Marcia al supplizio

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view post Posted on 25/9/2018, 22:28     +1   -1
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CITAZIONE
Prosegue da qui

Immersa nel suo mondo svolta bruscamente un angolo.
Per poco non urta qualcosa – anzi, qualcuno – che procede in direzione opposta, con una faccia poco meno spiritata della sua.
Ci avrebbe messo un po' a riconoscerlo.
L'ultima volta che l'aveva visto era conciato male, ma oggi...

"Hai un aspetto orribile, Mizuguchi-san."

Atona, lo apostrofa senza un briciolo di tatto né di malevolenza: è stata la prima cosa che le è venuta in mente e l'ha detta. Qualcosa non va nella sua testa, è come se i suoi pensieri pattinassero sul burro sciolto in una giornata d'estate, e la cosa peggiore è che continua a fissarlo senza muoversi da lì.
Non è che gli fa largo perché lui è il Diavolo, o anche solo perché quando ci si taglia la strada a vicenda, uno dei due deve spostarsi per forza.
Sente gli occhi sprofondare in quei due pozzi oscuri e cerchiati d'insonnia che porta lui in faccia, su quel viso scavato, come se fosse appena evaso da quell'obitorio a cui aveva simpaticamente inviato la sua amichetta bionda.
"... ti ha punto qualcos'altro stamattina?"

Ma che battuta divertente.
Oggi si sta proprio superando.


Scuote la testa, si passa una mano e si stropiccia il viso.
Basta, deve ricomporsi.
"Chiedo venia, non è proprio giornata" borbotta sforzandosi di rientrare in carreggiata - "Kobayashi-sama mi ha assegnato un incarico...penso che lo voglia vedere completato il prima possibile. Mi sa che devo scappare.
Cerca di non andartene dall'ospedale prima che i medici ti dimettano, la prossima volta. Può essere rischioso... buona giornata..."
snocciola con una scioltezza un poco affaticata, si inchina anche a lui e fa per aggirarlo.
Sa già che ripensando a quella scena in un secondo momento, le verrà voglia di schiaffeggiarsi.
Come se a qualcuno fregasse qualcosa, di cosa le ha ordinato di fare il Mizukage.

 
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view post Posted on 26/9/2018, 22:40     +1   -1
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The Almighty Shitlord

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Panico, terrore, totale inadeguatezza. Queste le sensazioni, i sentimenti, che da ormai giorni si ritrova a provare.
Sentimenti che afferrano come una tenaglia, lo pressano costringendolo a passare le notti insonni, ad accumulare un passo incerto dietro l'altro lungo le vie di Kiri. Non sa neanche dove sta andando e sotto sotto non gli interessa, vorrebbe solo sparire, andare il più lontano possibile per fare in modo che quel demone che serba dentro di sé non possa arrecare danno a nessuno, a nessuno. Si ucciderebbe prima di permetterglielo, ed è proprio questo che ha rischiato di fare all'uscita dal Gedo, in bilico tra la vita e la morte, consapevole che adesso, adesso comincia il gioco vero. Non più un bambino con la smania di uccidere tutti, con la volontà di sopraffare chiunque con cieca forza ma un animaletto impaurito, consapevole di serbare dentro di sé una forza enorme, potente ed antica. Alla quale non può sottrarsi, ed al contempo che non può fare a meno di voler comprendere, come ne fosse morbosamente attratto.
Avanza, non guarda avanti a sé ed il risultato è che di lì a poco finisce quasi per scontrarsi con Urako. Lui dal canto proprio cerca di irrigidire il busto e portarlo all'indietro eppure sarà evidente come sia la kunoichi quella i gran parte da ringraziare per uno scontro di cape in mezzo alla strada. Gli occhi scuri rimangono ancorati alla figura di quella, gli occhi percorsi da quelle borse dovute all'insonnia, al terrore per cosa sarebbe potuto accadere se si fosse riposato. Non ha la certezza che Isobu prenderebbe il sopravvento eppure chissà perché non ha alcuna intenzione di rischiare.
Deglutisce, la Kubikiri che pende dalla sua schiena ora raddrizzata, il busto avvolto da una veste scura macchiata di fango a maniche corte, il braccio destro completamente fasciato , coperto da un mantello stracciato lungo sino alle caviglie, una sorta di sopravveste che ne avvolge la base del collo occultandone in parte quella bocca screpolata. E' pallido, eppure non vi sono segni di ferite esterne.

...in effetti è vero

Commenta, la voce bassa e...bianca. Dopotutto, le sue preoccupazioni ormai sono di ordine decisamente più grande rispetto a prima, perché mai preoccuparsi di apparenze come il semplice timbro della voce? Inutili accorgimenti, la cui futilità è rivelata, così come la propria inadeguatezza. Osserva la ragazza, ed ai propri commenti sagaci non dona altra risposta come se in effetti non capisse neanche la volontà di quella di essere acida: le accetta come siano semplici constatazioni, e di rimando non può che valorizzarle.

...ti trovo meglio rispetto all'ospedale, tutto bene?

Domanda, il tono è piatto, eppure sotto sotto è veramente curioso di conoscere la risposta, o meglio non le parole che la ragazza potrebbe proferire, ma quel rito sociale di chiaccherata a cui si è solennemente sottratto per gran parte della sua esistenza. Ed al commento di lei riguardo la puntura non può fare a meno di...sorridere. Sorride, perché mai come ora desidererebbe esser stato vittima di qualche zanzara, insetto della peste o velenoso. Qualunque cosa, ma non questa, qualunque dolore, ma non quello derivante dalla propria responsabilità. Punto.

...in un certo senso

Divertito, una disperazione che cerca di fuoriuscire dal proprio corpo proprio con quella breve risata squillante che si dona. Uno squillare dovuto ad una voce giovane, e gli occhi cadono sul cielo. Ascolta attentamente l'ultimo dire di lei: ne ha fatta di strada da quando era una piccola bambina deferente all'interno di una osteria, è cresciuta, lo stesso non si può dire di lui. Buffo quanto fosse facile giudicare quando si reputava al di sopra tutto e tutti, di uomini e leggi, quando ancora gli sfuggiva che tutto quello che faceva, lo faceva per la Nebbia, in caso contrario cosa mai avrebbe dovuto bloccare nella sua mente il pensiero di pugnalarsi a morte per non far scatenare Isobu? Niente. Ed ora lei era lì, in missione per il Mizukage, e lui era di fronte a lei, un errante perso per strade che conosce a memoria. Patetico, eppure la ragazzina offriva una opportunità: la possibilità di impegnare la propria mente, e magari di constatare quanti danni abbia arrecato a sé stesso proprio mediante la propria interlocutrice, una di quelle che lo ha patito di più.

In realtà sono stato dimesso dall'ospedale giorni fa, non ho dormito bene, tutto qui

Rivela semplicemente,la bocca che rimane spalancata mentre poco dopo cerca semplicemente di voltarsi verso di lei, seguirla col corpo senza ancora muovere un passo.

Ti dispiace se vengo con te?

Una semplice domanda, i lineamenti del volto si distendono mentre prende un ampio respiro. E' stanco, non riesce ad articolare troppi discorsi uno di fila all'altro, manco organizzare i pensieri se per questo. Comico quasi, se non fosse per il demone che risiede dentro di lui, e che ora è lì, il suo occhio posato su Urako.

Ti aiuterei volentieri a svolgere un incarico assegnatoti dal Mizukage in persona...

Non pronuncia quelle ultime parole con leggerezza, è davvero disposto ad aiutarla in quell'incarico, in qualcosa a cui lui nel bene o nel male si è votato tempo fa. Ed in tutto questo nel proprio animo tutto tace. Silenzio totale. La calma prima della tempesta?
 
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view post Posted on 29/9/2018, 20:41     +1   -1
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...in effetti è vero

Sufficientemente inatteso, da attirare l'attenzione della quindicenne – non tutta, ci mancherebbe: annidata nel retro del suo cranio c'è ancora la tempesta del secolo.
Kami, non proprio del secolo, ne ha viste di peggiori, solo che non si aspettava di dover fare una cosa simile: credeva che la parte peggiore fosse vedere il Mizukage irritarsi, per dirne una. Credeva di poter ignorare certe vecchie ferite, le credeva cicatrizzate, prossime a essere dimenticate. Gli occhi scuri si sollevano di colpo, in ogni caso, e si posano con maggiore attenzione sul viso del Diavolo. Dicevamo: non tutta l'attenzione viene rivolta a lui, ma sicuramente una porzione maggiore rispetto a quanto non fosse accaduto un istante prima.

Ma quanti anni ha?!
La domanda che non si era mai posta.
Quando una persona non la puoi vedere, non ti interessa se abbia cinque anni, quindici o cinquanta: basta che giri al largo.
Ancora nessuna traccia della muta vocalica... che un ragazzino più piccolo di lei sia considerato alla stregua di un Generale, è una cosa che ancora non comprende.
Se va… tutto... bene...?

Lo sguardo che gli indirizza di rimando, è quello di una persona che non sa bene che pensare.

Da quando in qua quell'odiosetto si sforza di comportarsi in modo accettabile?
“Respiro e cammino sulle mie gambe. Un buon risultato” ribatte evasiva, con un sorrisetto forzato.
È la stessa persona che ha torchiato Shi in modo riprovevole, quando era ancora convalescente, ridotto a un mucchio di carne sanguinolenta. Stupida spada.
Anche lui evade, comunque; lei apre la bocca e la richiude: per un momento ha creduto che fosse rimasto all'ospedale da allora, ma ciò non ha il minimo senso - “Mh. Spero nulla di grave. L'altra volta sei praticamente collassato, e te ne sei andato mezzora dopo. A quello mi riferisco” gli ricorda con un certo puntiglio, e le sopracciglia di una persona che spera che tu non l'abbia fatto di nuovo.

Sarebbe quasi da tirar fuori il discorso della biondina, ma il tempo per le chiacchiere è scaduto; non si aspetta minimamente, di nuovo, l'offerta che proviene dalla bocca screpolata dello Spadaccino. E le sopracciglia tornano a inarcarsi, stavolta mostrando una certa perplessità - “Oh...”
Possibile che nelle cose che riguardano i Momochi, salti sempre fuori tu, come il katsuobushi in cucina?
No, non ce lo vorrebbe lì con lei.
Non ce lo vorrebbe, perché ficcherebbe il naso di nuovo in cose dove lei stessa non vorrebbe mai infilarci il suo proprio, di naso. Non le va di lasciare che sbirci in quanto di più delicato sia mai esistito, nella sua vita privata. Senza contare che Netsubo Ikari potrebbe spiattellargli ciò che entrambi avevano negato spudoratamente, mesi addietro.
Non che adesso abbia più importanza.
Le piacerebbe, che non avesse più importanza.
Lei vorrebbe.
Vuole, che non ne abbia più.
Le sopracciglia si scontrano al centro della fronte.

Respira a fondo, si gonfia il petto di quell'aria che le manca, da quando si è sentita impartire l'ultimo ordine - “Non sembrerà che io abbia chiesto il tuo aiuto, perché non sono capace di farcela da sola?” - domanda senza troppi fronzoli, il labbro inferiore leggermente arricciato per il disappunto.
“Devo portargli una persona, niente di che. Non mi aspetto che punti i piedi, né lei né chi la ospita”
… troppo acida.

