余波 Yoha - Il segreto rivelato e il lascito degli eroi, Hakurei, Setsuna Hyuga, Arashi Uchiha - Sessione autogestita #4

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view post Posted on 24/3/2018, 21:56
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Stava soffrendo per colpa sua. E anche la ragazza abbandonata a quel pianto disperato, a briglia sciolta, per quanto gliene importasse - sì, un po' gliene importava ormai, a chi voleva prendere in giro. E anche a Himistu, ancora tra le sue braccia, con la testa reclinata sul petto della sorella.
Forse il gatto si sarebbe mosso in ogni modo, questa era un'ipotesi piuttosto forte... ma restava, appunto, solo un'ipotesi. Uno scenario, appunto, rimasto ipotetico, fossilizzato dallo svolgersi degli eventi, privo di significato. Contava solo ciò che era accaduto, e ciò che era accaduto era questo: Matatabi dormiente tra le montagne, pigro e svogliato, il loro - il "suo" - avvento tra quelle montagne, il risveglio di uno stimolo, di un proposito, di un Desiderio, e tutto era avvenuto di conseguenza.
Che altro c'era? Non c'era altro.
Ogni vicenda, ogni vita non era altro che l'insieme di una serie di avvenimenti passati, non futuri, nè tanto meno ipotetici.
Era stato lui. Li aveva uccisi lui. Stavano soffrendo a causa sua.
Per colpa sua? Se la si voleva vedere in tal senso...
E, in quei momenti, dove quegli stessi avvenimenti non erano altro che un mondo in divenire, a dire il vero, non ci aveva pensato più di tanto.



Era davvero una persona tanto cattiva?



Una voce alle sue spalle. Si girò, restando ancora chino in quella posizione, la sua mano ancora stretta da quella di Setsuna, ancora sulla sua spalla.
Sembrava si stesse riprendendo, forse non ce n'era più bisogno, ma sarebbe stata lei a deciderlo.
Erano circondati dalla folla. Non ci aveva fatto caso. Quell'orda di bestie da macello si accalcavano intorno al loro agnello sacrificale, al pegno pagato per placare l'ira dei loro dei. L'uomo basso, tarchiato, dall'aspetto stravagante, doveva essere una figura importante del villaggio da come parlava - sì, le parole di Arashi Uchiha glielo stavano confermando.
Certo, non poteva andare diversamente.
Possibile.
Più che possibile.
Ma lui non sapeva. Lui non c'era. Lui non l'aveva visto.
Non poteva capire.
Abbassò lo sguardo a terra, per qualche secondo, senza provare alcunchè. Almeno, così gli sembrava. Che non provasse alcunchè.
Rialzò lo sguardo su quel maiale, ora così smanioso di offrire a posteriore il suo tributo ai suoi salvatori - lui, come tutta la massa informe, coperta di polvere e cenere, lorda e puzzolente - e li fissò tutti quanti, sommariamente, come si fissa qualcosa di inutile.
Quel Yoshi Maneko sembrava il loro miglior rappresentante possibile. Una simile cittadina, piena di deboli e nata dai deboli, quel villaggio sarebbe durato poco ancora: un'altro po' di disordini, come quelli che aveva sentito imperversare per tutto il Continente ormai, ed ecco che un'orda di banditi sarebbe giunta alle loro porte, sgozzando gli uomini, stuprando le donne e i bambini e schiavizzandoli, magari.
Non vedeva molte alternative al loro destino, vedendoli così, ora, cinti in quell'aura di vergognosa passività che la loro condizione gli spettava. Bestie da macello, nulla più. Carne allevata col solo scopo di nutrire chi avesse avuto la forza di farla propria, il potere di prendere in mano la propria sorte - quello che a loro, inevitabilmente, non sarebbe mai stato concesso.
"Aspetta" esordì, non appena vide Arashi Uchiha allontanarsi di qualche passo nella direzione da cui erano giunti.
"Vengo a darti una mano."
Ebbe un momento di esitazione, subito dopo. Guardò Setsuna. Avvertiva la stretta della sua mano ormai inesistente, e lo interpretò come un segno che ormai era tutto apposto. In un certo senso, almeno. Che poteva continuare anche da sola adesso.
"Penserò io alla bambina, voi andate."
Un ulteriore segnale, inequivocabile. Strinse le labbra e le portò un debole cenno di assenso.
"D'accordo... torniamo subito" e lasciò definitivamente la presa, iniziando a farsi strada tra la folla informe e ripugnante.

