Unravel, Quest Nuibari per Egeria (1° pg)

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view post Posted on 15/12/2018, 11:11     +1   -1
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Artificial Flower's Lullaby

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教えて 教えてよ その仕組みを
僕の中に
誰がいるの?



Non erano in molti a ricordarsi di Kirotaba Masuda, il primo possessore di Nuibari. Il primo Sarto, come lo si era soliti chiamare.
Non erano in molti nemmeno a ricordarsi che Kirotaba Masuda era stato il primo e l'unico Sarto. Dopo di lui, nessuno aveva più avuto l'onore di portare la famosa spada ad ago. E il motivo era semplice: alla nobile e veneranda età di novantasette anni, Kirotaba era ancora vivo.

A Urako erano state dette poche cose: dove trovarlo, e il fatto che andasse convinto. Sì, perché anche se il Mizukage era la persona che poteva concedere di essere messi alla prova dalle Sette Spade, ognuna di queste aveva una personalità, per così dire, diversa. Storia, modalità, poteri differenti.
Kirotaba aveva ottenuto da Ki Momochi l'autorizzazione a selezionare lui i suoi successori, e gli era stata concessa. Troppo anziano per poter combattere e servire il Paese, trascorreva la sua pensione in una modesta casetta vicina al mare, a un paio d'ore di marcia da Kiri. Tutti sapevano dove abitasse, ma erano in pochi a recarsi lì... Perché la fama sinistra del Sarto, e i suoi metodi estremamente severi per giudicare chi avesse di fronte, tendevano a dissuadere i più. Lui per primo aveva scelto una vita di sussistenza, riceveva ogni settimana la sua pensione in derrate alimentari ed eventuali necessità che comunicava all'addetto di riferimento, e si teneva lontano dalla vita sociale e dai contatti con i suoi parirazza.

Non si avevano notizie della sorte dei precedenti candidati al ruolo di Sarto.

 
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view post Posted on 18/12/2018, 19:16     +1   -1
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Kirigakure no Sato, 2 Febbraio 249 DN, ore 09.00



La ghiaia scricchiola sotto i calzari, un passo dopo l'altro, un passo dopo l'altro, sempre uguale, sempre diversa, su quella stradina a picco sul mare.
La scogliera sprofonda nei marosi insistenti, ostinati, battuti e schiaffeggiati da un vento capriccioso che viene da nord: raffiche fredde che pungono le guance, che spazzano la nebbia; l'occhio del sole risplende distante, pallido, perso nei suoi affari, non riscalda la figura che avanza a passo svelto, senza rallentare.
L'impermeabile grigio abbottonato fin sotto il naso e il cappuccio abbassato, appena lo spazio per vedere dove mette i piedi; un involto tra le dita intirizzite – tre onigiri e un cilindro di bambù pieno di sakè, perché quando si va a casa d'altri, non lo si può fare a mani vuote.

Aveva letto sui libri che fosse muto, che la sua mente fosse turbata, distorta: un folle, un pazzo. Si narrava che abitasse nella foresta, in un capanno, tutt'attorno un giardino malato di corpi e acciaio. Che brutalizzasse qualsiasi umano invasore, che osasse penetrare le sue terre e che divenuto immortale, si aggirasse per la Nebbia, assetato di sangue caldo... eppure non è una capanna, quella che vede in lontananza, né questa si trova nel mezzo della foresta.
Il mare grigio e inquieto si agita all'orizzonte, sotto le finestre della magione: tradizionale, ben tenuta, più ampia di quanto una singola persona possa aver bisogno. Nessun lugubre ornamento ne segna i confini, nessun cadavere, nulla di nulla.

I libri dicono che nove anni fa, Keiichi del Deserto schiacciò la testa di Kiri nel fango, e poi se ne andò; nove anni fa, Urako ne aveva appena sei.
Lui tanti di più.
I Sette scapparono... - dicono i libri - eppure lui , davvero si mosse di là?
Il Diavolo le ha detto che i libri non sono scritti dai Kami, che sono imperfetti, e se Urako dice che anche i Kami possono sbagliare, non resta che chiedersi che fine faccia la verità, dopo che accade.

Rallenta il passo: cinquecento metri a separarla dalla meta.
Non c'è dubbio, il luogo è quello.
Si arresta: gli occhi scuri scrutano la piana coperta di un'erba stentata; le mani afferrano i lembi del cappuccio e lo tirano indietro, che il vento le frusti liberamente i capelli scuri e le ululi lamentoso nelle orecchie – che iniziano a dolerle dopo pochi istanti. L'odore di mare nemmeno si sente, nel naso gelato.

Il Mizukage ha detto che nessuno è mai tornato, che mai qualcuno l'abbia mai convinto; nessuno dice che siano morti, ciascuno tuttavia lo pensa.
Kobayashi-sama ha parlato di trappole.
Urako scruta quel prato morente, come se potesse scorgere fili invisibili tesi, radenti al suolo.
Non può vedere niente del genere.

Riprende il cammino, lentamente, un passo dopo l'altro, un passo dopo l'altro; vorrebbe chiamare i gatti, ma non lo farà. I libri non sono scritti dai Kami, è vero, ma come in tutti i racconti, è certa che lui sappia, che lui veda, e se conosce Kiri almeno un po', chi chiede aiuto non può che apparire un debole.
Quattrocento metri.

Kobayashi-sama si era mostrato ottimista.
Forza insufficiente, bramosia smodata, scarso giudizio: quali e quante di queste pecche possono albergare nel suo animo?
Ha passato due notti a rifletterci: a tratti le pareva di esserne priva, l'istante dopo era come se tutti i mali del mondo si incarnassero nel suo corpo cresciuto a metà.
Trecento metri.

Ha detto anche lasciare messaggi non sarebbe servito.
Lei nemmeno con Yu ha parlato, prima di partire.
Duecento metri.

