Sogni lucidi, Post di ampliamento bg

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06 Febbraio, 249 DN


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Silenzio.

Quiete.

Quanto di più piacevole si potesse desiderare, in certi momenti. Neppure il suono delle gocce d'acqua, che dalla sua pelle e dalla sua chioma si ricongiungevano alla fonte, riusciva a rovinare quell'atmosfera. Restava da chiedersi però quanto sarebbe durato tutto ciò.
Sapeva che loro erano presenti e, sinceramente, non le dispiaceva affatto che sembrassero inesistenti, ma trovava poco gradevole essere messa costantemente sotto sorveglianza.

Tutto ciò le ricordava vagamente quel periodo in cui, dopo aver ucciso Jin, per sicurezza era stata sempre accompagnata da qualcuno di cui il nonno aveva estrema fiducia. Qualcosa di simile al programma di protezione dei testimoni.
Dopotutto aveva fatto fuori il capo di un'organizzazione affatto pulita, era normale che i suoi la volessero morta, dando a lei la colpa di quell'incidente, lei: che era stata l'unica con cui aveva vissuto molto da vicino, che all'epoca aveva notevoli abilità, che sapeva troppe cose e conosceva troppi nomi di quei giri.

Si prese qualche altro secondo per ponderare, lo sguardo cadde su una delle ciocche bianche che le si erano formate durante l'estrazione. La prima volta le vide nel riflesso allo specchio, quando ebbe osservato quella figura difficilmente riconoscibile rispetto alla giovane di qualche giorno fa.
Trasse un sospiro tenue, la Takeda, prima di chiudere gli occhi e scivolare giù, con la testa sott'acqua, dentro la sua vasca da bagno.

Lunghi attimi di pace passarono a ritmo lento, prolungarono il suo isolamento dal resto del mondo e lei, li sfruttò fino all'ultimo, lasciando fluire quel fiume di pensieri senza farsene coinvolgere.
Un esercizio meditativo tanto semplice che aveva sempre fatto da tutta una vita, che era alla base degli insegnamenti del suo clan, perché esso si reggeva su questo: Concentrazione. Equilibrio. Calma.

"Continuo a pensare che sia una pessima idea."

Esercizio che da lì in avanti sarebbe stato complesso con lui nel mezzo, lui che, dopo un periodo indefinito di scena muta, aveva frantumato in mille pezzi l'illusione della solitudine, stanco forse di essere messo da parte a quel modo dalla ragazza, attirato di certo dal nuovo oggetto d'interesse dei suoi pensieri.
La voce della creatura nella sua mente, per quanto calma, palesava quell'irritabilità che proveniva dalla bestia e che l'aveva accompagnata anche dopo esser rientrata a casa. Niente saluti, il tempo di girarsi ed Akiho non era più con lei - difficile dire lo stesso per gli altri, rimasti nell'ombra durante il tragitto - e la giovane ne fu solo lieta.


Ma qualcos'altro accadde quando Shukaku parlò, allora sentì lei i capelli tornarle sulle spalle, il suono non più attutito, i piedi nudi che delicatamente toccavano un terreno morbido e sabbioso.

"Nemmeno la tua alternativa è delle più rosee, Shukaku-sama,"
rispose lei con altrettanta calma, riaprendo gli occhi e sollevando lo sguardo.

Argento e oro si scontrarono in quel momento, una montagna ultracentenaria e una giovane gazzella, nessuno dei due intenzionato a lasciarsi superare dall'altro.
Qualcosa là dentro era cambiato: quella stella brillante era ancora lì, ad abbracciare ogni cosa che poteva con la sua luce, il perimetro circolare sotto di loro si era espanso, ramificandosi per chilometri verso ogni direzione, ed era mutata la sua consistenza, in alcuni punti sabbiosa. Cambiate erano persino le rovine di statue e colonne, che sembravano esser aumentate in numero.

"Mmmh..."

Un ringhiare sommesso risalì dal petto dell'Ichibi, che pensieroso corrugò la fronte con fastidio, ma non la aggredì in alcun modo.

"Perché non dovrebbe, mh?"

"Pensaci per un solo istante," esordì la giovane, inclinando appena la testa, "noi fuggiamo, magari lasciandoci alle spalle una scia di morte e distruzione, acquisiamo libertà e potere decisionale sulla nostra vita, il mondo ha paura di noi.
Fin qui non sembra fare una piega, giusto?"
chiese retorica, sorridendo divertita e affascinata da quella prospettiva. Ma sapeva bene che era un'idea fallace quanto letale, per questo quel sorriso le morì così com'era nato.

"Tuttavia, nessuno ci assicura che il Villaggio non sappia davvero come sigillarti, ma se anche così non fosse, da quel momento per tutti i villaggi conosciuti saremmo un pericolo, un pericolo da sopprimere.
A quel punto non esisterebbero per noi alleati, avremmo nemici in ogni parte del continente, chi perché ci vorrebbe vedere morti, chi perché invece vorrebbe solo usarci. Del resto, dovremmo avere a che fare perfino con quei fanatici del Kyo Dan e chissà quanti altri là fuori."


In quel momento il Tasso s'abbassò, finendo con il muso a pochi centimetri dalla sua minuta proprietà. Da dentro le fauci chiuse risuonava un ringhiare tenue e irritato, lo stesso sentimento palese nelle iridi color oro.

"Stai dicendo che non saremmo capaci di tener testa a quei moscerini, mh?"

Masaru non si fece sottomettere nonostante il suo atteggiamento minaccioso, sostenendo il suo sguardo con uno scaltro e baldanzoso mentre ella incrociava le braccia.

"Mai ho detto questo,"
gli rispose sicura, scuotendo la testa piano, "al contrario, è proprio perché sanno del nostro potere che non dobbiamo abbassare la guardia.
È nell'interesse di ogni mortale sopravvivere, a modo suo, come lo è per voi Cercoteri dopotutto, e questo equivale anche a dover difendere il continente in cui viviamo."


Gli si avvicinò di qualche passo quindi, sollevando una mano in sua direzione in un gesto formale.

"L'hai visto anche tu, come agiscono, come ragionano: più grande sarà il nemico che i grandi villaggi hanno in comune, più facilmente metteranno da parte le ostilità per coalizzarsi, formando un'unica potenza per circondare la minaccia, eliminarla o renderla inerme. È una tattica usata da sempre in natura. È successo anche a Fukagizu."

Il Bijuu sghignazzò divertito al pensiero di Fukagizu, avendo acquisito informazioni dalla mente della giovane su quanto accaduto. Alzò ironico un sopracciglio.

"Oh, certo.
Ho visto quanto idioti sono stati i capi dei villaggi."

Poi però lo vide, e lo sentì, imbronciarsi di nuovo nel raddrizzare il busto, ricordandosi che anche lui era stato sigillato.

"In ogni caso,"
continuò lei, allargando le braccia e mimandolo nell'alzare un sopracciglio, affatto divertita, "non siamo gli unici ad avere un potere del genere, per quanto ne sappiamo ci saranno altri che, come me, celano uno dei tuoi fratelli. Potrebbero essere scappati anche loro, certo, ma potrebbero anche essersi alleati con i villaggi. Nel peggiore dei casi saranno finiti sotto il controllo del Kyo Dan."

"Ma potremmo batterli comunque. Keh!"

Il colosso ebbe interrotto la sua piccola mortale, con voce calma ma comunque irritato da quanto era implicito in quelle parole. La ragazza corrugò la fronte, fissandolo con sguardo grave.

"Solo se li affrontassimo uno ad uno..."


Fu allora che lui s'incupì, affatto lieto da quella constatazione, e dal petto risalì un ringhiare sommesso. Le sensazioni provate non erano tanto perché alle sue orecchie suonava come un insulto, quanto perché sapeva esser vero.

"Resta il fatto che dobbiamo sottostare a quella umana e la cosa mi dà sui nervi."

Brontolò infastidito, facendola sospirare con quelle affermazioni.

"Neppure io ne sono felice, a nessuno piace prendere ordini. Ma non credere che non abbia pensato a darle le nostre condizioni, Shukaku-sama."

"Tsk! Tanto ci terrà buoni solo per il nostro potere e ci userà senza tanti complimenti."

Convinto di quanto annunciato, l'Ichibi assottigliò lo sguardo. Seguì con gli occhi inumani la figura che gli apparteneva e che gli diede le spalle per allontanarsi di qualche passo.

"Alla fine è quello a cui anelano tutti, da voi Cercoteri."

"Come te, Masaru?"

Lei si girò e sollevò la testa a quella domanda, inarcando perplessa un sopracciglio. Stava per rispondere, ma lui non le diede il tempo e s'imbronciò senza un preciso motivo stavolta.

"Non fraintendere come al solito, era una domanda retorica!"

...

"E ce l'ho ancora con te, sappilo. Mpf!"

La sua voce, che improvvisamente aveva acquisito un tono acuto, fu l'ultima cosa che le rimase impressa in mente assieme al suo palese imbronciarsi, quand'ella riaprì gli occhi, con la testa già fuori dall'acqua da molto prima.

