzando l'aria che poca di lì giungeva con le corna appuntite dando ancor più un'atmosfera da incubo a quell'orrida vallata. E da ogni lato le potè sentire, sicchè della sua torma non riuscì a intravedere che pochi stralci immobili, superstiti della sua ferocia distruttrice che lo aveva mosso sin lì, unici testimoni di turpi e tenebrosi disegni, di ripetute crudeltà dannate.
" - Alle stesse condizioni."
Il Verme di Ryuchi. Il Velenoso tra i Velenosi. Manda, il signore della Terra.
"E con quale autorità vorresti reclamare il mio favore?"
Se era terra quella su cui giaceva, in ginocchio e tremante, la sentiva fremere come fosse melma liquefatta e ribollente, come quando i venti e le fiamme sotterranee sollevavano colline dal Peloro, lasciando intendere che non abbiano più altra forza o malvagità da mostrare, senza capire che le sue viscere sono sempre nutrite di nuova materia e nuovo combustibile, nuova furia minerale pronta a riportare ogni cosa alla sua vera forma primigenia, in attesa di divorare ogni angolo del mondo lasciandolo null'altro che un arso fondale ravvolto in fumo e fetore.
"Anzi... piuttosto... dimmi perchè, presentandoti a me in queste condizioni, non dovrei smembrarti e gettarti vivo in pasto ai miei schiavi?"
 
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view post Posted on 21/4/2019, 16:23     +1   -1
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*Aprì la porta, ed eccolo ad osservarlo. Le vesti erano quelle dell'ultima volta in cui l'aveva visto, e così lo sguardo, invariabile, penetrante, insondabile per lui. Sapeva bene ormai che davanti a lui non c'era che un fantasma, eppure il cuore non avrebbe sentito ragione: ogni volta sentiva quel che aveva sentito per una vita. Rabbia, frustrazione, disperazione, solitudine, riconoscenza, anelito, rancore e tristezza. Nessuna trapelava; disciplinato, contrito, il Cantore rispose allo sguardo del suo maestro con il silenzio che gli era caratteristico. Non sorse in difesa, né mai in attacco, benché da qualche parte, lontano, un corpo urlasse perché lo facesse. Ogni centimetro di quello scorcio trasudava minaccia, rabbia, risentimento, al punto che le stesse pareti, la luce dalla finestra e l'oscurità alle spalle dell'uomo si contorcevano in uno sforzo di contenimento.
Uno iato sofferto, quindi fu lui a rompere lo stallo: si volse, marciando con l'andatura che ricordava verso il buio da cui proveniva, a seguirlo, sotto le piante nude dei piedi, sangue.*


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Caverna di Ryuchi, sotto Yu no Kuni, ??? marzo 249 DN, ore ???


"Non sono che un servo, sire. Non ho autorità, salvo quella che questo luogo mi vorrà attribuire.
Legittimità, tuttavia, interesse... diritto. Questi mi appartengono."


*Rispose, in tono neutro, ascoltandosi nutrire l'acqua e la roccia senza eco alcuna, senza che venisse incontrata resistenza. Troppo ancora il fremito, il moto indotto dalla parola altrui, che appena pronunciata aveva piegato a sé suono e forma. Sotto il palmo delle proprie mani la pietra si riassemblava ad immagine e somiglianza del Verme, ciascun angolo smussato in una progressione liquida, elegante, letale. Così sarebbe stato anche per le ossa e i muscoli del Cantore, non avessero mente e spirito trincerato la coscienza perché fosse pronta a quell'influsso.
Ma nulla, nemmeno l'ineluttabilità che era arrivato ad accettare nella discesa avrebbe potuto prepararlo a quel che era ancora da venire. Non alla minaccia che il Signore di Ryuchi pose di lì a poco, ma a ciò cui, Hideyoshi lo sapeva fin dal momento in cui si era risolto a raggiungere la caverna, essa faceva da irrilevante preludio.
Avrebbero combattuto, o quantomeno sarebbe stato il Kokage a farlo. Nessun ammontare di convenevoli avrebbe modificato quel corso d'eventi, dato che non esisteva altra valuta capace di procurargli quel che era venuto a comprare; a pretendere. Avrebbe dovuto mostrare di essere una minaccia per l'eremo, e, al tempo stesso, uno strumento da poter controllare, da dover tenere a distanza.
Le dita si incresparono leggermente contro la pietra umida, i muscoli rilassati, quasi inerti, gli occhi ancora chiusi. Di nuovo, la gola produsse un suono neutro, svincolato da qualsiasi fremito il corpo mancasse di nascondere: come uno di quei volatili orientali, capaci di imitare suoni di tutt'altra origine e contesto, facendone il proprio richiamo.*


"Se questo è l'unico servigio che posso offrire, e se questo è il vostro volere, mio signore, che sia fatto."

*Mentì, deferente, mentre il cuore rallentava fino a quasi arrestarsi.*
 
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view post Posted on 8/5/2019, 18:40     +1   -1
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La rivelazione finale della fragilità di ogni cosa. Vecchie e spinose questioni, più antiche di ognuno di loro, andavano a risolversi in tenebre e nulla. Come il ricordo di quei luridi pezzenti pellegrini, gli occhi neri spiritati in mezzo al cranio e avvolti negli stracci, incerti e barcollanti come una torma in rotta. L'ultimo esemplare di una data cosa se ne porta con sé la categoria. Spegne la sua luce e poi scompare, come non fosse mai esistita. Mai però è una parola grossa. Tra le viscere della terra qualcuno la sapeva più lunga di tutti loro lì riuniti.

