Qualcosa gli parve emergere dal nulla.
Gli parve?Sì, era così. Era inequivocabile. Percepiva ancora qualcosa. Con quali sensi, se ormai erano stati soppressi?
Non sapeva dirlo.
Eppure quelle luci erano sempre più vive, così come il rumore soffuso del suo passo, come di scarpe dalla pianta dura che battono su un pavimento altrettanto duro - marmo? Sì, era marmo, lo vedeva adesso guardando a terra. Notò di avere un calice di vino in mano, eppure sentì che quella constatazione non gli portò stupore, come se gli fosse estranea.
Sì, forse iniziava a capire.
Aprì una porta di quel salone scintillante, come se le sue pareti fossero coperte da uno strato d'oro finemente lavorato - lo notava dalla visuale periferica, il suo corpo doveva essere abituato a un simile sfarzo -, uscendo dunque all'esterno
Che fosse realmente ancora vivo?
"
Cosa ti turba?"
Una voce alle sue spalle, dalla sua sinistra. Non lo guardò, camminava lungo quel balcone ipostilo, decorato in ogni modo da piante che sbucavano dalle pareti, dal soffitto, e... la visione da quel balcone.
"
Non lo so, è come se - "
Una visione... magnifica.
"
- è una sensazione simile a quando si prova paura."
Non aveva mai visto nulla del genere.
"
Non so neanche descriverla bene. E'... paura."
Sembrava una città... da sogno.
"
Sei turbato per la morte di Lord Nambaryn?"
"
No, lui aveva fatto la sua scelta. Ci aveva traditi. E ne ha semplicemente pagato le conseguenze."
"
Un ragionamento molto lineare."
"
Quando comandi uomini in battaglia sei costretto a ragionare in modo lineare. Credevo lo sapessi anche tu", e si voltò finalmente a sinistra verso il suo interlocutore, sorridendogli. Sembrava quasi un ragazzo, o comunque un giovane uomo, in uno strano abito esotico. Non che il suo fosse diverso, appurò presto.
"
Sì, ti conosco bene. Ma ultimamente ho come l'impressione che i tuoi ragionamenti stiano diventando un po' meno lineari."
C'era dell'ironia velata sul suo volto. Dovevano conoscersi bene. Lui, invece, presto si sentì quasi risentito da quell'affermazione. Volse lo sguardo al panorama, scosse la testa e diede un sorso.
"
Molti comandanti sono piuttosto scettici per questa tua ossessione di voler continuare il viaggio. Di non volerti fermare qui."
"
- Chi sono?"
Gli parve quasi ci fosse un cenno della più pura ma controllata collera in quella domanda.
"
Sai che non te lo dirò mai."
Lo guardò di nuovo. Non sembrava per nulla intimidito, anzi.
Sbuffò.
"
Eri solo un soldato di ventura, dicono. Un piccolo nobile che ha trasformato le nostre tribù in un impero. Dicono: non ti basta questo?" e gli fece un cenno verso la città.
"
E' naturale che lo pensino. Fin dalle prime vittorie e dai primi barbari saccheggi a cui siamo sempre stati abituati non volevano altro che tornare a casa carichi d'oro. Ma io ho visto il futuro, Dorbai. L'ho visto già mille volte, su migliaia di volti. Le genti vogliono... hanno bisogno, di cambiare. Il nostro maestro si sbagliava. Lord Nambaryn aveva ragione da questo punto di vista - è stata una fortuna, non l'ho mai negato, essere cresciuti sotto la sua ala."
"
- Sento di non seguirti bene."
"
Pensa alla nostra gente - non parlo di noi, pensa alla media dei nostri compatrioti. Spaccano le ossa dei defunti e poi li danno in pasto agli avvoltoi. Svuotano il cranio ai nemici e vi bevono il loro sangue. Si accoppiano in pubblico.
E quanti altri popoli come noi esistono al mondo, non ancora toccati dalla luce?
Tutti loro cosa potranno mai pensare o scrivere se a nessuno di loro è mai detto che si possa fare? Come potranno diventare cittadini, come la gente che abbiamo conquistato, se nessuno di loro sa leggere?
Ma come Aquile, come membri della Grande Armata potranno arrivare là dove non credevano possibile. Dove neanche sapevano fosse possibile. Potranno continuare a fare i soldati o poi darsi al commercio, diventare manovali o entrare nelle accademie che fonderemo... nelle tante città che fonderemo, in ogni dove nei nostri domini..."