Sbatté le palpebre più volte, pensierosa, cercando di mettere assieme i pezzi di quel bizzarro puzzle.
Difficile dire cosa le passasse per la testa in quel momento in merito all'atteggiamento del Monocoda, il quale lo sentiva acquattarsi ancora una volta dentro di lei, ancora imbronciato sì, ma zitto e buono.

Sospirò, la kunoichi, prima di rialzarsi dalla vasca nella quale acqua era fredda ormai. Quindi andò a prepararsi, visto che in cielo stava albeggiando, lo si poteva notare dai raggi mattutini che cominciavano a diffondere una tiepida luce in casa.




CITAZIONE
L'intento iniziale era quello di calmarlo, ma convincerlo ulteriormente va bene comunque. xD


Continua qui


Edited by ~ErudaJibriru - 8/10/2018, 19:50
 
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"You belong to me
My snow white queen
There's nowhere to run
So let's just get it over

Soon my love, you'll see
You're just like me
Don't scream anymore, my love
'Cause all I want is you"



15 Febbraio 249 DN

Impossibile le fu definire cosa stesse realmente provando la creatura di sabbia e chakra che dimorava in lei, nell'osservare i ricordi del suo sogno lucido.
Era in assoluto silenzio la ragazza, seduta con la schiena contro la parete a destra rispetto alla finestra, lasciandolo assimilare le informazioni che alla fine era tornato con curiosità ed insistenza a chiederle.
La sensazione sgradevole che ella si sentiva addosso, e quel tenue bruciore familiare, le lasciarono intuire solo che non era lieto di tali immagini, le quali si riallacciavano a quanto il Tasso aveva percepito nella ragazza durante la loro lotta con la malattia, con una logica che finalmente lo pose dinnanzi a tutto il quadro di quanto accaduto, in maniera completa e precisa rispetto a prima.

Dopo qualche giorno finalmente erano potuti tornare a casa, madre e figlio, accompagnati dal veterano. Quando il bambino si era svegliato le aveva raccontato con un certo disagio di quella disavventura onirica e di come fosse stata presente anche lei.
Inquietante fu per la ragazza constatare che avevano fatto lo stesso sogno, portandola a dubitare che di ciò si fosse trattato. Lei optò tuttavia per rassicurare il piccolo, ancora scosso da quanto vissuto, dicendogli che era stato solo un incubo dovuto alla febbre.
Kaede ovviamente tornò con Hisoshi, mentre Masaru, prima di tornarsene a casa, andò semplicemente a fare rapporto sui dettagli della missione, conclusa con successo nonostante lo sgradevole inconveniente.

"Keh! Salvata da un inutile ragazzino. Questa poi..."


C'era dell'ironia amara nella sua voce, che cozzava con quello che sentiva realmente. La sua metà mortale sollevò con scetticismo un sopracciglio, osservando oltre la finestra.

"Mi stai davvero facendo la morale per un sogno?"
gli chiese retorica.

...

"Sì. Kehehehehe!"


Era un rapporto totalmente bizzarro il loro, la Jinton faticava tutt'ora ad afferrarne la reale natura. Imprevedibile quell'essere, nonché parecchio incoerente.
Quella tranquillità che egli andava palesando in quei giorni era totalmente opposta a quanto d'improvviso aveva scaturito il giorno, o per meglio dire, la notte prima della loro ultima missione. In modo graduale, iniziando al calar del sole...





06 Febbraio 249 DN

"Allora, ti va stasera?" le chiese il giovane con un sussurro malizioso dietro l'orecchio. Aitante, con una chioma corta e nera, ma mai quanto i suoi occhi. Pezzi di onice che si socchiusero quando le narici si riempirono del suo profumo di gelsomino e le labbra andarono a sfiorarle la pelle del collo.

La ragazza aveva iniziato ad accusare una strana sensazione già da diversi minuti prima di incontrarlo in quel vicoletto. Avrebbe potuto quindi evitare d'incrociare il suo sguardo o semplicemente congedarlo dopo un breve saluto, eppure come una sciocca ragazzina qualunque si era lasciata guidare dagli istinti.
I desideri inconsci di sfogare tutto il malessere accumulato attraverso uno dei modi a lei più congeniali. No. Non combattere stavolta. Quell'altro modo. Quegli stessi istinti adesso la frenavano dal rifiutare la sua offerta, fomentati dal solo sentire il suo tocco delicato e sicuro su di sé.

Del resto quel giovane diciannovenne era un accompagnatore abile, non la conosceva nella sua vita privata, sapeva solo che era una kunoichi ed aveva una maledizione che le riduceva il corpo in quello stato, di cui si accorse essersi espansa tale condizione, sapeva dunque che doveva trattarla in un certo modo e accettava la cosa. Dopotutto non lo faceva gratis.
Non capiva nulla di sigilli né di altre cose inerenti il mondo ninja e proprio per questo lei lo aveva favorito rispetto ad altri.
Sapeva dunque cosa fare per compiacerla, cosa che normalmente sarebbe stata ampiamente apprezzata da lei, alla faccia di quei ficcanaso degli Anbu.

Ebbe un fremito di piacere lei, sollevò la testa, chiuse gli occhi e si abbandonò gongolante al muro appartato dove il ragazzo l'ebbe portata, il quale aveva preso il suo silenzio come un segno d'approvazione.
La Takeda aveva una strana sensazione dentro di sé tuttavia, in quel suo desiderio percepiva qualcosa di estremo, rampante, aggressivo.
Una sete improvvisa e che si aggrappava feroce per emergere dall'oscurità del suo vero Io, sempre più forte, sollecitante. Le toglieva il respiro più di quanto ne sarebbe stato in grado quel giovane dinnanzi a lei, era una cosa mai percepita nemmeno nel suo periodo più buio.

Nei suoi occhi una luce sinistra, le sue mani artigliarono le braccia del ragazzo e le sue labbra si curvarono in un sorriso cattivo. Manifestazione di una pura, feroce e crudele sete di distruzione.
Si accorse che non si stava limitando a desiderare quel servizio da parte del ragazzo, ma a desiderare il giovane stesso e ancor più a volerlo smembrare vivo, strappargli la vita come fosse poco più di un moscerino e guardarlo tremare dinnanzi al loro potere.
E dopo di lui avrebbero gioito nel versare il sangue di un altro malcapitato, e di un altro, e di un altro ancora. Distruggere. Uccidere. Spazzare dal continente. Fintanto che la loro sete sempre più crescente non fosse stata placata, avrebbero raso al suolo tutto ciò che si trovava sul continente!

No!

Prima ancora che potesse spingerlo via, il ragazzo sussultò e indietreggiò nel sentire un calore tremendo provenire da lei, fissandola con timore. Una ansante Masaru, tornata in sé e aggrappata al muro, era a sua volta sconvolta da quella situazione e il suo sguardo accigliato, parzialmente celato dalle ciocche ribelli, lo avvertiva chiaramente di andarsene.
Sentiva ancora il chakra bruciante di Shukaku all'altezza dello stomaco e la sua rabbia, il suo ringhiare sommesso, forse perché infastidito dalla presenza di quel ragazzo.
Si riprese al più presto lei, raddrizzandosi nella sua altezza e risistemandosi i capelli con un gesto abile della mano.

"No,"
gli disse con una gentilezza formale, a fior di labbra, scuotendo appena la testa, "non è un buon periodo per me."

Il ragazzo la fissò ancora per un po', ammutolito, poi annuì e se ne andò, ritenendo saggio ascoltarla. La kunoichi lo osservò andarsene prima di prendere la direzione opposta, verso casa, fortunatamente vicina.
Nonostante lei fosse tornata in sé, quella sensazione continuava ad affliggerla in modo costante, ma non era la natura del desiderio ad inquietarla quanto piuttosto l'idea di non riuscire a controllarlo. Cosa ancor più assurda, tutto ciò non sembrava esser scaturito dall'Ichibi, al contrario se ne sarebbe accorta. No, era partito da lei stessa.
Una risatina malevola e divertita le riempì la mente e la distolse dai suoi pensieri quand'ella, rientrata a casa, ebbe finito di cambiarsi.

"Ti è piaciuto il terrore che abbiamo instillato in lui, mh?"


Sembrava pienamente compiaciuto di aver fatto scappare quel moccioso, perché se da un lato Masaru aveva rischiato da sé di fargli molto male, il Tasso aveva contribuito ustionandolo.
Dopo che lo aveva irritato per aver osato toccare la sua proprietà, per lui non ci fu soddisfazione più grande, anche se avrebbe gradito squartarlo e stava pure per farlo, se lei non fosse intervenuta per tempo, fermandolo.

"Sbaglio o qualcuno ha dimenticato chi dei due detiene l'ultima parola, qui?"
ebbe l'ardire di rispondergli la Jinton, infastidita più del normale persino per lei.