E sapeva che mai è l'assenza di qualsiasi tempo.

Le zanne del mostro furono fermate da una sferzata giunta dalle tenebre. Una spira misteriosa, come giunta dal nucleo pulsante della madre in cui si dibattevano e strisciavano, sinuosa e dello stesso colore del Cantore.
Gli occhi del mostro ringhiavano, le sue fauci da assassino iniettate d'odio.
"Non è tuo compito!" scandì con una rabbia che agli occhi del Cantore forse non si era mai mostrata. Una rabbia in cui non avrebbe potuto riconoscerlo. La rabbia di chi si sente ormai alle corde, d'improvviso fragile e impotente.
"Decido io cosa è mio compito e cosa non lo è. E per il momento è meglio che tu ritorni al tuo posto, figliolo."
Una voce ovattata, lontana, emersa da quel nulla. Due, tre, quattro soffi ritmati e poi un quinto. La spira ancora visibile che sembrava invogliarlo. Un odore che si insinuava in quell anfratto dimenticato dagli dei. Lo avrebbero lasciato passare. Guai a loro se non l'avessero fatto.

Delle desolate e torbide strutture che abitavano quel luogo, vide quelle che sembravano rovine di un'antica civiltà ormai espunta dalla memoria umana. In quella desolazione, scampoli di vita parevano farsi largo come per miracolo, come gli esseri che le avevano reclamate a sè, edere rachitiche coprivano muri, colonne, qualche architrave rimasti intatto. Al termine del suo cammino, la guida invisibile lo portò alla soglia socchiusa di un portone di cui erano rimaste poche vestigia corrose di muffa, da cui potevano distinguersi alcune immagini di antichi sovrano dilatate da luridi licheni, e qualcosa dell'occhio di un serpente.
Attorno a lui pareva spandersi un salone diroccato, che sembrava sfidare ancora lo scorrere del tempo, e dai piani superiori si potevano scorgere architravi e strutture consunte e levigate dall'acqua, diruti abbasso come angeli caduti.

Oltre la porta, un odore inconfondibile ormai totalizzante e micidiale. E con ogni probabilità la categoria ancora intatta degli oggetti che lo avevano osservato arrivare sin laggiù. La prova che il loro percorso non si era ancora estinto. Che, nella ratifica di eventi che muove e plasma il mondo, qualcos'altro ci fosse in serbo per loro.
"Avvicinati, vieni pure avanti."
Una, due, tre, quattro respiri, e poi un quinto. Il gioco di luci sui riflessi dei bassorilievi delle colonne mutava ad ogni suo passo, nell'immane lunghezza che le legava a un piano superiore arduamente discernibile, e tra una colonna e l'altra vegliava un pandemonio ancora in forze e dagli occhi di fuoco, come fosse per intimorito dalla pena che gli fu inflitta all'alba dei tempi, e il rumore in sottofondo, ulteriore stimolo sensoriale in quella miriade di riflessi d'oro e di aromatico odore di tabacco, lasciava immaginare la presenza di una sorgente pura come quell'ambiente, nascosta chissà dove.
"Dunque - "
Hakuja lo fissò per un istante, poi volse lo sguardo alla pipa. Fredda e indifferente. L'immane stazza di quel corpo di un bianco lattiginoso che strabordava da quel trono, coprendo quasi ogni ampiezza della facciata alle sue spalle.
" - iniziamo tutto dal principio, cosa ne dici?"
Una nuvola di fumo a coprire i suoi occhi rivolti chissà dove.

Edited by Jöns - 8/5/2019, 20:54
 
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view post Posted on 16/6/2019, 15:35     +1   -1
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Caverna di Ryuchi, sotto Yu no Kuni, ??? ??? 249 DN, ore ???


*Poi, d'improvviso, l'ennesimo mutare.
Lo stallo tra i due era destinato a spezzarsi alla maniera violenta che il Cantore aveva visto ripetersi nella sua mente ad ogni passo: uno schioccare secco, di ossa e acciaio, in rottura brutale con il fluire di parola e pensiero che si era protratto fino a quel punto, per quanto crudele e fibrillato. Un esito del tutto atteso, da parte sua, che aveva scommesso su quel momento tutto ciò che rimaneva della propria esistenza. Eppure, per quanto la mente fosse venuta a patti con quel momento, per quanto lo avesse anticipato, il corpo non sembrava voler seguire placidamente questo indirizzo: più il momento si avvicinava, più il Kokage veniva meno a quel che uno shinobi dovrebbe essere in simili frangenti. Le mani erano rapite da un lieve tremolio, e così le braccia e le palpebre, mentre un velo di sudore freddo quanto la brina che aleggiava sul torrente aveva iniziato a trasudare sulla pelle, accentuandone il pallore al riflesso. Inevitabilmente il pensiero tornò all'oscurità della Seconda Prova del Terzo Torneo Chunin, alla paura di morire, alle parole che quell'entità gli aveva rivolto, che lo avevano guidato per un decennio e che, nell'anno che era passato dalla riconquista del Suono, parevano ora uno scherzo crudele.
Temeva per la propria vita, temeva il dolore; l'aveva sempre fatto, e al tempo stesso l'abisso di disperazione in cui il Segno lo aveva costretto non faceva che servirgli da rete di salvezza, da malato e degenerato conforto. La sua vita era finita: non importava l'esito di quello scontro, non importavano le sue paure, non importava nulla. Se avesse fallito, sarebbe diventato uno di loro. Lo sguardo che Mahiru gli aveva rivolto... perché stava pensando a lei?*


(Mi guarderai di nuovo a quel modo?)