Il vento soffia, le entra nel colletto, la gela fino all'osso.
Cento metri.




Finché la porta in legno e carta di riso non le sbarra il passo, impedendo allo sguardo di andare oltre: allora ripone il sakè tra il torace e l'altro braccio, solleva la mano libera, e bussa.

 
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view post Posted on 19/12/2018, 19:11     +1   -1
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I casi sono due: o Urako aveva letto libri molto fantasiosi, o il Sarto aveva cambiato casa e deciso di rimordernare un po' l'arredamento per esterni.
L'edificio che si innalzava di fronte a lei era infatti uno di quelli che si potevano trovare nei quartieri benestanti di Kiri. Un piano solo, tetto di ardesia nera, porte in legno e carta di riso, una veranda sul lato che affacciava sul mare. Le imposte erano chiuse, probabilmente per contenere un po' il freddo di febbraio, che anche lì sul mare tendeva ad essere pungente. Specie per gli anziani di una certa età.
E se le voci erano vere, l'anziano in questione di età ne aveva parecchia.

Il giardino era ben tenuto, senza trappole e ancor meno cadaveri impalati. Sul retro della casa si intravedeva un campicello al momento spoglio, ma che lasciava indovinare colture in attesa della bella stagione. Un passatempo comune per gli anziani che si coltivavano le proprie erbe e le verdure per la zuppa, allungandosi la vita con impieghi quotidiani.
Si udiva persino la voce dei gabbiani in lontananza. Uno scenario bucolico ed estremamente pacifico.

Che avesse sbagliato casa? Lo avrebbe scoperto presto.

La porta si aprì da sola, come una di quelle automatiche che avevano installato negli ospedali con la recente tecnologia. Recente, per modo di dire, ma che di certo stonava con lo stile antico e tradizionale della casa.
L'interno era estremamente buio, rischiarato da candele e candelabri posizionati strategicamente in modo da illuminare la parte bassa delle stanze, ma molto meno il soffitto. Questo, si poteva indovinare, era coperto da disegni che però il buio faceva percepire come vaghe macchie di colore.

La porta d'ingresso dava su un ampio salone, collegato alla veranda che al momento era chiusa, come il resto delle finestre. Tutto arredato con sobria eleganza, senza un vaso in più o una pergamena decorativa fuori posto. Da una porta aperta si intravedeva la cucina, un'altra era chiusa, e c'erano delle scale che portavano di sotto.
Al centro del salone, sedeva Kirotaba Masuda.



Dimostrava meno dei suoi novanta e passa anni, sebbene comunque si intuisse non fosse più un giovincello di primo pelo, ma nemmeno di secondo o terzo. Portava abiti moderni, che ringiovanivano un po' la sua figura rispetto a un tradizionale kimono, e i lunghi capelli bianchissimi ricadevano fini dietro le spalle. Il viso ossuto e rugoso terminava in una barbetta bianca come il crine, e sottili occhi azzurro pallido fissavano l'ospite con una certa ostilità.

«Bambina, se cercavi la casa della nonna, hai sbagliato indirizzo.»

 
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view post Posted on 22/12/2018, 10:41     +1   -1
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Kirigakure no Sato, 2 Febbraio 249 DN, ore 09.10





E la porta si schiude da sé, davanti al suo naso, lasciandole appena il tempo di sfiorarla con le nocche; dietro, un salone avvolto in una fitta penombra.
La investe una folata d'aria tiepida dall'interno, mentre ai suoi fianchi le dita gelide del vento marino si insinuano invadenti all'interno dell'abitazione, facendo frusciare la carta di riso dei divisori; sente il cuore batterle potenti colpi di grancassa nelle orecchie, fortissimi in quella quiete improvvisa,

La fuga degli occhi scuri coglie a mala pena i dettagli dell'arredamento sobrio, e delle decorazioni altrettanto discrete: lo sguardo cerca altro, e non è difficile trovarlo, perché non sta facendo nulla per nascondersi. È lì seduto immobile, tanto che deve guardarlo una seconda volta, prima di accettare il fatto che sia un essere umano – proprio quello che lei sta cercando – e non un dipinto o un arazzo.
La marcia spedita dei tamburi accelera all'improvviso; deglutisce a vuoto, senza staccargli gli occhi di dosso.

Lo sguardo tagliente la trafigge a distanza, con quegli occhi chiari, ancora vividi nonostante l'età; non indossa maschere, è di aspetto curato... addirittura piacevole, se così si può definire un anziano quasi centenario. Abiti di taglio tutt'altro che antiquato.
Tutta un'altra storia, rispetto al folle arboricolo che le era stato dipinto nei suoi un tempo - ormai possiamo dirlo – adorati libri di testo.
Ha dei bei capelli, e un tono ostile che a dirla tutta, si aspettava già di sentire.

Mia nonna è morta da un pezzo - questa è la risposta che ingoia accuratamente ancor prima di pronunciarla; fa un passo in avanti, per consentire alle porte di chiudersi finalmente alle sue spalle, tagliando fuori le intemperie, e si esibisce in un inchino formale. Espressione facciale seria, ma non lugubre.
Il copione l'ha studiato a memoria, preparandosi a ricevere altre rispostacce, come quella appena incassata: nel dubbio, meglio recitare comunque la propria parte in modo irreprensibile.

“Ohayō gozaimasu, Masuda-sama.
Il mio nome è Yakamoto Urako, kunoichi di Kirigakure no Sato.”


Perché definirsi chuunin, davanti a un mostro sacro, è poco più che dell'inutile gonfiarsi.

“Ho chiesto a Kobayashi-sama di essere messa alla prova, per avere l'onore di brandire l'Ago. Per la Nebbia, e per chi ha cura di essa. Mi è stato dunque indicato di rivolgermi a voi.”

Ma questo lo sai da te è il finale che si tiene per sé, come ha fatto con l'esordio.