A quel punto si sentì al collo una morsa bruciante come un tizzone, la quale la privò del respiro, e la ragazza si portò le mani alla gola, indietreggiando di qualche passo nella penombra della sua stanza finché non toccò il muro. Lo sguardo andò istintivo allo specchio, laddove intravide il collare di sabbia che la stringeva.

"Concordo. Devo ricordarti chi comanda o la memoria ti funziona, mh?"


Le chiese lui, minaccioso, frattanto che la sua mortale scivolava verso terra, aggrappandosi al muro.

L'hai detto anche tu, no? Comandiamo entrambi!
sbottò lei come a sfidarlo.

Non esiste. L'idea che comandasse solo lui, dentro il suo corpo, proprio non le andava a genio. Creatura potente o meno che fosse.

Dopo quella che parve un'eternità, con la povera kunoichi che cominciava a prendere un colorito innaturale per la mancanza d'ossigeno, egli mollò la presa, lasciandole la gola tanto arsa e bruciante da farla tossire, e le cose parvero finire lì.
Già, parvero, perché quella notte egli risultò terribilmente irritabile rispetto alla norma e per quanto la giovane cercasse di appianare le cose, arrivati in piena notte il gigante alla fine cominciò ad innervosirsi per davvero.


Difficile dire quale era stata la scintilla che aveva scaturito il tutto: una parola di troppo, un pensiero mal posto, un atteggiamento quieto e inconsapevolmente offensivo da parte della ragazza. Sapeva solo cos'era accaduto dopo.

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Ricordava bene lei, il sentirsi trascinare verso il basso, il mondo attorno a sé che veniva inghiottito dal buio e la terra che le venne a mancare da sotto i piedi.
Rammentava di come lui aveva cominciato a perdere la sua parte razionale in favore di quella più istintiva e bestiale, quella vera, ed ella aveva dovuto combattere, resistere per non farlo venire fuori.
La cosa più angosciante era stata che egli stesso aveva cercato di influenzare con quel desiderio di distruzione anche il suo animo, i suoi istinti, di assimilarli e farli propri. Finché non si era trovata a galleggiare, no... No. Era più corretto dire annegare nel suo stesso inconscio.
E quanto aveva dovuto annaspare per ritornare a galla. Poi, quando finalmente quella battaglia era giunta al termine, forse perché stufi entrambi, forse per quei dubbi che avevano assalito la giovane - Che ti succede? Perché fai così? - che dovevano aver fatto riflettere la creatura su quanto stava accadendo, d'improvviso si erano ritrovati l'uno dinnanzi all'altro, a guardarsi negli occhi, tutti e due provati, lei indubbiamente più di lui, che se n'era rimasto ammutolito.

Quand'ella aveva ripreso pieno controllo di sé, aveva sentito le dolorose ustioni che le aveva lasciato il chakra della creatura - fortunatamente non troppo gravi - cosa mai successa fino ad allora. Aveva osservato inoltre la distruzione che ebbe portato in casa, i profondi segni di artigli sparsi in ogni dove, la sabbia presente ovunque e i resti di ciò che un tempo era intatto tra mobili e chissà cos'altro.
Shukaku non ebbe voluto parlarne e lei, per quanto desiderosa di sapere cosa davvero fosse successo, aveva rispettato il suo silenzio. Fino a quel momento. Perché trovava assurdo come il giorno dopo egli aveva ripreso a trattarla normalmente, come se nulla fosse accaduto.
Sembrava addirittura più collaborativo per ogni giorno che passava e adesso che la sua umana riportava alla mente quel ricordo, che anche lui ebbe modo di vedere, lo sentì tornare serio e percepì qualcosa di simile a un fastidio, come se quella fosse una spina nel fianco di cui non gradiva parlare.

"Spiegami." disse d'improvviso la sua consorte, abbandonandosi totalmente con la testa poggiata al muro e gli occhi chiusi. Sopra il suo palmo aperto roteavano in cerchio a mezz'aria tre biglie di vetro, era un esercizio di concentrazione che le aveva consigliato il suo mentore, inoltre era anche un antistress.

"Mh?"


"Se dobbiamo vivere insieme qua dentro, credo sia più conveniente per entrambi conoscerci meglio, Shukaku-sama,"
affermò con convinzione, "spiegami cos'è accaduto davvero l'altra notte, perché eri tanto nervoso?" E perché lo era stata anche lei... ?
Una richiesta posta con calma e una naturale curiosità.

L'Ichibi ci rifletté su.

"Okay, però dopo ci prendiamo del saké."


Le biglie si fermarono per un momento, sospese nel nulla, e l'istante dopo lei tirò un sospiro rassegnato, tornando a muoverle con l'ausilio del Jinton. Da quando le era successo di prenderne un sorso nella sua nuova condizione di Jinchuuriki, aveva scoperto che Shukaku ne andava particolarmente matto ed egli aveva insistito più di una volta, da quel momento, per avere un po' di quel gradevole intruglio. Alle volte in modo pedante.
Davvero un peccato che lei avesse poca resistenza a quel tipo di alcool e ogni volta partiva proprio per la luna, cosa che lui sembrava trovare divertente. Era anche rischioso dato che il Tasso avrebbe potuto prendere il controllo, eppure non sembrava avere istinti omicidi attualmente.
Quindi, per quella sera forse...

"Andata. Ma niente scherzi."


Lo sentì sbuffare come un bambino.

"Mmmh, va bene... per stavolta."


Affermò con un tono da brontolone, borbottando qualcosa di incomprensibile tra sé prima di esaudire la sua richiesta.



Edited by ~ErudaJibriru - 11/11/2018, 20:31
 
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"Everything about you is how I'd want to be
Your freedom comes naturally
Everything about you resonates happiness
Now I won't settle for less

Give me
All the peace and joy in your mind

Everything about you pains my envying
Your soul can't hate anything
Everything about you is so easy to love
They're watching you from above"


04 Luglio, 249 DN

La quiete e la pace aleggiano nell'aria notturna come una gradevole nebbiolina, con i versi di qualche creatura della notte a fare da contorno, impregnando l'atmosfera della sua dimora al pari della brezza estiva, che soffia carezzevole dalle finestre aperte e che porta con sé l'odore della brina ed il profumo roseo delle piante che si trovano al di fuori. Quello che però si sente è anche odore di umido.
Il cielo è limpido da una parte, dall'altra invece avanza con la lentezza di una chiocciola una montagna di nuvole scure, che cupa e minacciosa fa scintillare vivide folgori, dandole voce con dei ringhi distanti.
Il bagliore delle stelle viene messo in ombra dal chiarore del satellite, che si sta avvicinando alla fase successiva del suo percorso, e del quale luce si addentra con prepotenza dalle finestre, unica fonte d'illuminazione in una casa altrimenti dominata dal buio.
Quella calma piatta, e tutto ciò che di naturale la accompagna, potrebbe persino essere piacevole per la ragazza, ma in quei giorni non le riesce più di sentire né fare caso a certe cose: è già tanto se è in grado di continuare quasi meccanicamente la sua routine quotidiana, con la differenza che adesso manca un elemento con cui si era abituata forzatamente di convivere.

Di lui sono rimasti nulla più che ricordi da sopprimere e quell'irritante vezzo, quello che in molti hanno, per la ragazza però il sodalizio con il fiammeggiante elisir ha preso il posto di quello con la creatura notturna.
Non è sicura neanche lei se ne stia diventando davvero dipendente o se è destinato a sparire anche quello con il tempo. In quel momento non è sicura nemmeno di ciò che sta pensando e, sinceramente, pensare riesce soltanto ad annerire ulteriormente le ombre che già le aleggiano oltre le spalle e la testa... Accidenti a lei ed a quel suo maledetto vizio di pensare più del dovuto. Non sa più che fare. Non vuole saperlo, per ora.

Intanto il vuoto non si colma, né il tempo sembra riuscire ad attenuarlo, a volte lo ignora, a volte la fa impazzire, allora cerca la pace nella meditazione, ma ogni tanto si abbandona alla tentazione della via più breve, così la cerca anche in quel veleno afrodisiaco che in tanti decantano e che le alleggerisce un po' quel peso; e dove la mente non è lucida, lo sono tuttavia i suoi occhi, che sembrano quasi evanescenti sotto lo sguardo maledettamente calmo, con le guance appena arrossate. È arrivata alla seconda fase della sbornia, quella depressiva.
Che disgrazia però, anche per quella notte sembra proprio che la lucidità non ne voglia sapere di lasciarla, aggrappandosi alla sua mente con tenacia ed artigliandola di tanto in tanto con scintille di consapevolezza.

Cosa dicevo prima? Ah sì, giusto, che la quiete aleggia nella sua casa. Teoricamente dovrebbe essere così...

L'ennesima risatina bianca riecheggia nel piccolo giardino nel quale si trova, raggiunge le sue orecchie e, dalla sua immobilità, le sue iridi color argento puntano verso la fonte di quel suono, con le sopracciglia leggermente aggrottate che tradiscono un'irritazione sfumata: è apparsa da molto prima, ma non ha voglia di vederla né sentirla... per quel giorno.