Si sentì mancare il fiato. Aveva parlato troppo a lungo, e con fervore. Si riprese.
"
Noi abbiamo la possibilità di collegare queste terre, Dorbai. E i popoli."
"
Qualcuno potrebbe essere scettico su questa tua visione. Potrebbero dire che sia solo un modo elegante, raffinato... per poterli semplicemente assoggettare al tuo volere."
"
Assoggettare? ma noi li abbiamo tutti liberati, dai monarchi che li comandavano e li trattavano come schiavi!
No, Dorbai, c'è molto di più di questo in gioco, ne sono ormai sicuro."
Si prese una pausa. Restò a fissare intensamente la città per un tempo indefinito. Poi si spostò più su, verso la linea d'ombra oltre l'orizzonte.
"
Liberare i popoli. Renderli tutti parte di una stessa realtà. Capisci Dorbai, noi possiamo veramente costruire... un Nuovo Mondo. Qualcosa che oscurerebbe per sempre qualunque altra opera umana che sia mai stata fatta.
Un'impresa degna -"
Ci pensò un po'.
"
- di quegli Angeli che sono i veri amici dell'uomo."
Dorbai gli parve avesse capito a chi si riferisse. Qualche strano Pantheon? Possibile.
"
Ricordi cosa ci diceva il maestro? Lui li considerava dei Demoni."
Silenzio.
"
- Forse sono la stessa cosa."
"
Ricorda anche il fato di quegli esseri, allora. Sono condannati a soffrire immensamente."
"
Ah, tutti quanti abbiamo sofferto e soffriamo. Ma alla fine, quando giungi alla fine dei tuoi giorni, la sola cosa che importa è solo e soltanto quello che hai fatto."
Avvertiva tutta la forza di quei pensieri. Come se - nel corpo, nella testa che lo ospitava (era giusto dire così? - forse, non sapeva dirlo) - fossero qualcosa dal sentore dell'ineluttabile. Un'idea fissa, costante, un pensiero lancinante.
"
- Ma cosa vuoi fare esattamente, Ganshuk?" sentì chiedere Dorbai dopo un po', con una voce strana. Dubbiosa forse, ma c'era anche dell'altro.
"
Che cos'hai in mente?"
Che fosse preoccupazione? Ma quelle idee, quei dubbi, li sentiva schiacciati dalla forza dei pensieri del suo ospite, che crescevano sempre più, man mano che il suo sguardo vagava oltre l'orizzonte. La loro forza, il loro ardore era tale che si sentì quasi annullato. Come se si stesse per annullare sempre più, secondo dopo secondo.
"
Creeremo questo Nuovo Mondo. Siamo ancora al principio, Dorbai. E' solo il principio. Lo porteremo fino ai quattro angoli del mondo, perchè tutti ne possano godere. E, su ogni angolo che toccheremo, faremo erigere un grande altare - "
Lo sentiva, il calore di quelle parole. Nella condizione in cui si trovava, avvertiva il tepore, la pienezza, il fulgore di quei pensieri. Ma, preservando parte della sua identità, al contempo... ne aveva paura.
"
Per far sì che chiunque passi mai da lì possa vedere nel corso dei millenni... che i Titani!" e la pronunciò serrando i denti, come fosse il ringhio di una bestia adirata: "
- sono arrivati fin laggiù."
Lui non lo sapeva - non poteva saperlo, col suo sguardo rivolto all'orizzonte -, ma fu forse in quel momento che a Dorbai venne per la prima volta quel pensiero. Si conoscevano da quando erano bambini, loro così come tutti i membri della Punta, ma solo adesso capì come il suo spirito greve e superbo stesse fantasticamente plasmando gli eventi degli ultimi anni.
Era il suo migliore amico. Erano legati da un patto di sangue. Gli voleva bene, e gliene avrebbe sempre voluto, fino alla fine dei tempi. Ma solo allora sentì di aver capito la reale natura di quel suo sguardo così enigmatico - incredibilmente magnanimo con gli amici, quanto spietato e terrificante coi nemici; la reale natura di quegli occhi azzurri e penetranti, come se potessero congelare chi li guardava.
Erano gli occhi dell'Aquila. Gli occhi di un tiranno.
