| Nel suo piccolo, Kacchan non era granché convinto del giusto approccio che aveva suggerito. Probabilmente, pensava, aveva esagerato e, magari, tutta quella mobilizzazione di esami e valutazioni cliniche non era necessaria, forse erano addirittura superflue, per cui fu per lui un vero e proprio shock percepire la reazione dei presenti, e non solo di quelli presenti nella stanza del vecchio Mitokado.
Si ritrovò, così, ad arrossire al commento di Kiyoko sensei, ma non un rossore tenue e imbarazzato, ma talmente tanto prepotente e spiccato da fargli diventare rosse pure le punte delle orecchie. «Si, vabbè... Alla fine sono procedure di prassi... Anche gli altri le avrebbero fatte....» Cercò di giustificarsi, mettendo in evidenza il fatto che, molto probabilmente, non aveva fatto nulla di speciale. Davvero, lo sapevano tutti come approcciarsi in un caso del genere, quindi perché sorprendersi tanto, no? Giusto? No?
Impietrito dall'imbarazzo, non sapeva bene cosa fare, se dar forma a quello cui aveva detto a voce, e quindi metter mano sul paziente, o attendere solo i Kami sapevano cosa, perciò preferì stringersi il dischetto metallico dello stetoscopio tra le mani, il capo chino, lasciando spazio agli altri specializzandi di darsi da fare. Visto che aveva detto tutto giusto, non doveva esser difficile, per loro, eseguire quelle semplici mansioni... Anche perché, con le mani che in quel momento battevano come bandiere ghermite dal vento, difficilmente avrebbe potuto fare un buon lavoro.
Le griglie emotive dei presenti erano fin troppo vivide per i suoi gusti e, specie quella di Kiyoko-sensei, gli fece venire una gran voglia di tirarsi una padellata sul muso. Ripetutamente. Magari sincerandosi prima che fosse pulita, ovvio. Perché aveva come l’impressione che, quella donna, da lui si aspettava proprio quello, e non perché fosse da lui, da Kacchan, ma perché c’entrava suo cugino. In qualche modo, ne era macabramente certo.
Stava per fare un passo indietro, proponendosi di effettuare le prescrizioni per quelle visite, quando Kiyoko sensei lo anticipò, delegando Naoko che, al suo fianco, si irrigidì, così come il giovane Yamanaka. Con la coda dell’occhio, dritto nemmeno gli avessero infilato un palo su per il retto, Kacchan sbirciò la collega al suo fianco, cercando di studiare le sue emozioni. La sua calma equilibrata vacillò, vibrando di un fastidio che Kacchan aveva già visto, quando si trattava di lui, ma poi, come se nulla fosse, quella vibrazione sparì, ritornando alla calma piatta di un elettroencefalogramma morto. Che fosse un suo modo per schermarsi da lui?
«Nessun problema, Kiyoko-sensei. Lo faccio subito.» Il timbro con cui Naoko pronunciò quelle due semplici parole gli parvero quasi sepolcrali, facendolo rabbrividire lungo la schiena. Brutto segno, pensò, mentre la seguiva con lo sguardo, osservandola uscire e afferrare la cartella clinica infilata nel supporto di metallo fuori dalla stanza del paziente, per poi rivolgersi alle infermiere li vicino.
Non ascoltò minimamente la spiegazione della donna, preso com'era a scrutare la sua collega. Era la più brava del corso, decisamente molto meglio di lui, e, tra l’altro, lui era l’ultimo arrivato del gruppo, il pivellino, quindi non trovava giusto che fosse Naoko ad espletare quelle mansioni... E poi era preoccupato dalla reazione della ragazza. Temeva che, in qualche modo, ce la potesse avere con lui per quello che era successo...
Incurante della spiegazione che Kiyoko-sensei stava effettuando, scivolò cautamente lungo il muro, uscendo dalla stanza senza dare troppo nell'occhio, arrivando alle spalle della ragazza che, dietro la porta, era intenta ad ultimare la compilazione di alcune schede sulla cartella clinica del paziente.