"Non sei ancora stata chiamata, finirà come quella volta con il Nidaime..."
afferma la bambina con ironia infantile e leggiadra nella voce, trotterellando in tondo, seguita dallo sguardo tagliente dell'altra, che sa benissimo a cosa si sta riferendo, "oppure Chiye-sama ti bucherà il petto e la pancia! Chissà!"

Non dice nulla, infastidita continua a guardarla avvicinarsi a lei e fissarla a sua volta, colma di eloquenza negli occhietti vispi, ma in quelli stanchi della più grande risulta palese un solo desiderio, pertanto fa del suo meglio per ignorarla, voltandosi altrove quando la piccola porta le mani dietro la schiena e si sporge col viso a poche spanne dal suo. Quest'ultima non demorde, con la sua bambinesca invadenza si sposta per poter incrociare lo sguardo, dell'altra.


"Oh sisisi! E nessuno ti aiuterà. Neanche Rei-chan!"
continua, stuzzicandola, giocando con lei. Forse cercando di avere una qualche reazione da parte sua.

Masaru se ne sta lì, seduta in un angolo del suo pezzo di eden, con la piacevole e silente compagnia dei suoi fiori, vestita con solo una canottiera scura e dei pantaloni lunghi - non porta neanche più le bende; un muro di gelsomini sta alle sue spalle, la schiena è ricurva e la testa viene abbandonata di nuovo sul gomito, che a sua volta è poggiato sul ginocchio; gli occhiali le pendono dalla mano senza cadere, come per miracolo.
Se possibile, si curva ulteriormente nel sentire il peso della bambina che le si arrampica sulle spalle, sente cingerle il collo con le braccine, tracciare con il ditino le linee sulla pelle del braccio nudo e poggiar la testa sulla sua, con l'unica conseguenza di far esalare un muto, tenue mugugno dalle labbra della donna per quel peso aggiuntivo.

"Non bere più se vuoi affrontare Chiye-sama."
le sussurra all'orecchio con una macchia di tenerezza nelle sue parole, prima che l'altra senta quel peso che ha addosso svanire nel nulla, "ricorda la tua promessa, Baka-chan."

Sì, la ricorda assai bene, difficile dimenticare qualcosa di quel maledetto giorno: infatti non ebbe promesso di tirarsi fuori dalle grinfie di Kuroichi, ma, per esser precisi, di tirarsi fuori da quella situazione.

Dalla ragazza però niente reazioni a quelle parole e c'è da dire che persino un fantasma risulterebbe più vivace di lei in quel momento, più simile a una statua che a una persona, non fosse per il petto che si muove lento al ritmo del respiro appesantito.
Forse è per questo che l'ospite indesiderato che ha bussato poco prima alla porta non la nota minimamente. Masaru sente al di là dell'unica finestra spalancata i tipici rumori di chi sta tentando una scalata, ma essa è un po' alta per gli standard del suddetto e fa fatica nell'impresa.
Oh no, non si accorge per niente di stare addentrandosi nella tana del lupo, scavalca la finestra, poggia i piedi dall'altra parte di essa, insieme alla sua sacca, ed in quel momento sente lo zampettare di un animale lungo una delle stradine più distanti.
Il suono improvviso lo spaventa, si sente osservato, allora si guarda attorno furtivamente con i suoi occhietti grigi... e incrocia per caso quelli del lupo in questione, che identici ai suoi lo stanno fissando quasi con freddezza, di sottecchi, ed il bagliore lunare che essi riflettono li rende ancor più tetri in contrasto con il buio dove risiede.



Irrigidisce lui, fanciullo della Roccia, di un'età inferiore alla decina d'anni; colto sul fatto, fermo ad osservare quella figura statuaria, inquietantemente rassicurante, familiare eppure estranea, legata a lui dal sangue, ma tenuta a distanza da mura immateriali.
La sua presenza gli mette sempre un po' di soggezione, specie in momenti come quello, nel quale ella ha inclinato appena la testa con perplessità dinnanzi al suo gesto e lo sguardo, che mai è mutato, sembra sondargli l'animo, dubbiosa dei propri occhi.

Se ne stanno in silenzio per qualche istante e nel frattempo Kaede si fa avanti, incentivato anche dal gradevole profumo emanato dai fiori, che circondano entrambi in quel paradiso che negli anni sua madre ha creato con le proprie mani, con cura e dedizione quasi maniacali. La varietà di colori riesce così a risultare omogenea ed ogni pianta è posizionata in modo a dir poco architettonico, anche a seconda del bisogno di luce e della simpatia con altre piante.
Garofani, camelie, azalee, rose e crisantemi, ma anche ortensie, gigli, gerani ed altre varietà di fiori fanno da cornice in quello sfondo altrimenti spento e lugubre, arricchendolo con la loro caduca bellezza e vitalità.
E sì, che da quando sono venuti fuori i Cercoteri qualcosa è cambiato nella natura, se n'è accorta proprio dalle sue piante. La mano destra accarezza i fiori di Calicanto vicino a sé, sbocciati prematuramente dato che sono per natura invernali. Così come il Glicine che pende sopra le loro teste, rampicante primaverile parimenti all'azalea, è fiorito molto tardi.

Si guarda attorno con occhi pieni di meraviglia, lui, e sorride ignaro di tutto, com'è giusto che sia. Quando però incrocia lo sguardo di lei, il sorriso si spegne. È arrabbiata con lui per essere entrato così?


"M-Masaru-san...?"


Normalmente, nonostante la soggezione, Kaede si sente a suo agio a stare con lei. Adesso però, dinnanzi a quella creatura che ora più che mai appare simile allo spettro di sé stessa, ferita e all'angolo - un binomio pericoloso - egli non sa bene come comportarsi.


"Cosa fai qui solo, in piena notte, Kaede?"
stenta a riconoscere la sua stessa voce, che fa eco al dubbio presente nei suoi occhi.

Saranno giorni che non parla, praticamente da quando ha lasciato l'ufficio della Koizumi, e tutta la bile nera e il veleno che non ha rigettato a parole ha tentato di espellerli attraverso gli allenamenti, mentre da Hisoshi neppure ci è andata, per quanto forte il desiderio di parlare con una voce di cui può fidarsi davvero. Una rigida scelta, quella di isolarsi, che non è priva di motivazioni solide, come anche la decisione di non fuggire da Iwa.

Sapere che si tratta davvero di lei lo tranquillizza, è consapevole che quel predatore non gli avrebbe fatto del male, anche se forse, dopo quel piccolo misfatto non è certo di cosa potrebbe fare.


"O-ojiichan non torna oggi..."
riesce a risponderle oltre i farfugli appena sussurrati, sentendosi a disagio sotto il suo sguardo intenso, "e ...c'è Yasuhiro-san, solo che mi fa tanta paura e... non sapevo dove andare..."

Lo osserva lei mentre il piccolo tenta di spiegare, ma non fa e non dice nulla e la quiete di quegli attimi è spezzata unicamente dai mormorii del monsone in avvicinamento.


"Scusami..."
le dice a bassa voce, abbassando appena la testolina con fare colpevole.

Eppure la Jinton resta lì, con i lineamenti rigidi, seppur delicati, immutati. Anche se i suoi occhi tradiscono qualcosa. Sapere che è davvero Kaede e non una mera illusione non la rassicura.
Lì, in quel luogo, vicino a lei, è l'ultimo posto dove vorrebbe vederlo in quel momento. Assottiglia appena lo sguardo mentre lui, adesso praticamente faccia a faccia con Masaru, si accorge per la prima volta dello strano minerale opaco che decora la sua pelle, incastonato, o meglio fuso al punto da essere una cosa sola con essa.
Curioso come solo un bambino sa esserlo, si sporge ulteriormente avanti e con innocenza d'intenti la manina le sfiora una delle venature sulla mascella, e la ragazza lo lascia fare. Al tatto quella sorta di minerale risulta liscio, in netto contrasto con la materia leggermente ruvida e morbida che viene plasmata dal sigillo.


"Fa male?"
le chiede con altrettanta curiosità, senza pregiudizi di sorta.

Nessuna risposta.


"Come hai fatto ad averl-"


"Non dovresti essere qui."
lo interrompe d'improvviso, con un tono nero e distaccato che lo intimorisce nuovamente.

Kaede ritira la mano, sorpreso, tornando a puntare le iridi su quelle gemelle della madre, che si è fatta più severa. Quelle parole dure su di lui hanno un effetto simile a come se venissero urlate ed egli si rattrista. Non è come si aspettava che sarebbe finita, men che meno si sarebbe aspettato una simile reazione da parte della giovane donna.


"Non mi vuoi più bene, Masaru-san?"
domanda piano, cercando di capire.

Dopo qualche attimo di silenzio, spezzato dal sussurro della flora al tocco del vento, il bambino solleva lo sguardo perplesso e la vede immobile, nella sua fanciullezza non può capire che quell'espressione non palesa rabbia, ma un conflitto interiore. Di colpo sussulta quand'ella si alza in piedi e si rimette gli occhiali, pur avendolo lei fatto con lentezza.