Accadde troppo in fretta. Quel mondo fu sottratto al suo sguardo, ogni cosa fu sottratta ai suoi sensi. Lo soppiantò un'unica sensazione. Fatica. Ansia. Rabbia. Erano più sensazioni tutte condensate in un unico stato d'animo, ma presto sentì quelle speculazioni, quelle forme delle cose - anche astratte, come le sensazioni - svanire improvvisamente, come non fossero mai esistite.
Lungo la vasta e desolata prateria del veldt, Guarda-la-Luna correva a perdifiato, come mai aveva fatto in vita sua, neanche quando fuggiva dai leopardi. C'era qualcosa che lo sospingeva in quella corsa, una nuova forza che lo rendeva l'ombra dell'essere che era stato sino a quel momento. Aveva un braccio più pesante dell'altro, si rese conto: vedeva un oggetto stretto da una delle due mani comparire e scomparire dal suo campo visivo, insieme alle forti braccia pelose. Era un oggetto, su questo pochi dubbi, pressappoco cilindrico, ma una qualità simile era un pensiero ben oltre le sue capacità di astrazione. Davanti a lui, del tutto incurante della sua corsa, pascolava un branco di facoceri. Uno di loro distava ormai pochi metri, nella retta d'azione della sua corsa. Era un individuo giovane e stupido, anche in base all'esiguo metro dell'intelligenza dei facoceri. Pur avendo osservato Guarda-la-Luna con la coda dell'occhio, lo prese sul serio quando ormai era troppo tardi - in fondo, perchè mai avrebbe dovuto sospettare una qualsiasi cattiva intenzione da quelle creature così innocue? Continuò a strappare erba finchè gli occhi non gli uscirono dalle orbite, sospinti dall'impatto dell'osso col cranio in frantumi e privandolo di ogni barlume di coscienza.
Il resto del branco continuò a pascolare senza allarmarsi, poichè l'uccisione era stata fulminea e silenziosa. Quel loro stupido e sfortunato membro era morto senza emettere un suono. Il resto della tribù si stava cautamente avvicinando, provando una sensazione vaga. L'antenata dell'inquietudine.
Ma tutto ciò al momento non era nei pensieri di Guarda-la-Luna. Quando aveva sollevato il braccio, scostando l'osso da quanto restava del cranio del facocero, provò un piacevole senso di potenza e autorevolezza. Non che non ci fosse abituato coi membri della sua razza, ma raramente gli era capitato di provarlo con un essere finora considerato invincibile dai suoi simili, e dai lui stesso, fino a poche ore prima. Quelle sensazioni lo investirono così intensamente che iniziò a ripetere il gesto, e con tale ferocia che il branco a quel punto non potè più ignorarlo. Ma ciò a Guarda-la-Luna non importava. Non da quando la sera prima aveva avuto quel sogno. Aveva sognato un pacifico gruppo familiare che differiva per un solo aspetto dalle scene a lui note. Il maschio, la femmina e i due piccoli erano ingozzati e satolli, con la pelle liscia e lustra... e quella era una condizione di vita che Guarda-la-Luna non aveva mai neanche immaginato. Non che la sua fosse male, in fondo: la sua avanzatissima età di venticinque anni spingeva molti individui delle tribù nemiche a ritenerlo praticamente immortale, e questa longevità non era un caso; era un gigante di un metro e sessanta, e sebbene fosse assai denutrito pesava quasi sessanta chili. Sarebbe campato probabilmente altri dieci anni, se il fato lo avesse assistito.
Ma quel sogno, quella visione aveva cambiato qualcosa in lui, seppur non ne potesse essere consapevole. Mentre sedeva al mattino all'imboccatura del rifugio, vedetta per tutti coloro che lo seguivano, aveva sentito dei lievi e costanti fremiti mai provati in precedenza. Era una sensazione vaga e diffusa.
Non aveva la benchè minima idea di cosa fosse, nè di cosa la causasse, nè tanto meno come potesse farla cessare, ma l'insoddisfazione e lo scontento per la propria vita lo avevano ormai catturato, lo avevano stretto nella loro morsa.