Per una volta che non le ha detto nulla di male... che in realtà poi è la seconda, ma la prima poteva anche essere un caso, magari perché quella volta in ospedale si sentiva troppo male da fare lo sgarbato.
“Cioè... se vieni, per favore, lascia fare tutto a me... o sembrerà che io non abbia fatto niente di quello che mi viene richiesto. Sperando che non ci sia bisogno del tuo intervento. Sono abbastanza convinta che non avverrà, ma non posso darlo per scontato... se ti sta bene così, non c'è problema. Vieni pure, ti faccio strada.”
Ci prova, a stemperare l'acredine, anche se ancora non si fida per niente. La vecchia ferita brucia ancora. Non sa bene nemmeno se sperare che lui non ci badi troppo e la segua, o se piuttosto legga fra le righe e lasci perdere, anche se stavolta... forse... sarebbe lei a passare dalla parte del torto.

“Anche se potresti annoiarti parecchio. Noi normali ninja non abbiamo mai incarichi paragonabili a quelli affidati ai Sette.”
Magari, potesse annoiarsi lei.

 
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view post Posted on 29/9/2018, 23:00     +1   -1
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Sente l'occhio di Isobu aprirsi eppure non sta fissando lui ma piuttosto la propria interlocutrice, la scruta placido, libero, e sotto di sé le acque del suo oblio si infrangono per lasciarne passare l'immensa e possente figura.

Che cosa vuoi?

Acido si gira immediatamente verso la creatura e la fissa, si sforza di assumere una espressione severa e decisa ma tutto quello che gli riesce è di sembrare un piccolo pulcino spaventato, cosa che in realtà è.
E' forse per questo motivo che il sanbi lo ignora bellamente, facendo ricadere quelle pesanti code corazzate in un'acqua nera che non produce alcun suono e dunque osservando: non è lui a interessarlo, non adesso e per quanto la cosa lo infastidisca ed al contempo lo faccia temere per l'incolumità del villaggio ancora una volta, non può fare a meno di pensare, sperare, che la belva non attacchi.

Quando noi ti facciamo una domanda, tu rispondi

A ringhiare è una voce a lui familiare, quella della spada alle proprie spalle. Avanza di qualche metro, magra eppure feroce, terrifica e fiera, ciò che lui è ed al contempo ciò che sognava di essere, un miraggio di massacri e morte al quale ora, dopo quell'avventura nel Gedo, comincia a sentirsi distante come non mai. Tutti gli ospiti sono in tavola e lui, lui non ha nulla a che preparare un banchetto.

La osserva e di rimando la sua curiosità si riflette nei suoi occhi stanchi, nei suoi lineamenti dolci eppure ruvidi, come se qualcosa avesse agito per farlo invecchiare precocemente. Un invecchiamento o crescita che dir si voglia che tuttavia appartiene maggiormente all'animo, piuttosto che al corpo. Non fa altro che annuire alla sua affermazione, una risposta sommaria e di circostanza per una domanda altrettanto generica. Alla fine ciò che ha ricevuto è stato assolutamente giusto, formalità in cambio di formalità, e in cosa mai avrebbe dovuto sperare? dopotutto sa bene che Urako non va certamente pazza per lui, qualcosa che a proprio modo lui le ha facilitato immensamente quel giorno in ospedale con Shi.
Un comportamento da parte sua estremamente presuntuoso ed arrogante, sbagliato in impostazione eppure giusto per il fine: se tornasse indietro lo rifarebbe, perchè per quanto odioso il suo primo dovere era assicurarsi che la ragazza non dicesse nulla riguardo le rivelazioni di Hayate quando ancora non era Mizukage, una rivelazione da cui sarebbe dipesa la propria vita e così quella di altri spadaccini suoi compagni ma ancor di più, la salvezza e stabilità stessa di Kiri. Vorrebbe, decisamente, dirle che gli dispiace, ma a cosa servirebbe? non sarebbe del tutto sincero e spiegare le sue ragioni non sortirebbe alcun effetto no, scusarsi per il passato è qualcosa di futile, una magra consolazione viste le sue azioni. In passato ha fatto le sue scelte ed ora deve subirne le conseguenze, era pronto a questo allora e lo è pure ora e quell'acidità, quel trattamento freddo e sommario, non è altro che la giusta conseguenza per ciò che ha fatto. La sua giusta pena.

Non era niente di grave in realtà...il Gedo aveva provato la mia mente ma non il corpo, questa volta mi sono dimesso con i dovuti permessi, ma grazie per l'interessamento

Ed in effetti è vero, non che ci fosse molto da fare vista la naturale velocità con cui si era dimostrato capace di scuotersi dal panico e dalla paura, sentimenti che era chiamato a diffondere ed ispirare sì ma per cosa?. Sono domande importanti, a cui ha cominciato a cercare risposte solo dopo aver compreso quanto si fosse sbagliato, quanto fosse infimo e cieco di fronte a quei demon e ad oggi ancora fatica a trovarvi una vera risposta.
Osserva attentamente la propria interlocutrice, non sfugge la sorpresa di lei, così come l'acidità della prima risposta, che quello sia un compito più importante di quanto la ragazza vuol dare a vedere? Se fosse così importante per la Nebbia Hayate avrebbe certamente mandato qualcuno di fidato ed i casi sono due: o Urako sa qualcosa che il Mizukage ignora o semplicemente lo ritiene ben più importante di quanto in realtà non sia. Un cenno del capo quindi, semplice, ascoltandone il dire successivo, un fare forzatamente gentile che la porta ad accettarne la compagnia seppur a strette condizioni, condizioni a cui per inciso intendeva sottostare sin dapprincipio, e che infine lo portano a pensare semplicemente che probabilmente questa mansione rappresenti qualcosa di particolare per la ragazza, ma perchè? Troppo stanco per farsi eccessive domande, improvvisamente s'irrigidisce nel momento in cui lo sguardo di Isobu si fa intollerabile, si massaggia la testa perchè fa male, e così vorrebbe urlare perché sente come ora non sia più lui il padrone del proprio corpo. Una sensazione che non augurerebbe a nessuno ma che, in fondo, si è meritato.

Non è mia intenzione interferire con la missione né prendermi i meriti, prima che tu faccia ritorno a palazzo me ne andrò per la mia strada

Rassicura, la voce è ancora stanca eppure si sforza di mantenere un tono vagamente...cordiale? E' qualcosa di dannatamente difficile, non lo ha mai fatto in vita sua, non ne ha mai avuto bisogno e per quanto si sia allenato a mentire, sia dannatamente bravo a farlo, quando tutto viene non all'interpretare un ruolo ma sé stessi allora ogni lezione appresa va semplicementre a farsi fottere: Urako la giusta contro Kazuku l'impacciato, che cosa ridicola. E con queste premesse, il cuore pesante e non poco imbarazzo per la totale incapacità nell'essere normale, almeno secondo i regolari canoni di un ragazzino, si muove tentando di rimanere alle spalle della ragazza, ciondolando. Sembra più un morto vivente piuttosto che un fiero spadaccino ed è così stanco che non gli importa neanche delle apparenze: se verrà il momento di lottare dovrà serbare tutte le sue forze per vincere, non può sciuparle ora. Riceve l'ultimo commento ed improvvisamente si sofferma, rallenta il passo perchè quelle parole sono semplici eppure colpiscono nel profondo, dove devono: che diamine di considerazione ha la ragazza degli spadaccini, del loro ruolo, di cosa devono fare? Non si è mai posto questa domanda perché dava per scontato Urako fosse troppo immatura per capirlo, eppure forse adesso, adesso sarebbe una domanda interessante da farle.

...Cosa significano per te le sette spade?

Domanda quindi poco dopo, l'unica domanda che davvero gli interessa porle, certo anche sapere qualcosa di più riguardo questa persona e dove stiano andando non gli dispiacerebbe tuttavia ha promesso di rimanere in disparte e così farà, la missione è, a tutti gli effetti, unicamente sulle spalle di Urako e lui è lì come un civile, solo con una lama particolarmente ingombrante sulla schiena.

Lo sai che ti deluderà vero? Lei non può capire

Un ringhio.

Non può concepirlo.
 
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view post Posted on 8/10/2018, 21:59     +1   -1
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“Sta bene” replica annuendo, scrutandolo mentre si massaggia la testa - “Soffri di emicrania?” domanda tanto per fare conversazione, mentre si avvia a passo sostenuto verso l'uscita del Palazzo; la domanda a bruciapelo dello Spadaccino non c'entra praticamente niente col suo stato di salute, e ha l'arcano potere di farla sentire come se avesse appena preso una martellata sulla nuca.

Perchéééééé proprio adessoooooooooh

È così palese che su di lei, quei simpatici pezzi di ferro non sembrino avere il benché minimo ascendente?
Ammesso che sia davvero ferro, ciò di cui sono fatte: perché volendo parlare di Samehada e Hiramekarei, anche la nozione comune di “metallo” potrebbe risultare pericolosamente fuori posto.

“Me lo domandi perché non sono abbastanza rispettosa nei tuoi confronti?” - ribatte infine, dando parzialmente voce al suo stato d'animo, non poco toccato da un'uscita simile. È vero, da un certo punto di vista dovrebbe almeno chiamarlo “Mizuguchi-san”, se non “-sama”, né ricorda esattamente il perché e il percome abbia impostato in questo modo il suo indirizzarsi a lui. Non gli viene proprio in mente. Nemmeno un ricordo piccolo piccolo, di quella prima volta che l'aveva incontrato a Momo. Ha troppi altri pensieri per la testa, da riuscire a mettere a fuoco certi dettagli.
E da tutto quel caos, sgorga un filo di pensieri caldo, rovente, quasi istintivo nel suo dipanarsi: è la sensazione di quando pensi di aver capito davvero qualcosa, che può essere un lampo di genio o una cretinata pazzesca.
Sente il cervello ribollire e ronzare...

“Le Sette? Credo... dopo tutto quello che è successo... per me le Sette devono essere...” - potrebbe farlo andare su tutte le furie. Per fortuna oggi sembra abbastanza debilitato, da apparire meno irritabile del solito. Ne sbircia di sottecchi i lineamenti pallidi ed affaticati - “... non è facile da spiegare. A me piace pensare che siano il segno di qualcosa che si vuole migliorare.”

Rallenta un istante il passo, combattendo la tentazione di voltarsi a controllare l'espressione sul volto di lui - “È troppo facile dire che sono il simbolo di Kiri. Quando penso a loro, mi torna in mente la fuga dei Sette... penso che sia una delle cose peggiori, e non perché quelli là siano scappati o perché fossero dei vigliacchi. Non mi interessano questo tipo di cose, quelle le tirate sempre in ballo voi maschi.
La cosa che mi fa riflettere, è che i problemi al Villaggio fossero talmente grossi, che l'unica possibile evoluzione degli eventi, fosse di vedere Kiri crollare. La fuga dei Sette è stata solo la parte più evidente, di qualcosa di più ampio e incontrastabile.
Pensi che da soli avrebbero potuto rimettere in piedi un Villaggio, per quanto fossero bravi?”