"Andiamo,"
dice con un tono che non ammette repliche, senza guardarlo, "ti riporto a casa."

Masaru barcolla appena, avanza qualche passo e le iridi del pargolo, ed esse soltanto, la seguono superarlo per andare verso il corridoio e, ovviamente, verso la sua stanza, così da prendere la giacca.
Sta cercando nell'armadio, nel suo stato attuale quasi non si accorge che il figlio è lì finché non ne sente la voce:

"Scusami Masaru-san,"
ribadisce di nuovo, desolato per la decisione di lei, "se è per la finestra non lo faccio più, lo prometto!"

Ed ella si ferma per un interminabile istante, poi si volta ad osservarlo, mantenendo un certo distacco, guardando i suoi occhi che cominciano a luccicare e la sua espressione a farsi sofferente. Lui da solo con il servitore non ci vuole stare, perché il servitore gli fa paura, anche se non è ben chiaro il motivo, ma a questo lei non pensa, parzialmente stordita dai fumi dell'alcool per riuscire a pensare ben oltre alle cose elementari ed immediate.
Un lampo illumina tutto a giorno, per un millisecondo, ed un boato impetuoso fa leggermente vibrare le fondamenta della struttura, mentre goccia dopo goccia nel Villaggio si forma una coltre d'acqua e l'atmosfera si carica di una massiccia umidità. La loro attenzione è alla finestra, che già da un po' aveva iniziato a smuoversi per i forti venti caldi.

Quando Kaede torna a fissare Masaru, un po' intimorito all'idea di dover tornare da quell'uomo, di uscire con quel tempo, a quell'ora della notte - anche se con qualcuno al pari della Takeda è più tranquillo - la Jinton continua ad osservare fuori, riflettendo effettivamente sulla decisione più saggia da prendere.
Un suono secco e deciso segnala la chiusura della finestra, seguito poi dal clicchettio della serratura, quando la ragazza senza fretta alcuna chiude a chiave anche la porta che da sul giardino, dopo aver agganciato il telo protettivo per le piante - l'ingresso principale è già stato sigillato prima.

Suo figlio intanto continua a starsene lì fermo, fissandola curioso e in silente confusione.
Lei lo guarda di sfuggita mentre si avvia di nuovo verso l'armadio nella sua stanza, indecifrabile come quando il piccolo l'ha vista inizialmente, infischiandosene dell'acqua piovana che le gocciola dai capelli, dai vestiti e dal viso.

"Solo per questa notte,"
sentenzia con una ferma calma, sistemando il letto per lui, che annuisce sonnacchiosamente prima di prendersi il pigiama e i giocattoli nella sacca, di nuovo sorridente in volto.

No, alla fine non potrebbe comunque accompagnarlo. Non che lei abbia paura di uno stupido acquazzone, ma sono stati piuttosto la tempesta in aggiunta con l'orario e il suo stato di semi lucidità insieme a convincerla a desistere. Prima non si era neppure ricordata che la giacca non l'aveva lasciata nell'armadio, per dirne una.

Il piccolo nel frattempo va in bagno e si mette il pigiamino color turchese che si è portato dietro, tuffandosi poi nel letto ed osservando Takeda avviarsi alla porta.

"Buonanotte, Masaru-san!"


Per quanto forte, e forzato, il distacco verso di lui, la candida affettuosità in quella voce bianca riesce a fermare la ragazza sull'uscio, facendola voltare indietro. Si colma gli occhi di quel sorriso sincero, rivolto a lei, e per un attimo in essi traspare l'ombra di qualcosa, che svanisce in un batter d'occhi quand'ella si costringe a rigettar esso indietro, poi lo saluta con un cenno del capo, spegnendo la luce e chiudendosi la porta alle spalle.
E quel bambino se ne sarebbe pure rimasto lì tranquillo, se solo non ci fosse stata quella burrasca. Egli tenta di combattere la paura verso quei fulmini, ma sono talmente imponenti nell'oscurità della notte da farlo nascondere sotto le coperte.

Nelle due ore seguenti il maltempo non sembra volersi attenuare e Masaru ancora non riesce a dormire, pur essendo sdraiata sul futon - e non priva di vesti per quella notte - ad occhi chiusi nello sguardo irrequieto. Un'altra mezz'ora prima che l'orologio biologico ritorni a funzionare, grazie anche agli effetti della sbornia che nel frattempo si sta sfocando, e proprio mentre sta per entrare nella fase REM, ecco che subentra una figura nella stanza.


"Masaru-san..."

Non avrebbe neanche voglia di girarsi, ma nel riconoscere la voce lo fa comunque, e nel buio le iridi cineree si posano sul giovane che le appartiene, prive dell'ausilio delle lenti, con perplessità sul perché sia lì, ancora sveglio, anche se il cuscino può dare un'idea del perché.


"Non riesco a dormire,"
afferma mezzo assonnato il piccino, "posso restare qui?"

Ancora una volta egli deve attendere. Sembra ci stia pensando.

Annuisce piano, le sarebbe stato più facile tenerlo d'occhio. Questa almeno la motivazione che dà a sé stessa. E lui si mette lì, timidamente e senza secondi fini, accostato a sua madre, dandole la schiena. Dormire così vicini non era proprio quello che intendeva lei quando ha acconsentito a farlo restare. A dirla tutta non si sarebbe aspettata nemmeno che Kaede, una volta addormentatosi - ed anche più in fretta di lei - in poco tempo le si sarebbe accoccolato.
Ah, quanto crudeli i Kami. Quando lui le cinge le spalle col braccino, quando la testolina si poggia sulla sua spalla e riesce a sentire il suo battito oltre al respiro quieto, qualcosa si smuove nella sua apparente apatia, ella spalanca appena gli occhi con apprensione, allontana il volto come a prendere le distanze di sicurezza da lui, ergendo ulteriormente quel muro invisibile tra loro due.

Sono giorni che si sente osservata e un'idea sul perché si è radicata in lei da un po' di tempo. Quell'affetto che sta ricevendo, per quella notte, è destinato ad essere unilaterale, poiché nell'ambiguità della situazione relativa alla missione, e del suo stato d'animo, l'unica certezza in lei è il timore dell'ennesimo deja-vù: il pensiero stesso di come potrebbe finire se osa anche solo ricambiare.
Chiude gli occhi e soffoca con tutte le sue forze quel tepore gentile al cuore, al tempo stesso però non riesce ad allontanare davvero il piccolo da sé, in parte perché l'amore platonico che riceve da lui le è nostalgico, in parte perché quella potrebbe essere l'ultima volta che lo rivede.

Allora resta lì ferma, in compagnia dei mormorii di tuoni che si fanno sempre più distanti, e ben presto anche lei si assopisce, così il sonno abbatte ogni muro eretto dalla coscienza ed asseconda gli istinti; senza che lei lo sappia si ritrova a cingere quella piccola luce per prenderla sotto la sua ala.
Una luce che è rasserenata dalla sua presenza ed a sua volta allontana anche le ombre più nere di lei, donandole la serenità tanto agognata, dunque sotto lo sguardo dormiente, che pare vigilare le spalle del giovane, le labbra sono appena curvate in un sorriso di placida quanto genuina contentezza che nasce dal cuore, come da troppo tempo non accadeva.

 
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view post Posted on 26/1/2020, 10:56     +1   -1
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Un mattino particolarmente soleggiato, una tiepida brezza estiva porta con sé un po' di frescura e il solito perenne odore asciutto e terroso, caratteristico della Roccia, ma non abbastanza forte da essere irritante, almeno non per chi lo sente da quando è nato.
Essa smuove quelle poche nuvole candide che spuntano al di là dei monti e serpeggia tra i numerosi passanti, smuovendo i capelli dei tre giovanissimi ninja che, mentre fanno colazione nel chiosco lì vicino, stanno cercando di annoiarsi il meno possibile.
Uno del trio, nell'assaporare la sua ciotola di riso, sente dei passi in avvicinamento. Sbirciando con gli occhi color indaco vede una figura assai nota nel Villaggio, specie per quanto concerne il mondo ninja, e non esattamente in maniera positiva.

"Ehi," chiama a bassa voce picchiettando col gomito il compare al braccio, al che quello si gira perplesso assieme alla chunin della squadra, "guardate chi sta passando."

"Ah sì," fa spallucce la ragazzina dai capelli blu, non provando alcunché di peculiare a riguardo e tornando al suo pasto.

"Chi è?" chiede il lentigginoso e timoroso dei tre, e il compagno non tarda a rispondergli sussurrando all'orecchio. "Oh. È lei quindi."

Se anche avesse notato i loro sguardi, la figura della donna li ignora totalmente, troppo abituata ormai a sentirsi gli occhi puntati addosso, superando il chioschetto con calma nella sua tipica inespressività.