Risposta pre-impostata: sì, è quasi identica a quella che ha propinato al Mizukage, che in confronto al Sarto ha tutto l'aspetto di un micio spelacchiato... e ti domandi perché mai una persona come Masuda Kirotaba se ne stia rintanato nel bel mezzo del nulla, invece di guidare Kiri, e lasciare che più di un Colpo di Stato insanguinasse un Paese già grondante; continui a domandarti se fosse davvero scappato, o se non fosse anche quella una storiella inventata di sana pianta.

Resta lì impalata, con quella specie di offerta ai Kami tra le mani, in attesa di ulteriori istruzioni – che saranno molto probabilmente mirate a metterla a disagio... deve solo capire quanto a disagio intenda metterla... per usare un eufemismo.

 
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view post Posted on 24/12/2018, 14:40     +1   -1
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Kirotaba Masuda non mosse un muscolo mentre Urako faceva il suo ingresso e si presentava cortesemente. La lasciò parlare, austero e silenzioso, poi lentamente dal mobile davanti a cui è seduto recuperò una lunga pipa -un kiseru di giada dall'aspetto nobiliare-, e produsse dalla tasca della camicia una tabacchiera di legno laccato di nero e madreperla. Con gesti lenti, metodici, il Sarto iniziò a prendere minuscole manciate di una sostanza che sembrava tabacco, ma che quando venne accesa mandò un odore dolce e fragrante, di erbe e fiori di montagna.

«Qual è il tuo grado, Yakamoto-kun?»

Era palese che Urako fosse femmina, ma l'onorifico maschile era una scelta ben precisa. Negli anni passati, tutti i soldati dell'esercito erano maschi, e quando fu palese che anche le donne potevano fare le stesse cose della loro controparte, i generali più illuminati decisero che sarebbe stato denigratorio utilizzare dei vezzeggiativi per le loro compagne in armi.
Gli altri semplicemente non avevano voglia di pensare e fare quello sforzo in più.
Quale fosse il caso di Masuda, sarebbe stata Urako a deciderlo.

Prese una boccata di fumo, ma i suoi occhi non si spostarono mai dalla ragazza, né tradirono qualche emozione o qualche capacità di provarne.

«Quali sono stati i tuoi maggiori successi e i tuoi più grandi fallimenti?»

Il suo colloquio era iniziato e non c'era nessuna segretaria a invitarla a sedersi o a portare un bicchiere d'acqua.

«E perché vuoi proprio Nuibari?»
 
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view post Posted on 30/12/2018, 00:34     +1   -1
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E invece il grado vuole saperlo; usa lo stesso suffisso che ha usato il Mizukage, per domandarlo.
Curioso come il suo corpo non accenni a riscaldarsi, nonostante si trovi ormai al riparo.

“Chuunin, Masuda-sama.”

Gli risponde con prontezza.
Le erbe che fuma hanno un odore che si fermerebbe ad apprezzare volentieri, in un altro momento, e il kiseru... fa l'effetto di tutti i kiseru, quando li vede, anche se col tempo quel malessere si è attenuato parecchio: la sensazione di una mano invisibile che si stringe attorno allo stomaco, e lo stringe.

Non serve osservarlo ancora per capire che il sakè che si è portata dietro, per lui sia poco più che acqua sporca; non può poggiare in un angolo quell'offerta spartana, e magari dimenticarsi di averla portata, sotto il tiro implacabile di quelle iridi glaciali. Impossibile che non l'abbia notato: lo sta ignorando appositamente, e che lo faccia per trascuratezza nei modi è l'ipotesi più confortante.
Il cuore batte ancora forte, ma si fa sentire di meno.

Un povero vecchio pazzo sanguinario rintanato nella foresta, eh già.
Quello lì probabilmente non esce di casa nemmeno per andare al mercato, figuriamoci vagare per la nebbia come uno Yurei assetato di sangue, e sfogarsi sul primo malcapitato.
È un uomo, niente di più e niente di meno: uno molto forte in gioventù ed anche adesso temibile, uno che probabilmente si è stancato di combattere anche se ne è ancora in grado... che sa benissimo godersi la pensione, e ha già iniziato a decidere cosa fare di lei, iniziando proprio dal curriculum vitae... senza estrarre mezza lama.
Forse è meglio così.

Nulla che possa meritare la vostra attenzione
… sì, se vuole farsi chiedere cosa sia venuta a fare: una punta di disagio si insinua rapidamente lungo la sua schiena, appena si rende conto che non si aspettava un approccio del genere. Pensava di essere aggredita, o di venire incaricata di svolgere qualche compito impossibile, ingrato o disgustoso... come cucire assieme una ventina di gatti, per dirne una.
Potrebbe iniziare dall'ultima domanda: per quella si è preparata, perché se l'aspettava.
Può fornirgli una spiegazione logica, vista e rivista da molteplici angolazioni, perché non puoi andare da uno che ha brandito una spada per quasi ottant'anni e chiedergli di cedertela perché è l'unica di quelle disponibili che potresti sollevare.

Però, se cambiasse l'ordine delle risposte, lui capirebbe subito che qualcosa non va, e che sta prendendo tempo.
Che sta perdendo tempo, e lo sta facendo già ora.
Sicura che sia davvero meglio così, Yakamoto-kun?
Puoi anche inventarti una risposta brillante e paracula – e quello poi ti apre in due.
Sente che il respirare normalmente le basta appena.
“Mi permetto di dubitare, che uno shinobi del vostro rango desideri conoscere l'impresa di un chuunin.
Credo sia opportuno per me attendere, e leggere nell'onda lunga delle mie azioni il loro esito. Se il successo di ieri mi si ritorcerà contro, o se un boccone amaro non si riveli piuttosto una svolta.”