Bene, ed ora come cominciare il discorso? Schiarendosi la gola, imbarazzato, affiancò la collega, sentendosi ulteriormente a disagio anche per il dislivello d’altezza che c’era tra loro. “Santa Inari, ma c’è qualcosa per cui non mi senta a disagio? Porca di una miseria laida...” «Ehm, allora Naoko... Tutto ok?» «Certamente. Perché non dovrebbe?» Domandò, senza distogliere l’attenzione dalle annotazioni che segnava. «Beh, ecco... Pensavo ci fossi rimasta male... Sai, per il fatto che Kiyoko-sensei abbia mandato te ad effettuare le prescrizioni...»
Teso come una corda di violino, Kacchan si portò una mano dietro la testa, grattandosi nervoso i capelli, senza distogliere gli occhi cobalto dalla figura della collega che, senza batter ciglio, chiuse la cartellina e la ripose nell'applicazione metallica, poggiandovi sopra la mano. Rimase in silenzio per qualche secondo, voltandosi poi verso di lui e, stranamente, il giovane suppose che quel prolungato silenzio fosse fatto di proposito, affinché si innervosisse ulteriormente. “Ok, la cosa non le è andata proprio giù...” «Sul serio. Sono la migliore del corso, conosco a memoria tutti i compendi medici basilari per le funzionalità medico-infermieristiche, e tu mi stai chiedendo se me la sono presa se la sensei mi ha afficato un ruolo da passacarte? Ma li hai visti, gli altri tirocinanti?»
Nonostante il suo tono fosse atono e privo di alcuna inflessione, Kacchan colse tra le righe una certa saccenza da parte dell’Aburame che, piazzatasi di fronte a lui, dava deliberatamente le spalle alla sala dove i loro compagni stavano ascoltando la spiegazione. «Sono pesci fuor d’acqua, a mala pena sono riusciti a seguire le procedure che hai descritto qualche minuto fa e, temo, alcuni probabilmente non hanno nemmeno idea di che tipo di esami tu stessi trattando. Era inevitabile che la sensei chiedesse a me di trascriverle e riferirle al personale, per preparare gli esami richiesti. Ti immagini cosa sarebbe successo, se l’avesse fatto uno di quelli?»
Kacchan non poteva vedere gli occhi della ragazza, nascosti com’erano dagli occhiali dalle lenti tonde e scure, ma sicuramente fiammeggiavano, indignati per quella mancanza di competenza da parte di quelli che sarebbero dovuti diventare i futuri medici di Konoha. Ovviamente, tutto questo Kacchan lo poteva solo intuire, perché, come solito da parte di Naoko, il suo timbro di voce non faceva trasparire nulla di qualsivoglia emozione. «Oh, bhe, effettivamente....» Non che potesse dire altro. Naoko non aveva tutti i torti e, stando alle griglie emotive dei ragazzi li dentro, effettivamente manifestavano un certo disagio, dovuto all'inesperienza e all'insicurezza.... «Magari erano solo in ansia, può capitare...»
Provò a giustificarli, in qualche modo, ma la ragazza, mantenendosi ferma e ostinatamente silenziosa, fece capire allo Yamanaka che no, era irremovibile sotto quel punto di vista. Alla fine, esasperato, il ragazzo sospirò, incurvando le spalle. «Temevi potessi avercela con te?» «Beh, mi sembra ovvio. Hai visto come sono andate queste due settimane, e il commento di Kiyoko sensei ne è un riassunto fin troppo veritiero: se porto a buon esito qualcosa, non se ne sorprendono nemmeno più. Se lo aspettano, che io vada bene in quello che faccio, e perché? Perché sono il cazzo di cugino del primario, per la miseria.... Possibile che non riesca ad ottenere un merito senza che debbano per forza paragonarmi a lui?»
L’aveva detto di getto, senza pensarci troppo su, rendendo manifesto il tarlo che gli pungolava nel cervello da quando aveva iniziato il corso, e si sentì privo di un peso, contento quasi, di aver fatto quella confessione, specie con Naoko che, priva di alcun tipo di tatto o finezza, gli rispose senza troppi giri di parole. «Che puoi pretendere. È inevitabile che ti rapportino a lui: stai lavorando con l'equipe da lui selezionata e formata, con il personale che l’ha plasmato e indottrinato nell'arte medica. Se temi di non ricevere i giusti meriti per quello che fai, allora non avresti mai dovuto effettuare il praticantato qui, non ti pare?»