E così, ora li stava liberando tutti a ogni colpo, a ogni urlo che adesso cacciava a ogni colpo. Muovendo, a ogni colpo, un piccolo passo per tutta la sua gente. Quando si sentì stremato, il suo corpo lo indusse a riprendere fiato. Era completamente imbrattato di sangue, e davanti a lui giaceva solo una carogna irriconoscibile. Il resto della tribù tutta intorno, con ammirato stupore. Di lì a poco, uno di essi si avvicinò a Guarda-la-Luna, chiedendo di poter prendere l'arma. Guarda-la-Luna gli cacciò un ringhio terrificante, ma si sentiva ancora troppo stanco per punire a dovere la sua presunzione. Dopo alcune timide insistenze, quello riuscì a leccare l'osso. Era qualcosa che Guarda-la-Luna aveva già capito da un pezzo, ma ora se ne stava rendendo conto tutta la tribù che man mano si avventava sulla carcassa macellata: ora sapevano che non avrebbero più sofferto la fame.
Ma era ancora troppo in estasi, troppo infervorato da quanto accaduto per sentire fame. Era qualcosa che non avrebbe mai detto. Ma i flussi degli eventi sanno essere imprevedibili. In fondo, quanto aveva visto e fatto - e quanto ancora avrebbe avuto da fare -, la nascita di quell'affascinata esasperazione che aveva contribuito ad accrescere a dismisura la sua tormentosa, eterna fame, non erano altro che una causale conseguenza di una serie di contingenze che stavano avvenendo anche in quel momento nel suo cervello. Gli atomi stessi del suo cervello si aggregavano impercettibilmente in nuove formazioni, e se egli fosse sopravvissuto queste sarebbero divenute eterne, poichè i suoi geni le avrebbero trasmesse alle generazioni future.
Sarebbe stato un processo lento e tedioso, ma i flussi degli eventi sanno anche essere pazienti.
E Guarda-la-Luna non lo poteva sapere. Ripresosi dalla fatica, ancora preda della sua estasi di potenza, ora correva per il veldt, imbrattato di sangue dalla testa ai piedi, libero, con l'osso in mano, ringhiando come un demonio urlante. Raggiunse la mandria di facoceri, ma questi appena lo videro scapparono dal sua furia. Nessuno poteva ora dargli problemi laggiù. Seppur in maniera rozza e primitiva, in quel momento si sentiva il padrone incontrastato del mondo. Forse ora neanche i leopardi avrebbero potuto contrastarlo. Chissà, avrebbe dovuto ben organizzarsi col resto della tribù - nonostante quel sentimento crescente in lui, preservava ancora il giusto raziocinio. E neanche Pelo Bianco, il terribile capo-tribù oltre il fiume, avrebbe ora potuto molto contro di lui - come avrebbe mai potuto opporsi al Titano che era diventato. Lo avrebbe sconfitto e si sarebbe saziato della sua carne, forse così avrebbe acquisito le qualità di un guerriero tanto formidabile. Un pensiero astratto così eccelso non fece altro che accelerare ancor più la sua corsa delirante. Si lanciò in aria con il salto più libero di tutta la sua vita, e quando fu a mezz'aria scagliò titanicamente il suo rampone contro ogni cosa lo avesse mai privato di quella libertà sino a quel momento.
In quegli istanti lo sguardo gli si soffermò brevemente sul cielo del primo mattino. Quella strana faccia spettrale era ancora visibile. Sebbene non potesse ricordarlo, quando era stato molto giovane Guarda-la-Luna aveva cercato più volte di toccare quello strano oggetto che saliva ogni tanto nel cielo.
Non vi era mai riuscito, ma sapeva ormai bene perchè. Non aveva mai trovato un albero abbastanza grande sul quale arrampicarsi. Eppure in quegli istanti era convinto che ce l'avrebbe fatta. Che col suo salto, sarebbe arrivato a prenderla.
Che sarebbe arrivato laggiù. Ciò ovviamente gli era impossibile, poichè a lui mancavano le ali, ma questo non riuscì ad arrivare a pensarlo.
Riuscì a fermarsi allo step precedente, dopo appena tre o quattro minuti di finissima speculazione filosofica. Chissà dove avrebbe potuto mai trovare un albero tanto alto, pensò. Non aveva ancora saziato la sua fame corporea, che essa era già prematuramente passato ad altro.