*Si ritrovò a pensare, mentre le fauci del Verme scattavano dall'ombra più veloci di qualsiasi suono, di qualsiasi riflesso. Il Cantore si sarebbe accorto della loro vicinanza solo per via del brusco arresto loro imposto, e, finalmente sollevando lo sguardo, della nuova presenza sopraggiunta. Per il primo frangente, colpita dal riflesso argenteo, l'immaginazione del Cantore fu portata a credere che la roccia stessa avesse trasudato acqua, non diversamente dalla propria pelle... ma poco gli ci volle per distinguere un moto sincrono, un mutare colossale, simile a quello che aveva sperimentato poco prima sotto i palmi delle proprie mani, ma questa volta vicino, immenso e indescrivibile. Di fronte ai suoi occhi, traboccante della stessa energia che permeava la caverna, una creatura colossale. Le spire erano oro, argento e avorio lavorati in un'armatura affilata, ciascuna scaglia in perfetta armonia con le altre, eppure cesellata dal tempo in una forma unica.
Nel tempo di un respiro, Hideyoshi seppe di essere al cospetto di una delle creature più antiche e potenti al mondo, una leggenda testimone del mito, Hakuja Sennin.*


(Kami... non pensavo... non credevo...)

*Pensò, incapace di distogliere lo sguardo, incapace di provare altro che non fosse genuina contrizione. Niente di più vicino agli dèi poteva esistere di quell'essere, nemmeno le bestie codate, niente: e lui era lì, mortale ed insignificante, ammesso ad udirne la voce. E che voce! Il sibilo dell'aria attraverso il crepaccio, dell'acqua che erode la terra, una parola sufficiente a porre un freno al Signore di Ryuchi, che signore più non era. La mera presenza a tramutare crudele sicurezza in fragile ira. Il Kokage aveva udito le leggende, ovviamente, ma mai da una fonte vicina a lui, e mai, quindi, potendovi dedicare più di uno scettico pensiero.
Manda dovette farsi da parte, la sua autorità scavalcata in maniera quasi noncurante. "Figliolo", aveva chiamato il rettile più pericoloso al mondo, e tale era l'eccezionalità del momento che il Cantore non poté sorridervi, o invero provare alcuna forma di ilarità. Senza arrestare minimamente il proprio moto, le spire, quasi dando l'impressione di essere sempre state forma e sostanza di Ryuchi, si scostarono per rivelare un ulteriore passaggio.*


KfikQQI

*Aria, e, assieme ad essa, un forte odore di legno muffito. Una lunga galleria scoscesa, a tratti cunicolo, in più punti miracolosamente sopportante crolli e infiltrazioni. Nessuna apparente novità, nulla, eppure perdurava in Hideyoshi la trepidazione per quell'incontro monumentale, capace di trasformare ogni immagine in un'icona e, che egli ne avesse o meno piena coscienza, di generare speranza di poter trovare una vera soluzione. Se un essere come Hakuja lo aveva approcciato, allora cos'era fuori dalla sua portata? Se avesse fatto quel che voleva, detto quel che voleva sentire...
Una seconda folata, fredda questa volta, ed impetuosa attraverso il misero passaggio. Hideyoshi si aiutò con la lancia fuori dalla galleria, e, di fronte ai suoi occhi, apparve una meraviglia capace di riportarlo per un istante a Fukagizu.
Arcate e tetti, cortili e fontane, una città senza sole, graziata dalla luce di qualche lontano spiraglio e lambita dalla stessa bruma pallida del fiume. Fantasmi antichi quanto il mondo stesso, il loro dialetto in tutto simile a quello del saggio, ma questa volta più articolato e diffuso, omnidirezionale, assolutamente incomprensibile per la mente attonita del jonin. Avanzò cauto, più per riverenza che per timore di crolli, benché non pareva che essere umano avesse percorso quei vicoli in secoli, forse millenni. Come era solito, si pose mille domande riguardo l'origine di quel luogo, riguardo il legame che aveva con il sistema di galleria circostante... o che non aveva. C'erano infatti delle innegabili differenze tra quella città e Ryuchi, via via apparenti man mano che il Cantore abbandonava la sua vista sopraelevata per addentrarsi tra le case. Nel silenzio senza tempo che vi regnava piante, di più specie, avevano preso a crescere, reclamando alla vita e al mutamento un luogo che appariva sempre più come un santuario, risparmiato alla macerazione e digestione toccata ad ogni altra rovina della caverna. Dedicato a chi tuttavia, tra i bassorilievi rovinati e l'immensa creatura che lo custodiva, difficile dire.
Le spire di Hakuja lo accompagnarono per l'intero tragitto, a tratti vicine e ad altri distante, senza che ciò facesse alcuna differenza in termini di moto. La creatura pareva senza fine e senza inizio, una spira continua, un filo di sutura per ogni camera ed anfratto della caverna. Lo condusse per un portale divorato dalla muffa e rinsaldato dai rampicanti, ed oltre, sotto lo sguardo avvizzito di re dimenticati ed icone a stento riconoscibili. Eppure, a rafforzare l'idea che gli abitanti di quel luogo avessero incontrato i Mangiatori di Terra, prima di svanire, immagini ritraenti inequivocabili occhi di serpente potevano essere distinti qua e là. Se maledetti o adorati, era tutt'altra questione.
L'odore di legno ammuffito ed umidità stantia, che lo aveva accompagnato fin da quando aveva abbandonato l'antro di Manda, guadagnò qui corpo e calore, saturando ogni anfratto dell'ampio salone in cui si fermò. Si fece tutt'uno con l'onnipresente bruma, in fuga attraverso le articolazioni di un soffitto che, privo di spiragli com'era stato per l'enorme antro che ospitava la città, appariva infinitamente più distante. Occhi fatti di cera e marmo continuarono ad osservarlo da dietro archi e colonne mentre seguiva l'origine del fumo, il suo serpeggiare su ogni superficie sospinto dal respiro lento, ma ormai inconfondibile del proprio benefattore. Egli era ovunque: raccolto attorno alle immense colonne, avvinghiato alle arcate, incastonato nelle pareti, raccolto nelle sue narici e scivolato nelle sue orecchie.
Ne udì la voce. Si arrestò, e poi, compreso l'invito, superò l'ultimo muro di foschia. Per un istante lo sguardo incontrò le fattezze della creatura, mirandone l'enormità arroccata su un trono seppellito, e ne cercò lo sguardo... salvo immediatamente pentirsi. Abbassò il capo, e così piegò il ginocchio, affondando il corpo nella caligine bianca che ormai gli arrivava tranquillamente alla vita... e respirandone una dose letale.*


