Erano successe tante di quelle cose in tempi recenti che Akira non sapeva nemmeno dove iniziare per contarle. Kumo era stata rasa al suolo, per dirne una, e di questo lui non ne era minimamente compiaciuto; si sa, quando la tua casa viene schiacciata dal piede di un mostro di potenza sproporzionatamente elevata il minimo sindacale è provare quella giusta sensazione di
lieve inconvenienza. Grazie a tutti gli dei di cielo e terra, però, nessuno delle sua famiglia era stato colpito da un improvviso caso di morte, cosa non esattamente scontata quando si considera che su quattro persone tre erano Shinobi, ergo gente impegnata in prima linea in quel tipo di circostanza; se fosse successo loro qualcosa di brutto, Akira non avrebbe saputo come reagire, poiché nonostante i continui conflitti che aveva con loro amava i suoi genitori e la sorella dal profondo dell'anima.
Fortunatamente era andato tutto relativamente bene, nessuno che lui riteneva personalmente importante si era fatto male, ad eccezione della Raikage, ma ehi, nessuno è perfetto e un altro Raikage si sarebbe trovato in un lampo, considerando che la gente che abitava il villaggio era all'incirca viva.
E così fu che, in un villaggio devastato e con i suoi abitanti moralmente provati, proseguì il percorso accademico del ragazzo dai capelli rossi. Erano stati giorni faticosi, dopotutto ognuno a modo suo doveva impegnarsi per aiutare il prossimo in un grande sforzo di patriottico altruismo, e anche lui doveva ammettere di non essere indifferente al richiamo della sicurezza nazionale: c'era una forza che poteva trovarsi nella tragedia e un senso di appartenenza che univa coloro che soffrivano lo stesso dolore, Akira non ne era nemmeno consapevole ma tutto quell'insieme di strane circostanze non avevano fatto altro che rafforzare in maniera inconscia il suo desiderio di andare fino in fondo con la sua attuale occupazione, di riuscire finalmente ad ottenere il tanto agognato titolo di Genin della Nuvola. Non che fosse facile.
La parte scritta era una noia terribile, se non altro per il fatto che Akira doveva effettivamente mettere impegno in qualcosa che detestava con tutto il cuore, ossia studiare; non poteva farci nulla, stare col culo buttato su una sedia a leggere cose scritte su un pezzo di carta non era per nulla il suo modo di passare una giornata ideale, e, siccome aveva la netta tendenza a non fare cose che non gli piacevano, c'era un problema di fondo. Eppure stavolta ci mise un minimo d'impegno, studiando per un tempo che lui stesso riteneva accettabile, perché anche una persona terribilmente pigra come lui capiva dell'importanza del momento, o meglio, la sua fu più una fredda constatazione dei fatti: se non avesse passato l'esame alla prima botta gli sarebbe certamente passata la voglia di riprovarci, considerando che il prospetto di marcire sui banchi dell'Accademia per un altro lungo periodo di tempo non era poi così allettante, e lui stesso cominciava a farsi abbastanza adulto da capire che avrebbe dovuto prendersi qualche responsabilità, prima o poi, ed essere bocciato sarebbe stato un inconveniente bello grosso.
E dunque il fatidico giorno era arrivato, e l'esame scritto era stato regolarmente sostenuto. Akira non era la più fiduciosa delle persone, soprattutto quando andava a toccare la sua poca tendenza all'impegno, ma stavolta era sufficientemente certo di non aver fatto eccessivi macelli; conosceva buona parte delle risposte, e per quelle che non conosceva sapeva abbastanza da andare per esclusione, tutto sommato quindi era convinto di aver fatto un lavoro almeno discreto. Non ci avrebbe messo la mano sul fuoco in ogni caso, sapeva bene che il succo della sua performance in quell'esame sarebbe stata la pratica, dunque si sarebbe accontentato di un punteggio passabile allo scritto per poi puntare tutto sul resto.