Stavolta si ferma sul serio, si volta e lo guarda, le gote leggermente arrossate: è la prima volta che si trova a toccare un argomento simile. Nemmeno con Shi le era mai capitato, forse per timore di innervosirlo, toccando inevitabilmente punti attinenti allo Yondaime ed al suo operato. “Sarebbe stato come cercare di rianimare un cadavere morto da tre giorni.
Serviva il tempo giusto, anche se è stato orribile avere gli stranieri a comandare qui da noi. Serviva tempo ai semi di germogliare sotto la cenere. Kiri è rinata, gli stranieri se ne sono andati, e sono tornate pure le Spade. Anche se non tutte...”


Verissimo. Kabutowari, Rai Roga, Shibuki e Nuibari, la più sinistra di tutte, la Spada che non uccide. Sarebbe stata perfetta per lo Shi che non voleva mietere vittime. “Non per niente, tu-sai-chi ha fatto fuori quello là perché voleva far migliorare il Villaggio, anche se tuttora non mi piace come siano andate le cose. Troppo, troppo equivoche, anche se lui oggi è stato gentile con me. Eppure tutto conferma la mia idea” prosegue più decisa, glissando senza troppo garbo sui nomi dei due attori principali sulla scena del Villaggio. “Non potrebbero appartenere a nessun altro Villaggio se non alla Nebbia, sono come costole intessute nella sua storia, quindi per me rappresentano la volontà di andare avanti. Poi beh, ogni Spadaccino interpreta la faccenda a suo modo... che può anche non piacere... no?” domanda retorica, facendo spallucce. Può benissimo non piacere. Si sente le orecchie in fiamme. L'aria è umida oggi, meno fredda, ma non meno penetrante di mezz'ora prima.
Si incammina verso il quartiere Yoton, a passo forse un po' meno spedito, mano a mano che avanza.

 
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view post Posted on 14/10/2018, 14:21     +1   -1
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Pare soffermarsi e quasi sorridere alla prima domanda di lei, così semplice e disinteressata eppure in un certo senso, così vicina alla realtà che sta vivendo, all'incubo che sta vivendo, se non fosse per il fatto che tale malore sia causato da un demone ancestrale.

Ogni tanto, immagino lo si debba sopportare...almeno finché non passa

Una frase riferita non tanto alla propria interlocutrice quanto a Isobu, a quel demone che silenzioso osserva quanto accade all'esterno, curioso e stranamente pacifico, che non se lo aspettasse è evidente sopratutto ora che osa voltarsi ad osservarlo. Non lo degna neanche di uno sguardo eppure si lascia scivolare addosso quelle parole di sdegno come fossero null'altro che acqua sulla sua corazza verdognola.

Se davvero me ne andassi, credi che sopravviveresti al processo?

Domanda, solo in secondo luogo riportando lo sguardo acceso sulla figura dello spadaccino che di contro sente un crescente senso di impotenza, nullità. Annullato come non fosse niente di fronte a quella forza, e quel che è peggio è proprio la consapevolezza che sì, a differenza sua il demone non parla per spacconate: non sa se lo vuole provare, anzi è abbastanza sicuro di non volerci neanche provare nonostante tutto ed il Sanbi questo pare capirlo perché poco dopo...

lascia i tuoi infantilismi per la ragazzina, tra i due, credi davvero sia lei quella a cui devi dimostrare qualcosa?

Le sue parole non saranno potenti come il suo chakra ma hanno comunque il potere di ferirlo. Non perché siano offensive ma perché semplicemente ne mettono a nudo l'incompletezza, le contraddizioni. Un ragazzino a pezzi, e lui pur potendogli dare il colpo di grazia non fa altro se non osservazioni. In un certo senso dovrebbe essergli grato, eppure è difficile possa anche solo pensare di dirlo ad alta voce, pensarlo compiutamente.
Il confronto con Isobu passa in secondo piano quando Urako ricomincia a rispondere alle sue domande, ponendogliene in principio una che lo fa irrigidire: davvero è così stronzo da far sembrare gli importi qualcosa dei titoli formali? Non replica in realtà, è talmente sorpreso che non ha la forza di farlo ma piuttosto ripensa a quanto accaduto negli scorsi incontri con lei, alquanto formali in principio eppure gradualmente sempre più acidi, e con l'acidità la famosa formalità era progressivamente venuta meno. Se da un lato non gli ha mai dato modo di capire che no, dei titoli non gli interessa nulla d'altro canto si è sempre beato di quella formalità, dell'apparente disagio che causava nella ragazzina e che provoò a sfruttare per scavare a fondo, scoprire eventuali tracce di un latente tradimento ai danni di Hayate. Perché sa benissimo di essersi comportato come uno stronzo con lei e con Shi in passato, eppure dovev provare a capire se Urako avesse rivelato a qualcuno quando era stato detto sull'isola di Momo, parole da cui sarebbero dipesi tutti loro, tutti gli spadaccini i cui ruolo adesso quella ragazza si prodigava a spiegare avanti a lui.
I lineamenti del volto stanchi rimangono impassibili, non volendo né nel bene né nel male far trapelare alcuna informazione riguardo cosa pensa di ciò che Urako afferma. parla della fugra dei Sette, di quel momento che ha rappresentato il punto più basso nella storia delle spade, al quale sia lui che la Kubikiri sono stati sottratti dalle maglie del tempo, non presenti, abbandonati all'epoca. In principio vorrebbe semplicemente tirarle un pugno, anche solo per aver osato rievocare quel momento, una ferita aperta e pulsante che riversa sangue per strada e che ancora macchia il percorso di ognuno di loro, di ogni spadaccino, eppure non lo fa. Non muove un muscolo ed anzi progressivamente pare rilassarsi, gli occhi si socchiudono mentre ascolta le sue parole, cercando di fare quello che sino a qualche mese prima mai avrebbe tentato con Urako: cerca di comprenderla. Perché le spade sono il simbolo di Kiri certo, su questo non ci piove...ma di quale Kiri? Quella che il suo portatore vuole rappresentare o quella che la spada è forgiata per rappresentare? La questione è tutt'altro che di facile risoluzione.

E' interessante

Concede quindi, interrompendo il filo dei propri pensieri e prendendo parola, gli occhi stanchi che tentano di soffermarsi sulla figura di lei.

non mi ero mai interrogato in questo senso sulla fuga dei Sette, è difficile pensare di scollarle di dosso l'etichetta di disonore e codardia, tuttavia io credo che sarebbero dovuti rimanere, proprio per le stesse ragioni che hai argomentato te

Afferma, accenna addirittura a sorridere, si sforza di farlo, come se volesse davvero sembrare più accomodante del soitp. Un groppone di saliva che viene deglutito mentre le braccia ricadono lungo i fianchi: tanto quell'emicrania non passerà, non adesso.

Riguardando al passato credo che tu abbia ragione quando dici che l'epilogo, in qualunque caso, sarebbe stato inevitabile, ossia la caduta di Kiri, tuttavia se i portatori delle Sette fossero morti provando a difendere ciò a cui erano legati, ciò che in una certa misura avevano contribuito a causare...non sarebbe stato questo la loro giusta fine?

Domanda, s'inumidisce le labbra dunque prima di proseguire.

Se ciò che avevano contribuito a creare era così irrecuperabile che la conquista straniera era inevitabile, allora io credo che si sarebbero dovuti assumere le loro responsabilità sino in fondo, e cadere, così che le spade affondando nel terreno creassero nuovi solchi in cui far germogliare il futuro...la nuova Kiri

Prende un ampio respiro, è consapevole che l'opinione della ragazza sia alquanto coraggiosa, per questo non può che supportarla se non per quel dettaglio. Quel singolo dettaglio che secondo lui aiutaa comprendere il perché la nuova Kiri, per sorgere, ci abbia messo e ci stia mettendo così tanto. Perché dal vecchio non nascerà mai nulla di nuovo, e quella scelta da parte degli spadaccini di allora non fu coraggiosa né per la sopravivenza no, fu solo per bieco egoismo. Qualcosa che uno spadaccino non si può permettere, ed a suo modo sta cominciando a capirlo.

Dopotutto...come può nascere qualcosa di nuovo se il solco è tracciato da braccia malate? La fuga stessa delle spade, il loro dissolversi nel tempo...è il fattore che maggiormente mi preoccupa, e che più di ogni altro credo dia conferma del fatto che i possessori di allora avrebbero dovuto incontrare la loro fine

Poi si parla di Hayate e di Hogo,di volontà e di spade, ed allora gli occhi scuri tornano ad ancorarsi sulla figura di lei. In primis annuisce, una risposta sterile che non fa altro che anticipare il flusso dei propri pensieri, da tradurre in verbo.

Non sempre ciò che accade ci soddisfa, o almeno, non nella sua totalità, tuttavia sono lieto del fatto che la sostituzione

Mantenendosi in un tono volutamente generico.

Non abbia causato troppe vittime, potrenzialmente avrebbe potuto spaccare il villaggio in due e di questo credo si debba dargliene atto...

Una pausa quindi, riflettendo sull'appartenenza delle spade, il loro significato, ciò che dovrebbero o potrebbero fare. Risorgere, l'interrogativo tacito che si pone è proprio quello, anche se non affrontato direttamente quelle idee, quella visione, sono qualcosa di prezioso: non tutti sono abbastanza temerari da interrogarsi sulle spade, da pensare qualcosa di diverso dalle morti che significano, dalla loro oscura fama. Qualcosa di cui deve darle atto certo ma non con complimenti, piuttosto, con nuovi spunti.

Ogni spada è stata creata per essere una specifica parte della Nebbia, così come non si può sostituire la costola destra superiore con quella sinistra inferiore senza causare danni, così Kubikiri non potrà mai svolgere il ruolo di Kabutowari o Hiramekarei...ognuna di esse rappresenta un aspetto della Nebbia in continua evoluzione con il suo portatore...

Sbuffa quindi, scuotendo il capo.

Questo mi sfuggiva la prima volta che richiesi la spada, non capivo che il potere che le spade hanno su Kiri non deriva dal loro potere, ma dal loro vincolo: ogni spada deve essere fedele al suo villaggio, perseguire la sua missione e se lo spadaccino accetterà questa imposizione, allora potrà accedere al più grande potere che in un villaggio potrebbe mai essere concesso: quello di cambiarlo

Una breve pausa ancora, durante la quale osserva nuovamente la strada avanti a sé.

Io credo che un giorno, non troppo lontano, risorgeranno...tra le mani degli insospettabili, di chi anni prima non sarebbe mai stato considerato per portarle...gli ultimi...i cosìdetti indegni

Pronuncia quel nome per un semplice motivo: perché in esso vuole implicitamente chiamare in causa Urako, la stessa da lui definita kunoichi indegna tempo addietro e che adesso vorrebbe portare a considerare sottilmente una semplice cosa: contribuire a quella rinascita.

...dopotutto...chi meglio di loro può rappresentare il cambiamento della Kiri attuale?

Domanda ancora, e quindi il silenzio, continuando a camminare verso il quartiere Yoton.
 