"S-si, mia signora."
 
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view post Posted on 29/8/2019, 13:45     +1   -1
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Un'ampia boccata, il fumo che usciva dalla bocca e dalle narici e gli occhi sottili e ieratici divenuti ora quasi penetranti, senza perdere quella loro assenza, come lo stessero guardando attraverso.
"Qualcosa necessita della mia attenzione. Sarai in grado di adempiere a questo?"
Silenzio. Un silenzio insolito, come se non attendesse necessariamente una risposta.
"Il futuro renderà chiara ogni cosa. Agli estremi confini settentrionali dei Cultori del Fango si stanno verificando eventi insoliti. Anche per esseri come noi. Lì si è stabilità una parte della nostra comunità, prospera, ma pur sempre fedele."
L'ombra di un sorriso. La lingua che schioccava, vibrava e batteva in ritirata, chissà se verso quello che taluni avrebbero definito organo di Jacobson o verso altri utilizzi ignoti che si celavano tra le membra di quell'essere.
"La prova che si può fiorire in ogni condizione, qualora si possiedano le credenziali giuste."
Silenzio. Una nuova aspirata.
"Finora un solo quartiere della città di Bousun è interessato da tali fenomeni, al confine con Yuki no Kuni. Ho saputo che è stato messo precauzionalmente sotto sigillo, ma è richiesto il nostro intervento."
Lo sguardo rivolto in alto verso una volta celeste invisibile da lì, la pipa prossima alla bocca, i canini appena visibili.
"Riusciresti a fare questo per me?"

Scusa il post merdoso, bello!
 
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view post Posted on 5/9/2019, 06:56     +1   -1
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Caverna di Ryuchi, sotto Yu no Kuni, ??? ??? ??? DN, ore ???


*L'enorme rettile continuò a guardarlo dall'alto del proprio trono, gli occhi due immensi topazi gelidi, lucidi anche alla quasi totale assenza di luce, velati di bruma soffocante. Lo guardavano quasi senza vederlo, ma egli non lo seppe mai: non osò incrociarli, contentandosi di percepirne il peso sul capo, udendo attorno a sé il lento sfilare delle spire avvolte attorno alle colonne della sala. Mille lame lo circondavano, lame e null'altro, poiché, a differenza di quanto era accaduto al ricevimento del Verme, in questo caso non vi era alcun pubblico ad assistere... fatti salvi i fantasmi di quel luogo maledetto.*

(Questo essere... un Saggio, un Saggio in carne ed ossa. Com'è possibile che ancora viva? Davvero è la creatura leggendaria che morse Izanami? Dovrei chiederglielo? Potrei chiederglielo?
No, no, follia pura. Se il mito corrisponde a realtà, Hakuja è tanto fiera quanto letale, e non oso pensare a come reagirebbe ad una domanda simile... ma chi altro potrebbe rispondere?)


*Pensò, frenetico, la mente attratta da ultimo a ben altre questioni, ben altre domande riguardo ciò che era stato, ciò che rimaneva e ciò che poteva essere. Riguardo sé stesso, riguardo il Segno, riguardo il Suono.
Presto, tuttavia, il peso dell'incredibile finì per ricadergli addosso, e tanto la premessa quanto l'implicazione si scontrarono con forza annientante. Se Hakuja era davvero la creatura della leggenda, allora doveva esserlo in ogni sua parte: era antica, certo, ma relegata nelle profondità della terra fino alla fine dei tempi. Quali informazioni poteva avere una creatura simile? Intrappolata per l'eternità in quei cunicoli?
Simili preoccupazioni popolavano la mente del Kokage mentre, di nuovo, il Saggio prendeva parola. Di nuovo una voce come sabbia tra i sassi, come vento tra le radici. Quel che disse avrebbe smentito almeno parzialmente le conclusioni a cui il Cantore era appena arrivato, ma, immediatamente, ne avrebbe instillate altre. Pose una domanda, più a sé stessa che a chi aveva davanti, quindi, rispondendosi, parlò di eventi insoliti al nord. Insoliti, persino per i Serpenti.
Ma nel reame dell'insolito, specie dal punto di vista di una creatura gretta e spietata, e specie in riferimento ad un culto di dannati, un uomo come il Kokage avrebbe facilmente trovato tutt'altro che disgrazia. La realizzazione gli sovvenne immediatamente, benché mai ne avrebbe fatto parola, e non sarebbe stato questo a preoccuparlo. Né l'avrebbe fatto il riferimento alle "credenziali giuste", paventato da Hakuja con un malcelata soddisfazione, troppo malcelata per non suggerire al Kokage che si stesse riferendo alla rinascita del Suono. Il mero paragone tra il proprio villaggio e il Culto del Fango avrebbe, in altre circostanze, irretito l'attenzione e lo sdegno di Hideyoshi... ma non lì, non sentita nominare Yuki.*