Si fecero largo con relativa facilità, e si avviarono dunque per le strade di quanto restava di Kawagoro. Fianco a fianco, silenziosi.
"Mi sbagliavo, a quanto pare."
Una considerazione spontanea, naturale.
"Sei riuscito a proteggere questo mondo da se stesso... e a proteggere anche ciò che stava a cuore a Yuzuki."
Qualche istante di silenzio, senza guardarlo. Gli dava l'impressione che avesse ancora bisogno di elaborare quella situazione, o le sue parole, non sapeva dirlo.
"Già...tutto, tranne forse la cosa che gli stava più a cuore."
Aveva un'espressione strana, non sapeva come definirla. Non lo conosceva in fondo, che ne poteva sapere? Si limitò a serrare le labbra e annuire debolmente, ben cosciente riguardo a cosa si stesse riferendo.
"Per quello che ho potuto intuire, la bambina doveva essere collegata in qualche modo all'arma di confinamento di cui parlava. Forse la sua protezione non sarebbe dipesa da te, purtroppo."
Vide dipingersi sul volso del suo interlocutore un sorriso amaro.
"No, probabilmente non sarebbe comunque dipesa da me...conosco i miei limiti, ma ogni tanto non sarebbe male provare a superarli.
Non era questo il caso né il momento...ci ho provato, non mi ha detto bene.
"
Silenzio.
"Non pensavo saresti tornato vivo da quella montagna, cosa vi è successo?"
Si prense una pausa per rispondere. Poi abbozzò un mezzo sorriso freddo, guardando avanti lungo la loro strada.
"Bhe, neanch'io."
Tornò su Arashi.
"Diciamo che... lo abbiano trovato lì. Addormentato. E spocchioso e altero come l'hai visto tu, borioso come chiunque si senta onnipotente e superiore a tutto. Abbiamo provato ad assecondarlo e... siamo stati fortunati, nulla di più" concluse, con una mezza smorfia su un lato della bocca.
Cos'altro avrebbe potuto dirgli? Nulla, nella maniera più assoluta. In fondo, quanto aveva detto corrispondeva alla Verità. Erano stati fortunati, su questo non c'era dubbio. Non l'aveva tradita. L'aveva al più dissimulata, celata in alcuni suoi aspetti.
"Sembri quasi deluso...forse non era così intelligente come lo credevo io - e tu.
Si è fatto fregare da tre ragazzi, in fondo.
"
"No, non lo era" gli rispose subito, istintivamente.
"Ma sono più propenso a pensare che sia stata la vanità a oscurare la sua intelligenza... che c'era, te lo assicuro"
"Cosa credevi di trovare, lì? Eri semplicemente...curioso?"
Pelosa questa, molto pelosa. E ora, si disse, prova un po' a non dover tradire la verità se ci riesci, mio piccolo micio spelacchiato. Come hai fatto col Nekomata - come hai fatto alla grande, osava dire, col Nekomata. Ci era cascato con tutte le scarpe. Che soddisfazione! Non doveva pensarci, non era il momento adesso. Doveva andarci cauto, calibrare bene le parole.
"Indubbiamente sì, ero curioso, non te lo nascondo... ma non era solo questo".
Si prese una pausa.
"Era... qualcosa che veniva dall'alto a spingermi. Sei anche tu un eremita, a quanto ho capito dagli Homura stamattina - mi chiedo davvero quanti siano, a questo punto, me ne saltano davanti agli occhi in tutti i modi. Comunque... sai meglio di me quanto sia un ruolo che implica delle responsabilità. Spero che... tu possa capire."
E qualora tu non possa capire, fattacci tuoi! Gli aveva già detto troppo, forse.
Forse non ce ne sarebbe stato bisogno - sembrava gli bastasse, anzi, ora sembrava davvero sorpreso.
Per quale motivo?
Non sapeva dirlo. Che cazzo si muoveva in quella testa non gli era ancora chiaro. Fino a qualche ora prima pensava non ci fosse granchè - granchè di degno di interesse, almeno -, ma gli ultimi avvenimenti gli avevano confermato che si sbagliava, che qualcosa di interessante c'era, non c'era dubbio: "A proposito di limiti - "
Gli era tornato in mente. Il suo sguardo ora impercettibilmente, ma fuori da ogni dubbio ravvivato.
" - Perché lo hai fatto?"
Gli sembrava più disteso. Non sapeva dire il perché, forse per quelle sue confessioni. Piuttosto probabile. Stava rivalutando gli eventi passati forse - ma che importanza aveva, al momento? Nulla, un accidente.
"Avevo un piano, Setsuna ne era al corrente ed era lì a distrarre la Bestia, rischiando la sua vita. Il gatto non poteva percepire il chakra di Himitsu, che era il suo obiettivo, grazie a questo piano...ma non poteva reggere per sempre.
Dovevo dare agli Homura quei sessanta secondi, vedendo come stavano andando le cose, come la Bestia stesse cominciando a perdere la pazienza...è stata l'unica cosa che mi è venuta in mente, la più sensata.
A te decidere se sia stato il gesto folle di un pazzo che insegue il suicidio, io...io sapevo che stavo per morire e avevo paura, ma la responsabilità di quel piano era mia, così come la vita di ogni persona in quel villaggio.
L'ho fatto perché dovevo farlo, perché credo che il lavoro che facciamo a volte non lasci spazio ad alternative quali la fuga, o l'attesa: distrarlo, far sì che loro avessero quei sessanta secondi, era mio compito. Ho provato a portarlo a termine ad ogni costo...ci sono riuscito, in parte.
"
Ecco, solo la sua risposta contava al momento. Lo ascoltò con attenzione, con gli occhi sottili, fino all'ultima sillaba.
"Penso di capire. Ma, perdonami se te lo dico, ancora non me lo spiega del tutto. Almeno, non me lo sento spiegato del tutto. Non c'entrava direttamente Konoha, non avevamo ricevuto alcun incarico, e non c'entrava neanche il tuo ruolo di eremita. Fosse stato solo quest'ultimo, avresti protetto solo gli Homura e basta, come ti avevo suggerito.
Ma tu invece hai scelto di accollarti del tutto il desiderio di Yuzuki. Non so che genere di fratellanza vige al tuo eremo, ma... non credo possa dipendere da questo. No, non posso credere dipenda dal tuo ruolo di eremita, nè da Konoha, dal tuo lavoro, visto che non era coinvolta in questa faccenda. Sbaglio a pensarlo?
"
"No, pensi bene.
Non c'era alcun incarico, né il mio eremo mi impone di aiutare qualcuno - ci mancherebbe - né il mio gesto è stato dovuto a chissà quale fratellanza.
Non dipendeva dal mio ruolo, ma da quello che ho vissuto per arrivare al mio ruolo. Non combatto perchè sono uno shinobi e Konoha me lo chiede, ma sono uno shinobi perchè combatto.
Non c'entra il mio villaggio, la mia fazione...c'entra che io sono uno shinobi perchè in quel momento ero l'unico a poter fare qualcosa di concreto affinché ciò che avevo in testa potesse compiersi e quel villaggio salvarsi, e l'ho fatto.
Spesso la gente scambia la causa con l'effetto, e viceversa.
Chiamalo obbligo morale, se vuoi...io avevo quella responsabilità, e non perché sono uno shinobi di Konoha, ma semplicemente perché stava a me.
"
Bhe chiamala fratellanza o no, il senso della storia non cambiava. Lui "credeva" in quello. Come Setsuna. Era davvero così?
"Oltre a questo - " riprese, dopo una pausa: " - stai sottovalutando una cosa Potevo fregarmene e lasciar morire questo o quello, lasciare che altri soldati più esperti di me se ne occupassero...e se ragionassimo così, solo l'Hokage potrebbe combattere veramente, gli altri starebbero a guardare. Quanto dureremmo?
Era solo questione di tempo, visti gli allarmi, prima che quella Bestia o un'altra a lei affine attaccasse la Foglia. Quello che è successo non è poi così lontano dal mio - nostro - lavoro: forse non era Konoha a chiedermelo oggi, ma domani? Se quel mostro, prima o poi, avesse attaccato la Foglia per motivi del tutto simili a quelli che lo hanno portato qui?
Forse gli Homura non hanno salvato solo Kawagoro, oggi.
"
"Addirittura? Non montarti troppo la testa, bambolo!"
Era un individuo interessante però, non aveva più dubbi in tal senso.
"Stai correndo un po' troppo forse" gli rispose, alzando le sopracciglia con ironia, ma senza traccia di offesa.
"Per come la vedo io, ci avremmo pensato a tempo debito" sempre con le sopracciglia sollevate.
Ecco quella fratellanza inconsapevolmente da lui esorcizzata. Era proprio questo. Che fosse veramente così?
Lo vide abbassare lo sguardo con una strana espressione, come stesse rievocando qualcosa di fastidioso.
"Credimi, se non ci fossimo detti le stesse cose che hai appena detto tu ai tempi di Watashi, le cose a Kumo sarebbero andate diversamente."
"E chi se ne frega di Kumo? Arashi Uchiha, ci sei dentro con tutte le scarpe, senza rendertene conto."
Che fosse davvero così?
Presto i suoi occhi si riassottigliano e increspò le labbra, rimpicciolendole. Pensieroso. Sentiva che stava dando vita a un pensiero curioso.
"Sto facendo un'ipotesi ardita, forse - "
Quelli che valeva maggiormente la pena sottoporre alla prova sperimentale, dopotutto.
" - ma in fondo, di cose ardite ne ho fatte tante oggi, una in più non farà differenza. Hai parlato di limiti poc'anzi. Di limiti da superare, da tentare di superare."
I suoi occhi erano sono sempre sottili, ma non scherzosi come poco prima; come stesse prendendo piuttosto seriamente quanto stava dicendo.
"Mi sembra quasi che tu... li stia sfidando. Che tu stia sfidando la fortuna. Vedevo la paura in te, e chi non l'avrebbe avuta, ma non hai esitato nell'affrontare una sfida tanto disperata. E a portarla finanche all'estrema conseguenza, quando ancora avresti potuto tornare indietro. Sei davvero coraggioso.
Ma c'è dell'altro...
"
Si concentrò molto nell'elaborare le frasi successive, e quanto aveva sentito poco prima, per qualche secondo. Poi tornò a fissare Arashi con un'espressione più distesa.
"Mi viene da supporre che tu, magari inconsciamente... possa trovare stimolanti queste situazioni disperate. Mi viene quasi da pensare che possa essere un modo per vedere fino a che punto tu possa spingerti, fino a dove possano arrivare i limiti delle tue possibilità, fino a quanto tu possa mettere sotto scacco la sorte, mettendo in gioco anche tutto te stesso. Adesso, sentendoti parlare, e rielaborando tutto sotto quest'ottica, è questa l'impressione che mi hai dato."
Una mezzo sorriso, poco dopo.
"Ci ho visto giusto, almeno in parte?"
Lo sguardo di Arashi gli pareva divertito almeno quanto il suo.
"Detta così, sembro davvero un pazzo."
Si lasciò andare a una risata accennata, presto smorzata dai corpi in lontananza, ora visibili.
"Bhe, sì indubbiamente. Per me questo può essere anche sinonimo di interessante."
"Sì, mi piace testare i miei stessi limiti...e un po' di tempo fa, ero quasi ossessionato dal...come hai detto? Mettere sotto scacco la sorte. Sì, ci pensavo spesso e si, in parte è uno stimolo.
È tutto ciò che abbiamo, in fondo.
Non direi che quello che ho fatto possa ricondursi solamente a questo però, di modi per mettersi in gioco ce ne sono tanti, alcuni molto più sicuri.
No, mi piace...ma preferirei di gran lunga un mondo senza Bestie che vanno in giro a cacciare bambine.
So che è un'utopia, quindi la mia è l'unica strada percorribile, dal mio punto di vista: almeno faccio qualcosa che mi piace altrettanto.
"
Restò a fissarlo per un po'. I corpi di Yuzuki e Chihiro davanti a loro. Gli annuì leggermente, senza distogliere lo sguardo.
"Sei più pazzo di quello che pensavo, allora, Arashi Uchiha."
Come Setsuna in fondo.
"Sì, penso di capire."
La stessa cosa, identica. Come fosse un'immagine speculare. La stessa identica Volontà. Sì, ora l'aveva capito. Quella Volontà del Fuoco era davvero più diffusa di quanto avesse mai pensato - e non riguardo a gentucola come quei Raion Kamata e Makoto Senju.
Questa era gente seria. Che sapeva il fatto suo. E che non esitavano minimamente a darsi in pasto alla morte per far trionfare quella Volontà.
Pazzi? Fanatici? Esaltati? Più che probabile, ai suoi occhi.
Ma, ancora, di nuovo quella ritrattazione, che diritto aveva di giudicarli? Avevano trovato in questo il loro scopo, il loro stimolo per andare avanti. Non aveva proprio alcun diritto di condannarli per questa scelta, e neanche di giudicarli, in alcun modo. In alcun modo.
Uno sguardo ai corpi.
"Allora... li portiamo dove ha detto il grassone?"
"Sì. Al fiume, tu porta Chihiro, io mi occupo di Yuzuki.
Immagino dovremo posarli da qualche parte lì, lo vedremo strada facendo...intanto, portiamoli.
"