Quando abbassò di nuovo lo sguardo, notò che qualcosa era cambiato. Un ambiente oscuro, azzurrognolo, una luce tenue e rossastra all'orizzonte. Come quando si preparava a uscire dal rifugio. Come se il tempo fosse tornato di un paio d'ore indietro, ma lui ancora non aveva idea di cosa fosse il tempo. In lontananza, vide una strana sagoma. Raccolse immediatamente l'osso davanti a lui, ma presto vide che non si era accorto della sua presenza. Forse non gli interessava, come poco prima ai facoceri. Maledetto! Quell'essere indefinito avanzava nel veldt praticando buchi nel terreno. Usava uno strano oggetto, simile alla sua arma, ma con una mossa particolare da ogni buco creava una scintilla. E con un altro strano strumento, traeva fuoco dalle rocce che qualcosa, o qualcuno, aveva collocato in quel posto, buco dopo buco. Guarda-la-Luna lo vide proseguire, ma presto si rese conto di non essere solo. Al seguito di quell'essere, si spostavano una schiera di esseri simili a lui. Non riconosceva nessuno della sua tribù, ma d'altronde avrebbe dovuto annusarli per riconoscerli bene. E al momento non aveva la minima idea di cosa gli stesse accadendo. Li vide spostarsi, alcuni con la testa china, altri no, e frattanto alcuni di quelli a testa china raccoglievano delle ossa da terra. Si spostavano vacillando nella luce lieve di quell'alba come meccanismi a orologeria, in modo tale che parevano frenati da una prudenza e una cautela che avevano un che di artificioso, che non erano reali di per sè. E così avanzavano uno dopo l'altro seguendo quella traccia di buchi lasciati da quella strana entità, traccia che non sembravano una ricerca di continuità, quanto piuttosto la verifica di un principio; un sigillo di sequenze e causalità, come se ognuno di quei buchi rotondi e perfetti dipendesse da quello che lo precedeva, in quella prateria dove stanziavano solo le ossa, i cercatori di ossa e quelli che non le cercavano.
E quando tutti ripresero ancora il cammino, Guarda-la-Luna vide il cielo cambiare ancora. Dava ai suoi occhi delle sensazioni simili a quelle che provava osservando il corso del fiume. E la pallida faccia del firmamento parve anch'essa mutare forma ai suoi occhi. Le grandi cateratte di un mondo di meraviglie gli si stavano spalancando, e in quelle selvagge fissazioni che avrebbero portato il mondo a piegarsi - o a doversi adattare - alla sua volontà, a due a due vide fluttuare in quel cielo infinite processioni di esseri mostruosi che parevano chiamare la nuova furia dei suoi colpi. Ma da quella distanza non avrebbe mai potuto abbatterli col suo osso. Gli sarebbe servito qualcosa di diverso. Soprattutto perchè, prima che il suo mondo venisse avvolto completamente dalle acque, riuscì a capire come, in mezzo a tutti quegli esseri, stanziasse ora un grande fantasma incappucciato, simile a una collina di neve nell'aria.
Possibile che non fosse morto? E, soprattutto, possibile riuscisse ancora a pensare?
Che fosse divenuto realmente un tutt'uno con quelle immagini, che gli giungevano, ancora una volta, dai tempi remoti di... non sapeva ben dire se quanto stava pensando potesse essere la tesi corretta.
Ma soprattutto adesso, abbandonando il corpo di quello scimmione, quella sensazione attorno a lui sembrava non essere scemata. Era come se fluttuasse nell'acqua. Come un peso morto privo di vita. Possibile?
Poi qualcosa lo turbò. Una fonte immane di energia che si espandeva introno a lui, e, tra in mezzo a quell'intricato ordito, quello che pareva essere il suo cuore pulsante. Pulsava, come fosse un cuore. Un chakra straordinario, primordiale. Qualcosa che ricordava bene.
Ricordare?Era dunque davvero...
I sensi stavano tornando gradualmente ad attivarsi lo avvertiva ad ogni istante. Così come ora riusciva ad avvertire un certo senso di vertigine, e una leggera pressione alle spalle. Era come se qualcuno... lo stesse sventolando. Letteralmente.
Gli occhi spalancati, di colpo. Si girò di scatto, con gli occhi inferociti e le dite poste a uncino come fossero realmente dotate di artigli, ed emettendo un grido che a terra, con le onde sonore libere di propagarsi in un mezzo a loro più congeniale, sarebbe apparso simile a quello di un gatto a cui era appena stata tirata la coda.
Raiona Kamat, che cazzo ci faceva lì! Che cazzo ci facevano loro due lì, anzi!