(Bousun... si trova nella sacca tra Oto ed Hi, incastonato in uno dei valici d'accesso a Yuki... ci saremmo fermati lì, questo inverno, non fosse stato per il rischio di incontrare il Kyo Dan, e per la necessità di muovere verso i monaci del Sole, sperando in un soccorso...
L'ho sempre saputo un luogo mite, beneficiario dell'avanzamento tecnologico della Neve ma non segnato necessariamente dal suo rigore... il Culto del Fango ha adepti anche lì, certo, ma perché i Serpenti mi inviino direttamente... un sigillo...
O è accaduto qualcosa di terribile, o...)


*O sta per accadere, con il mio arrivo. Il pensiero non assunse forma definita, ma la sua ombra corse lungo la spina dorsale del jonin con tale intensità che, per un momento, il giovane ebbe paura di mostrarne gli effetti. Il tempo per tirarsi indietro, tuttavia, era passato da un pezzo, e quando finalmente la parola trovò il modo di emergere, lo fece estranea, fredda e modulata, come era accaduto con Manda.*

"Vivo per servire.
Umilmente, cosa mi è richiesto? Fin dove potrò spingermi? Guadagnare informazioni esatte o porre rimedio a questi eventi? Quale è l'esito sperato?"
 
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view post Posted on 29/9/2019, 17:40     +1   -1
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Schioccò la lingua per un periodo indefinito, immobile come una statua di sale, come un essere catapultato nelle viscere della terra da un'altra dimensione. Da un altro tempo. Quando l'uomo era ancora meno che un'idea, come ogni sentiero che lo attendeva di lì in avanti. D'un tratto i suoi occhi saettarono sul Cantore, senza alcun preavviso né motivo, quindi tornarono a vagare per la sala e infine si posarono sul soffitto. Quasi sognanti.
"Ho avuto un sogno tempo fa. Non so dire quanto. Ero sola e giovane, e vagavo in superficie. Bianca, calda, ostile. Continuavo ad avanzare senza meta, fin quando non mi resi conto di una strada poco lontana. Unico punto di riferimento di quel mondo. E quando la raggiunsi, al centro della strada stava un enorme carro in pietra, privo di traino. Mi accorsi allora di una schiera di creature nei paraggi che non avevo mai visto. Non parlavano. Nè riuscivo a comprenderle. Provai a scrutarle, osservai il carro, quindi spostai lo sguardo da una parte all'altra della strada deserta. Ed ebbi l'impressione di essere un'aliena. Un esseee venuto da un pianeta che non esisteva più. Come se il mondo da cui venivo fosse andato perduto, e il solo tentativo di rammentarlo, a me come a loro, non avrebbe fatto altro che trasmettere a loro anche il dolore della perdita.
E capii che anche se vedevamo mondi diversi io e loro sapevamo la stessa cosa. Che quel carro sarebbe rimasto lì a decomporsi per l'eternità, e che nessun carro avrebbe mai più viaggiato.
E intuii che loro erano venute solo a mettermi in guardia. A espormi il loro punto di vista. Ad avvisarmi che loro desideravano la fine.
"
Il viso allungato verso il cielo, assorta e immobile, nel bagliore dorato delle lampade sui riflessi perlacei delle squame la sua figura appariva ancor più inquietante e inaccessibile. La sala parve muoversi, ma presto Hideyoshi si sarebbe reso conto che era solamente il corpo di Hakuja ad avviarsi tra quella foresta di colonne. Come una pila di viscere appartenute a un gigante senza sangue. Gli parve di aver udito qualcosa di simile a un sospiro quindi si ricompose come potè su quella parvenza di trono e i suoi occhi saettarono verso l'ospite, gelidi ma intensi, come avessero avuto il potere di bruciarlo li davanti senza che potesse emettere alcun grido prima dell'oblio.
"Credo possa bastare. Ti ripeto, che il futuro renderà chiara ogni cosa. E tu saprai come muoverti di conseguenza."

Quando fosse salito in superficie, il freddo stava scendendo lento e così il buio della notte, e la sporcizia della strada dei cultori gli apparve quasi un soffice talco nero che si spandeva a sbuffi come l'inchiostro in una frattura oceanica, e i disperati armati di torce salivano e arrancavano lasciando dietro di loro ombre morbide presto confuse e indiscernibili come appartenessero a un grande macrorganismo privo di coscienza o identità. Sprofondavano, cadevano e morivano, e la terra avvolta da quel lugubre velo continuava ad arrancare intorno al sole, ignota e smarrita come qualsiasi altro pianeta nella remota oscurità circostante.