Brillante no, paracula sì ed anche prolissa: una variante della prima cosa chele è venuta in mente, con la speranza che non la apra in due. Non subito, almeno.
Sul serio... non può importargli un fico secco di quello che ha da raccontare lei, una quindicenne: è lei la prima a considerare dei colpi di fortuna le volte in cui l'ha scampata, per il rotto della cuffia tra l'altro; la sua mirabolante tecnica segreta avrebbe potuto essere una buona carta, se sono non esistessero modi diversi dalla vista per individuare una persona.

In altre parole, è nel suo menefreghismo che spera con grandissima forza, perché nel malaugurato caso in cui insistesse, dovrà sforzarsi parecchio per trovare una risposta accettabile.

“Nuibari, per il mio addestramento medico: conosco il corpo umano, posso scegliere cosa colpire, come farlo e quanto tempo concedere a chi si intreccia col Filo dell'Ago; perché le mie gambe possono essere più veloci di quanto non siano già ora... perché il fulmine non è nella mia natura, né lo è in quella del mio corpo spaccare elmi, o detonare decine di esplosioni.”

 
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view post Posted on 2/1/2019, 16:09     +1   -1
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Gli anziani vecchio stampo che offrono all'ospite qualcosa da bere, una tazza di the, o quantomeno li invitano ad accomodarsi, abitano tutti a un altro indirizzo. Per il Sarto, Urako poteva restare lì in piedi impalata ancora un po', e infatti non la invitò a sedersi né chiese cosa avesse portato.
Attendeva una risposta, e la ebbe.
Ma non gli piacque.

Gli occhi azzurri si assottigliarono con astio alle prime parole che la ragazza gli rivolse, e la interruppe non appena capì che non voleva parlargli di quel che aveva fatto.

«Fammi capire. Vieni da me come tutti, per chiedermi di poter brandire Nuibari, e non hai nemmeno il fegato di dirmi chi sei? E non parlo del nome, ragazzina.»

La voce era un sibilo freddo, ma perfettamente udibile in tutto il suo sdegno severo.

«Parlo di chi sei come ninja. Se fossi un maschio ti chiederei se te lo stai sentendo piccolo solo perché di fronte a te c'è un vecchio che avrà vissuto chissà quante imprese, che fanno impallidire le tue... Beh, ti dico una cosa, Yakamoto Urako.»

Si alzò in piedi. Il fisico da shinobi gli aveva permesso di mantenersi in forma, e anche a novanta e rotti anni la sua schiena era dritta e le spalle larghe. Non era eccessivamente alto, ma staccava Urako di una quindicina di centimetri.

«Se io ti faccio una domanda, tu mi rispondi. Non ti stai a chiedere cosa me ne fregherà del gattino che hai salvato alla tua prima missione, o come giudicherò un fallimento perché te la stavi facendo sotto dalla paura e hai perso la presa sul kunai. Non ti permetti di dubitare, perché questo non è il salotto delle concubine dei Daimyo. Secondo te, sembro una puttana?»

Malgrado il tono di voce si mantenesse basso e controllato, gli occhi fiammeggiavano di un'ira rabbiosa, nemmeno Urako gli avesse insultato gli antenati.

«Voglio sapere. Chi. Sei.
E se hai paura di dirmelo, abbiamo già finito di parlare e puoi levare il disturbo. Non darò Ago a qualcuno senza spina dorsale.»


 
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view post Posted on 9/1/2019, 14:59     +1   -1
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Può sentire l'irritazione dello Spadaccino pizzicarle lungo la schiena, sui dorsi delle mani; non è qualcosa che vedi o tocchi, ma quando una persona con un'autorità forte si arrabbia, capita di sentire addosso come l'onda d'urto del suo sdegno... prende lo stomaco così, sbam! Come quando metti un piede in fallo mentre scendi le scale, e trovi il vuoto al posto di un gradino: senti una capriola nella pancia, e il cuore che batte affannato nella gola, per un istante breve, ma che col Sarto invece pare non passare mai.

Con le orecchie in fiamme, non prova vergogna; non sa come si chiama quella roba che le crea un vespaio confuso nel petto, e una nebbia candida in testa. Quello continua a incavolarsi, a lei si assottigliano le labbra, riducendosi a due fessure; lui sembra non voler smettere più, e la sensazione di dover stare lì in piedi in quel salotto per l'eternità, a sorbirsi quella bile, è da vertigine: anche le sopracciglia s'inarcano, dipingendo sul viso della quindicenne un'espressione non spaventata, non intimidita, non rispettosa – indispettita, quello sì, senza dubbio: tipo quella che hai quando il vento ti soffia in faccia.
Perché per la miseria, che un perfetto estraneo pretenda che lei capisca da sé cosa lui voglia sentirsi dire, trascende le capacità di un essere umano e lei avrebbe una gran voglia, ora come ora, di essere una di quegli idioti decerebrati: sì, uno di quelli che appena gli salta la mosca al naso, tirano fuori la katana e iniziano ad affettare qualsiasi cosa si muova.

Sta di fatto che Yakamoto Urako è una ragazzina ben educata, e crepare di mazzate la persona su cui deve fare una buona impressione non fa parte delle sue reali opzioni – volendo sorvolare sulla probabile e incolmabile differenza delle capacità belliche dei due; non le resta quindi che scacciare la nebbia bianca, raggranellare le idee che le si sono sparpagliate in giro per la testa, e iniziare a farle uscire dalla bocca una alla volta – anche se la mandibola all'inizio sembra inchiodata.
Tiene lo sguardo dritto davanti a sé, mentre sillaba con un tono magistralmente piatto un “Come desiderate, Masuda-sama” così, per non uscire dalla parte che ritiene opportuno mantenere.

Mi rincresce, niente gattini – questo vorrebbe dirlo, ma reprime l'impulso con una certa naturalezza.