Fece per aprir bocca, per poter rimbeccare, ma... Dannazione, aveva ragione, anche questa volta, eppure la cosa non lo infastidì, tutt'altro. Sorrise amaramente, alzando le spalle. «Vero. Forse è per questo che mio padre, tempo fa, mi propose di effettuare i corsi a Suna... Diamine, aveva capito già tutto, quel maledetto...» Abbassò lo sguardo, cercando di nascondere gli occhi lucidi, travolto dalla tristezza. Incredibile come suo padre, all'epoca, avesse capito fin da subito cosa avrebbe mai potuto angustiare il suo ragazzo e di come avesse tentato di evitargli un tale fardello. Se non avesse tergiversato, quella volta, magari avrebbe potuto accelerare i tempi, farsi consigliare da lui... Peccato che, purtroppo, l’ultimo assalto subito da Konoha glielo avesse portato via.
«Ehi. La vuoi una coccinella?» Naoko si era chinata, piazzandosi direttamente sotto di lui, così da poterlo guardare dritto negli occhi, nonostante il ragazzo avesse tentato di abbassare la testa per nascondere il tumulto del suo cuore. Sorrise in maniera dolce amara, scompigliando i capelli della ragazza che, sorpresa, emise un versetto acuto stizzito, portandosi le mani alla testa, per evitare di metter troppo in disordine la capigliatura castigata. «Nah, non serve. Ora mi calmo... E poi è un po’ inquietante, il modo in cui le spacci.... Nemmeno fossero metanfetamine.» «Vero. Ma fossi in te una me la prenderei....» Rispose candidamente, spiazzando il ragazzo e facendolo ridere.
Suo padre era morto, non l’avrebbe più aiutato ad affrontare i problemi che la vita gli poneva d’avanti, e gli mancava terribilmente, eppure doveva andare avanti, superare la perdita e, con essa, trovare la forza per affrontare ciò che lo spaventava. Ormai nessuno l’avrebbe potuto più proteggere, poteva contare solo su di se, per poter sconfiggere i suoi demoni interiori.
Affiancando la ragazza, Kacchan ritornò nella sala, finendo di seguire la spiegazione e fu con un sorriso imbarazzato che accettò il piccolo dono offertogli dalla moglie del signor Mitokado. Peccato non fosse un patito dei dolci, ma per correttezza ne mangiucchiò uno, riponendo gli altri nella tasca della casacca. Glieli avrebbe lasciati a Chiyo, che di sicuro li avrebbe saputi apprezzare molto più di lui.
Il gruppo si spostò, allontanandosi da quel reparto e recandosi in uno che permetteva ai pazienti di rimanere più “appartati”, se così si poteva dire. Sgranocchiava lentamente il biscotto, sperando in cuor suo di non dover effettuare un altro spettacolino come quello fatto dal signor Mitokado. Di sbalzi umorali ne aveva avuti a sufficienza, per quel giorno... Povero fesso.
Capì subito che quella giornata sarebbe finita male, quando intravide il piccolo gruppo appartatosi davanti alla porta che immetteva nella sala dove era stato portato il loro prossimo paziente da visitare. Non fu una consapevolezza immediata, però: dapprima, nel vedere il gruppetto, percepì una strana vibrazione sottopelle, quasi come se qualcosa gli si agitasse dentro, agitandolo. “Calmo, magari è solo la tua immaginazione....” Provava a convincersi, ma più si avvicinava al gruppo composto da Ayumi, Setsuna Hyuga e niente popò di meno che Akane Uchiha, l’Hokage, più percepiva il fastidio crescere dentro di lui, perché il suo sesto senso gli suggerì che, dietro quella porta, steso sul letto, poteva esserci solo una persona. “Dannate Hachi’s Angels....”