I sogni si rischiararono. Un mondo scomparso tornò. Parenti morti o scomparsi da tempo dalla sua vita riemergevano e gli lanciavano sguardi in tralice. Nessuno parlava. Tanto tempo prima. Una città grigia, lui affacciato alla finestra a guardare la strada. Dietro di lui un tavolo di legno, una piccola lampada accesa e dei libri. Anni dopo si sarebbe ritrovato nuovamente in quella città in mezzo alle rovine di una biblioteca incendiata, coi libri anneriti nelle pozzanghere. Scaffali ribaltati.
Si svegliò improvvisamente. Era stato un tuono? Pareva di sì. La pioggia ticchettava sul suo rifugio, solo in mezzo alla natura, tra le braccia della notte.
Quanto valore potevano mai avere quelle affermazioni di fronte al suo mondo presente, di fronte al suo mondo avvenire? Avrebbe mai potuto immaginarlo?
All'idea che ogni parola, che ogni spazio occupato da quei caratteri rappresentasse comunque un'aspettativa.
Nella luce fredda e livida della notte intuì quanto il temporale fosse intenso. Gli esili alberi caduti nei canali e nei sentieri. La fanghiglia grigia dei canali. La terra circostante ridotta a chiazze di mucchietti di shangai.

Eccomi qui, scusa ancora il ritardo, d'ora in poi sarò più rapido (non che ci voglia molto!)
Descrivi anche il viaggio sino al confine con la Neve se vuoi, e ovviamente, se vuoi fare ancora domande ad Hakuja, fa pure


Edited by Jöns - 3/10/2019, 10:44
 
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view post Posted on 15/10/2019, 23:43     +1   -1
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Caverna di Ryuchi, ???, ??? ??? ??? DN, ore ???


*Silenzio, di nuovo. L'oracolo rimase immobile, non più animato della pietra su cui riposava, dalla bocca lente volute di fumo al ritmo dello schioccare della lingua. Aveva capito la domanda? Sapeva che era ancora lì davanti a lei? Le domande incominciarono inevitabilmente ad approcciare la coscienza del Cantore quando, quasi d'improvviso, Hakuja ritenne di dover degnare nuovamente lo spazio della sua voce. Ancora parlò, ed ancora il senso di quel che disse passò attraverso il filtro dei millenni che li separavano. Se c'era un punto, oltre la singola parola e quel che Hideyoshi poteva ricavare attraverso traballanti e temerarie interpretazioni, esso sfuggì completamente al Kokage.
Molto tempo era trascorso tuttavia dal giorno in cui il jonin aveva smesso di dare credito all'ovvio, da quando l'irreale e l'aberrante avevano scavato un solco indelebile sul suo giudizio, e dunque egli si guardò bene dal ritenere il saggio un essere meramente farneticante, consumato dagli anni e dalla solitudine. Simili visioni, specie in sogno e specie da parte di una simile creatura, dovevano avere significanza di qualche tipo.
O almeno così egli ritenne in quel momento, stremato e raggelato dal contatto con la pietra della stanza.*


(Ma anche se fosse una profezia, un avvertimento o anche solo un'identificazione di qualche tipo... non ho idea di cosa stia parlando. Né saprei cosa chiedere ulteriormente...)

*Sarebbe stata tuttavia la signora a troncare qualsiasi ulteriore appello: dopo un istante di contemplazione ella si mosse, lenta, ma tanto legata all'essenza stessa di quel luogo da mutarne la natura, e con essa l'idea cristallizzatasi nella mente di Hideyoshi. Lo shinobi vide le spire tumultare tutto attorno, sorprendendosi quasi dimentico di quanto già aveva visto, di aver saputo il rettile già circondarlo. Sassi e polvere tremarono al ritmo di diecimila scaglie lungo la pietra, il lamento del gigante nelle cui viscere si era insinuato quel verme lattiginoso, finché, nuovamente, Hakuja tornò con la testa al proprio scranno. Annoiata, distratta, troncò quell'audizione tornando a degnarlo del proprio sguardo.
Hideyoshi, naturalmente, non osò altrettanto: ancora inginocchiato, dolente, ricevette il congedo in silenzio. Si alzò lentamente, quindi, e marciato all'indietro per diversi passi lo raccolse prima di voltarsi.*


"Tornerò a cosa fatta, mia signora."

*Giurò servizievole, senza sapere cosa stesse giurando.*



*Il temporale era cessato chissà quanto tempo prima. Del crepitare profondo e costante dell'acqua non era rimasto nemmeno lo stillicidio lungo pareti e stalattiti, che ora, animate unicamente dal riverbero del suo cammino, ne divoravano il ricordo di vita come bestie fameliche, restituendo ruggiti e gorgoglii senza vera fine. Così Hideyoshi risalì verso il Paese delle Terme, senza sapere dove davvero fosse diretto, o quanto tempo fosse trascorso da quando aveva visto le stelle per l'ultima volta. La presa che quel luogo aveva sul corpo e sulla mente cessò in maniera graduale, di metro in metro, ma ad accogliere la lucidità interiore il Kokage non avrebbe trovato chiarore più intenso di quello che lo aveva visto svanire nell'oscurità: anche senza lo scrosciare del temporale, il cielo di Yu no Kuni apparve alla vista cieco, nero come i recessi di Ryuchi. Una sfumatura lontana, oltre le cime degli alberi e il velo delle nubi, si dibatteva ad occidente, ma la sua influenza era incapace di profondere alcun calore all'immagine.
Ed ecco di nuovo le anime perdute, i loro occhi lucidi al danzare della fiamma, i loro corpi ad un passo dallo sgretolarsi nel fango e nell'ombra. Così anche Hideyoshi, emerso dalla cripta, le vesti ancora rancide del miasma emanato dalle pareti della caverna. Li vide voltarsi verso di lui, orbitargli accanto per berne l'essenza, la parola: i signori gli avevano concesso udienza? Dovevano, perché era tornato tra loro. Cosa avevano detto? Cosa avevano preteso? Hideyoshi udì i loro sussurri, così simili a quelli delle creature che servivano, e ne percepì gli sguardi penetrargli l'animo. Sentivano che la sacralità lo aveva toccato, che a rivolgergli parola era stata un'entità persino più intoccabile del Verme, e a mano a mano che il loro numero aumentava, così facevano devozione e temerarietà. Qualcuno allungò una mano verso di lui, e, nel percepirne il contatto glaciale, il Kokage si riscosse.*


(Kami... portatemi via da questo luogo...)