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view post Posted on 14/10/2018, 21:19     +1   -1
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... in realtà ti basterebbe un analgesico. Sono abbastanza certa che a uno Spadaccino lo darebbero pure” replica con tono professionale - “non è che ti danno una medaglia, se soffri in silenzio per un mal di testa.”

Difficile cogliere il suo stato d'animo: che sia addestramento o introversione, il volto del ragazzo non sembra voler riflettere le eventuali emozioni che dovessero agitarsi nel suo petto.
La sua risposta non serba tracce d'ira o di qualsiasi sentimento negativo, a prescindere dal suo tentativo di abbozzare una specie di sorriso: si sforza di mantenere il contatto visivo, atto comunemente accettato come segno di interesse e partecipazione al discorso, annuendo di tanto in tanto. Nel frattempo, il patibolo si avvicina, un passo dopo l'altro.

“Posso capire quello che dici anche se perdonami, ma continuo a considerarlo un po' idealistico” risponde con una certa cautela, mantenendo il tono di voce privo di asperità, onde evitare un eccessivo impatto sull'amor proprio del suo interlocutore. “Però posso tradurlo in una maniera che a me suoni più concreta.
Si potrebbe dire, magari, che la loro morte da eroi avrebbe scosso gli animi, tanto da accelerare la rinascita del morale al Villaggio; al contrario, vederli svanire in modo indecoroso per i più, ha privato tutti della motivazione di lottare per qualcosa e dato un pessimo esempio alle nuove generazioni. Vendicare il sacrificio dei Sette, stroncati dallo straniero, liberare la Nebbia schiava degli invasori indegni... eccetera, eccetera.”

L'ultima frase pronunciata in modo abbastanza atono da darle quella inconfondibile punta di sarcasmo. E tanti saluti alla voce priva di asperità.
Urako Yakamoto, un esempio di patriottismo fatto quindicenne.

“Scusa.” Fa una leggera smorfia, stirando l'angolo della bocca.
Non le piace rendersi insopportabile.
“Ultimamente non vedo l'utilità dell'infiammare gli animi con idee astratte” - dice quella che mirava alla perfezione, la meta intangibile per antonomasia, e che ora nuota a cagnolino nella disillusione. “Di fatto, non credo sia giusto addossare a sette persone, la deriva che trascinava le altre migliaia già da prima che arrivassero loro. Erano persone come me, te e Hayate-sama, solo con una spada in mano; come noi, erano figlie del loro tempo: la fine che Kiri ha fatto non è stata innescata da loro. Sono loro il prodotto del declino, e sua ultima manifestazione.” Non pensa di aver mai fatto un discorso altrettanto complicato in vita sua, nemmeno con Shi, che pure era quello con cui parlava più spesso... per ovvie ragioni.

Il quartiere Yoton si avvicina. Lei sa, può già pregustare sulla pelle la carezza del Vulcano che a breve la coglierà, quando entreranno nel loro territorio. L'argomento verte nel frattempo sul Mizukage, quello nuovo.

“Sì. Su questo hai ragione.”
Concorda in pieno, e come potrebbe non farlo?
È la prima volta in vita sua – una vita breve – che vede avvenire così da vicino un Colpo di Stato, e quello di Hayate è stato talmente indolore da non sembrarlo affatto. Nulla a che vedere con quelli raccontati nei libri di storia, specie quello in cui Squalo mangiò la metà degli Spadaccini... quello era stato davvero grottesco. “Probabilmente i tempi erano maturi, o non sarebbe stato così facile.”
Ammesso che sia lecito definirlo facile... - specie considerando le divergenze tra il modo di vedere del Mizukage e i suoi sottoposti più rodati.
“Anche se ho l'impressione che la gente ai vertici sia ancora abituata alla vecchia gestione, e fatichi ad adeguarsi alla nuova” aggiunge senza mettersi a raccontare i retroscena della sua visita in ufficio. Si augura solo che sia questione di tempo, e non di sangue.

L'ultima parte del discorso del Diavolo, tuttavia, la lascia un poco perplessa. Aggrotta le sopracciglia, cercando di dipingersi in mente i diversi possibili significati di quelle parole arcane.
“Non credo di seguirti.
Stai dicendo che ciascuna Spada ha un Nindo diverso, in base a com'è fatta?”
- domanda semplicisticamente, sollevando poi le sopracciglia. “Non dovrebbe essere chi la brandisce, a controllarla? In fondo, e scusa se sembro poco rispettosa, sono solo dei pezzi di ferro con tante leggende di contorno” commenta candidamente, facendo spallucce e lasciando scorrere lo sguardo lungo la silhouette di Kubikiri. “O dici che chi si rivolge specificamente a una di esse, deve per forza avere un certo tipo di caratteristiche personali? O... che viene selezionato appositamente?”
Già la seconda ipotesi avrebbe più senso.
Una selezione in base alla corporatura ed al carattere, magari.

“Quindi tu ti consideri un Indegno, Mizuguchi-san? E perché, se posso domandarlo?” domanda infine a bruciapelo, scrutandolo non senza una punta di curiosità. Perché quell'aria di riscossa, nelle sue parole?
Quel discorso le sta portando la mente lontano dai suoni bagnaticci delle suole sul fango della strada, dal freddo della nebbia umida e da quella strada che preferirebbe aver dimenticato, piuttosto che calcarla ancora una volta.
“Indegno secondo chi, poi?”
Certo, non è un campione di simpatia, ma da qui a considerarlo un povero fesso...

 
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view post Posted on 15/10/2018, 18:19     +1   -1
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Una deviazione verso l'alto dello sguardo scuro alle sue prime parole: un'ottima scusa quella che gli viene offerta per liquidare rapidamente quella conversazione scomoda. Superficiale e sopratutto inutile ai fini della propria salute eppure fastidiosa, perché è difficile anche solo descrivere come potrebbe sentirsi adesso, con quel demone, senza risultare inutilmente complesso.

Non ci avevo pensato

Ammette alla fine, liquidando in uno sbuffo il consiglio di quella salvo poco dopo aggiungervi un cenno del capo, a mò di semplice ringraziamento.

Grazie del consiglio

Conclude, tornando quindi ad ascoltarne le parole riguardo le spade, il loro significato. Una visione così superficiale a suo modo, che liquida come idealismo quella che per lui è una semplice realtà. Stringe i pugni e sente il proprio cuore battere a mille dentro il petto, quasi facesse fatica anche solo a non urlarle in faccia. Un bisogno quasi disperato, che nasce tanto da quei discorsi quanto dalla frustrazione di ciò che prova e di cui non può fare parola. Il suo piccolo grande segreto, che da solo potrebbe annichilire l'intero villaggio. Sente il cuore pulsare e così gli occhi del lupo tornano ad accendersi in quella scura foresta smorta che altro non è se non la sua anima. Un campo di nulla dove non si è mai premurato di seminare qualcosa. Vuoto. Terreno fertile per demoni, pulsioni, mostri.

Mi sono espresso male...in realtà, per quanto suoni assurdo, le mie parole sono pratiche

Pronuncia quella prima frase in un sospiro, come gli venisse tremendamente difficile anche solo parlare. Un passo dietro l'altro si avvicina al quartiere Yoton, eppure la sua attenzione rimane focalizzata sulla propria interlocutrice.

Non è una questione di eroismo ma di fiducia: la fuga delle spade davanti allo straniero ha fatto perdere completamente la fiducia dei cittadini nelle stesse, e ciò che un tempo era un simbolo è diventato qualcosa da dimenticare, da lasciae in secondo piano, così come ha provato a fare Hogo, espressione della paura che ancora molti nutrono nei confronti di chi brandisce una delle Sette, nonostante esse siano votate alla loro difesa

Spiega, una pausa durante la quale socchiude gli occhi, deglutisce.

Al contrario, se fossero morti difendendo Kiri, essa sarebbe potuta rinascere assieme alle spade ed anzi col desiderio di vendicarle piuttosto che dimenticarle, e con esse, forse, non ci sarebbero stati gli attriti interni che hanno portato ad un cambio di regime. Alla fine, cosa è un villaggio senza fiducia, speranza? Qualunque forma di resistenza e volontà di rinascita non si basa forse su questo?

Commenta fornendo il proprio punto di vista, bloccandosi nel camminare nel momento in cui ode la conclusione di Urako, quell'eccetera, per lui è come una pugnalata. Menefreghismo o disillusione? Difficile credere che una persona capace di tirar fuori simili ragionamenti se ne freghi delle spade quanto del villaggio, e allora come farle comprendere ciò che dice, come convincerla della concretezza di quell'idealismo, è solo il fulcro attorno al quale sviluppare il proprio discorso. Sospira, e nel mentre il lupo ringhia, scatti a vuoto della mascella quasi volesse azzannare Urako stessa attraverso la propria mente.

Pezzo...di ferro?

Qualunque discorso davanti a quelle parole viene messo in secondo piano. Un pezzo di ferro. Niente di diverso dalla katana che ha comprato il primo giorno dopo la promozione in Accademia.

Lascia che le faccia comprendere quanto sbaglia

Un invito, allettante, eppure per il momento ancora resiste, limitandosi a tornare con lo sguardo sulla propria interlocutrice. La osserva con attenzione, i lineamenti del volto mentre pronuncia quelle opinioni, infine, spalancando la bocca a propria volta.

Non è un male essere concreti, permette di analizzare con maggior oggettività le situazioni...tuttavia io credo che l'idealismo sia il motore necessario di ogni essere umano, nel bene o nel male

Le palpebre si serrano sulle iridi e così prende un ampio respiro. Ogni parola che pronuncia, con la Kubikiri a pulsare nella propria mente, nel proprio cuore, è agonia. Eppure resiste, per ora. Deve.

Dopotutto, senza ideali, come si potrebbe pensare di voler raggiungere dei risultati concreti? Se ci si lascia trasportare dalla marea...certo, sarebbe più facile giustificare i propri fallimenti, tuttavia ogni azione senza ideale non diventa altro se non un pigro tentativo a raggiungere qualcosa per cui non si ha il coraggio di mettersi in gioco...almeno per come la vedo io

Propone poco dopo, scuotendo quindi il capo.

E' vero, il declino di Kiri non era imputabile solo a loro...tuttavia, non è forse vero che chi ha maggiori responsabilità deve assumersi anche maggiori colpe?

Dopotutto, non è forse il capitano l'ultimo ad abbandonare la nave in procinto di affondare nei flutti dopo un incidente? Cosa renderebbe diversi gli spadaccini per Kiri in questo caso?

Non ti devi scusare, ti ho chiesto di parlare liberamente, grazie per non esserti trattenuta

Dei ringraziamenti che ancora fluiscono quasi fosse un respiro smorzato, un morto che sta tirando le cuoia e che tuttavia, miracolosamente, è ancora lì in piedi. Gli occhi si sgranano nel sentire le parole riguardo l'amministrazione di Hayate, cogliendo forse qualcosa che stoni, che non gli piaccia e che non voglia udire, e che tuttavia potrebbe rivelarsi estremamente interessante se approfondito.

Cosa te lo fa pensare?