Aveva vagamente constatato quella serie di bolle e di gorgoglii che avevano preso il posto della sua voce, ma ci avrebbe fatto caso solo dopo qualche secondo; solo dopo aver ripreso maggior lucidità e aver placato il suo scatto d'ira. Sentiva vagamente i suoi pensieri.
Che cazzo di luogo era mai quello?
E non solo, a quanto sembrava. No, un pensiero alla volta. Si voltò verso Raion e gli fece un cenno col pollice dicendogli che era tutto a posto. Che aveva capito le sue buone intenzioni.
Poco lontani, l'Hokage, Kinji Uchiha e Chiaki Hyuga. Era come se fossero stati catapultati in un anfratto oceanico cosparso di energia. Non sembrava avessero problemi a respirare. Anzi: di respirare non ne sentivano assolutamente l'esigenza.
Che cazzo stava succedendo?
Calma. Doveva ricordare. Ricordava vagamente quegli strani esseri usciti da quella statua, a cui non aveva opposto la minima resistenza. E, forse, questi li avevano fatti catapultare in un altra dimensione. Buffo. Ci si stava abituando. Anche se ora era diverso.
Il corpo era suo, non c'era dubbio - per quanto potesse parlare di corpo. E attorno a lui vedeva solo gente che conosceva - che conosceva direttamente, nella vita reale intendeva.
Certo che quel posto... era stupefacente, si disse. Una meraviglia paragonabile alla grande città di cui Ganshuk, a quanto pareva, era diventato il sovrano. Di nuovo quei pensieri. Che cazzo significavano mai? Stava posticipando un nuovo confronto con Akamatsu da troppo tempo. E lui non l'aveva più cercato.
Ma calma, si disse, un pensiero alla volta: non poteva permettersi di lasciarsi sviare oltremodo al momento. Se era davvero sopravvissuto, non doveva pensare a altro che cercare di uscire da quel posto chiaramente al di fuori dalla loro dimensione.
E di nuovo quella pulsazione. Una decina di metri al di sotto di loro, quello che pareva il fulcro nevralgico dell'intera... struttura? Non sapeva come chiamarla. Una struttura naturale, meravigliosa. Basta, un pensiero alla volta.
Si avviò verso il fondale con cautela, avvicinandosi a quello strano oggetto; pois i fermò a tre metri da lui, esaminandolo meglio con ogni senso avesse a disposizione. Chissà che non avrebbe scoperto qualcosa, esaminandolo più da vicino.
- Sensitivo "Chi possiede questa'abilità è in grado di percepire la presenza e, in caso, il chakra, di coloro presenti in un certo raggio d'azione. Quest'abilità è in parte passiva, infatti è sufficiente possederla per percepire le presenze vaghe e indistinte. Si riuscirà a distinguere il numero delle presenze e la loro direzione, ma non la distanza da sé e in generale la posizione precisa. Per ottenere una visione chiara di ciò che si ha intorno, sarà necessario concentrarsi per qualche tempo. A questo punto l'abilità risulta attiva; in questo stato è possibile conoscere la posizione precisa di tutte le creature dotate di Chakra nel proprio range d'azione e inoltre, sarà possibile associare i chakra a quelli delle persone che si conoscono o che comunque si ha già avuto modo di esaminare. Il ninja che ha attivato il Sensitivo può individuare qualsiasi fonte di chakra, anche la più debole, ragion per cui può conoscere il punto in cui è stata piazzata una trappola a base di chakra, il cui segnale è piuttosto statico e debole per cui non richiede grande concentrazione.
- Nella modalità attiva è possibile individuare istantaneamente tutte le persone nascoste (indipendentemente dal livello di Nascondersi o di Sensitivo), tuttavia sarà impossibile individuare persone che riescono a celare in qualche modo il proprio chakra (es. tramite abilità Controllo chakra superiore, tecniche, attivazioni, direttive del master, etc...) . risulterà impossibile anche distinguere una Genjutsu dalla realtà una volta che si è sotto il suo effetto. Le azioni morte effettuate mentre si mantiene attiva l'abilità ripristineranno solo metà della Stm prevista per lo sforzo del mantenimento.
- Al Lv.2 sarà possibile individuare l'abilità "Sensitivo" altrui, ma solo se diretta verso di sé o nelle immediate vicinanze."
Liv 2: 1 turni necessari all'attivazione, 4 chilometri di range