*Si ritrovò a desiderare, e volere, in lui un misto di terrore e disgusto, di pietà ed agghiacciante empatia. Impossibile nascondersi l'eventualità che il percorso appena imboccato lo conducesse tra loro, la bocca farfugliante e gli occhi spiritati, le mani tese verso il prossimo messia e il cuore devoto alla morte...
Sollevò un braccio, scostando bruscamente la prima mano a toccarlo e forzando le altre a ritrarsi. Qui si fermò, tuttavia... forse la pietà, forse il ribrezzo, forse la stanchezza, forse la paura. Li guardò freddo, inespressivo, ad un tempo giocando al loro gioco e sottraendovisi.*


"Ho ricevuto udienza da chi è immacolato, e ritorno con un comando. A me di passare, a voi di lasciarmi passare."

*Disse, attorno a lui un vuoto privo di roccia ed eco, assolutamente innaturale. Ma eccoli farsi da parte, chini, offrendo la fiamma per illuminare la via della discesa. La sua vicinanza sarebbe stata insopportabile per il Cantore, tuttavia, che appena uscito dalla caverna, anche con le vesti addosso, a stento poteva sopportare una fonte di calore di quel tipo. anch'essa finì abbandonata all'oscurità, infiniti passi indietro, e di nuovo solo Hideyoshi permise ad un'oscurità più limpida di avvolgerlo.*



Presso la Grande Via Settentrionale, Confine tra Yuki, Hi ed Oto, 13 marzo 249 DN, ore 9.42


*Mangiò lentamente, come era solito fare, godendo del calore dello stufato ben più che dello stufato stesso. Non perché egli non fosse un gran cuoco, e non lo era certamente mai stato, o perché la qualità degli ingredienti fosse quella che fosse, ma perché a quasi due giorni dall'ultimo pasto Hideyoshi non sentiva i morsi della fame dilaniarlo. Si nutriva per abitudine, buona o meno che fosse, ben sapendo tuttavia di non poter più digerire porzioni normali per l'essere umano, e di giovarsi molto più della temperatura esterna del cibo che non della carica calorica. Mutazioni, queste, che avrebbero suscitato esaltazione in qualsiasi cultista del Fango... ma non in lui, che aveva visto questa situazione aggravarsi di anno in anno fin dallo scontro al Tempio di Jashin, che ben ne conosceva l'origine. Era stata la Progenie, lo era tutt'ora, benché in modi che sempre gli erano sfuggiti e che, temeva, non sarebbe riuscito a comprendere prima della fine. Prima di diventare...
Gli occhi distrattamente rivolti al profilo mastodontico ed affilato delle montagne, il vento gelido sotto il cappuccio di pelliccia, Hideyoshi rammentò le parole di Mahiru e di Kinji, tentando per l'ennesima volta di tracciare un filo conduttore verso quella che lui aveva sempre creduto essere la pista giusta, l'unica per lui disponibile. La paura dell'autosuggestione era una che lo tampinava ormai da anni, il terrore di vedere sol quello che voleva vedere disperatamente, sapendo che, nell'errare, non avrebbe avuto una seconda opportunità... eppure tutto pareva tornare, tutto pareva ricondurre al Laboratorio, a quel che Tashigama e Yo stavano disperatamente cercando sotto il villaggio. La Corruzione di Mahiru e il suo stato, la Tana e l'Oblio, il Segno e le sue componenti...
Se fosse riuscito nel suo intento, se fosse sopravvissuto a quell'ennesima ordalia, forse sarebbe riuscito a condurre una spedizione.*


(Che cosa sapevi, Yo? Che cosa ti sei portato nella tomba?)

*Il pensiero del sepolcro vuoto di Otomika gli balenò nella mente come un fulmine tra le nubi, riportandolo bruscamente al tempo presente. Disfece le braci, coprendole con la terra gelida ma secca di quel luogo, quindi fece sparire i resti del pasto. Chissà se Yumi e Kira avevano incominciato i lavori, come da sue istruzioni... chissà se avrebbero trovato una via, prima del suo ritorno. Chissà se Sayuri era ancora viva, se aveva portato a termine con successo la missione che le aveva affidato. Chissà se Onimio, da qualche parte, aveva tutte le risposte che gli servivano.
Questi ed altri mille pensieri si disfecero tra i tetti e le vie di Busan, mentre la città gli si dispiegava davanti agli occhi. Costruita in pietra chiara e sbiancata da un velo di neve, Bousun non soffriva lo stesso livello di rigore usuale agli altri abitati della Neve. Fumo lasciava le cupole rotondeggianti delle abitazioni, ma non era raro distinguere, anche da quella distanza, edifici costruiti in stili diversi da quello tipico del paese. Una città poliedrica, snodo commerciale ma, proprio per questo, in passato non estranea alla guerra che aveva squassato quella parte del Continente. A ciò si doveva l'imponente doppia cinta muraria, capace di schermare gran parte della vita quotidiana agli occhi del Cantore. La vicinanza con la Cascata e con la Pietra non poteva aver lasciato la città indifferente agli ultimi, devastanti eventi che avevano interessato quella malaugurata zona geografica.
Eppure, guardandola da lì, nulla avrebbe fatto presagire che altro fuorché una quieta pace governasse la città. In sé, rimuginando sui trascorsi che il luogo doveva aver passato, Hideyoshi si sentì quasi in dovere di non disturbarne l'esistenza, di non portare nuove sciagure con sé.*


(Eventi insoliti... è stato messo precauzionalmente sotto sigillo, ma è richiesto il nostro intervento...)