“Ho consegnato un pacco.
Ho stappato una fogna.
Ho supportato la bonifica di una falda inquinata; contribuito in squadra al recupero del corpo di uno shinobi deceduto e sempre in squadra, liberato qualche decina di minorenni sequestrati e seviziati”


A Hatoma, a ben vedere, ne sono successe anche troppe. Può iniziare da lì in effetti, ad elencare i suoi fallimenti: non cambia tono, la medesima nenia incolore da elenco della spesa.

“Durante quest'ultima operazione ho perso un ostaggio di rilievo; non ho contribuito in nessun modo alla conclusione positiva di altre due operazioni ad alto rischio che sono seguite ad essa.
Non ostacolato gli atti autolesionisti e suicidi del mio compagno di squadra, andati tra l'altro a buon fine, e non ho potuto impedire che un'altra kunoichi a me vicina disertasse. E la jutsu che ho elaborato in mesi di allenamento non serve a niente.”


E non sono capace di mandare a quel paese un vecchiaccio sgarbato.
Poserebbe a terra il suo pacchetto inutile, se non temesse di trovarsi i denti rotti alla prima guardia abbassata.
Come riderebbe di lei Kujaku, se la vedesse in questo momento.

 
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view post Posted on 11/1/2019, 11:53     +1   -1
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Dopo quel rimprovero secco, Urako rispose alla domanda del Sarto. Ma quest'ultimo, ancora, non sembrava contento o soddisfatto di quello che stava sentendo... O vedendo, visto che i suoi occhi azzurri non si staccavano dal volto di Urako, giudicandolo apertamente.

«Bene. Ora iniziamo a ragionare.»

Portò le mani dietro la schiena, continuando ad osservare dall'alto la piccola kunoichi. Gli occhi scesero al pacchetto che teneva in mano, ma poi tornarono subito su quelli di Urako.

«E vedi di toglierti dalla faccia quell'espressione offesa. Sei una Chuunin, per tutti i demoni! Cos'è, adesso che avete quel marmocchio di Kobayashi come Mizukage, siete tutti rimasti all'asilo a giocare alla sindrome dei sentimenti offesi?»

Sì, non gli era sfuggito il tono piatto e accondiscendente che aveva usato la Yakamoto per rispondergli. Ed evidentemente, non gli era piaciuto.

«Fammi vedere questa jutsu che hai elaborato tu. E possibilmente, fammi vedere che hai anche un po' di palle, Yakamoto-kun, perché se ti fai intimidire da un vecchio rattraprito e invece di reagire decentemente mi fai la bambina offesa, sai già come finisce la nostra conversazione.»

Evidentemente al Sarto sfuggiva l'effetto intimidatorio che aveva sul prossimo, o l'aura di leggenda che la sua figura si portava dietro. Oppure lo sapeva, e lo sfruttava apposta per rendere difficoltosa la prova.
Se nessuno aveva impugnato Nuibari dopo di lui, probabilmente c'era più di un motivo.


 
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view post Posted on 15/1/2019, 22:53     +1   -1
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Paese dell'Acqua, 2 Febbraio 249 DN, ore 09.15




Il tono della ragazzina lo irrita, di nuovo, ma il peso di quell'esternazione è più che bilanciato da una piccola, nuova certezza, riguardo quel vecchio brontolone: non gli importa nulla di essere circondato da galoppini. Se così non fosse stato, avrebbe dovuto apprezzare l'accondiscendenza – anche quella falsa – e per quanto sia spiacevole l'ennesimo... incidente... diplomatico, quella novità le piace già di più. Una scintilla di comprensione si accende negli occhi scuri, mentre lascia che la valanga di improperi contro il Mizukage le scivoli addosso, lasciandola relativamente indenne.
Da un lato, beh, è vero... Hayate Kobayashi è piuttosto giovane; di contro viene da domandarsi per quale motivo il Sarto se ne stia recluso nella sua tana, lontano da tutto e da tutti, invece di andare a fare il suo dovere a Kiri.
Una ragione deve esserci, e lei non crede proprio che sia legata alla sua età anagrafica: un ennesimo pensiero che va ad aggiungersi alla lista di quelli inespressi, ma che la aiuta a sgombrare un poco la mente impastoiata.

Un leggero calore torna quindi a pulsarle nel torace, riscaldando lentamente gli arti intirizziti dall'esposizione al vento e dalla preoccupazione: quel Masuda ha qualcosina-ina-ina per cui essere stimato, al di là del suo ruolo. È diventato insomma una persona a cui obbedisce un po' più volentieri – un po', non certo a corpo morto, e peccato per l'ultima parolaccia.

Non ha bisogno di comporre Sigilli per attivare il suo qualcosa-mimetico, ma decide ugualmente di liberarsi le mani, che si è stancata di fare la parte dello sgabello: “Appoggio il pacchetto qui sopra, se non vi spiace” annuncia con tono garbato ma fermo, gli occhi fissi in quelli di lui, l'espressione tornata a manifestare una certa educazione posata.
Lo stato d'animo un poco agitato e i postumi della camminata veloce creano le circostanze ideali, una volta eliminate le raffiche di vento: grazie alla traspirazione cutanea, nel giro di un secondo, la sagoma della ragazzina avrebbe perso nitore, fino a fondersi del tutto con lo sfondo alle sue spalle.
Zitta zitta, non avrebbe mosso un muscolo finché non fosse stata interpellata: quella specie di barriera non blocca né suoni né odori, ed è precisamente il motivo per cui la ritiene una jutsu fallita; le piace però l'idea di mostrargliela nella sua manifestazione migliore, visto che ha chiesto di vederla nonostante i suoi avvertimenti.


[spoiler_tag]Die Frau ohne Schatten

La donna senza ombra – le impalpabili molecole atmosferiche circondano Urako come fanno con ciascun essere vivente: ciò che le distingue da quelle ordinarie è la sottile ma persistente carica di chakra che le pervade, grazie alla naturale traspirazione dell'epidermide della kunoichi.
In caso di necessità stringente l'adrenalina attiva il chakra in sospensione: interagendo con le particelle, esso le polarizza e le condiziona a vantaggio dell'utilizzatrice.