Non chiede chiarimenti diretti ma piuttosto cerca di mantenere un tono tranquillo, approfondire la questione semplicemente con calma. Ed infine, sentendo le ultime domande sulle spade non può far altro che fermarsi del tutto.

fallo

La destra che sale a stringere l'impugnatura della propria lama e la schiena si raddrizza all'improvviso: sembrava un morente, eppure nel momento stesso in cui estrae la pesante lama lo fa con una naturalezza ed una fluidità tale da sembrare quasi quella sia un prolungamento del proprio braccio.

Sto dicendo Urako, che ogni spada è disegnata per uccidere, ma in un modo particolare, ed ogni modo reca con sé uno stile, ogni stile modella l'uomo e da vita alla leggenda

E così dicendo in primo luogo punta direttamente la spada avanti a sé, salvo poco dopo porre la sinistra sul piatto della lama e dunque girandola, puntando al suo busto la punta affilata e il manico verso...Urako.

Credo che sia difficile per te capire esattamente cosa significhi impugnare una delle sette, ed allo stesso modo, credo che impugnandola capiresti molto meglio di qualunque spiegazione io possa fornirti

Una pausa. Sa bene che per una persona come lei forse questo è l'unico modo di farsi capire. L'unico per immedesimarsi nel ruolo, nel comprenderne il peso.

Ma ti avverto che potrebbe essere spiacevole...se credi sia solo un pezzo di ferro

Rimane silente, attendendo eventualmente che la ragazza prenda quella lama. All'ultima domanda il capo si inclina verso il basso e dunque poco dopo prende parola. Indegno, davvero è pronto a ritenersi tale? E per chi? Sono domande a cui effettivamente non si è mai dato compiuta risposta. Semplici, innocenti se vogliamo eppure nulla di più complicato potrebbe piovergli addosso ora. Perchè lui è un indegno, agli occhi di sé stesso ancor prima che di chiunque altro. Ma il punto non è questo, la vera domanda è: è davvero pronto a dirglielo?

Momochi Ki, Momochi Ilya

No non lo è, per questo sceglie la via più semplice per rispondere, che potrebbe anche farlo passare per un cretino, una finzione alla quale qualcosa gli dice che la kunoichi crederebbe senza farsi troppe domande.

La Kubikiri è sempre appartenuta a ninja potenti provenienti da famiglie potenti e temute, ed io chi sono? Figlio di nessuno, una assoluta macchietta, una goccia nel fiume che è la storia del nostro paese...chi sono io per definirmi degno di raccogliere una eredità così controversa come quella della mia spada?

Domanda poco dopo, manco si aspettasse davvero che lei rispondesse.

Voglio credere che un tempo tutti siano stati indegni, e che a mio modo potrei riscoprirmi valente agli occhi di chi mi circonda, di chi con le sue idee e voce contribuisce a definirmi

Scuotendo quindi il capo sul finire. Una risposta carina per essere bellamente inventata su due piedi. Congratulazioni cazzone.

Tuttavia, è difficile collocarsi come erede di tali figure, ai miei occhi potrei apparire come un giovane apprendista, agli occhi altrui come un detestabile psicopatico alla ricerca della frenesia omicida dei Momochi, quindi immagino che la mia domanda sia duplice: se da un lato sono indegno, sono sicuro davvero di volerlo essere? E se invece volessi essere un Diavolo diverso, mi verrà permesso di esserlo? L'essere indegni passa attraverso molte tappe, ma principalmente dalla visione altrui

Un che di vagamente ironico, la spada ancora lì. In attesa la ragazza la impugni, o la rifiuti.

 
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view post Posted on 17/10/2018, 19:49     +1   -1
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“Sono abbastanza convinta che stiamo dicendo la stessa cosa” - ribatte inclinando un poco la testa di lato, mentre la temperatura si fa gradualmente più calda: non manca molto. L'odore di zolfo non si sente ancora, ma quello dipende un po' dai giorni, e da quali inquilini si fanno saltare la mosca al naso.
“Speranza... sì, beh, quella serve soprattutto ai civili. Noi dovremmo saperne fare a meno.”
Ostinazione quindi: perseverare sul sentiero tracciato senza pregustare nulla di gioioso, se non cenere e lacrime. E se invece dell'amaro arriva il dolce, tanto meglio: ti gusti il momentaneo raggio di sole e poi torni a prepararti per la prossima salita.
Non è quello che avrebbe desiderato, ma è quello che ha avuto in più abbondanti razioni: è il caso che se ne faccia una ragione.

“Non è questione di non poter giustificare un fallimento, o non avere il coraggio di buttarsi. Io trovo che ci voglia molto più coraggio a mettersi in gioco senza che ci sia qualcosa che ti spinge. È come una barca a vela: facile andare avanti quando hai vento in poppa; quando c'è bonaccia però, voglio proprio vedere quanti si rimboccano le maniche e mettono mani ai remi. Ripeto: può andare bene per chi ne ha bisogno, per quanto riguarda noi... c'è un limite oltre al quale dovremmo essere in grado di gestirci, sempre e comunque.”

Coloro che resistono
Ancora adesso le suona in testa la voce di Yu, e di tutti quei discorsi che faceva durante la loro prima missione. È passato tanto di quel tempo che le sue parole sono volate via nel vento della memoria – tranne quella frase, che sembra essersi marchiata a fuoco nella sua mente.
“Penso che gli unici che debbano pagare, siano quelli che lo provocano, un problema. Far cadere delle teste solo perché sporgono più in alto di altre, è un atto abbastanza sommario e grossolano.
In ogni caso, apprezzo molto la possibilità di poter esprimere opinioni del genere, Mizuguchi-san”
- conclude con un cenno di ringraziamento più formale che sincero. Gratitudine non ne prova.
In generale, non prova più un gran ché da quando è tornata da Ishi.


“Me lo fa pensare il modo in cui Kobayashi-sama ha trattato una situazione che seguivo in prima persona... fornendomi una soluzione diametralmente opposta a quella prospettatami in prima battuta dai suoi sottoposti. Non so ancora bene quanto la mentalità del Mizukage differisca da quella comune, ma potrebbe farlo in maniera tutt'altro che trascurabile. L'importante è che alla fine si mettano d'accordo, e che non salti fuori qualcuno con una spada più grossa a fargli fare la fine di Hogo.
Due Colpi di Stato consecutivi senza spargimenti di sangue, sarebbe troppo sperarlo... No?”
e qui, un sorrisetto con un'alzata di spalle.

Poi arriva il momento per gli occhi di cadere sulla spada, sull'impugnatura della spada che le viene porta e sulla mano che la regge, senza apparente sforzo.
Tutti quei chilogrammi di metallo.
“Mmmh. Sono abbastanza sicura che stiamo di nuovo dicendo la stessa cosa, Mizuguchi-san” commenta inclinando di nuovo la testa di lato, mentre studia i dettagli dell'impugnatura, e le bende rigide di sudore che la fasciano strettamente.
È ovvio che chi brandisce un artefatto fuori dell'ordinario, si trova a doversi adattare a stili di combattimento altrettanto sopra le righe... ma lui sembra voler rivestire di un'aura mistica tutto ciò che riguarda le Sette.
Trattiene un sospiro.
Forse è proprio per quella sorta di esaltazione patriottica, che riesce a resistere alla pressione psicologica che deriva dalla sua carica.
“Neanche io sono particolarmente affezionata a chi porta nomi più grossi del proprio cervello” interviene pungente – e sì, frequentare Shi l'ha un po' addolcita nei confronti degli antichi clan, ma non del tutto.

“Ho conosciuto una ragazza dello Yoton, che si faceva domande molto simili alle tue. Da fuori potrete sembrare qualcosa di totalmente diverso, tu e i pezzi grossi di cui temi l'ombra... ma sono abbastanza certa che dal di dentro, non ci siano tutte queste differenze.
Una montagna da lontano sembra un blocco unico, è da vicino che vedi le crepe.
E adesso... proviamo questa Kubikiri, visto che sembri tenerci. Ma ti avverto...”
- mette le mani metaforiche avanti, mentre protende quelle in carne ed ossa, cariche di chakra per meglio sostenere quel peso anomalo - “Non offenderti, se faccio finire la punta per terra. Prometto che nel caso, pulisco io il fango.”
Per non mostrarsi noncurante degli oggetti altrui.
Ed è così che le dita scorrono sull'impugnatura ruvida e leggermente tiepida del tocco di Kazuku, serrandosi su di essa, stretta da Momochi Ki e da chissà chi altro prima di lui.
La spada dello Yondaime.

Il peso è inatteso.
Si sente trascinare in avanti, in basso, da una forza superiore a quanto non potesse stimare a occhio.

Una scarica le attraversa graffiante tutto il braccio, fino alla spalla – come quando si accavalla un nervo, o sbatti un gomito nel punto sbagliato.
La punta di Kubikiri affonda per quattro dita nel fango soffice della strada, subito seguita dalle ginocchia di Urako, che ancora si ostina a sostenere l'impugnatura con lo sguardo assente, abbattuta in un inchino goffo e sgraziato.

Un soffio caldo e putrescente le sfiora il viso.

Quando solleva lo sguardo, Kazuku è sparito.

Davanti a lei, quattro zampe nere calcano il fango della strada.
Il suo sguardo risale lentamente lungo gli arti macilenti, scorre sul petto arruffato di pelame ispido, si ferma sul muso irto di zanne.
Le mascelle lunghe il doppio di quelle di qualsiasi canide esistente, magro come la morte ed un fuoco negli occhi, che paiono fatti di braci accese: sembra un lupo, ma di quelli usciti da un incubo, assieme a quella irragionevole paralisi che la inchioda con le mani sull'elsa della Mannaia.

Pezzo di ferro...

Non muove la bocca. Se lo sente parlare nella testa.
Gli occhi sgranati che osservano inermi il testone ringhiante che si avvicina alla sua faccia, mentre la nebbia si fa spessa come un sudario e avvolge ogni cosa attorno a loro.
Sbatte le palpebre.
Le riapre.
Il lupo è sparito.
Sta correndo, è circondata da nemici, il sudore che scorre a stille lungo il corpo teso e vibrante del fuoco della battaglia. Non sa dov'è. Non sa perché lo fa. Non sa chi sono le persone che le corrono incontro, brandendo armi.
Lei non ha mai affrontato uomini armati da sola.
Vuole fermarsi, vuole gettare quella spada inutilmente pesante, vuole scappare.
Però non lo fa.
Si vede da dentro: accelera il passo con foga, carica i tre... solleva Kubikiri, l'aria fischia contro la lama affilata... i polmoni bruciano, il fiato ringhia nella gola come un rantolo bestiale... e Kubikiri cala come un falco sulla preda.
Caldi fiotti di sangue le baciano il viso, il lezzo delle interiora si sparge nell'aria.
In sei cadono ai suoi piedi, cospargendo il terreno di sangue e frattaglie, le membra che si agitano negli spasmi dell'agonia, gli occhi vitrei e i volti stolidamente fissi in tre espressioni di stupito terrore, quello di chi si rende conto che le proprie gambe giacciono a mezzo metro dal loro torso, assieme all'addome che dissemina liquami e visceri tutt'attorno.
Vorrebbe gridare.

La sente gridare, ma è una voce che non è la sua, come un ruggito di feroce soddisfazione: questa volta e tutte le volte che verranno, una dopo l'altra, con crani spaccati e cervella che schizzano calde e fumanti. Con ossa spaccate, e midollo all'aria. Teste che rotolano come meloni giù dal fianco di una collina.