*Rimuginò sulle parole di Hakuja, le poche che avessero per lui avuto un qualche senso, prima di marciare in direzione delle porte. Sopra di lui un cielo pallido, ma la neve, se era caduta, lo aveva fatto diverse ore prima.*
 
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view post Posted on 6/11/2019, 12:54     +1   -1
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Fermo, sul bordo di un campo paludoso, circondato da uomini. Di alcuni di loro gli parve di ricordare i volti. C'era un po' di vento gelido. Era a malapena un bambino. Quel ricordo sepolto riaffiorò quando si assopì all'improvviso, colto da quella stanchezza crescente. Li vide aprire il terreno armati di pale e piccozze come volessero giungere alle viscere della Terra e portare un grosso bolo di serpenti, forse un centinaio. Avviluppati tra loro per tenersi caldo a vicenda. Tubi opachi che si muovevano pigramente nella luce fredda e aspra della Nebbia. Come le interiora di un'enorme bestia esposte al giorno del giudizio. Gli uomini ci avevano versato dell'olio e li avevano bruciati vivi, non avendo alcun rimedio per il male se non per ciò che identificavano come sua immagine. Vedeva i serpenti in fiamme contorcersi in modo raccapricciante, si sciolsero tra loro e alcuni strisciando divamparono sino a immergersi senza speranza nelle pozze paludose, estinguendosi in una nube di vapore che diveniva un tutt'uno con la nebbia. Un tutt'uno col mondo circostanze, anonimo, privo di alcuna identità. Poiché erano muti nessuno poteva udirne le grida di dolore, e li avevano visti bruciare e contorcersi ed estinguersi ugualmente in silenzio, e in silenzio si erano dispersi in quel crepuscolo dai colori di un armageddon ognuno coi propri pensieri, ognuno col proprio sommesso e costante dolore.



Cascine deserte a due miglia dalla meta, templi vuoti e aperti, come se i fattori fossero partiti per la giornata per una festa dall'altro capo del distretto e ci avessero lasciato fiduciosi tutto quello che possedevano, le loro campagne e le carrette, stanghe all'aria, i loro campi, recinti, le vacche e gli animali da cortile, tutto insomma.
Una leggera coltre di neve sulle cinte murarie, e su ogni costruzione al loro interno. Una leggera coltre che rendeva vacuo e labile il bordo vertiginoso delle cose. Volti cupi. Volti scavati dal lavoro. Dalla fatica. O da un orrore inesplicabile.
Lo conosceva bene. Uno è vergine dell'Orrore come lo è della voluttà. Glielo si può leggere in faccia. Come avrebbe potuto immaginarselo quell'orrore stavolta? Adesso, era preso in mezzo in quella che sembrava una fuga in massa, impedita solo da quelle cinte murarie, la cui origine appariva volutamente oscura e nebulosa. Andava verso cosa, poi?
Ogni cosa venga dall'Inferno non può che tramutarsi in una crociata apocalittica. Veniva dal profondo, e c'era tornato.
" - E' lei."
Tre uomini lo avvicinarono. Lo riconobbero subito - chissà perché.
"Capitano Nishikori. Prego mi segua."
Un uomo di bell'aspetto, lineamenti duri, capelli neri all'altezza delle spalle e una barba folta e poco curata. Si avviarono lungo il viale dopo le presentazioni di rito. Non presentò nessuno degli altri due commilitoni. I tre vestiti con abiti militari, Nishikori coi simboli in chiaroscuro ma non troppo celati del suo grado.
"Aspettavamo lei per agire. Busan è da sempre fedele al Culto, come saprà. E saprà altrettanto bene quanto noi siamo importanti per il Culto ed ogni cosa ruoti attorno adesso. Mi aspetto ogni aiuto possibile per risolvere la situazione."
Gli raccontò delle misteriose sparizioni avvenute nella città. Diverse decine di persone, a quanto diceva. Tutte all'interno o nei pressi del quartiere verso cui si stavano dirigendo.
"Abbiamo isolato la zona, ma come sa le notizie corrono. Abbiamo evitato che si diffondi per il Paese, almeno è quello che speriamo, ma in città ci era impossibile evitarlo. Le aree limitrofe si stanno spopolando, Busan non è vista come un posto sicuro. Non so, onestamente mi pare quasi che un sentimento di paranoia si sia impadronito di questa città. Non che la questione non mi preoccupi.
Ma credo che possiamo aver identificato il posto più probabile che possa centrare con questa storia: il Museo Hai. E' un museo di storia naturale, nulla di preoccupante, ma è uno dei pochi luoghi nel quartiere che non abbiamo ispezionato. E' un quartiere residenziale della classe media, nessuno ci ha impedito di andare avanti con le perquisizioni. Non lo so.
"
Gli parve per un attimo in preda a un tenue nervosismo.
"Comunque, abbiamo messo ogni edificio pubblico precauzionalmente sotto sigilli, e ora che è arrivato lei faremo irruzione."

Edited by Jöns - 8/11/2019, 12:35
 
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