A quell'ora della sera, il selciato fino al fiume era una striscia argentata. Il sole era tramontato, ma nel cielo rimaneva qualche vago ricordo dei suoi raggi. Quella banda di miracolati ai margini del percorso. Oltre questo, il fiume Kawagoro si illuminava di oscillanti zampilli rossastri ormai tenui, ormai sfuggenti. Presto sarebbe stato illuminato di nuovo, pensò.
Le facce nere e sporche degli abitanti, i loro pianti saltuari, la loro sommaria commozione, gli appariva curiosa e disgustosa al contempo. Bisognava davvero morire per diventare eroi, un lasciapassare sicuro. Non che agli Homura sembrava importare molto, per quanto aveva visto - almeno, in maniera cosciente, sulla componente inconscia non avrebbe saputo dire, li aveva conosciuti troppo poco. Una coppia di fanatici, morti per quello in cui credevano. Compiendo la missione per conto del loro ordine, salvando quegli straccioni che li disprezzavano, e sacrificando infine, come ciliegina finale, la loro figlia più piccola. Non male per essere dei fanatici - in fondo sul fanatismo aveva sentito storie peggiori. Avrebbero potuto squartare la figlia e darla in pasto alla Nekomata, facendolo così esplodere dall'interno già che c'erano.
Che pensiero curioso.
Arrivati nei pressi della riva, poggiò il cadavere di... Chihiro? Possibile.
Insomma, posò il suo corpo sulla zattera e intravvide quelle due tartarughe sbucare nei loro paraggi e immergersi in acqua. Le vide piazzarsi nei pressi delle della zattera degli Homura.
Presto, vide delle nuove presenze seguire il loro stesso percorso, in lontananza. Dapprima indefinite, poi sempre più vicine. Setsuna e la maggiore degli Homura percorrevano il loro stesso percorso. Vedeva il piccolo corpo della bambina tra le braccia di Setsuna. Quando gli si avvicinarono, le vide diverse.
La grande sembrava stesse metabolizzando il lutto meglio di quanto avesse mai potuto pensare. Un soffio col naso. Gli venne quasi da sorriderle.
E Setsuna sembrava ormai nuovamente del tutto in sè, mentre adagiava il corpo di Himitsu tra quei suoi maledetti genitori.
Loro... certo.
Stava cercando un capro espiatorio, per mettersi l'anima in pace? Possibile.
Lo colse come un'improvviso, brevissimo temporale estivo, di quelli che danno l'impressione di poter mettere tutto a soqquadro per poi andarsene dopo poche gocce di pioggia e qualche fulmine intimidatorio; lo colse di nuovo quella sensazione, mentre osservava il cadavere della bambina, e la fiaccola avvicinarsi alla zattera, avvampando prim'ancora che potesse averne contezza.
Sentì quella sensazione abbandonarlo di nuovo quando vide le fiamme divorare progressivamente quel corpo inerte ormai alla deriva, facendogli infine sparire dagli occhi il suo carico.
"Perché..?"
Lo raggiunse quella voce alla sua sinistra, appena sussurrata. Non sapeva dire se Setsuna stesse parlando con lui o tra sè, mentre osservava stoicamente la zattera infiammata sempre più lontana.
"Perché deve sempre finire così? Quante altre persone dovrò vedere morire senza poter fare nulla per salvarle? Quante altre volte fallirò?"
Forse si era sforzata di non piangere, ma alla fine vide una lacrima solcarle il viso. Poi la vide abbassare lo sguardo, e infine trarre un sospiro.
Di nuovo, non sapeva fare. Non sapeva che dirle. Non si era mai sentito molto bravo in questo genere di situazioni - non era la spalla su cui si poteva piangere, generalmente, era palmo che ti schiaffava in faccia la sua visione delle cose.
"Hai più esperienza di me, sotto ogni punto di vista."
Sentiva di averci messo una vita per dire la sua. Sperava che quel rimuginare, almeno, potesse aver smussato il più possibile quei lati più scabrosi.
"Non sono il più adatto a consigliarti in tal senso. Ma, per quello che ho capito su faccende del genere, non posso fare altro che rispondermi che alcuni alberi prosperano rigogliosi, altri vengono colpiti dai fulmini. Alcuni capi di bestiame crescono forti, altri vengono abbattuti dai lupi. Alcuni uomini nascono abbastanza ricchi e abbastanza stupidi da vivere la loro vita senza alcun affanno, senza pensieri del genere a turbarli. Niente è giusto a questo mondo, raramente qualcuno ha ciò che merita. Lo stiamo vedendo in questo momento."
Una pausa, sempre osservando la zattera, ora appena individuabile dalla grande fiamma. Cercò di guardarla, con un'espressione che sperava fosse consolatoria, ma senza - in alcun modo - mostrare alcunchè di commiserevole e pietoso. Non se lo sarebbe mai permesso. Con nessuno di cui gli importasse davvero qualcosa. Mai.
"Non dipendeva solo da te. Raramente queste cose dipendono strettamente solo da noi. Raramente, certo..."
Le parole gli scivolarono nel vuoto. Lo stesso vuoto in cui sentì perdersi con gli occhi. Restò così per qualche secondo, fissando quel vuoto davanti a loro, quindi riprese a guardare la zattera ormai a malapena individuabile.
"Hai ragione.."
Gli sembrò abbozzare un sorriso, a cui rispose con la stessa intensità. Sapeva di poter permetterselo, adesso.
"..sei molto più maturo di me, sotto questo punto di vista. Alle volte sembro proprio la stessa bambina d'allora, con tanti sogni e una bella faccia tosta."
La vide sospirare.
"Quello che ho detto al demone è vero: sono solo una semplice umana con la grossa presunzione di voler cambiare il mondo."
" - Bhe, non penso che tu sia immatura. Hai parlato di presunzione... lo hai detto tu stessa. Forse pensare di poter cambiare il mondo è in effetti una semplice "vanità", non posso non concordare. Ma sapere di aver fatto il proprio, alla fine di ogni giorno, per far sì almeno di non sentirsi complici di questa giostra infame... credo sia un obiettivo con la sua indubbia dignità" e le abbozzò un sorriso timido e discreto. Anche adesso, non stava mentendo in alcun modo, senza dover frenare di dire ciò che pensava. Una meraviglia, insomma.
La vide sorridergli di rimando, ora più calma, asciugandosi gli occhi.
"Credo che dovrò lavorare un po' per estraniarmi da tutto questo, e forse non riuscirò mai ad essere indifferente a tanto dolore. Sono fatta così. Quel che è certo è che continuerò a lottare, proprio per non far parte di questa giostra del tutto sbagliata, per non deludere chi si è sacrificato per noi. E' il minimo che posso fare per loro, e per me stessa."
Non sapeva dire se fosse una sua impressione, ma gli pareva divenire a ogni frase sempre più salda, sempre più la Setsuna che conosceva. In prima approssimazione, almeno.
"Sono molto vanitosa, andare controcorrente è sempre stata la cosa che mi ha resa quella che sono" e ridacchiò - qualcosa a cui si unì istintivamente, con debolezza, ma non sapeva ben spiegarsi il perchè di quella reazione.
"Grazie, Hakurei. Sono fiera dello shinobi che sei diventato."
Quella frase lo stupì. Letteralmente. Sapeva di non essere riuscito a nasconderlo, neanche lontanamente, nella maniera più assoluta. Ci impiegò un po' di tempo per metabolizzarla.
" - Bhe... ti ringrazio. Lo devo al maestro Shimada, e a te. Da solo non ce l'avrei mai fatta."
Un mezzo sorriso, fissando lo spazio tra le scarpe. Poi una nuova voce. Sì Arashi stava parlando proprio con loro.
"Ho bisogno di tornare dalle mie compagne e presentare loro Anezaki.
Partiremo subito, per non far aspettare troppo Konoha.
Ci tratterremo lì per un po', un paio di giorni al massimo, dopodiché tornerò subito a Konoha per fare rapporto insieme a voi.
Prendetevi cura di quella sfera, sapete quanto è importante...deve arrivare all'Hokage, ma sono sicuro che sia in buone mani, le migliori.
"
Setsuna annuì, e quella risposta bastava già per lui. In fondo, quella pietra dipendeva da lei - cos'avrebbe mai potuto fare lui, seppur non fosse più un genin alle prime armi? Gliel'avrebbero rubata senza alcun affanno, calpestando il suo cadavere.
Qualcosa di troppo grande per lui. No, quella pietra ormai dipendeva solo da lei.
"Ti ringrazio, Setsuna."
"Non devi ringraziarmi, Arashi-san. Ho fatto solo quello che andava fatto, quello che era giusto fare. Sono certa che nella mia stessa posizione, sia tu che Hakurei avreste fatto lo stesso."
Sorrise tra sè e sè.
Se Konoha avesse ben pagato, con tutto il cuore avrebbe difeso quella merda di Villaggio. O qualora avesse sentito che non ci sarebbe stato nulla da perdere per lui, in una sua eventuale difesa. Qualcosa di impossibile, se ne rendeva conto.
"Avevo sentito parlare delle tue abilità, della tua bravura...ma dopo aver visto con i miei occhi cosa sei in grado di fare e quanto sei disposta a mettere in gioco, non posso che essere contento di avere una collega così coraggiosa."
Indubbiamente c'era soddisfazione nel volto di Setsuna, anche se si sforzava di non darlo troppo a vedere. Le sorrise, e vide lo stesso sorriso sul volto di Arashi.
"Ci vediamo, fate buon viaggio."
"Anche voi fate buon viaggio, e prenditi cura di lei. Per qualsiasi cosa sarò a vostra disposizione."
"Fate buon viaggio. Vi aspetteremo alle Porte."
Non sapeva dire che la sua eco a quei saluti lo avesse sorpreso. Credeva di no, ma non poteva dirlo con certezza.
Lo vide solo fermarsi a mezz'aria, ormai quasi pronto a prendere il largo, e voltarsi di nuovo.
"Magari io non sono riuscito a vederlo, stavolta...ma se una come lei ti dedica del tempo, un motivo buono deve esserci.
No, anzi, sono sicuro che c'è.
A maggior ragione se sei riuscito a rimanere a stretto contatto con quella Bestia senza esser divorato, devi essere stato piuttosto astuto, su questo non ci piove.
Ben fatto, in ogni caso.
Spero di rivederti presto, magari senza il destino di un villaggio e di una bambina di mezzo.
"
Restò in silenzio per qualche secondo, ascoltandolo immobile.
Poi chiuse gli occhi, gettò un piccolo soffio col naso e piegò leggermente la testa.
"Penso che tu mi stia sopravvalutando troppo" e inarcò le sopracciglia.
Per pochi secondi, presto riassottigliò gli occhi e gli portò un leggero sorriso.
"Lo spero anch'io. Fa buon viaggio."