Quando, però, riuscì ad intercettare il loro discorso, ebbe la conferma che stava cercando, prima ancora di varcare quella soglia. «Te l’avevo detto, io, che ti serviva una coccinella.» Nel sentire Naoko sussurrargli al suo fianco, Kacchan volse la testa verso di lei, gli occhi sgranati. «Cosa?! Tu sapevi che saremmo venuti qui?» Pronunciò in un sibilo rabbioso, serrando le dita sul biscotto che aveva in mano, spezzandolo. Per evitare di farne cadere pezzetti a terra, cercò di riprenderlo al volo, stringendolo nella mano libera, ma urtando il tirocinante che aveva avanti. «Kiyoko-sensei ci aveva informato che avremmo fatto visita a qualcuno di “speciale”, ma non ero poi granché certa che fosse lui...»
Cercando di trattenere un imprecazione, Kacchan non aveva più voglia di continuare quel giro visite, ma sfortunatamente la fiumana di tirocinanti lo costrinse a proseguire, spingendolo così nella sala in cui avevano sistemato suo cugino Hachi. Disteso sul letto, con lo schienale reclinato, c’era una sua versione più adulta e decisamente molto più acciaccata.
Nonostante il fastidio che provasse nel ritrovarsi nella sua stessa stanza, il giovane Yamanaka non poté fare a meno di domandarsi come diamine avesse fatto a ridursi così: pallido, pieno di lividi ed escoriazioni, aveva una grossa fasciatura che gli ricopriva la spalla e buona parte del busto. Stando a quello che aveva sentito di sfuggita da parte di Ayumi, aveva delle costole incrinate e la spalla perforata da parte a parte.
“Non è tuo cugino. Non è quel cazzone, è solo un paziente. Trattalo come tale.” Si, come no, difficile riuscire a nascondere il suo fastidio, ma se voleva diventare davvero un medico, doveva riuscire a superare discordie e pregiudizi, trattando chiunque gli capitasse sotto tiro in egual misura. E questo pensiero, almeno in parte, lo calmò, ma quando sbirciò da sopra la spalla di Naoko, intenta a leggere ad alta voce la cartella clinica del paziente, non riuscì ad evitare di stritolare ciò che rimaneva del biscotto, ancora chiuso nella sua mano.
La cartella che raccoglieva tutte le informazioni riguardanti suo cugino, comprese le nuove terapie a cui era stato sottoposto per quella nuova seduta, erano state trascritte con doviziosa perizia, prive di errori e con una completezza tale da rasentare la perfezione. Ed era l’unica cartella clinica che, da quando aveva iniziato il tirocinio, risultava così perfetta. Nessuno degli altri pazienti sembrava aver mai subito un simile trattamento. Perché diamine tutta questa differenza? Solo perché lui era il fottuto Primario, meritava una sorta di trattamento privilegiato? Cos'è, gli altri pazienti non si meritavano un’accuratezza e un approfondimento di tale entità?
Se lo sentiva, avrebbe fatto qualche stupidaggine, in quella stanza, così preferì rimanere a ridosso del muro, vicinissimo all'uscita. Somigliava ad un uccellino spaurito, pronto a spiccare il volo alla minima avvisaglia di pericolo. E, proprio come un animale in trappola, non staccava gli occhi da suo cugino che, in tutto quel parapiglia generale, sembrava davvero a disagio. Forse non gli piaceva fare la parte del paziente?
Sibillò, stizzito, notando come Naoko, che era alle prese con le fasciature del primario, gli fece un lieve, impercettibile, cenno del capo, facendo uscire una delle sue coccinelle dalla scollatura della sua casacca. “Caccia fuori un’altra di quelle coccinelle, e per quanto è vero che Inari protegge le risaie, te le infilo tutte su per il culo.” “Vivono già all'interno del mio organismo, mi spiace.” “Fanculo.”