… pezzo di ferro...

È in piedi, completamente ricoperta di sangue, e il lupo davanti a lei, circondato da cadaveri maciullati. Quelli freschi sotto le sue zampe, e via via più marci e vizzi alle sue spalle, allontanandosi. Laggiù in fondo, all'orizzonte, solo ossa e polvere.
Anche lei ha i piedi sui cadaveri. La pelle è morbida e cedevole, sotto le scarpe.
La bestia schiude le fauci, una lunga lingua ruvida si snoda verso il suo viso, la sua guancia: lecca con evidente piacere i fluidi corporei incrostati dal mento fino allo zigomo.
La sente calda, ruvida, umida, puzza di carne guasta.
La vede tornare tra la chiostra di denti.
Quello ringhia, nebbia spira dalle fauci ardenti.

...PEZZO DI FERRO...

Apre la bocca, scatta in avanti.
I denti affondano nella sua gola come pugnali.



Quando realizza di essere tornata, la prima cosa che vede è la Mannaia abbandonata sulla strada. Lei è un paio di metri dietro, le mani serrate attorno al collo, il cuore che batte tanto veloce da poterle sfondare le costole e un velo di sudore appiccicoso che le ricopre tutto il corpo, dalla testa ai piedi, incollandole i capelli al cranio.

E Kazuku è di nuovo lì, davanti a lei, dietro alla spada.
La bestia non c'è più.

 
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view post Posted on 5/11/2018, 18:21     +1   -1
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Non può fare a meno di sorprendersi udendone le prime parole, ad esprimere un totale scetticismo, quasi fosse una persona che pretende di essere efficace pur essendo vuota. Sono parole i un certo qual modo forti eppure talmente crude da farlo imbestialire, perché no, la speranza deve appartenenere sopratutto agli shinobi, propripo per via del fatto che sono chiamati a svolgere compiti importanti, complessi e mortali. Non macchine di morte ma esseri umani, non strumenti ma fabbri, forgiatori del proprio destino e di quello del prossimo. Eppure, cosa può essere più vuoto di una persona priva di speranza? Come si può pretendere di lottare sino allo strenuo delle proprie forze se non si crede di potercela fare? Neanche le bestie agiscono così, perché mai dovrebbe farlo un essere umano?

....

Apre la bocca, come fosse sul punto di dire qualcosa, eppure la richiude nell'immediato: nessuno più di lui potrebbe suonare ipocrita se desse davvero forma a quelle parole. Gli occhi si socchiudono e così torna a fissare il pavimento trascinandosi in avanti come fosse un patetico cadavere in attesa di essere spostato al cimitero. Stanco, provato, eppure vivo, vuoi per volontà del cielo, vuoi per una sorta di miracolo.

Tuttavia, il vento permette di arrivare più velocemente alla meta, pur non richiedendo meno impegno

Va infine a dire, muovendo quegli occhi scuri sul volto della ragazza di fianco a lui, prende ampi respiri, quasi parlare costasse sempre una fatica immensa, cosa che alla fine corrisponde al vero considerato cosa al momento attuale monta irrequieta nel suo animo, un demone ancestrale ed una spada ultracentenaria, il peso delle sue responsabilità ed errori, i suoi fardelli.

Io credo che non sia questione di coraggio, ma di abilità, indipendentemente da cosa ci porta in mare, remare o affidarsi al vento non richiede per sé coraggio ma capacità di analisi, ed allo stesso modo credo che il ninja debba essere in grado di trovare sempre il perfetto equilibrio, per lui e per ciò che combatte, tra idealismo, speranza, e cruda capacità di analisi

Si mordicchia il labbro inferiore, sistemandosi distrattamente i capelli con la destra, sospira.

Alla fine, non stiamo dicendo nulla di molto diverso, solo che io ritengo che la speranza debba esser parte integrante di uno shinobi, come e dove essa venga riposta poi, sta tutto alle capacità di...gestirsi

Riprendendo le sue parole insomma, il tono che si mantiene stancamente piatto, per quanto si sforzi di essere vagamente accomodante il risultato è pessimo, non diversamente dal proprio stato emotivo. Quel pigro occhio rosso lo fissa, la fissa, non scatta e non parla, pacato eppure minaccioso. Lo fa rabbrividire, tanto che non osa neanche parlarci, neanche voltarsi a fissarlo di rimando, piuttosto tornando sulla conversazione con la propria interlocutrice, alla quale poco dopo.

E quali sono questi limiti oltre ai quali non dobbiamo spingerci, secondo te?

Domanda, un che di realmente curioso in quanto afferma, non di certo una domanda posta per sfotterla, priva di aggressività. Non si pronuncia oltre sulla prima questione, ben più interessato ad ascoltare quanto la ragazza vorrà dire a riguardo. E' disillusa, tanto da pretendere anche di essere vuota, una pretesa alquanto grande per una ragazzina. Una pretesa che tuttavia può facilmente comprendere, perché egli stesso lo pretendeva da sé stesso prima di comprendere quanto fosse futile...e dannoso.

Io credo che quando si verifica un errore, le colpe sian troppo estese ed endemiche affinché si possa trovare un solo colpevole...certo coloro che devono pagarne il prezzo maggiore sono i responsabili, coloro che erano nelle posizioni chiave per poter vedere le anomalie e correggerle, prima che la loro somma portasse ad un disastro...ma la verità credo che sia nelle parole che hai pronunciato prima: quando si verifica qualcosa come la fuga delle Sette e la distruzione del villaggio, tutto ciò è così catastrofico che imputare la colpa a dei soli individui è riduttivo...ed il passo successivo credo che dovrebbe quindi essere chiedersi: come agire per evitare che tutto ciò possa accadere di nuovo? come per evolversi?

Domande a cui lui non da direttamente risposta, attendendo ulteriori riflessioni della ragazza. Non replica riguardo i colpi di Stato, né riguardo i parallelismi con la Yoton, pur ascoltando attentamente quanto ella afferma. Deglutisce quindi, osservandone in silenzio le reazioni nel momento stesso in cui ella preleva la Kubikiri.
Vede gli effetti esterni, e quella parte di sé profondamente legata alla propria arma si riscopre a....gioie. Sì, perché nel suo scetticismo e volontà di svuotarsi ignorava completamente cosa potesse veramente significare tenere con sé una lama del genere ed ora, ora avrà modo di sentire il peso delle cazzate che afferma. Quella parte di sé si riscopre a voler ridere, a volersi crogiolare, eppure sarebbe solo così...stupido. Cosa c'è di bello nel vedere una persona soffrire? Probabilmente è come se lei avesse acconsentito a farsi torturare e lui, lui se ne sta lì a compiacersene? E' davvero così patetico? Ma sopratutto, perché solo adesso si rende conto di certe cose, perché non prima?
Nel momento in cui Urako lascia andare la lama ecco che prontamente lui la va a raccogliere, nessuna parola alla volta di lei, qualunque scusa, qualunque puntualizzazione, sarebbe solo inutile. Un crogiolarsi da una parte ed un totale menefreghismo dall'altra. Per questo reinfodera la propria spada con la destra e poco dopo si sforza di compiere alla volta di lei un gesto semplice, tutt'altro che naturale, tanto che si scopre ad aggrottare la fronte nel farlo: le tende la mano, un aiuto a rialzarsi, tacito e concreto.



 
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view post Posted on 6/11/2018, 19:30     +1   -1
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Come evolversi e agire, come sapere in che modo reagire: “quello è compito di chi siede al posto di Kage, ma così va da sé che è tutto come un cane che si morde la coda. Se la base è guasta, è la cima della torre la prima a crollare, e si porta dietro tutto il resto. Quello che rimane sono proprio le parti più basse dell'edificio: le fondamenta, e quelle sono i cittadini, che producono nuovi shinobi per ricostruire la torre. Non so, Mizuguchi-san” e lì si era interrotta a mezza frase, aggrottando le sopracciglia - “non mi sono mai fermata davvero a pensarci. Se è una vera teoria quella che vuoi, come quelle sui manuali di medicina, non è da me che potrai ottenerla... non ora, di certo.”

Coraggio e abilità, speranza e disillusione, un limite – quello che gli shinobi dovrebbero saper superare – che altro non è, che quello che lega la gente comune al proprio essere inutile, quando c'è da intraprendere un'azione risolutiva. Panico, pianti e fughe in massa, con gente che si calpesta a vicenda o sopporta i peggiori soprusi senza aprire bocca, temendo un castigo peggiore. Sì, come quando ogni singolo shinobi fu chippato come un animale dallo straniero.
E si dovette attendere che fosse lo straniero ad andarsene, prima che un refolo d'aria pura penetrasse nella cupola di nebbia stantia che aleggiava sulla loro isola dal cuore morto.


La disillusione, la mancanza di speranza: di colpo, di fronte a quella mano tesa, realizza ciò che lui le aveva fatto notare poc'anzi: lei la speranza se l'è persa per strada, da qualche parte, senza rendersene conto. Un po' come l'ombrello che dimentichi fuori dalla sala d'attesa del medico, quando esci, hai altro per la testa e non piove più.
È come l'accendersi di una lampadina in uno sgabuzzino senza finestre, e polveroso: tra i tremori leggeri e il sudore e il cuore che ancora le galoppa imbizzarrito nel torace, le viene quasi da ridere – una risata amara, di quelle che fai quando ti vedi allo specchio all'improvviso, e non ti aspettavi di vederti così sfatta. Si traduce in un sofferto scoprire di denti, mentre sbatte le palpebre e solleva un palmo aperto davanti al viso.
Ringrazia del gesto, ma si rialzerà da sola: esattamente come quando è uscita dall'ultima guerra – oh sì! Ora ne ha fatta una anche lei, non possono più darle della novellina “che non sa nulla”. Come quando è uscita dalla guerra, dicevamo, e tutti i suoi amici se n'erano andati: era rimasta con Yu, con cui riallacciare un passo alla volta i fili che parevano spezzati, e il vago ricordo della Kami luminosa che aveva generosamenteimpartito loro una lezione memorabile. L'aveva adorata in quel momento di onnipotenza, ora probabilmente la odia, ma visto che odiare costa fatica, preferisce non pensarci e basta.

Che le è rimasto?
Sì, la scatola che ha consegnato a Hayate, che ora non ha più. E un incarico, che dovrebbe avere valore pari alla scatola, se il Mizukage l'ha tenuta in sufficiente considerazione da proporre uno scambio equo.
Non crede di essere felice di aver scavato così a fondo, in così pochi minuti.
Fa male dentro.

Non prova a spazzolarsi il fango di dosso: è fresco, finirebbe solo per imbrattarsi le mani ancora peggio di quanto già non siano; si tira in piedi e saggia la stabilità di caviglie e ginocchia. I muscoli tirano per aver tentato di opporsi al peso della Mannaia, che ora brilla pallida e inerte tra le mani del suo padrone. Potrebbe giurare di essersi sognata tutto, ma sa che mentirebbe a sé stessa, e sarebbe soltanto ridicolo. Ora sa che i mostri esistono davvero.
“Cosa ha, un Oni dentro?” domanda con uno strano misto di apatica curiosità, assottigliando le palpebre attorno alle iridi scure, ma per quanto si sforzi di mantenere una certa aplomb, la voce le trema ancora - “... non c'era scritto, in nessuno dei libri che ho letto. Mi pare di capire che si sia irritato, per il modo in cui l'ho apostrofato.”
Mi pare di capire.
Bella faccia tosta, per una che pare aver visto le viscere dell'inferno stesso e nemmeno prova a cercare le forze per scusarsi.