Alle prime luci dell'alba salutarono Kawagoro e Yoshi Maneko, che li aveva gentilmente ospitati per la notte nella sua dimora. Higyou era meglio farlo riposare ancora, aveva detto Setsuna, e poteva ben capirlo.
Quell'avvoltoio era stato fondamentale per la loro sopravvivenza, era giusto rendergli il favore. Si girò per un istante, osservando Kawagoro ora più lontano alle loro spalle, coi suoi abitanti operosi nel riportarlo a nuovo lustro. L'uno affianco all'altro, come un solo uomo.
Era proprio così: i legami più stretti erano quelli creati dalla sofferenza. La comunione più profonda era quella basata sul dolore.

Attraversarono la Foresta del Fuoco, con un sole ormai alto nel cielo a illuminargli la strada. I raggi passavano attraverso i rami, disegnando a terra reticoli di metageometrie e frattali scossi dal vento.
Una voce poi intimò loro di fermarsi. Si fermarono, guardandosi attorno. Non per obbedire a quell'ordine, quanto per capire che cazzo stesse succedendo.
Un'imboscata? pensò.
Possibile. In fondo quella sfera poteva - ecco lì!
Vide un uomo sbucare dal nulla, come fosse stato partorito dalla foresta. Una tunica bordeaux, curiosa. Come fosse un monaco.
Brutto presentimento.
Bruttissimo, quando ne comparve uno identico, alle loro spalle.
Sempre con quella richiesta. Gli chiedevano di consegnare la sfera del Nibi. Che fosse quel Kyo Dan? Cazzo, se era possibile.
Fosse stato solo, sarebbe stato meno sicuro. Ma Setsuna era con lui. Sempre che quei due non fossero più forti di lei. Il loro chakra non sembrava immane. Forse potevano -
Un uomo sbucò dal nulla, alle spalle di Setsuna, puntandole un pugnale alla gola. Gli intimavano di consegnargli la pietra, se voleva avere salva la vita della ragazza. Pessima scelta. Sarebbe stato meglio per loro prendere lui. Quell'inconscio maschilismo - forse - sarebbe loro costato caro.
Setsuna lo schiantò con un colpo, mentre lui lanciava un kunai al monaco alla loro destra. Sembrò attraversarlo del tutto, e non ebbe il tempo di elaborare un pensiero che lo vide sbucare a gran velocità alla sua sinistra, come si fosse teletrasportato - che cazzo di tecnica era?
Estrasse la spada per fermare il suo colpo, e lo fermò a malapena. Con una mannaia vibrava dei colpi tali da fargli tremare le ossa. Fosse rimasto sempre sulla difensiva, temeva che la lama si sarebbe spezzata. Provò a deviare il colpo, ma la mannaia gli sfiorò la spalla. Riuscì a guadagnare lo spazio giusto per conficcargli la lancia nella gola. Sperava di riuscirci, ma lo vide svanire dopo poco tempo.
La spalla sanguinante, piazzò la spada per terra, guardandosi attorno. Erano in due adesso a fronteggiarlo. La lancia sempre salda in mano. Li vedeva esitare, non sapeva perchè, ma non gli importava al momento, sapeva solo di dover sfruttare l'occasione.
Non si resero conto di quanto stava succedendo. Vide solo i due accingersi a schivare quello che avevano capito fin dal principio, appena aveva impugnato fulmineo quel rotolo, di non potere schivare.
Una pioggia di shuriken li travolse.
Quando cessò, vide il corpo del primo monaco ridotto a un puntaspilli. Forse quella sua tecnica, più che un vero teletrasporto, sembrava conferirgli delle brevi intangibilità e invisibilità. Possibile, ma non ci pensò molto, perchè il secondo era riuscito a proteggersi con una barriera di insetti, rimediando solo poche ferite superficiali.
"Merda!"
Pensò a cosa potesse fare, quando un nugolo di insetti lo puntò, e lui cercò di pararli con una barriera di pietra. Resistette per pochi secondi, dopo i quali fu scaraventato via dall'onda d'urto della barriera infranta. Alcuni insetti perirono nel crollo, ma i successivi lo raggiunsero e iniziarono a pungerlo selvaggiamente. Riuscì a mantenere un minimo di sangue freddo e a individuare la sua spada abbandonata, in lontananza. Afferrò la lancia, e compose i sigilli. Svanendo in una nuvola di fumo, la spada fu esposta alle punture delle api, mentre lui comparve alle spalle del monaco - o chi cazzo fosse - caricando come un disperato con la lancia in mano. Gli affondò la punta nel fianco, e quando la girò nella ferita gli schizzarono sul volto degli zampilli di sangue - ottimo, doveva aver leso qualche arteria. In un rantolo, il nemico si accasciò a terra - che razza di fesso -, ma quando estrasse il kunai per finirlo sentì una forza trattenerlo.