Acqua: le particelle vengono condizionate in modo da rifrangere la luce, replicando i colori caratteristici dell'ambiente circostante. L'effetto ottico è quello di una pellicola, che avvolgendo la kunoichi completamente la mimetizza alla perfezione.

Utilizzabile anche in movimento; non interferisce con le Abilità Sensitivo e Sensi Migliorati (Udito, Tatto, Olfatto) dell'avversario; individuabile tramite doujutsu oculari (si noterà una nuvola di chakra dalla forma grossolanamente umana). [/spoiler_tag]


CITAZIONE
N.B. Mi sa tanto che non ho inserito Der Schrei in scheda, così come l'attivazione che era passata all'epoca [X].
 
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view post Posted on 21/1/2019, 15:27     +1   -1
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Un veloce cenno del capo, ad autorizzarla ad appoggiare dove preferisse il suo pacchetto, e Masuda tornò immobile a fissare la ragazza. Che, nel nulla, semplicemente svanì alla vista mimetizzandosi perfettamente con il resto dell'ambiente attorno a lei.

«Mmh...»

Gli occhi azzurri del Sarto fissavano il punto in cui era scomparsa la ragazza, e non aveva battuto ciglio: impassibile ed immobile, come una statua.

«Inganni solo la vista, noto. Ma non è male. Per chi non sa che c'è qualcosa da guardare al di là degli occhi.»

Si voltò, dandole le spalle mentre ispezionava il contenuto del pacchetto portato da Cappuccetturako, mostrando una stilla di blando interesse. Poi prese un'altra boccata dalla pipa e riprese a parlare.

«Resta così, invisibile, finché non ti decidi a dirmi la verità. Sono troppo vecchio e troppo stanco di tutta la cortesia formale e i salamelecchi e le leccate di culo verso la mia persona.
Allo stesso tempo, sono ancora perfettamente in grado di ucciderti prima che tu possa rendertene conto, e il mio status di Sarto mi autorizza a farlo.»


Disse tutto con una naturalezza senza pari, nemmeno stesse leggendo gli ingredienti di qualche tisana alle erbe.

«Quindi, considerato che non hai più niente da perdere, e che questa è l'ultima occasione che hai per convincermi a darti una chance come nuova portatrice di Nuibari...»

Le soffiò il fumo addosso. Era dolciastro, non troppo sgradevole, e si dipanò attorno alla figura della Yakamoto disegnandone i contorni.

«Parla.»
 
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view post Posted on 23/1/2019, 14:46     +1   -1
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Paese dell'Acqua, 2 Febbraio 249 DN, ore 09.20




È una questione di linea di condotta... forse.
Arriccia il naso, non troppo deliziata dall'intensa nuvola di fumo soffiatale in piena faccia dal vecchio shinobi, ma se ne rimane zitta: è partita male con la strategia adulatoria, ha proseguito peggio col tono seccato, tra una cazziata e l'altra ha imparato qualcosa sullo Spadaccino, adesso se la deve giocare seriamente.

Se tornasse a casa a mani vuote, non potrebbe più guardare Mizuguchi né il Mizukage in faccia.

Non gli piacciono gli adulatori, non è abbastanza egomaniaco da scambiare l'accondiscendenza per l'obbedienza assoluta e continua a ripeterle di tirare fuori le palle - invito che non può coincidere con un ingaggio fisico, né con toni scorretti. Insiste per avere altri dettagli, come se sapesse già di essere tenuto all'oscuro su alcuni elementi... ma dal momento che non può leggere il pensiero, c'è la possibilità che stia solo cercando di metterla sotto pressione.
Afferma di voler essere convinto a cedere Nuibari, ma le probabilità di poterci riuscire con la dialettica sono infime, quelle di avere successo con la mera forza fisica sono inesistenti.
Se vuole metterla alle strette, può avere tanto lo scopo di ottenere altre informazioni, quanto quello di verificare la sua tenuta psicologica.

Se parla ancora, rivelerà dettagli che giocheranno a suo sfavore, per quanto riguarda i suoi trascorsi... ma pure quella potrebbe essere una forma di coraggio, cosa che lui dice di voler vedere.
Se non parla, lui potrebbe accorgersene: non sa ancora quanto l'uomo stia supponendo, e quanto possa aver dedotto dalla sua mimica; in più potrebbe passare da bambina senza spina dorsale.

Per quanto riguarda la schermatura, non la rilascerà di certo per mancanza di concentrazione: quella roba ha scopo difensivo, davanti a una minaccia di morte non deve neppure concentrarsi per mantenerla al suo posto.

Il suo corpo prova paura, ma non il suo cervello, anche se sarebbe saggio che lo facesse: l'idea di essere terminata di lì a un minuto non si è ancora fatta sufficientemente strada, da gettarla nel panico – non come al tempio del Kyuubi. Lì aveva avuto tutto il tempo di rendersi conto di stare per morire... ed effettivamente, lì era già morta.
Era stato atroce.


Nulla che quel vecchio lì possa sperare di uguagliare, con tutte le lame, gli aghi e i fili del mondo.


“Ho stretto un'importante alleanza strategica, surclassando chi poteva vantare un'alleanza storica con la parte in causa, su territorio avversario. Non sono autorizzata a fornire altri dettagli in merito, né ritengo di aver conseguito risultati positivi altrettanto conclamati in altre occasioni.”
Era un Uchiha il ragazzo moro e pallido che aveva intrapreso la prova con lei e Hakurei, così come era Uchiha anche lo Shizue falso che Sosui aveva inventato per la loro prova; non avrebbe nominato né i ninja di Konoha né i gatti: ha deciso che se vuole vederli, dovrà attaccarla.
Un patto è un patto, e il Tempio ha onorato la sua parte dell'accordo in modo esemplare.