"Certo però che è inquietante..." sussurra quasi tra sé il terzo elemento del gruppetto nel notare le stranezze della donna, a partire dalla pelle. Quelle poche api addosso al giovane smuovono le ali, percependo il suo stato d'animo. "Ho sentito strane storie su quella kunoichi."

"Heh! Fifone!" lo schernisce il compagno, prima di continuare, "dicono che ci sia di mezzo lei col casino che c'è stato in ospedale l'altra notte."

"Ngh... non vorrei essere al suo posto," afferma il più intimorito dei tre, sistemandosi i capelli biondicci.

La kunoichi vicino a loro invece continua a mangiare come niente fosse, sapendo quanto babbei possano essere quei due, specie Tetsuo.

"Ehi," riprende dopo un po' il primo, sfoggiando un sorriso che i compagni conoscono assai troppo bene, "mi è venuta un'idea."

Specie la loro compagna, che sposta appena lo sguardo per un attimo continuando a mangiare, certa che lui vorrà fare uno scherzo e ancor più certa che lei non parteciperà né gli salverà il deterano.

"Non mi sembra una buona idea..." commenta esitante il compagno più giovane, una volta sussurratogli il piano.

"Piantala di fare il cagasotto e andiamo! Tanto è solo una genin! Mizue?"

"Fate come vi pare, sappiate che non vi parerò il didietro stavolta."

"Tu non vieni?"

La ragazzina scuote la testa con diniego e osserva i due allontanarsi.

"Che babbei..."


♤♤♤♤♤

"Grazie per l'acquisto e buona giornata!"

Un cenno di saluto con la testa e finalmente può cominciare la sua missione. E dato che a quanto pare deve indossare la divisa d'ordinanza del suo nuovo grado non poteva neppure esimersi e rimandare quella tappa forzata.
La donna si ferma un attimo lungo la strada, aggiustandosi meglio il nuovo indumento sulle spalle, e risulta palese l'assenza d'abitudine nel portarlo addosso.
Un'occhiata fugace su di esso e l'ombra di una smorfia infastidita rivelano un pensiero: è dunque questa la giubba tanto ambita e tanto...

Smuove le spalle.

...odiosa.

Almeno per la kunoichi, che mentre si sistema per bene l'indumento le si incastra la cerniera, ma nel tentare di liberarla ella si gira indietro.

"Ehi tu!!"
salta fuori il Genin della Roccia, indicandola mentre il compare porta le mani al petto per usare la jutsu di trasformazione, ma quando la osservano meglio tutta la loro spavalderia si scioglie come neve al sole.

NGHE! Quella giubba. Q-q-questo significa che...

Oh cavolo...

La Jinton si volta di scatto nel sentirli e di certo il suo sguardo irritato a causa della cerniera non aiuta - e porca vacca se mette paura nella penombra del vicolo - anzi fa schizzare alle stelle il terrore dei due, i quali si scongelano dallo shock del momento, sudando freddo quando gli occhi color argento di lei si affilano.
Il più fifone dei due salta in braccio all'altro manco fosse un koala, lanciando un gridolino all'idea di come potrebbe punirli.

KUUUSOOOOO!!! Ha capito tutto!!

...?

Masaru inarca confusa un sopracciglio, osservando i due battere caoticamente in ritirata, neanche avessero visto un fantasma. Molto probabile si stessero riferendo a lei, dato che l'unica persona presente nel vicoletto oltre alla donna le fa spallucce, un nonnetto che con calma si alza dalla sua vecchia sedia e se ne rientra in casa.

In ogni caso, visto come se la sono svignata quei due, il disinteresse della Takeda arriva quasi immediato, con una pessima voglia di correre appresso a dei ragazzini.
Anche perché ha cose ben più serie a cui pensare, per esempio andare per la seconda volta da Hisoshi a farsi controllare che il naso sia guarito correttamente - e tornato al suo posto.


♤♤♤♤♤

Iridi argentee contemplano il panorama che si staglia al di là di quella finestra baciata dal sole mattutino. Colli, crepacci e a distanza alcune montagne. Questo è lo spettacolo che si può ammirare dalla casa di Hisoshi Sakimoto, medico e un tempo anbu, ritiratosi in pensione, veterano di guerra.
Ma la visione dinnanzi a sé non è quello che gli occhi della donna stanno davvero osservando, troppo assorti nella dimensione dei molteplici pensieri che la colgono in quei momenti di silenzio.

"So di avere il tuo completo benestare sulla sua vita,"
sente la voce serafica e solenne del vecchio cui da le spalle, imperscrutabile e silenziosa, "ma sai che preferisco sempre chiedere a te prima di prendere certe decisioni, Masaru-chan."

Segue un altro, lungo silenzio. Privo di reazioni da parte di Masaru, quasi non l'avesse sentito.


Il veterano, a seguito della visita che le ha fatto per rimetterle in sesto il naso, adesso sta tranquillamente seduto dall'altra parte del salottino. Non riesce a vederle il volto, ma può intuire cosa le passi per la testa: non dev'essere affatto lieta, lei, di sapere che suo figlio ambisce a diventare uno di loro.
Proprio come il padre del piccolo, Ryunosuke. Una cosa del giovane defunto che, all'epoca, la donna non gli aveva mai approvato, perché riteneva troppo rischioso fare sia il lavoro di guardia che di ladro.
Già normalmente non è una figura che è mai riuscita a sentire totalmente parte di sé, quella dello shinobi - kunoichi nel suo caso - e ancora oggi le sta innegabilmente stretta.
Ora più che mai dopo le sue vicissitudini, anche se quell'ultima gradevole sorpresa ha appianato un po' la sensazione.

Il piccolo Kaede, al di là del suo buon cuore verso i suoi amici e quasi tutte le persone che lo avvicinano, ha grande stima nelle due più importanti figure ancora presenti che riempiono gran parte della sua esistenza: Sakimoto. E Masaru.

Il bambino vorrebbe diventare come loro.
Come lei.

Lei no.

Il pensiero stesso di come potrebbe diventare negli anni, di come si trasformerebbe... E no, l'apprendimento di abilità belliche che lo aiutino a difendersi da sé non è un motivo sufficiente, per quelle, volendo, c'è sempre Sakimoto.
Dopotutto è quello che il vecchio Jinton sta già facendo in quei mesi, in qualità di tutore.

I suoi giovani quanto martoriati lineamenti si increspano leggermente in riflessione. Affila lo sguardo limpido. Serra appena le labbra.
Per quanto ella odii dover prendere le decisioni che spettano a una madre, non può nemmeno farne una colpa all'uomo né fare finta di nulla. La testa viene abbassata.

"Hai la mia sincera gratitudine, Hisoshi-sama,"
esordisce con calma la Takeda, lì statuaria in piedi, dinnanzi alla finestra, con un'insolita sfumatura gentile a colorarle la voce delicata e la testa appena inclinata verso di lui, ad osservarne il riflesso dal vetro, "anche se non sarà mai abbastanza per ripagarti di tutto ciò che tu ed Atsue avete fatto per me... per noi, in questi anni."

"Sai bene che non è necessario,"
afferma lui paterno, sollevando pazientemente dalle labbra l'ennesima voluta di fumo, "hai preso dunque la tua decisione?"

Ennesimo momento di riflessione ed ella si aggiusta gli occhiali, prima di tornare a braccia conserte. Uno shinobi... non le piace per niente l'idea di vederlo con addosso uno stupido coprifronte, costantemente agli ordini, anche indiretti, di quella donna tanto astuta qual'è la Tsuchikage e, presumibilmente, privato della capacità di pensare con il suo cervello.

Eppure... non riesce a non rammentare...

Proprio come il padre di suo figlio...

È il periodo precedente la fatidica missione, in un raro momento di serenità, in cui Masaru si sta rilassando alla fine di quello strenuo allenamento da parte di Hisoshi, suo figlio le è a fianco laddove lei è seduta.
Egli le racconta le sue disavventure infantili, come svariate volte accadeva in quel periodo, e la giovane donna ascolta pazientemente, senza reazioni in particolare... finché lui, sorridente, speranzoso, sognante...


"Da grande diventerò un medico come Ojiisan! Così lo aiuterò, e aiuterò anche te, Masaru-san! E tutti i miei amici!"


Già, proprio come Ryunosuke. Ma non è tanto quello a prenderla alla sprovvista e spostare la sua totale attenzione verso il bambino, determinato...

"Forse se divento medico tornerà anche mia mamma! E vedrà come sono cresciuto! Andremo in missione e aiuterò anche lei! E se non riesce a tornare la raggiungerò io!!"


Dire che lei rimane senza parole è un eufemismo. Se per la tenerezza o per ben altri sentimenti, difficile dirlo.


Ed è come se, scavandole davvero a fondo in quel che resta del suo animo, si possa scorgere un tepore che gli occhi tradiscono.
Sarebbe bello se egli potesse restare sempre così... ma sa che è tristemente impossibile, il giovane deve pur crescere se vuole sopravvivere.
Sospira.