Non sapeva dire cosa fosse. Qualcosa rallentava il suo colpo. E quella musica. Sembrava un flauto. Una musica sottile, che si incuneava nel suo cervello. Da dove cazzo veniva. Lo stava intorpidendo.
No, no, maledizione, non adesso!
Mollò la presa sulla lancia - il nemico ancora accasciato al suolo -, mettendosi le mani tra i capelli e piegandosi in avanti. Stava diventando insopportabile. Sentiva di essere sul punto di impazzire. Avvertì nuove punture colpirlo, lo shinobi ferito lo stava colpendo di nuovo. Sarebbe morto, forse. Non sapeva che fare. Non era un senso di rassegnazione però quello che stava provando. Era solo rabbia. Sentiva solo di essere incazzato come una bestia.
Non poteva finire così, maledizione! Che cazzo!
Sarebbe morto nel rancore e nell'odio, come molti altri erano morti prima di lui, in quella situazione. Una rabbia e un odio crescente, che sentiva bruciargli dentro, come un fuoco. Avvertiva quello stesso calore, e poi qualcosa di confuso, le urla dello shinobi padrone delle api. Lo stava prendendo per il collo, mentre bruciava vivo sotto il suo sguardo. Forse era già soffocato, non sapeva dirlo. Si guardo il ventre. Gli aveva piantato un kunai nella pancia, prima di morire. Perdeva sangue dalla pancia. Merda.
Lasciò la presa su quel corpo in fase di carbonizzazione quando sentì di nuovo quella musica. Chissà perchè non l'aveva più sentita nel frattempo. Forse non ci aveva fatto caso. Puttanate. La sentiva meno forte, meno pressante di prima. Tutti i perchè si riducevano a un bagliore confuso, soppiantati dall'unica esigenza importante in quel momento: sopravvivere.
E, per sopravvivere, tagliare la gola a quel figlio di puttana che stava suonando.
Ci impiegò qualche secondo, dolorante, sanguinante come una bestia, ma infine riuscì a individuare la fonte.
"Eccoti, bastardo!"
Lanciò i due Fuuma shuriken al suo indirizzo, e nel lancio sentì la ferita alla spalla lacerarsi ancor più, e così quella all'addome.
Si accasciò al suolo, ormai stremato.
Un uomo che si avvicinava a piccoli passi verso di lui. Poteva vedere i suoi piedi compiere quei piccoli passi. Gli si fermò vicino.
"Sei un osso duro, eh?" lo sentì esordire.
"Chi l'avrebbe detto che un mocci -"
Si alzò di scatto, spezzandogli la frase a metà. Provò a dargli un pugno al volto, ma sembrò mancarlo. Il flautista vide il pugno passargli a pochi centimetri dal volto, e estraendo una lama dalla cintola gli tagliò la testa.
La vide rotolare via, lontana dal suo corpo.
La fissò per un bel po'. Poi rinfilò la spada nel fodero e si accinse a cercare la ragazza.
"Sei stato davvero in gam -"
Una nuova frase a mezz'aria. Un'espressione inorridita. Il corpo senza testa del ragazzo stava davanti a lui, sbarrandogli il cammino.
"Non è ancora finita. Non cantare vittoria troppo presto, su la guardia!"
Una voce alle sue spalle.
La testa mozzata del ragazzo gli parlava.
"Ma che cosa!?" indietreggiò, terrorizzato.
"E' questa la colpa per ciò che hai fatto nel corso della tua vita, per ogni crimine di cui ti sei macchiato. Ahhh!!"
Dalla bocca della testa mozzata uscirono un nugolo di quelle api, che iniziarono a colpirlo senza tregua. Sentiva un dolore inumano, irreale.
"Basta! Basta!"
"Basta dici? C'è un solo modo per farle smettere: rimetti la mia testa al suo posto!"
Corse a perdifiato verso la testa, la prese e poi cambiò direzione, macchiando il percorso compiuto e i suoi vestiti del sangue che gocciolava dalle vene recise.
"Ecco! ecco!"
Rimise la testa al suo posto.
" - Ben fatto."
Sentì la pelle del suo volto farsi sempre più liquida, un occhio fuoriuscirgli dall'orbita, e in breve tutto il suo corpo permeato da un sentore di marcescenza.
Tornò così alla coscienza. Quanto ne restava almeno. Un kunai puntato alla gola, gli occhi sbarrati, tremante, coi denti che battevano.
"Piaciuta l'illusione diabolica, figlio di puttana?" e gli tranciò la gola, cadendo in ginocchio poco dopo.
Il suo nemico lo seguì subito.
Restò immobile per un po', senza pensare alcunchè. Poi qualcosa la pensò. Non era stato niente male. Quegli allenamenti erano serviti a qualcosa. Se la cavava meglio di quanto aveva mai creduto sino a quel momento. Forse Noneko avrebbe apprezzato.
Magra consolazione, forse. Non sapeva cosa stava succedendo. Non sapeva che gli stava accadendo. Sentiva solo che stava gradualmente perdendo i sensi. E cadde di lato, a peso morto, come una bestia ferita, con un lieve barlume di coscienza ancora in corpo.

Setsuna, fortunatamente, sarebbe sopraggiunta in tempo, trovandolo coperto di sangue come una bestia, con quelle due vistose ferite alla spalla e all'addome. Avrebbe notato che, curiosamente, quelle ferite sembravano rispondere meglio del normale alle sue cure mediche. Una bella constatazione.
Avrebbero così ripreso quanto prima il loro viaggio verso Konoha.

Edited by Jöns - 25/3/2018, 10:04
 
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view post Posted on 25/3/2018, 21:34
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Eccomi.
Devo dire che il tutto non era scritto male ed è stata una piacevole lettura, ma devo segnalare alcune cose. L'eccessivo uso delle virgole che spezzano molte volte le frasi anche quando non è necessario. Presumo questo possa essere visto come stile, ma ti consiglierei di ridurne il numero. Di errori non ce n'erano, giusto pochi. Alcune frasi, devo dire, alle volte parevano un po' fini a se stesse con un significato un troppo sottinteso.

Anyways, eccoti 500 Punti Exp.

See yà!
 
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view post Posted on 1/4/2018, 20:20

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//Mi scuso davvero in anticipo con chi dovrà sorbirsi tutto 'sto papiro. Ho provato a ridurre all'osso ogni mini-paragrafo per farla più breve possibile.//

Rimase lì, accucciato a terra, per tutto il tempo necessario, aspettando che Anezaki cacciasse tutte le lacrime che aveva in corpo, prima di stare ad ascoltare la sua risposta.
Non si sarebbe aspettato niente di più, né di meno: era esattamente ciò che voleva sentirle dire, ciò che la stessa ragazzina che lo aveva accolto a Kawagoro e convinto ad inginocchiarsi per mostrare a quei bambini la sua Ninjato, così come ora si era abbassato per starle accanto, gli avrebbe detto allora, prima che una Bestia e un'organizzazione le portassero via tutto quello che aveva.
Socchiuse gli occhi e sospirò, provando a pensare che se Yuzuki era ancora lì, da qualche parte, di sicuro gli avrebbe fatto piacere sapere che, proprio nel giorno in cui aveva perso la vita, salvato Kawagoro e condannato a morte Himitsu, almeno la più grande sarebbe stata al sicuro con lui, come espresso nelle sue ultime volontà.
Da qualche parte nella sua testa, tuttavia, doveva essere consapevole del fatto che quel poco sollievo che stava provando in quel momento, era dovuto all'aver rispettato la parola data e a quel senso di responsabilità che avvertiva così forte in lui e verso quella ragazzina che era, purtroppo, il lascito di un compagno che aveva sacrificato la sua stessa vita, pur di consentire a lui, Setsuna, Hakurei e all'intero villaggio di uscire sani e salvi da quell'orrenda situazione.
Che fosse il ben noto senso di colpa del sopravvissuto - con cui aveva avuto a che fare più volte in quegli anni - o semplice gratitudine verso quell'uomo, poco importava: Anezaki era ora una sua responsabilità, ed avrebbe fatto di tutto per crescerla e accompagnarla per la strada che lei avrebbe scelto in futuro, in ogni caso.
Si rialzò aprendo gli occhi, per poi tendere una mano alla bambina ed aiutarla a fare altrettanto.