«Tentacoli. Piuttosto insolito.» Affermò la loro insegnante, scoprendo il torso del medico, rendendo visibili ai ragazzi lunghe striature violacee, con evidenti segni di abrasione. Accigliatosi, per un attimo il ragazzo mise da parte l’astio che covava in quel momento, per cercare di capire in che razza di situazione si fosse infilato suo cugino, per ridursi in quello stato. E, a quanto pareva, non era l’unico a porsi quella domanda, perché anche un tirocinante davanti a lui, bisbigliando, porse la stessa domanda al suo compagno che, di risposta, gli bisbigliò tutto eccitato, coprendosi la mano con la bocca, per non farsi scoprire. «Ma come, non lo sai? Da quando sono tornati, non si fa che parlare d’altro! Era in missione, in una squadra capitanata dall’Hokage in persona, e sono riusciti a catturare uno di quei Bijuu!» «Cavolo, saranno stati fantastici!» Kacchan raggelò nel sentire quella parola, dimenticandosi di tutto e tutti. Bijuu? Ne avevano davvero affrontato uno?
Con lo sguardo basso, non poté fare a meno di pensare ad un’altra, di missione, per l’esattezza l’ultima che aveva compiuto, risalente a quello stesso autunno: il suo team era stato incaricato di gestire l’evacuazione e la messa in sicurezza di un piccolo centro abitato, situato in una foresta di querce poco distante dal confine. Tutto sembrava procedere senza intoppi, sfortunatamente non si erano resi conto che, tra gli abitanti che stavano scortando in un posto più sicuro, vi era un membro del Kyo Dan. L’uomo, un pazzo fanatico, ne aveva approfittato per sfruttare le vite di quegli abitanti in un macabro rituale, nella speranza di poter chiamare a se una di quelle dannate bestie, Kurama, la Volpe a Nove Code, che già aveva seminato morte e distruzione nel Paese. Assorbendo dei residui di chakra che la belva si era lasciata dietro durante i suoi ultimi attacchi, l’uomo li aveva incanalati all'interno delle sue vittime, creando così delle piccole riproduzioni di quel Bijuu che, sotto il suo controllo, avevano intenzione di divorare quanto più chakra possibile dagli altri abitanti, così da fare da esca per attirare l’originale.
Con non pochi sforzi, insieme alle sue compagne, Chiyo e Natsuko, erano riusciti a mettere in salvo il resto dei civili, mentre il loro sensei, Matsuda Nara, cercava di tenere impegnato il membro del Kyo Dan e quella sua mezza dozzina di piccoli demoni affamati. A quel punto aveva lasciato la protezione dei civili alle ragazze, precipitandosi in aiuto del suo sensei, ed è stato allora che Kacchan commise un madornale errore: per facilitare la cattura dell’uomo, lo Yamanaka, approfittando del non esser stato individuato dal nemico, lo aveva colpito con una delle tecniche segrete tramandate dal suo clan.
Il Capovolgimento Spirituale gli permise di prendere il controllo del corpo dell’uomo quei pochi secondi, sufficienti ad interrompere il controllo mentale che lui aveva con le creature, e permettere al maestro di intrappolarlo con la manipolazione delle sue ombre. E fu allora, quando il collegamento spirituale si spezzò, che avvenne l’irreparabile. Le creature, prive di controllo e senza più un obbiettivo sul quale infierire, erano rimaste dapprima immobili, confuse, ma poi si erano allontanate, lasciando solo Matsuda sensei e Kacchan, privo di sensi. Nonostante il Capovolgimento fosse spezzato e l’uomo del Kyo Dan reso impotente, immobilizzato e privo di coscienza, lo spirito di Kacchan non sembrava esser rientrato nel suo corpo il quale, sotto gli strattoni dell’angosciato maestro, era scosso dalle convulsioni, quasi stesse avvenendo un conflitto interno.
Quello che il maestro non sapeva, ne tanto meno il giovane Yamanaka poteva prevedere, era che il suo spirito stava cercando invano di fermare quelle creature, tentando di disperdere il chakra della volpe legato a quello delle povere vittime, nella speranza di mettere al sicuro gli altri. Forse pensava di esser abbastanza forte, probabilmente si era sopravvalutato, nel tentativo di voler salvare tutti, vittime comprese, e quelle creature decisero di farsi beffe di lui, andando ad infierire proprio su ciò che lui aveva di più prezioso: le sue due compagne.