“Durante la guerra dei Bijuu ho tentato di consegnarmi al nemico di Kiri, purché finisse tutto. L'ho giudicato al di sopra delle mie possibilità. Le superstiti della squadra ANBU mi hanno impedito di farlo. Non ho memoria di essere scesa più in basso, Matsuda-sama. Non ho altro da dire.”

 
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view post Posted on 26/1/2019, 12:58     +1   -1
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Avvolto nella nube di fumo che continuava a uscire dalla pipa e dalla sua bocca, il Sarto fissò il vuoto dando l'impressione a Urako che la stesse comunque guardando negli occhi. Forse era una coincidenza, perché ricordava dove fossero fino a un momento prima, ma la sensazione era quella che l'anziano shinobi la stesse leggendo come un libro aperto.
La donna senza ombra parlò quindi, finalmente, delle sue imprese più ragguardevoli - e che imprese! Vide finalmente Kirotaba Masuda approvare qualcosa, sebbene con un breve cenno del capo e l'espressione imperturbabile, ma un primo passo pareva essere stato fatto.

«E ci voleva tanto, a rispondermi?» la canzonò, visto quanto aveva dovuto insistere e minacciare per farsi dare la risposta che voleva.

Le diede le spalle, e iniziò ad avanzare a passo lento verso la parte opposta del salone, dove nel buio si intravedevano comunque delle scale che portavano a un eventuale piano interrato.

«Ti sei guadagnata il diritto di tentare, Yakamoto-kun. Bada, non perché io veda in te una possibilità di riuscita particolarmente alta... Ma perché vedo che ti evolvi, e reagisci agli stimoli.»

Prese una candela appoggiata su un mobiletto nel corridoio, e la porse a Urako, nella direzione in cui la ragazzina invisibile era stanziata.

«Nuibari è... Arte pura. Non puoi paragonarla a quei pezzi di ferro violento che sono le altre Spade. Lei è creazione, movimento, permette di diventare il più terribile dei nemici o il più sagace degli alleati.»

Finalmente una goccia di sole in quella notte tetra che era la voce del Sarto. Parlava della sua spada con affetto reale, ben celato ma percepibile. Si sentiva che era davvero fiero della sua arma, più del miglior nonno dell'anno con il nipotino preferito.

«Allo stesso modo, chi la impugna deve essere degno di lei. Non è una questione di età, grado, clan... Quelle sono stronzate. Chiunque potrebbe brandirla e nessuno ne sarebbe mai degno.»

Si voltò a guardare Urako con aria severa.

«Ma... Con la giusta predisposizione, qualcuno potrebbe imparare ad esserlo.»

La condusse giù per le scale. L'aria era più umida, come ci si aspetta da un ambiente sotterraneo. Non c'erano fonti di luce a parte la candela che era stata affidata alla Yakamoto.

«Al momento sto tenendo sotto osservazione qualcuno che ritengo piuttosto abile, ma di cui devo ancora accertare un po' di cose.»

Si fermò dopo pochi passi davanti a una porta blindata. Alta, larga e spessa, sembrava custodire l'accesso al caveau di una banca o il santuario di qualche prestigioso clan dai molti segreti.
Appesa di fianco alla porta, una piccola lavagna recava alcuni disegni col gesso, la maggior parte un po' sbiaditi.



«Sei ancora in tempo a dimostrarmi che tu sei la persona più adatta di tutte. Nuibari è una sola, e non morirò prima di aver trovato un degno successore.
Non ho bisogno di ricordarti che non sarà facile, e che potresti non tornare indietro se non sei disposta a tutto, Yakamoto-kun.»


Rimase lì, in pacifico silenzio, con la pipa in bocca e gli occhi sulla porta.


 
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view post Posted on 27/1/2019, 22:32     +1   -1
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Abbandonata la copertura con un lungo, silenzioso sospiro, muove i primi passi da quella soglia, su cui era rimasta inchiodata per i dieci minuti più lunghi della sua vi... no, quelli in cui bruciava viva erano stati molto, molto peggio.
Coi muscoli delle gambe un po' indolenziti dalla tensione si accosta a un Masuda decisamente meno ostile ed irritato, prelevando con quanto più garbo possibile la candela dalle dita dell'anziano; continua ad avere seri e fondati dubbi, sull'ipotesi che legga nel pensiero: probabilmente è come ha pensato prima... è solo bravo a intuire le menzogne, e voleva metterla alle strette.
Molto bravo, e decisamente intenzionato a metterla alle strette.

Scendono le scale insieme, lui davanti e lei dietro, a guidarla la luce traballante della candela, che tiene alta anche per lui, e la voce calma dello Spadaccino. La sente venarsi di affetto: non è quell'enfasi bellicosa ringhiata a pieni polmoni da tutti quei soliti piantagrane, sempre pronti a vantarsi della propria invincibile arma, invariabilmente migliore di tutte le altre mai forgiate prima; quel discorso dell'imparare poi, le piace pure quello: ha sempre pensato la capacità di reinventarsi fosse la chiave per distinguersi dai possessori di kekkei genkai – dove quelli, al contrario, si limitano a ripercorrere sentieri aperti da altri per pura comodità e sicurezza.
Da come la descrive, si direbbe proprio l'arma adatta alle sue capacità.
Peccato che...

Peccato che ci sia un'altra persona sotto esame, e che tutta quella fatica possa andare sprecata.
Peccato che ciò che ha inventato finora, si sia rivelato valido solo a metà.

No, no... il fatto di essere in due non c'entra.
Il discorso è che ambedue potrebbero tranquillamente non passare il test e finire uccisi, se a Masuda non fossero garbati.
Sapeva già di essere nata svantaggiata rispetto a uno Yoton e ad un Kinsei.
Quella sua amarezza non dovrebbe aver senso. Si aspettava forse un percorso meno faticoso?