 
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view post Posted on 18/11/2018, 18:31     +1   -1
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Schiacciata sotto al peso della propria lama, in ginocchio e tremante come una bambina impaurita, eppure non riesce sino in fondo a provare soddisfazione per quella scena.
Quella che un tempo egli stesso aveva definito una persona trascurabile, neanche degna del titolo di kunoichi, ora stava mostrando un lato di sé che sino a poco tempo prima gli era rimasto del tutto ignoto. Orgogliosa, testarda, sin troppo razionale, una razionalità che in parte assomigliava alla propria eppure se la sua era continuamente piegata alla battaglia, allo scopo di trovare punti deboli e di sconfiggere tramite essi i propri avversari, così non era lei. Quelle semplici parole pronunciate in seguito alla caduta lo rivelavano: libri.
Si costringe a trattenere uno sbuffo divertito nel mentre che ritira la propria mano consentendo a quella di rialzarsi autonomamente, ciondola sul posto, rimanendo sulle proprie gambe a fissarla mentre poco dopo spalanca la bocca per risponderle.

I libri sono scritti da persone, non dai Kami

Comincia a dire poco dopo, un correttivo che tuttavia risulta privo di pomposità, troppo stanco per darsi un tono, una cosa così futile sopratutto alla luce delle sue condizioni attuali. Deglutisce, come se gli ci volesse tempo per rispondere, osservandola.

E le persone hanno conoscenze parziali

Continua, il succo del proprio discorso, per quanto stringato, è molto semplice: non troverà mai tutto quello che cerca sui libri, perché essi sono chiamati a dare frammenti di una conoscenza che non potrà mai essere totale.

...i libri possono essere un ottimo modo per permetterti di comprendere la realtà ed interpretarla a modo tuo, ma se tutto ciò che sai dipende solo da ciò che hai letto...allora chiunque avesse compiuto i tuoi stessi sforzi potrebbe spacciarsi per te...e non lo trovo giusto

E' un modo molto semplice di cercare di smuovere la ragazza da quella difesa di libri e nozioni privi di pratica, un modo per scuoterla da una posizione di staticità da cui osserva ciò che accade senza far nulla per impedirlo, o favorirlo. Non si può essere delle statue, gli esseri umani sono chiamati ad avere una responsabilità maggiore.

per te prima di tutto

Puntualizza infine, attendendo che ella sia pronta prima di ricominciare a camminare. Un sospiro, senza replicare riguardo i demoni della spada, riguardi i suoi demoni, ad oggi straordiariamente aumentati eppure tutt'altro che invasivi, curioso come un potere così grande possa rivelarsi talmente placido, deve proprio aver sbagliato tutto nel giudicarlo.

Non è una questione di demoni, è una questione di spirito

Tornando alla questione principale, uno scrollare delle spalle quindi, socchiudendo gli occhi, stanco.

non posso parlare per le altre spade, ma la Kubikiri ha un preciso dovere verso Kiri, e tutto ciò è stato vincolato al suo ferro, a ciò che la compone...una volta scelto uno spadaccino, solo egli può impugnarla, perché solo egli ha accettato i suoi doveri e li ha fatti propri

Il discorso sfuma man mano che avanza, lo sguardo che si perde avanti a lui, deglutendo. Un sorriso leggero, i lineamenti del volto che vanno a distendersi appena, adocchiando quella scatola ma senza dire nulla. Si interroga sì su quanto contiene, ed è solo questione di tempo prima che lo scopra. Lei si attacca a quella scatolina come lui alla propria spada, curioso.

Portare una delle Sette non è così diverso dal portare una scatola per una missione del Mizukage, entrambe recano con sé un dovere, la differenza è che il primo è più duraturo...e le conseguenze talvolta possono pareggiare

Come a far intendere che non intende sminuire cosa potrebbe per lei comportare quella missione, tirando quindi su con il naso mentre poco dopo avanza ancora. Ogni passo, ogni singolo pensiero, appaiono come un macigno sul capo, qualcosa in grado di schiacciarlo, di distruggerlo, eppure nonostante ciò prova un certo sollievo, quasi gli servisse, per quanto in maniera disarticolata, a dare fondo ai propri pensieri.

e non credo che sia una questione di coraggio, portare l'una, l'altra, o entrambe, ma di ciò che si sente non di volere ma di potere per qualcosa di più grande della propria pelle...combattere o servire per il solo scopo della propria sopravvivenza...è utile, ma dove conduce se non a rallentare dopo la corda a perdifiato fatta per salvarsi...non credi?

Domanda infine, un chiaro riferimento alla sua visione disillusa, se vogliamo un attacco, una incursione, portata avanti senza cattiveria o durezza. Non può indagare convinzioni che non ci sono, ma può provarre a convincerla ce la loro assenza non è un bene.
 
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view post Posted on 26/11/2018, 17:21     +1   -1
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Uno Spirito della Nebbia, che sceglie lo shinobi in grado di perseguire il suo dovere verso di essa.
Che... che dire...?
Marcia in silenzio, il suono dei suoi passi umido di fango che fa da contrappunto a quello più pesante dello Spadaccino, gravato da un fardello che va oltre la sua immaginazione.
Un dovere.
Perché si vede passare davanti il viso di Shitsuki, proprio adesso?
Quel viso carico di rabbia e disprezzo, la notte in cui erano rinati, scampati dalla morte: non posso - le aveva detto. Non poteva, non voleva lasciare Kiri, nonostante tutto.
"E tu sei d'accordo? O semplicemente lo accetti perché non hai alternative?"

« Perché questo è ciò che voglio essere, ciò che nessuno di noi è mai stato. Qualcosa di giusto. »
“io un'alternativa ce l'ho... E questa gente ha dimostrato di non meritare il mio aiuto né quello dei miei fratelli e sorelle."

Gli sorride, un po' amara - “Fai quasi sembrare che ci sia qualcosa di meglio, che scappare e cercare di riportare la pelle a casa”; scappare basta, scansando ciò che la casa chiedeva, avrebbe dovuto essere una cosa peggiore, eppure... eppure non lo sa più, se sia davvero così terribile tradire. Loro... Shi, Shitsuki... volevano scappare per stare meglio.
Lei è rimasta, perché era più sicuro così.
Perché credeva che scappando avrebbe avuto una vita così misera e triste, da non meritare di essere vissuta.
Sì, voleva stare meglio anche lei e pensava che l'avrebbe ottenuto, restando al suo posto, ingoiando i suoi piccoli grandi rospi a lavoro e passando i pomeriggi sui libri o ad allenarsi: il dolore sarebbe passato col tempo, si diceva, questo finché non si era decisa a portare la scatola dal Mizukage, rassegnata all'idea di di ricevere un rifiuto.
E invece le cose erano andate diversamente.
Erano andate come sperava.
Come non osava sperare, a dirla tutta.
Come non credeva di avere il diritto di sperare, meglio ancora.
Una cosa del tipo che anche lei avrebbe potuto fare e dire cose apprezzabili, anche se passando da genin qualunque a medico chunin aveva solo cambiato punti di riferimento, ma non la prospettiva.

Scappare... esattamente quello che vorrebbe fare ora, all'ombra di quella casa linda e pulita del quartiere Yoton; una casa verso cui si era recata tante di quelle volte, con una gioia e un fremito inspiegabile nell'animo, da cui se ne andava con una promessa felice... di rivedersi presto, di condividere ancora sorrisi, parole e carezze.
Essi pesano come piombo freddo sulla sua anima, ora che stringendo i pugni sale quei pochi gradini e inspira a fondo: il gesto così banale di bussare a una porta, più arduo che attraversare a nuoto il mare profondo che separa Kiri dalla terraferma.
Da quel momento in avanti, c'è solo lei. Kazuku Mizuguchi potrebbe benissimo essere un albero o un lampione. Non gli ha detto che sono arrivati, né arriva a sperare che se ne accorga da solo: buio su tutta la scena.

Colpi secchi, come il martellare dei chiodi sulla bara di suo figlio, al funerale a cui lei non è andata; ci vuole un poco, prima che un fruscio e un rumore ovattato di passi dall'interno preannuncino l'aprirsi della porta e l'apparizione di Netsubou Ikari.
La testa le nuota in un mare lattiginoso di pensieri inesprimibili a parole; su tutto troneggia la sgradevole sensazione che hai quando hai fatto qualcosa di sbagliato, ed ora devi vedertela con chi quel torto l'ha subito... e non sai come potrà reagire.
Senso di colpa, lo chiamano.
Lei a Shi voleva bene, sul serio gli voleva bene, dal più profondo dell'anima, anche se quelle due-parole-cinque-lettere non aveva mai avuto il nerbo di dirgliele, nonostante lui non si facesse scrupolo a rivolgergliele, con la semplicità di chi le sente sul serio. Forse è adesso la prima volta da quando l'ha abbandonato per strada, che l'idea di averlo perduto sul serio inizia a farsi strada in lei.
È come trovare il vuoto sotto al piede, dove credevi di trovare uno scalino.

E poi appare lei: bella, provocante, imperturbabile; nessuna sorpresa se avesse già saputo del suo arrivo -e quel vago sentore di onniscenza in altre circostanze avrebbe indispettito la chuunin, ma non oggi. Oggi non ne ha la forza. Quegli splendidi occhi verdi la squadrano dall'alto in basso; la voce che cava fuori da quel torace sottile è atona, quasi metallica.
"Buongiorno, vengo su ordine del Mizukage. Mi è stato richiesto di scortare la donna nota come Shigeiko al suo ufficio."
Un tono lugubre.
Forse avrebbe preferito leggere un disprezzo mal celato da parte della jounin, piuttosto che quella compostezza carica di sufficienza. E nessun cenno di interesse verso il Diavolo, neanche l'ombra.
"Mh. Perché?"
Non respira neppure per rispondere.
“Il Mizukage ritiene che sia in possesso di importanti informazioni.”
La replica è pronta: "Dato che la ragazza è sotto la mia tutela, vengo anch'io."
Nella sua testa inizia a raccontare la scena alle sue amiche, davanti a una tazza di tè: la mente che cerca di evadere, che tanto è dal ritorno da Fukagizu che non ne sente più nessuna. È il momento in cui Ayame avrebbe dovuto esclamare un sonoro “oh, no! Ti prego, dimmi che non l'ha fatto sul serio!!! Ma non poteva farla uscire e basta?! Kami, che rompipalle! Scommetto che l'ha fatto a posta... sicuro!”