Quando Kacchan riprese finalmente i sensi, si era precipitato col maestro dalle sue due compagne, che nel mentre avevano condotto gli abitanti al sicuro, in un sistema sotterraneo usato in passato per dei trasporti. Avevano trovato Chiyo priva di sensi, devastata, mentre si teneva le braccia strette al ventre, a coprire una profonda ferita allo stomaco, e Natsuko, poggiata all’ingresso del tunnel, ancora in piedi solo perché la sorreggevano le ossa, completamente pesta e sanguinante in più punti. E, intorno a loro, i corpi esanime delle piccole bestie che, ormai privi del chakra del Bijuu, ritornavano ad assumere le loro sembianze umane.
Fortunatamente venne in loro soccorso una squadra di supporto, che immediata si prese cura delle due ragazze, strappandole alla morte quasi per un soffio. Eppure, la missione era stata un successo: avevano portato a termine l’evacuazione, impedito una strage, fermato e catturato un membro del Kyo Dan, e il tutto con sole sei vittime.
Rifocillatisi ad un campo base, attendendo la ripresa delle ragazze, Matsuda sensei aveva confidato al ragazzo la sua intenzione di proporli per una promozione, per l’ottimo risultato raggiunto. Era stato allora che Kacchan aveva perso la testa, iniziando ad aggredire dapprima verbalmente, poi fisicamente il maestro, venendo fermato solo dall'intervento di alcuni ninja li presenti. Ed era stato per questo che era stato messo in congedo e costretto ad esser seguito da un terapeuta. Disturbo post-traumatico, avevano detto.
“Disturbo un corno.” Pensò, raggelato dal ricordo del passato. Nessuno sapeva che, in realtà, la sua reazione era stata dovuta da ben altro che un banale shock. L’aggressione alle ragazze, da parte delle bestie, l’aveva causata lui, perché nel tentativo di fermarle, aveva permesso loro di scoprire dove si fossero nascoste. E aveva visto tutto, TUTTO, di quello che quelle belve avevano fatto loro. Quindi come poteva, quel deficiente del suo caposquadra, pensare anche solo di promuoverlo! Per colpa sua per poco non le ammazzavano!
Tremante di rabbia, la vista di suo cugino ridotto in quello stato non fece altro che metter benzina sul fuoco. Perché, conoscendolo, si era ridotto in quel modo per salvare i suoi compagni, riuscendoci, per giunta. Ma allora perché quel dannato ci era riuscito, mentre lui no? Perché dovevano esser finite le sue due migliori amiche, in un letto d’ospedale, invece che lui?
La sua griglia emotiva era ormai allo scatafascio, pronta ad implodere su se stessa, segno inequivocabile dell’imminente crisi che avrebbe avuto e che a malapena sarebbe riuscito a frenare. «Perché....» Sillabò a denti stretti, fremente, le braccia tese nello sforzo di mantenersi ancorato al muro alle sue spalle. «Perché diavolo la sua cartella clinica è così perfetta, mentre quelle degli altri pazienti riportano tanti errori o mancanze? Cos'è, vi piace tanto avere pazienti di serie A e serie B?» “No, cazzo, fermati....”
Batté il pugno sul muro con forza, serrando la mano talmente tanto forte che le unghie si conficcarono nel palmo. «Quindi che senso ha perdere tempo con LUI, se tanto l’avete analizzato dalla testa ai piedi, senza tralasciare alcun particolare? Cos'è, una presa in giro verso gli altri pazienti, per cui non dedicate altrettanta attenzione? E TU! TU permetti che si faccia tutto questo? Andatevene tutti un po’ a fanculo.» E, così dicendo, per poco non scardinò la porta, nel tentativo di andarsene.
Non era riuscito più a trattenersi, era scoppiato, riversando la sua rabbia proprio su quell'uomo che tanto odiava. Rabbia e odio che, in realtà, provava per se stesso. E solo perché non poteva essere come lui, forte abbastanza da riuscire a proteggere chi gli stava più a cuore. «Gliel'avevo detto, io, di prendere una coccinella.»
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