Lo sguardo le cade sulla lavagnetta appesa al muro, unico segnale ad interrompere la piatta monotonia di muri e infissi: otto figurette simili tra loro, rassomiglianti ad altrettanti omini stilizzati e attraversati da quella che potrebbe anche sembrare uno schizzo di Nuibari... le proporzioni e la forma sembrano corrette.
Una tavola che raffigura i movimenti basilari dell'arte della spada?
Non le riesce di trovare qualche indicazione chiara sui vari spostamenti dell'arma, le variazioni tra una posa e l'altra sono troppo contenute.
La nona figura appare strana, come se avesse un braccio sollevato all'altezza del capo, stretto in un pugno delle stesse dimensioni della testa; decima e undicesima non hanno quella strana Nuibari addosso.

La porta blindata che occupa la maggior parte della parete davanti a cui si trovano, quella sì che è curiosa. Serviva a proteggere la spada?
L'idea che serva a tenere rinchiusi gli aspiranti resta piuttosto attraente, anche se poco logica, così come è poco logico che il nono omino abbia un pugno grosso come la sua testa, e non lo usi per brandire la spada.
Finalmente ci arriva: è un Kinsei... o meglio, probabilmente lo era, prima di sottoporsi alla prova.
“Se posso domandarlo, Masuda-sama: è il computo degli aspiranti respinti?” domanda con semplicità, additando la lavagnetta con l'indice. Ha un'attrattiva puramente documentaristica, piuttosto che il potere di intimorirla; non le piacerebbe comunque venire a sapere che Hayate Kobayashi abbia indirizzato un'altra persona di recente, senza fargliene menzione.

Quello dice che non morirà prima di aver trovato un successore.
Vuol dire forse che appena avrà consegnato la Spada, non gli resterà più un motivo per vivere?
La trova una cosa triste; sì, anche lei al suo posto farebbe lo stesso ragionamento, e ad una persona come sé stessa, Nuibari probabilmente non la darebbe.

Le tornano alla memoria le parole di Kazuku, quelle sui simboli – roba a cui lei non vuole concedere il potere che secondo il ragazzo devono possedere.
È possibile sottoporsi a una prova del genere, senza lasciare che sia un simbolo radioso a guidarla attraverso le difficoltà?
Non tornare dal Mizukage a mani vuote, non morire, non farsi più dare della vigliacca... sa da sé che non bastano: dovrebbe sentire un fervore mai provato prima, nell'accostarsi a quella porta, e invece lo sta facendo con meno spirito di quanto ne avesse all'esame genin.
Le motivazioni non sono mai espresse con un “non” davanti.
Che fine ha fatto quel trasporto che aveva sentito dopo aver parlato con Kazuku?
Cosa intende dire, con l'essere disposta a tutto?
Troppo ampio per farsi una vera idea di cosa ha davanti.

“Se non sono ancora adatta, posso adattarmi. Se non ci riesco, accada quello che deve.
Sarete voi ad uccidermi, Masuda-sama?”
- domanda incolore, lanciandogli un'occhiata opaca di sotto in su.

Non riesce ancora ad avere abbastanza paura.

 
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view post Posted on 31/1/2019, 13:36     +1   -1
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La porta aveva un piccolo particolare, nella sua enormità: non c'erano maniglie, o toppe per chiavi, o altri modi palesemente riconoscibili come apriporta.
Masuda si fermò di fronte ad essa, osservandola in silenzio per qualche momento, come se non avesse sentito la domanda di Urako. Ma non era così, perché scosse brevemente la testa in segno affermativo.

«Nessuno si è mai dimostrato degno. E io sono vecchio, ormai... Ma non così disperato.»

Appoggiò la mano destra, col palmo aperto, sulla porta blindata. Strinse il kiseru fra i denti, e con la mancina ora libera compose due rapidi sigilli che Urako non aveva mai visto; non erano parte dei dodici tradizionali, parevano un veloce accenno di Topo e Bue, alternato da una mano dritta con le dita tese e vicine una all'altra.
Dalla mano destra tesa e appoggiata sulla porta si diramò un cerchio di luce verde chiaro, che si fece poi più arzigogolato e complesso. Un sigillo, palesemente, che aveva rimosso per permettere alla ragazza di entrare.
La porta infatti si aprì, scivolando di lato con un pesante rumore di acciaio trascinato sul pavimento. I cardini erano ben oliati, non si udì nessun cigolio.

Il Sarto fece un passo indietro, e guardò un'ultima volta Urako, rispondendo alla domanda finale.

«Non ce ne sarà bisogno. Lo faranno loro.»

Le fece quindi segno di entrare, e non aggiunse altro. Attese che la ragazzina entrasse, poi silenziosamente richiuse la porta, che si sigillò di nuovo come l'entrata di una tomba.
Urako si ritrovò nel buio, un buio pesante e chiuso. Di certo non ci passava molto ossigeno, e l'umidità ricordava che comunque erano vicini al mare. Un gocciolare aritmico scandiva male il tempo, in lontananza, verso destra.

La candela che Urako reggeva illuminava un'area ristretta attorno a lei, giusto due metri circa di raggio. Da quel poco che poteva capire ad una prima occhiata, si trattava di una caverna sotterranea, come tante ce n'erano nel Paese dell'Acqua. Luoghi scavati dal mare nel corso dei millenni, con pareti di roccia umida e l'occasionale presenza di alghe preistoriche abbarbicate ai colonnati perfettamente lisci nella loro irregolarità.
Le orecchie, nel silenzio totale, le restituirono due elementi: lo zampettare veloce di qualche creaturina artropode, e il passo molto veloce di qualcosa su due gambe che stava correndo verso di lei.


 
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63 replies since 15/12/2018, 11:11   1395 views
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