Arashi: "Dobbiamo prepararci a lasciarli andare, tutti quanti.
Dobbiamo dargli un saluto degno del loro gesto e del bene che gli volevamo."


La mano della piccola, umida a causa delle lacrime che aveva asciugato, si perse nella sua.
Accanto a loro Setsuna continuava a disperarsi, consolata dalla sola presenza di Hakurei che, accanto a lei, sembrava essere altrettanto costernato e, in minima parte, scosso dalla visione della sua compagna che piangeva a terra come Anezaki poco prima.
Era uno spettacolo raccapricciante, che cozzava in pieno con le urla cariche di gioia degli abitanti di Kawagoro i quali, nonostante avessero appena osservato le loro case andare a fuoco, festeggiavano l'inattesa vittoria sulla Bestia e l'estinzione delle fiamme da questa causate: erano stati inaspettatamente svegli, sia nel cercare un rifugio, sia nell'affrontare i tanti incendi che erano divampati nel borgo.
Nessuno piangeva, nessuno si lamentava, nessuno soffriva: c'erano solo caldi abbracci e parole buttate verso il cielo, ringraziamenti verso chissà quale divinità.
In tutto ciò, una parte di lui dovette maledirli: se solo avessero avuto la prontezza di dimostrarsi altrettanto decisi e rapidi nell'accettare l'allarme quando era stato Yuzuki a lanciarlo, forse gli eventi avrebbero potuto prendere una piega diversa.
Forse lui non sarebbe andato da Maneko, non avrebbe dovuto tentare l'impossibile pur di convincerlo e di organizzare un'evacuazione senza speranze e, forse, Yuzuki non si sarebbe neanche rivolto a lui e all'eremo, perché non ne avrebbe avuto bisogno.


"No...no.
Mi sto raccontando delle enormi cazzate, e basta.
La Bestia era sulle tracce di Himitsu, l'avrebbe seguita ovunque...il problema non era l'allarme, né questa gente, e Yuzuki lo sapeva bene: è per questo che si è sacrificato, insieme a sua moglie.
Non c'era altra scelta, non c'era altro finale."


Maneko sbucò davanti a loro, dopo essersi fatto largo - non senza fatica - tra la folla che ora cominciava ad accalcarsi attorno al punto in cui giaceva il corpo della piccola Himitsu: per un momento, Arashi fu sorpreso nel constatare che sul suo volto non vi era traccia di preoccupazione, poiché avrebbe giurato, dopo aver fatto la sua conoscenza, che un tipo del genere si sarebbe messo le mani nei capelli per la catastrofe che si era abbattuta sul villaggio e, soprattutto, sulla sua preziosa e bellissima abitazione.
Evidentemente, o quest'ultima era stata tra le poche ad essere risparmiate dalla furia incendiaria del gatto, oppure nella testa dell'uomo era sopravvissuto un briciolo di morale e senso del dovere: dovette convincersi di questa seconda ipotesi, quando osservò il dolore che pervase la sua espressione alla vista del minuscolo corpo senza vita della bambina.
In fondo, nonostante lui avesse esercitato il controllo che lo Sharingan sapeva garantirgli sugli individui più deboli e più facilmente manipolabili, già quando lo aveva praticamente costretto ad accettare il racconto di Yuzuki e ad organizzare quell'evacuazione senza speranza, aveva avvertito in lui una preoccupazione sincera, abilmente innescata dalle sue parole ma comunque vera, rivolta non solo a lui ma all'intera Kawagoro.
Anezaki strinse forte la sua mano: tremava, ma non era sicuro che fosse a causa di chissà quale rabbia.


Maneko: "Arashi Uchiha...l-la bambina, lei, la figlia degli Homura è...è m-morta...?"

Arashi: "Sì."

Orrore sul suo volto, mentre lo sguardo incrociava quello annebbiato dalle lacrime di Anezaki.

Maneko: "Lei...gli Homura, a-anche loro...Arashi uchiha, ci sono i l-loro corpi, alle porte..."

Arashi: "Sì."

Cosa stava accadendo a quell'uomo?
Probabilmente, era davvero più umano di quanto le sue precedenti azioni non gli avessero fatto pensare: forse aveva solo preso delle decisioni sbagliate, causate da informazioni, esperienze e convinzioni ancor più sbagliate.
Quello che aveva davanti a sé, non era un capovillaggio incapace, né una persona cattiva: semplicemente, era qualcuno che aveva forse commesso degli errori.


Maneko: "Noi...dovevamo a-ascoltarli, la B-Bestia è arrivata e ha incenerito t-tutto m-ma sono tutti vivi...Arashi Uchiha, SIAMO TUTTI VIVI!
Ed è grazie a quello che mi avete detto voi, e però ora questa bambina è morta e i suoi genitori pure e...e..."


Aveva commesso degli errori e ora ne stava pagando un prezzo, stabilito dalla sua stessa coscienza, fin troppo alto.

Arashi: "Gli Homura hanno deciso di sacrificarsi per sconfiggere la Bestia.
Non sarebbe potuta andare diversamente, neanche se voi gli aveste dato retta fin dall'inizio.
Non sto dicendo che era destino, ma non dovete dannarvi l'anima per quanto è successo.
Piuttosto...ricordatevelo, questo sì.
Ricordate di prestare ascolto ad ogni cosa, ad ogni richiesta, ad ogni allarme, anche il più stupido ed incredibile."


Maneko sopesò per qualche secondo le sue parole, prima di rispondergli: sembrava stesse combattendo una guerra dentro di sé, un'enorme contesa tra il senso di colpa ed il sollievo per lo scampato pericolo, che aveva come trofeo la sua stessa stabilità mentale.
Ci fu un vincitore.


Maneko: "Ha ragione.
Gli Homura hanno salvato questo villaggio, e faremo bene a r-ricordarcelo.
Dovremo ricordare anche loro...dobbiamo dedicargli un ultimo saluto, come vuole la nostra tradizione.
Un saluto degno."


Per una volta, fu d'accordo con Maneko.
Fu Setsuna a offrirsi per preparare la salma della piccola Himitsu per l'estremo saluto.
Dal canto suo, Arashi si inginocchiò ancora vicino ad Anezaki.


Arashi: "Aiutala. Sei l'unica che può farlo.
Io mi occuperò dei tuoi, torno presto.
Quando li avremo salutati come si deve, partiremo. Subito.
Prendi tutto quello che vuoi, quello che ti è rimasto...e saluta i tuoi amici.
Dì loro che se un giorno vorranno, potranno venire a trovarci, o saremo noi a farlo.
E, sempre e vorranno, quando saranno grandi, insegnerò loro qualche trucchetto: glielo avevo promesso."


Maneko lo guardò un'ultima volta, stranito: non pareva aver capito cosa stava accadendo.
Lanciò ad Anezaki uno sguardo a metà tra il preoccupato e il risentito.


Maneko: "Non capisco, lei non...non rimane qui?
Ne avremmo cura, di certo non la lasceremmo da sola, non dopo tutto ques-"


Lo interruppe quasi subito.

Arashi: "Anezaki verrà con me.
È quello che vuole, e ciò che voleva anche Yuzuki.
Mi occuperò io di lei, starà bene.
Tornerà, se lo vorrà, per rivedere i suoi amici...e potrà farlo ogni volta che lo desidera."


Detto ciò, voltò le spalle al capovillaggio, dirigendosi verso il luogo maledetto dove era stato svolto il rituale.

[...]



Si ritrovò a correre a perdifiato per le stradine di Kawagoro, con Hakurei ale calcagna: Setsuna avrebbe sicuramente chiesto al ragazzo di accompagnarlo ed aiutarlo a trasportare i due corpi senza vita dei coniugi Himura fino al lago, dove avrebbero dato loro l'ultimo saluto, ma lui si era offerto spontaneamente non appena lo aveva visto partire.
Non rimasero a lungo in silenzio, aveva l'impressione che il giovane volesse chiedergli qualcosa e, di fatto, fu proprio così: esordì buttando lì un commento che si riallacciava alla loro ultima discussione e, malgrado il ragazzo stesse ammettendo di aver commesso un errore, la cosa non lo tirò su di morale nemmeno un po'.
Anzi, dovette trattenersi dall'esalare un sospiro piuttosto amareggiato: era riuscito nel suo intento, vero, ma fin dall'inizio sapeva che questo non lo avrebbe fatto stare meglio.


Arashi: "Già...tutto, tranne forse la cosa che gli stava piuù a cuore."