Non era solo a sostenerlo, anzi, c'erano fin troppe persone per i suoi gusti in quel cortile polveroso. Akira si ergeva con indosso una comoda e marziale
tuta nera e bianca, che per contrasto rendeva i suoi capelli rossi, per l'occasione tenuta in una lunga treccia dietro le spalle, ancora più evidenti. Stava ciondolando in un angolo, mordicchiando nervosamente una caramella alla menta dopo l'altra; era il suo vizio, quando cominciava a farsi prendere dall'ansia afferrava il suo dolciume preferito e cominciava a divorarne a ripetizione finché non si calmava, in previsione dell'occasione ne aveva portati un sacchetto intero ma, anche dopo essere arrivato quasi a metà, l'ansia non faceva cenno a disperdersi.
Mentre stava per infilarsi in bocca un'altra caramella, il suo sguardo cadde su una delle studentesse che erano nel cortile e che stava per conto suo: era di carnagione scura, cosa comune a Kumo, e dai capelli grigi, anch'essa cosa comune, tuttavia quegli occhioni azzurri erano ben degni di nota. Lo colpì principalmente per la tristezza e la malinconia che emetteva il suo sguardo, che l'avvolgeva come una sorta di mesta aura; ad Akira non piacque per niente, non riuscì a spiegarsi il motivo ma si sentiva un groppo allo stomaco a guardarla, per amor del cielo, quella ragazzetta gli stava facendo venire voglia di piangere! Era probabilmente tutta la tensione accumulatasi dall'attacco del mostro fino a quel momento, ma che diavolo! I suoi denti fecero a pezzi la caramella, che fu ingoiata immediatamente, prima che Akira stesso cominciasse a fare un passo dopo l'altro verso la ragazza. Gli aveva messo un terribile disagio addosso, probabilmente senza nemmeno rendersene conto, e lui avrebbe fatto qualcosa al riguardo.
Oi.Una volta giunto in prossimità della ragazza fu lesto a richiamarne l'attenzione nel modo meno scortese che conosceva; perché poi stava facendo questo? Darsi tanto sbattimento per quello che un'estranea stava passando? Boh, in tutta onestà non lo sapeva nemmeno, non gli piaceva semplicemente che fosse triste in quel momento e dunque aveva deciso di agire, poiché questo era Akira: estremo menefreghismo, ma anche atti di insospettabile sensibilità quando gli girava bene.
Non hai un'aria allegra. Tieni, quando sono giù mangio queste e mi calmano, magari con te è lo stesso.Akira le tese il sacchetto di plastica che conteneva ancora una buona metà dei confetti alla menta, grandi quanto una falange, oltre che gli involucri scartati di quelli che lui stesso aveva già mangiato; provvide a spostarne un po', in modo che l'altra potesse prenderne una senza farsi strada tra le cartacce. Che la ragazza avesse accettato la sua offerta o meno, Akira avrebbe continuato a parlare con tutta la poca delicatezza che lo contraddistingueva.
Non conosco le tue circostanze, non sono affari miei dopotutto, però ho visto che sei triste e non mi piace; pensa che a breve ci sarà il momento della verità, prova a concentrarti sull'esame e su tutti i modi in cui puoi passarlo, fa simulazioni di possibili scenari nella tua mente, non lo so, qualsiasi cosa possa distrarti anche solo per un momento. E sì, non è per nulla affar mio, sei libera di fare le facce che vuoi, però spero che darti un istante di sollievo possa aiutare per... tutto.Concluse il discorso facendo le spallucce, quasi a voler togliere importanza a quello che aveva detto, ma dopotutto Akira stesso non aveva troppe speranze su reazioni positive della tizia: era arrivato con la delicatezza di pugno sui denti e aveva detto esattamente quello che pensava senza trattenersi, era legittimo che la ragazza sbroccasse e iniziasse ad insultarlo, ma anche quello gli andava bene considerando che la rabbia era produttiva e lui stesso non aveva nulla da fare in attesa dei sensei, poteva anche fare in modo che la ragazza sfogasse un po' d'ira.
Per amor del cielo, quei maledetti esaminatori quanto tempo ci stavano mettendo!