"Se è davvero ciò che desidera, non sarò certo io a negarglielo,"
risponde lei con sicurezza, lasciando cadere le braccia sui fianchi e voltandosi finalmente a guardare l'uomo, seria nella sua pacatezza, "voglio che egli possa scegliersi la sua strada."

No, non gli avrebbe negato la possibilità di decidere liberamente cosa fare della sua vita. Una possibilità che a lei, quando aveva la sua età e ancor prima, non è mai stata concessa.

Lo sguardo con cui la Jinton osserva Sakimoto è di una profondità unica, enigmatica, ed alle seguenti parole quel barlume di dolcezza muta in severità:
"Ciò che ti chiedo è di fargli capire... Che sia capace di pensare con la sua testa, che egli veda anche le conseguenze di quella che sarà la sua scelta... senza che sia per lui un fardello... senza dimenticare di dargli ciò che a me è stato negato," finanche malinconia, sapendo entrambi a quale aspetto della sua vita ella si riferisce.

Si scambiano un lungo sguardo eloquente nel pacifico silenzio diurno di quella stanza, poi lui annuisce, lentamente, altrettanto serio ma ben più sereno:
"Noto con piacere che siamo dello stesso avviso..."

E, paradossalmente, è proprio ciò che lei sta negando al piccolo, con ragioni concrete dietro alla sua terribile scelta.
Una cosa di cui lei stessa non può fare a meno di pensare... che rende la sua gola inusualmente arsa e smuove qualcosa nella giovane donna.
Difficile dire attualmente cosa le passi per la testa, né cosa le riserverà il futuro, certo è che, per adesso, dovrà continuare a stare con suo figlio sotto mentite spoglie e attendere il momento più opportuno.

"...Infatti è per questo che penso debba essere tu ad accompagnarlo nei suoi prossimi passi."


Masaru fissa basita lo sguardo su di lui, al di là delle lenti che evanescenti riflettono la luce del sole, ma il suo volto pare incupirsi e lei diventa improvvisamente schiva.

"Non credo sia una buona idea,"
taglia corto con disappunto per la piega che sta prendendo la discussione, rigirandosi tra la sinistra quelle biglie di vetro.

"Perché no?"
insiste l'anziano con ferma convinzione, attirando a sé l'occhiata dubbiosa della donna, "dopotutto, chi meglio di te, in questa stanza, può davvero sapere cosa significa sopravvivere alle ombre che artigliano la nostra vita, vivere con esse, scacciarle, vincerle, grandi o piccole che siano?"

"Ma te sei un grande medico,"
parole che lusingano, certo, ma non convincono l'interessato, "anni fa eri anche a capo di una squadra di anbu, uno dei più abili che la Roccia abbia potuto vantare, e possiedi una straordinaria saggezza, quindi perché non dovresti insegnare tutto ciò a Kaede?"

"E perché tu non dovresti?"
le chiede d'improvviso, serio, anche se tali domande lasciano sempre più perplessa Masaru, che si chiede se non la stia prendendo in giro dato che lui tra tutti sa bene la sua situazione.

"Vorresti dirmi che hai dimenticato ciò che sei stata... ciò che ancora sei, Masaru?"
le iridi smeraldine non lasciano un secondo quelle della donna, che rimane in silenzio ad ascoltare, e lui si chiede quanto di lei sia cambiato, al punto da screditarsi a quel modo... "da molto tempo non sei più una bambina, anzi, se devo essere sincero, dalla prima volta che ci siamo incontrati non lo sei mai stata davvero," e ricorda assai bene l'uomo quanto, già all'epoca, fosse così precoce e freddamente incattivita.

"È vero. Ho visto ed ho vissuto abbastanza l'oscurità che gli uomini sono capaci di partorire da capire molte cose, ma per gran parte della mia vita, per quanto consapevole di non essere migliore degli altri sotto questo aspetto, l'ho sempre vista come qualcosa di esterno e a me lontano.
"Te invece l'hai anche respirata, quell'oscurità, ci sei annegata dentro ogni singolo istante della tua vita, ma quel buio non è mai riuscito ad annientare del tutto ciò che sei davvero, a trasformarti in un mostro privo di anima e cuore. Nemmeno dopo quanto è successo."


Le iridi cineree di lei lo osservano per un lunghissimo istante, carico di silenzio, per poi volgere altrove e perdersi nel vuoto. Sembra convincersi, tuttavia c'è ancora qualcosa che la blocca, portandola ben presto a risollevare lo sguardo con una luce enigmatica negli occhi chiarissimi.

"Rammento chiaramente, tuttavia questo non sarebbe stato possibile senza la vicinanza tua e di Atsue."


"La stai rendendo troppo semplice,"
la certezza dell'uomo non vacilla mai, trabocca dal suo sguardo ombroso, rivivendo esperienze passate, "sappi che non tutti sono capaci di riemergere dal buio, e ancor meno sono quelli che una volta fuori riescono a mantenere salda la propria lucidità e volontà, anche con la vicinanza dei propri cari."

Masaru lo fissa in silenzio stavolta, non sapendo bene cosa dire, e lui continua:

"Inoltre, penso che sia un'ottima scusa per poter spendere del tempo insieme al piccolo."


È consapevole dei motivi che la portano ad ergere quelle barriere invisibili tra lei e suo figlio, anche se non è certo di saperli davvero tutti. Conosce la Takeda fin troppo bene per non capire che, oltre alle ombre del passato che rischiano continuamente di emergere e cercano d'afferrarla, qualcosa in più la spinge ad allontanarsi da Kaede.
Qualcosa che va al di là della semplice apprensione materna, raggiungendo inconsciamente i suoi occhi con quel velo di timore e dolo ogniqualvolta lui provi a spingerla ad avvicinarsi a suo figlio o anche solo a tirar fuori il discorso.
Un po' come sta accadendo durante quella discussione.

"Comprendo le motivazioni dietro a questa tua scelta,"
conclude con una rinnovata morbidezza e serenità, "la verità è che sei ancora insicura, nonostante la tua promozione."

Mmh, non sembra particolarmente lieta della messa in luce di quest'ultimo aspetto. Fosse stato chiunque altro a dirglielo, probabilmente l'avrebbe rimesso al suo posto o, peggio, preso di mira.
Con lui è diverso.

"Mi serve solo altro tempo... E questa giubba è irritante..."
afferma d'improvviso lei, sospirando seccata e fissando il mondo al di là della finestra con una smorfia di disappunto.

Il veterano la fissa per un lungo momento, inizialmente serio, poi se la ride sotto i baffi, divertito dall'amore della giovane donna per quell'indumento attirando così la piena attenzione di quest'ultima, che non è solita vederlo ridere, specie negli ultimi tempi.

"Ai miei tempi l'equipaggiamento era anche peggio,"
commenta ironico, sbuffando un serpentello di fumo, e gli sembra di intravedere finalmente l'ombra di un sorriso nei lineamenti della donna.

Non ci vuole molto prima che tornino seri entrambi.

"Comunque, sei stata tu a dirmi d'esser pronta ad affrontare Majo Rubi, quindi sì, hai bisogno di tempo ma non così tanto in realtà, continuando a rimandare non farai che provocare altro dolore inutile ad entrambi... Non ho problemi ad occuparmi ancora di lui, tuttavia credo che tu abbia tutto il diritto di stare al suo fianco. Non come una persona qualunque, bensì come sua madre."


...


Pare quasi di poterla sentire nella quiete assoluta di quel mattino, Masaru, quando inumidisce le labbra e abbassa la testa, guardandosi la mano che si apre a svelare le tre piccole biglie.
Sakimoto attende pazientemente, concentrandosi sul suo tè, e dopo qualche istante egli percepisce di nuovo il suo sguardo addosso, sente i suoi passi leggeri, la sua presenza al proprio fianco, il tocco della sua mano sulla propria spalla.

"Non posso promettere di rivelarglielo,"
la sua voce è delicata e gentile ora, ma al tempo stesso ferma, "non ancora."

"In futuro deciderò. Per il momento..."
s'inginocchia alla sua altezza, lei, mentre ancora l'uomo guarda fisso avanti a sé, e solo allora lui si volta a guardarla eloquente, spostando le iridi dalla mano che adesso è sul suo braccio a quegli occhi stanchi, ma determinati sotto il sorriso baldanzoso, uno di quelli sinceri di cui lui come pochi altri è testimone, "c'è ancora quella questione che devo risolvere."

 
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view post Posted on 24/3/2020, 13:40     +1   -1
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In quel momento c'è in lei un conflitto interiore che la affligge, indecisa inizialmente se andarsene direttamente senza salutarlo o provare a stare un po' con lui.
Varcata la soglia del piccolo giardino zen, lì dietro la dimora di Hisoshi Sakimoto, lo sguardo color cenere si posa sulla piccola figura che le da le spalle e se ne sta seduta sul bordo del ponticello messo in ombra dal grosso ciliegio, dondolando i piedi in quei centimetri di vuoto che lo separano dal torrente sul quale occhi restano fissi.