Sconsolato, rallentò appena, perché il pensiero di Himitsu e della sua morte - l'unica che non aveva previsto, pur aspettandosela - lo colpì nuovamente, e ancor più duramente di prima.
Hakurei lo affiancò, le labbra strette in maniera impercettibile, per poi pronunciare quelle che parevano quasi essere parole di conforto: la morte della bambina non dipendeva da lui, lo sapeva, così come aveva intuito il collegamento che ella doveva avere con il rituale svolto da Yuzuki e Chihiro, ma questo non era un buon motivo per non rammaricarsi della sua perdita.


Arashi: "No, probabilmente non sarebbe comunque dipesa da me...conosco i miei limiti, ma ogni tanto non sarebbe male provare a superarli. Non era questo il caso, né il momento: ci ho provato, non mi ha detto bene."

"Non mi dice mai bene."

Esitò, rallentando ancora, poi scosse la testa e si affrettò a trovare un appiglio, uno qualsiasi, per poter cambiare discorso.

Arashi: "Non pensavo saresti tornato vivo da quella montagna, cosa vi è successo?"

Ascoltò il breve racconto del giovane, sorpreso per la mancanza di dettagli: Hakurei era infinitamente interessato a quella Bestia, ricordava la sua voglia di partire alla volta della montagna, ma ora la descriveva piena di difetti, con un pizzico di delusione nella sua voce.

Arashi: "Sembri quasi deluso...forse non era così intelligente come lo credevo io - o tu.
Si è fatto fregare da tre ragazzi, in fondo. Cosa credevi di trovare, lì? Eri semplicemente...curioso?"


Stavolta, quella domanda non era stata buttata lì giusto per cambiare discorso: provare a capire i ragionamenti che il ragazzo aveva fatto, quelli che lo avevano spinto a cercare il confronto con la Bestia in quella maniera, era interessante.
Lo sentì commentare la vanità del gatto con la stessa punta di delusione che aveva avvertito in precedenza: l'intelligenza c'era, certamente, ma indubbiamente il delirio di onnipotenza in cui era inciampato il mostro lo aveva screditato enormemente agli occhi di Hakurei.
Continuò ad ascoltare il resto della sua risposta, annuendo quando lui gli confermò della sua curiosità - fin qui poteva capirlo, era un qualcosa che spingeva anche lui - e sgranando gli occhi dalla sorpresa quando il genin tirò fuori il termine "eremita".


"Ah...AH."

Ecco cosa c'entrava, ecco perché quella profezia sembrava divisa in tre: non c'erano solo lui e Setsuna per tartarughe ed uccelli, ma anche un terzo eremo.
Lo fissò imbambolato per qualche secondo: probabilmente, tutto quello strano e pomposo discorso prima di separarsi, lo aveva fatto nella speranza che lui cogliesse qualcosa.


"Caro Hakurei, ti sei trovato davanti uno degli eremiti più tardi, mi sa."

La sua espressione si fece via via sempre più distesa e la sua avanzata, dal momento che erano ormai arrivati a destinazione, più lenta e rilassata.
Questo, almeno, fino a quando non lo sentì pronunciare la domanda che, probabilmente, Hakurei si era tenuto dentro fin dall'inizio di quella conversazione: a quel punto, si fece più serio.


Arashi: "Avevo un piano, Setsuna ne era al corrente ed era lì a distrarre la Bestia, rischiando la sua vita.
Il gatto non poteva percepire il chakra di Himitsu, che era il suo obiettivo, grazie a questo piano...ma non poteva reggere per sempre.
Dovevo dare agli Homura quei sessanta secondi, vedendo come stavano andando le cose, come la Bestia stesse cominciando a perdere la pazienza, è stata l'unica cosa che mi è venuta in mente, la più sensata.
A te decidere se sia stato il gesto folle di un pazzo che insegue il suicidio, io...io sapevo che stavo per morire e avevo paura, ma la responsabilità di quel piano era mia, così come la vita di ogni persona in quel villaggio.
L'ho fatto perché dovevo farlo, perché credo che il lavoro che facciamo a volte non lasci spazio ad alternative quali la fuga, o l'attesa: distrarlo, far sì che loro avessero quei sessanta secondi, era mio compito.
Dovevo portarlo a termine ad ogni costo...ci sono riuscito, in parte."


Parlò lentamente, quasi scandendo ogni parola del suo discorso, nonostante le parole gli uscissero dalla bocca con una naturalezza disarmante: troppe volte ci aveva pensato, troppe volte aveva dialogato con se stesso ripetendosi, fino allo sfinimento, quelle stesse cose che ora comunicava ad Hakurei.
La risposta del ragazzo non tardò ad arrivare, ma pareva non aver colto a fondo il concetto che Arashi aveva provato ad esprimere - e un po' se l'aspettava.


Arashi: "No, pensi bene. Non c'era alcun incarico, né l'eremo mi impone di aiutare qualcuno - ci mancherebbe - né il mio gesto è stato dettato da chissà quale fratellanza.
Non dipendeva dal mio ruolo, ma da quello che ho vissuto per arrivare al mio ruolo. Non combatto perché sono uno shinobi e Konoha me lo chiede, ma sono uno shinobi perché combatto.
Non c'entra il mio villaggio, la mia fazione...c'entra che io sono uno shinobi perché in quel momento ero l'unico a poter fare qualcosa di concreto affinché ciò che avevo in testa potesse compiersi e quel villaggio salvarsi, e l'ho fatto.
Spesso la gente scambia la causa con l'effetto, e viceversa. Chiamalo obbligo morale, se vuoi...io avevo quella responsabilità, e non perché sono uno shinobi di Konoha, ma semplicemente perché stava a me."


Fece una pausa di qualche secondo, giusto per riprendere fiato, poi proseguì nella sua spiegazione.

Arashi: "Oltre a questo, stai sottovalutando una cosa. Potevo fregarmene e lasciar morire questo o quello, lasciare che altri soldati più esperti di me se ne occupassero...e se ragionassimo così, solo l'Hokage potrebbe combattere veramente, gli altri starebbero a guardare.
Quanto dureremmo?
Era solo questione di tempo, visti gli allarmi, prima che quella Bestia o un'altra a lei affine attaccasse la Foglia. Quello che è successo non è poi così lontano dal mio - nostro - lavoro: forse non era Konoha a chiedermelo oggi, ma domani?
Se quel mostro, prima o poi, avesse attaccato la Foglia per motivi del tutto simili a quelli che lo hanno portato qui?
Forse gli Homura non hanno salvato solo Kawagoro, oggi."


E di questo, ne era profondamente convinto. Perciò, quando Hakurei gli disse che forse stava correndo un po' troppo, che ci avrebbero probabilmente pensato a tempo debito, si stupì: gli sembrava lo stesso errore che avevano fatto i grandi villaggi ai tempi di Watashi.
Abbassò lo sguardo, visibilmente abbattuto.


"Non cambiamo mai."

Arashi: "Credimi, se non ci fossimo detti le stesse cose che hai appena detto tu ai tempi di Watashi, le cose a Kumo sarebbero andate diversamente."

Arrivarono al luogo del rituale mentre Hakurei continuava a parlare.
Non staccò gli occhi da Yuzuki e Chihiro nemmeno per un attimo, ma il discorso del ragazzo gli entrò comunque in testa, perché era perfettamente logico e questo, per qualche strano motivo, lo divertì oltremodo.


Arashi: "Detta così sembro davvero un pazzo.
Sì, mi piace testare i miei stessi limiti e, un po' di tempo fa, ero ossessionato dal...come hai detto? "Mettere sotto scacco la sorte", sì.
Ci pensavo spesso e sì, in parte è uno stimolo. È tutto ciò che abbiamo, in fondo. Non direi che quello che ho fatto possa riassumersi solamente in questo però, di modi per mettersi in gioco ce ne sono tanti, alcuni molto più sicuri.
No, mi piace...ma preferirei di gran lunga un mondo senza Bestie che vanno in giro a cacciare bambine: so che è un'utopia, quindi la mia credo sia l'unica strada percorribile, dal mio punto di vista.
Almeno faccio qualcosa che mi piace altrettanto."