Segue un invito a entrare, né caloroso né sentito, perché lei deve andare a prepararla. E non sarà una cosa breve a quanto pare... devono truccarsi.
La voce di Ayame squittisce “ma non mi dire... di male in peggio...”
A Urako passano davanti agli occhi – o meglio, alle orecchie – della mente le decine di volte che avrà sentito Shi darle della puttana e su questo, finalmente, vorrebbe tanto potergli dare ragione. Ad alta voce, s'intende.
No, in realtà non direbbe mai qualcosa di simile. Però si sente come se sperasse di potersi sentire meglio, una volta che l'avesse insultata.
L'invito viene rivolto anche al Diavolo naturalmente, che fa il suo ingresso subito dopo la kunoichi.

E inizia l'attesa.


Una foto di Shi fa bella mostra di sé sul tavolino, listata a lutto, accanto a un crisantemo in fiore: la vede, sente come un pugno nello stomaco, distoglie lo sguardo, come quando vedi in strada qualcosa che non dovresti.
Dal piano superiore provengono mormorii a bassa voce, colpetti di tacchi sul pavimento – senza fretta, nessuno si sta sforzando particolarmente di rendersi presentabile in fretta – fruscii di abiti e strisciare di cassetti, mentre con tutta evidenza Ikari sta rivoltando tutti i guardaroba di casa prima di decidersi a tornare al piano di sotto.

I minuti passano, e più ne passano, più i suoi pugni si stringono.
Più le sue spalle si piegano in avanti.
Col collo incassato tra le spalle, muta come un cadavere e lo sguardo perso nel vuoto di quel soggiorno vuoto e lindo, col divano bianco e il tavolino di vetro, nel quartiere del Vulcano senza più calore.

 
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view post Posted on 29/11/2018, 22:04     +1   -1
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Ascoltando le prime parole che quella va a rivolgergli pare irrigidirsi, quasi svegliarsi. Scappare, sopravvivere, è davvero questo il concetto di vita che la ragazza innanzi a lui ha? Non ha senso. Non con una ragazza che nonostante tutto sembra avere una testa sulle spalle, sviluppare dei ragionamenti, perché una visione del genere dal suo punto di vista altro non era se non quella dei morti.
Dei morti che per miracolo ancora camminano, ombre grigie che non hanno alcun reale posto, o che un tempo lo hanno avuto ed ora non fanno altro che rimpiangerne la perdita. E' questo che sei Urako? Una semplice parvenza di te stessa, questo sei riuscita a diventare senza Shi?
Scuote il capo eppure non risponde almeno in principio, gli occhi che tornano verso il terreno mentre poco dopo distende i lineamenti del proprio volto. Lui sta facendo tutto ciò che è in suo potere per non essere un'ombra di sé stesso, ed aver davanti una ragazza che ammetta con tutta quella tranquillità di essere vuota, lo fa star male? Affatto, piuttosto, lo motiva. Lo motiva a non finire come lei.
Accelera d'istinto il proprio passo, eppure non gli ci vuole più di qualche rapida falcata prima di fermarsi, lui, che dice di voler proteggere la Nebbia, disposto a tutto per farlo sacrificando anche se stesso, lui che parla così bene dei suoi doveri, davvero è così ipocrita da lasciarla dietro di sé? Se è vero che non può portarla sulle spalle, almeno proverà a farla camminare. E chissà se questa volta afferrerà la mano, o almeno proverà a morderla.

Passiamo così tanto tempo a cercare qualcosa che possiamo definire certezza, che se abbiamo la sfortuna di perderlo non riusciamo a fare a meno di incazzarci e ripensarci ogni giorno

Afferma infine. Il messaggio è chiaro e da voce ai propri pensieri, la voce stanca eppure che si sforza di essere decisa.

Dimenticandoci che siamo esistiti prima, non proviamo neanche a vivere il dopo, ci convinciamo che non ne vale la pena, e tutto quello che ci passa davanti puntualmente se ne va, solo perché non abbiamo avuto la volontà di afferrarlo, o di chiedergli di restare, e ci trasformiamo in una profezia che si autoavvera ambulante

Ed ora lo sguardo torna su di lei, la schiena si raddrizza in un mugugno dato più dalla stanchezza che dal dolore, le braccia lungo i fianchi, l'orrenda cicatrice che ne abbraccia completamente il braccio destro in prossimità della spalla chiaramente visibile.

Non sei interessata a scoprire se per te esiste qualcosa di meglio che scappare per riportare a casa la pelle?

Domanda poco dopo, silenzio. Non pronuncia più una singola parola quando sono davanti alla casa di Shi, muovendosi a propria volta entro la casa eppur senza spiccicare una singola parola. Lascia prendere ogni decisione a Urako, lui si limita ad osservare quelle foto, constatare il modo di fare della donnae dunque cercando nell'attesa non solo di guardarsi attorno, quanto di andare a guardare le reazioni di Urako nell'attesa. E' tesa, nervosa mentre lui, al quale Shi aveva promesso un pestaggio, non prova niente. La vita di quel ragazzo non gli riguardava all'epoca, ma solo ora realizza che in quanto parte di Kiri, a suo modo il proprio embrionale senso del dovere gli provoca un lieve senso di colpa. Lieve, perché la sua non era cattiveria gratuita ma finalizzata ad uno scopo più alto. Proteggere sé stesso e colui che riteneva avrebbe agito al meglio per Kiri.
Un ampio respiro quindi.

Sono stato proprio stronzo con Shi

Cambia argomento, andando ora a far quella che è una semplice osservazione, senza aggiungere altro ma piuttosto mormorando quel nome, quella frase. Una reazione che scuota la ragazza, non volutamente provocatoria, ma che la faccia pensare. Che le dia uno scopo. Svegliati cazzo, non sei una infermiera.



 
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view post Posted on 30/11/2018, 22:30     +1   -1
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Era stato uno stronzo con Shi?

"Non ha più importanza, adesso."
Il verdetto giunge lapidario, con voce atona, ed è la pura verità: Shi è morto, e se qualcuno sia stato stronzo con lui, non importa più a nessuno.
A lui non importa sicuro.
Finalmente lo ammette "Ci avevi visto giusto. Non eravamo soltanto compagni di squadra"
mormora sempre a voce bassissima, come se ciò potesse risparmiarla dall'essere udita dalla Jonin al piano di sopra, se solo avesse voluto ascoltare i loro discorsi. Era riuscita a sentire le gocce d'acqua cadere da kimono di Shi quella volta, se la memoria non la inganna. Evita lo sguardo del Diavolo, lasciando che vaghi lungo le fughe delle mattonelle che tappezzano il pavimento lindo; gli angoli della bocca tirati indietro, a scoprire il fantasma di un sorriso amaro come il fiele, più smorfia che sorriso.
Che sia l'esasperazione a parlare per bocca sua, o che finalmente sia lei ad aver afferrato il momento per lasciar andare ciò che la grava da mesi. Che sia il momento opportuno, sarebbe azzardato dirlo: nel salotto della madre del morto, davanti alla persona che più l'ha vituperato, prima della sua dipartita.

Eppure continua.
“Non è mai stato un bravo shinobi, ma non era abbastanza stupido da trascurare il recipiente dell'etere. Lui ha deciso di andarsene, Mizuguchi-san" – e qui il tono e l'espressione si fanno ancora più amari, quasi rabbiosi - "non è mai stato un individuo particolarmente equilibrato. Ha iniziato a fare strani discorsi già qualche settimana prima di darsi fuoco. Mi ha fatta infuriare e ho chiuso con lui... Credevo fossero solo chiacchiere. Niente per cui dover scomodare uno psichiatra"
Ecco, l'ha detto: psichiatra.
Shi Momochi era uno squilibrato.
E lei era talmente assuefatta alla sua dolcezza, alla sua melassa, che non aveva voluto vederlo: aveva lasciato che lo zucchero granuloso le si addensasse attorno agli occhi, sigillando le tenere palpebre, impedendo che la crudezza di ciò che aveva davanti le ferisse l'anima tenerella di adolescente, appena affacciata sul grande mare dei sentimenti.

“La verità? Non ha mai voluto fare lo shinobi. Non doveva diventarlo. E dovevo riconoscere i sintomi della sindrome da stress postraumatico, finché ero ancora in tempo"
Ora parla il medico, il chuunin, e lo fa con durezza. Quante anime ha dentro, quel microbo di quindicenne? Ee poi se n'è andata pure Shitsuki, ma a modo suo... siamo quasi morte a Fukagizu. Assieme al Mizukage e allo Squalo, per dirla tutta...lei saprai chi è, ora sta nel bingo book insieme a tutti gli altri nukenin."
Sta diventando un conato di vomito: le parole fuoriescono a ruota libera, mentre i tacchi soffocati dalla muratura del soffitto continuano a ticchettare attraverso il soffitto, e le voci attutite a mormorare dal piano superiore. E il suo racconto prosegue.
"Ero lì quando ha gettato a terra il coprifronte. Mi ha domandato perché restassi a Kiri, se per mio volere o se non avessi altra scelta. Non sono riuscita a risponderle."
Vedi qual è il problema, Mizuguchi-san?
Se lo vedi allora sei bravo, perché lei non ci riesce.
Sa di stare male, sa che più di qualcosa non funziona, e non riesce a dare un nome a quel sentimento. A quella patologia.
Nessun manuale che ne parla, nessuna posologia di farmaci a salvarla da sé stessa.

"Restare a casa mia è la scelta migliore per sopravvivere. Poi oggi Hayate Kobayashi ha accettato qualcosa che non avrei creduto possibile...e adesso sono qui, nell'ultimo posto in cui vorrei essere, perché me l'ha ordinato lui" – se no, mai nella vita avrebbe messo piede in quel soggiorno. Deglutisce a vuoto, lasciando lo sguardo sollevarsi non più in alto dei cuscini candidi del divano immacolato.
Dov'era che lui le aveva vomitato davanti acqua e lava solidificata, punito da sua madre alla stregua di un bambino qualunque? Lui, grande e forte più dello stesso padre di Urako, prostrato davanti a quella donna letale e ingombrante.
"Non ci sono andata al suo funerale... sarà per questo che ci tiene qui, a guardare la sua foto. Truccarsi per andare dal Mizukage... cretinate, è solo una scusa."
Sospetti e paranoie: i pugni sempre più stretti, il respiro sospeso ai limiti del soffocamento, immobile al centro di quel salotto nauseante, asettico, perfetto - "l'unica ragione per cui non posso credere che le cose possano andare meglio, è che per quanto l'impegno funzioni, presto o tardi arriverà qualcos'altro a cui non potrò oppormi o rimediare. Non è per sopravvivere e basta che sono ancora qui, ma in fin dei conti, quando tutto va in malora, cosa rimane... se non la vita, e un riparo?"

Lo sguardo spiritato si solleva finalmente sul volto scuro e stanco dello Spadaccino.

Si sarebbe pentita, si sarebbe vergognata di quello sfogo.

Le orecchie in fiamme e le mani tremanti, gli occhi lucidi e la schiena quasi curva: nemmeno le forze di immaginarsi la fine di quel supplizio, il momento in cui avrebbe visto la porta dell'ufficio del Mizukage chiudersi dietro la schiena delle due donne, creatrici e distruttrici, e sarebbe stata libera di correre, fuggire a rifugiarsi nel suo camice lavato e stirato di fresco, tra provette e microscopi e pile di libri alte come torri.

 
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