"Dov'è Kaede?"

La fronte vien corrugata. Ciò che lei vede.

"In giardino. Il piccolo ha avuto un altro attacco di malinconia, ma questa volta sembra diverso..."

E le piccole gocce che osserva cadere ogni tanto sull'acqua sotto di lui.

"È da diversi giorni ormai così, stranamente, e per la prima volta non sono riuscito a rassenerarlo."

Non le piacciono per niente.

Si sistema gli occhiali e avanza sul lastricato in pietra del sentiero.
È da quando è successo il misfatto con il Bijuu, e la punizione delle Koizumi, che lei ha sempre cercato di evitare il più possibile di vederlo. Cattiveria gratuita?
No, ha semplicemente voluto risparmiargli d'esser trascinato anche lui nelle maldicenze e vessazioni della Roccia contro di lei in quei mesi.
È soltanto quando la kunoichi gli si accosta che lui si accorge della sua presenza, che invece di accoglierla con un sorriso egli è stranamente evasivo, come non volesse farsi vedere. Ora che gli è vicino può effettivamente osservare come si stia tenendo il braccio, al pari di un cucciolo ferito, e gli occhi gonfi suggeriscono che abbia pianto.

"Non voglio che mi vedi così, Masaru-san..."

"Così come?" gli chiede pazientemente la Takeda nello studiarlo, volendo sentirlo da lui, che abbia intuito o meno la risposta.

"Come uno che si è fatto male e sente dolore," pigola con una sfumatura dolorante nella voce.

Le sopracciglia lievemente arricciate di lei tradiscono la sua neutralità: la piega che sta prendendo quella discussione non le piace, ancor più perché può quasi coglierne il seguito.

"Perché non dovrei?"

Ancora non si volta il piccolo.

"Perché se mi faccio male, sento tanto dolore e piango significa che sono fragile, che sono debole."

Segue anche lei per un momento lo sguardo del figlio, laddove le carpe nuotano indifferenti a tutto ciò. Quasi non le riesce di trattenere quel sospiro esasperato nel sistemarsi gli occhiali.
Di certo Hisoshi non si permetterebbe mai di dirgli una simile idiozia e a lei neppure passa di mente.
Ahh... Iwa, Iwa, Iwa. Sempre con quell'incoraggiamento spasmodico allo spigoloso stoicismo della volontà, alla fedeltà inamovibile e all'obbedienza cieca che caratterizza i suoi figli. E se per i suoi civili è solo che un vanto, per i suoi shinobi è più che un codice d'onore. Infatti... Vediamo se indovina chi gli ha messo in testa certe stronzate?

"Me l'ha detto un insegnante dell'Accademia," afferma lui - ecco appunto - quasi a leggerle quella domanda nella testa, "mi ha detto che solo i deboli piangono e io non voglio essere debole, voglio essere forte, come Ojiisan. Come te, Masaru-san."

Mmh, non capisce lei perché diamine non riesca a farsi amare quella lusinga che parte dalle labbra di suo figlio, sincera e innocente, ma nonostante ciò gli regala amabile un sorriso accennato, tornando a guardarlo e poggiandosi alla balaustra in legno.

"Le lacrime, da sole, non ti sono utili a risolvere un problema, questo è vero, ma non ti rendono nemmeno un debole," gli spiega con calma, "non sono altro che una reazione spontanea al dolore, che con il tempo e la pratica al fianco di chi ti guida, avverrà sempre meno.
Chiunque, più di una volta nella vita, ha pianto le sue lacrime. Ho assistito personalmente ai piagnistei di ninja grandi e forti,"
a questa lei sfoggia un mezzo sorriso sornione, inarcando un sopracciglio, proprio perché sa che è vero, "e il tuo insegnante, per quel che blatera, sarà sicuramente il primo a piangere come un infante nella culla."

Kaede annuisce, ancora dolorante ma curioso, un po' più tranquillo anche, e una risatina improvvisa giunge alle orecchie di Masaru, che pone gli occhi sul figlio inizialmente sorpresa da quella reazione, prima che le si manifesti l'ombra di un sorriso.

Poi, entrambi tornano seri, lei a seguito del giovane, osservando tornargli quel cipiglio malinconico e attendendo sapientemente, consapevole che non è solo per quello che lui si sente così. Altrimenti sarebbe stato semplice anche per Sakimoto.
Attesa che dona presto i suoi frutti.

"Sai," esordisce di nuovo, tornando a dondolare i piedini sopra quel laghetto che egli fissa pensieroso, "qualche volta mi chiedo mia madre se tornerà mai a casa..."

Masaru lo ascolta in silenzio, colta alla sprovvista, e sembra quasi che i ruoli si invertano, con lei stavolta evasiva già nello sguardo, che tiene fisso avanti a sé.
Già, nomina solo la madre poiché è stato opportunamente avvisato da Hisoshi riguardo a Ryunosuke, sempre dietro il consenso di lei.

"Qualche volta mi chiedo se è davvero in missione o se n'è andata per colpa mia."

Masaru in quel momento appare più simile a un fantasma, stranamente silenziosa, ed è difficile leggere cosa le passi per la testa in quel momento, studiare oltre le lenti quegli occhi fin troppo assorti. La tradisce il movimento delle labbra serrate, quasi avesse difficoltà a deglutire.
Quelle frasi...
Lei...
Le ha già sentite troppe volte. Sino a farle venire la nausea.

Ma non da lui.

Una punta d'irritazione la colpisce e polverizza sul nascere l'idea stessa che ella possa sentirsi anche solo lontamente simile a lei.

"Kaede..."

Per la prima volta da quando sono lì a parlare egli si volta a guardarla davvero, confuso e sorpreso da quel repentino cambio d'atteggiamento.
La vede girarsi verso di lui ed inginocchiarsi per giungere alla stessa altezza di sguardi, specchiandosi in quelle iridi identiche alle proprie, infiammate da un ardore inaspettato ed enigmatico.

Si toglie persino gli occhiali per poterlo osservare direttamente nelle iridi gemelle e sembra sul punto di dirgli qualcosa di estremamente importante.

"Non darti colpe che non hai," esordisce con un tono calmo ma fermo, finanche schietto, salvo poi acquisire una sfumatura morbida, "per i tuoi genitori sei il dono più prezioso che la vita abbia concesso loro, per questo hanno deciso di preservarlo, tuo padre così come tua madre, anche a costo di sacrificare tempo e le loro energie affinché tu possa avere un futuro tranquillo."

Kaede la fissa, incredulo, senza parole, sentendo i suoi dubbi venire abbattuti come castelli di sabbia di fronte alla forza impetuosa nella convinzione del suo sguardo e nel suo tono imperturbabile.
"Che i Kami mi siano testimoni, che possano prendermi con loro se la mia parola è menzogna: tu, Kaede Masamune, sei l'unico al quale non si può per nulla al mondo attribuire la colpa per la loro assenza!"

Alle sue esclamazioni segue un silenzio che neppure la fauna osa spezzare, mentre gli occhi del giovane brillano di luce nuova, ben presto però si ricolmano di malinconia, pensosi.

"Però... Se è via da così tanto, forse le è successo qualcosa di brutto... Forse..."

"No."

Da quel momento quella forza inarrestabile in lei si placa ed ella sembra stia per dirgli qualcos'altro.

"Non è morta. È qui con te. Non ti ha mai abbandonato."

Parole che per un attimo crede di aver pronunciato, quando in realtà sono rimaste mute nella sua mente e tali resteranno ancora per un po', poiché in quello scenario si manifesta un'ombra sgradita, che la fa retrocedere sui propri passi.

"Il ragazzo è desiderato da Sakimoto-san," annuncia il servo, interrompendoli e guadagnandosi un'occhiata raggelante da Masaru - alla quale non sfugge lo sguardo timoroso che gli lancia il giovane, avvicinandosi istintivo a lei.

"Lo accompagno io, grazie," gli risponde con distacco formale, osservandolo andarsene, per poi ritornare gentile quando lei e il figlio tornano a guardarsi.

Kaede la osserva mettergli qualcosa sul piccolo palmo, una catenina con un anello.

"Questa appartiene a lei," gli dice con un tono molto più delicato e basso rispetto a quelli di prima, "nel momento in cui la vedrai, sarai tu a ridargliela. Custodiscila fino ad allora."

Lui osserva il ciondolo per un lungo istante, annuendo, poi risolleva gli occhi su di lei e avanza, abbandonandosi alla kunoichi in un tenero abbraccio.

"Vorrei che succedesse presto."

La Jinton negli occhi semichiusi una nota malinconica, sentendo un sapore dolceamaro in tutto ciò. È lieta di avergli strappato un sorriso, ma non lo è altrettanto per come si è conclusa quella discussione... Quella mezza bugia... - il braccio del piccolo l'avrebbero fatto controllare da Hisoshi.

Chiude infine le palpebre.

Prima di quanto immagini.



Edited by ~ErudaJibibi - 24/3/2020, 13:57
 
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