Il ragazzo sembrò capire stavolta, probabilmente perché lui aveva finalmente confermato parte dei suoi sospetti.
Gli scoccò un'occhiata fugace: l'aspetto gli conferiva un'aria decisamente intelligente, quasi da pensatore, riflessivo...per questo si era stupito così tanto quando lo aveva visto partire alla volta della montagna senza avere nemmeno la parvenza di un piano tra le mani.
Lo faceva più stratega, forse.
In ogni caso, non si era sbagliato: era davvero uno che amava scavare a fondo per comprendere qualsiasi cosa, che fosse una persona o una Bestia.
Quello che secondo lui era stato un errore puramente tattico, era magari da imputare alla poca esperienza, più che ad un'ingenuità che non sembrava esser parte del genin.
Guardarono entrambi i corpi, ed il giovane gli chiese se avrebbero dovuto portarli dove aveva detto Maneko.


Arashi: "Sì. Al fiume, tu porta Chihiro, io mi occupo di Yuzuki.
Immagino dovremo posarli da qualche parte lì, vedremo strada facendo...intanto, portiamoli."


[...]



"Te lo sarai chiesto sicuramente, Yuzuki.
Tenevi troppo a loro.
Ti sarai sicuramente chiesto: una volta che io sarò andato, chi si occuperà di loro?
Per questo le hai date a me.
Non potevi rivolgerti a nessuno, se non a me.
Per salvare questo villaggio, per crescere le tue bambine una volta che avresti chiuso questa faccenda con la tua morte.
Eri disperato e io non l'ho capito fin da subito, non ho visto quanto eri solo. Quando l'ho realizzato, non ho nemmeno fatto in tempo a dirti quanto stavo apprezzando il tuo gesto, ho soltanto pensato a fare ciò che andava fatto.
Forse ho onorato la tua ultima scelta, spianandoti la strada verso la morte...eppure ho fatto tutto ciò che era in mio potere per rendertela meno ripida.
Ti ho accompagnato come mi avevi chiesto. No, non lo hai fatto esplicitamente, ma era quello il senso.
Probabilmente, sapevi che ero l'unico in grado di farlo, oltre ad essere l'unico a cui poterlo effettivamente chiedere.
La parte più difficile in fondo è stata proprio questa: non il combattimento, non lo stratagemma, non il coraggio che ho avuto nell'affrontare la Bestia, ma quello necessario a lasciarti andare così, in questa maniera, ad accettare un sacrificio che, per quanto tragico, era necessario.
Lo sapevamo entrambi.
Qualcuno doveva morire, per consentire agli altri di andare avanti.
Ho provato ad essere io, ci ho provato con tutto me stesso...non è servito a nulla."


Yuzuki dormiva tra le sue braccia e la sua veste oscillava appena, tra un passo e l'altro, mentre si avvicinavano al fiume.
Gli abitanti di Kawagoro avevano predisposto una sorta di sentiero, delimitato ai lati unicamente dalla loro stessa presenza, che li avrebbe accompagnati fino alla sponda del fiume dove, preparata anzitempo, li attendeva l'umile zattera di legno che avrebbe accolto i corpi degli eroi del villaggio.
Nell'aria, mossa a tratti da una brezza tiepida che pareva voler anticipare l'arrivo della primavera, aleggiava ancora l'acre odore del legno andato in fumo delle loro abitazioni, e non un singolo uccello osava cantare, né l'intero mondo pareva voler osare interrompere il silenzio surreale che era sceso su quelle terre.
Alcune delle persone ai lati della strada piangevano, ma i loro singhiozzi non giunsero mai alle sue orecchie e nessuno osò parlare o urlare qualcosa - qualsiasi cosa - per salutare Yuzuki e Chihiro: tutti li guardavano, ma nessuno voleva disturbarli.
Quel silenzio, non poté fare a meno di notarlo, era lo stesso con il quale avevano accolto l'allarme del suo amico, con un'unica, fondamentale differenza: l'attenzione.
Prima, era carico di diffidenza ed ostilità, ora invece di rispetto e, forse, di un pizzico di rimpianto per ciò che avrebbe potuto essere, per la fiducia che i suoi stessi compaesani - la gente che lui aveva scelto di salvare - avevano mancato di mostrargli.
Il bello era che di tutto ciò, a Yuzuki non aveva mai davvero importato molto: lui glielo aveva detto, quasi a voler predire il suo stesso futuro, che quella gente prima o poi lo avrebbe ringraziato del suo gesto, e che tutta Kawagoro lo avrebbe ricordato fino alla fine dei tempi per questo.
La risposta di Yuzuki era stata semplice e immediata: della memoria non gliene fregava nulla, ciò che contava era la sicurezza del villaggio.


"Direi che ci sei riuscito, no?
Alla fine, sono tutti salvi."


Non lo aveva fatto solo per loro, però.
No, lo aveva fatto anche per quella bambina che piangeva lì, da qualche parte, nel vederlo avanzare verso la zattera - l'unica sopravvissuta di quella famiglia maledetta da uno stupido rituale.
E per l'altra, quella che avrebbe compiuto assieme a lui quell'ultimo viaggio, la più innocente e, allo stesso tempo, la più colpita di tutti.
Allora si disse che no, lui non poteva sapere la fine che avrebbe fatto Himitsu, ma in ogni caso avrebbe agito comunque: la loro ultima discussione aveva coperto proprio quell'argomento, l'impossibilità della bambina di sfuggire all'interesse della Bestia e di tutti gli altri mostri che loro malgrado calcavano la loro stessa, malata terra.
Si disse anche che doveva davvero essersela posta, quella fottuta domanda: "quando io non ci sarò più, che ne sarà di Anezaki ed Himitsu?"


"Io sono stato la tua risposta, Yuzuki, e questo...questo è assurdo."

Continuare a camminare sotto quel peso, a tenere la testa alta e le spalle ben dritte, mentre reggeva il corpo senza vita del padre di Anezaki, fu ancora più difficile quando quella consapevolezza, che già aveva raggiunto, lo colpì ancor più duramente, come se avesse appena realizzato ciò che era successo e quanto era grave.
Lui, Arashi Uchiha, di appena vent'anni, uno shinobi come tanti altri, era stato la risposta alla domanda di un padre di famiglia alla domanda: "chi veglierà sulle mie figlie, quando io me ne sarò andato via?"
Per la prima volta, in mezzo a tutti i dubbi che la sua mente gli sottoponeva quotidianamente, lui non era più un'incognita, un oggetto in divenire: lui era la destinazione finale, la spiegazione, il valore assegnato.
Era stato scelto ancora, così come era avvenuto quando le tartarughe avevano deciso di affidarsi a lui.
Adesso, sulle sue spalle, non si reggeva più soltanto un eremo, ma anche il futuro di una bambina che aveva perso tutto - ed era bizzarro, assurdo, incredibilmente strano constatare che il peso di quella singola vita, era di gran lunga superiore a quello delle sue amiche testuggini.
Doveva esserlo, perché nel guidare un eremo era affiancato dalle sue compagne: da Buyobuyokame e Isshikame, che avanzavano ora entrambe al suo fianco in quel sentiero, chiamate anche loro a tributare l'ultimo saluto al loro defunto amico, da Kenjin a Shikame a Shiwa ed Heiwa.
Tutte loro lo avrebbero aiutato...ma crescere una ragazzina, no, quello era un altro paio di maniche.
Quello avrebbe dovuto farlo da solo, nonostante l'aiuto che, ne era certo, loro gli avrebbero dato.
Anezaki era diventata una sua responsabilità, forse la più grande di tutte: lei, ora, dipendeva da lui, almeno fino a quando non sarebbe stata in grado di camminare sulle sue stesse gambe - e, probabilmente, anche in seguito.
Portare la salma fino a destinazione fu il compito più arduo che avesse mai affrontato fino ad allora e, ciò che accadde dopo, rischiò di fargli versare molte più lacrime di quante ne aveva già contate durante il suo scontro con il gatto.
Adagiò il cadavere sulla zattera, mentre Hakurei faceva lo stesso accanto a lui con il corpo senza vita di Chihiro e le due testuggini entravano in acqua, tenendo ben ferma la piccola imbarcazione. Pochi secondi dopo, una singola fiaccola illuminò il buio di Kawagoro: era una fiamma arancione, brillante, che emanava un calore ben diverso da quello freddo ed impersonale di quella azzurrina del demone.
Anezaki sorreggeva la torcia, la quale a sua volta colorava il volto contratto in una smorfia di dolore indecifrabile.
Accanto a lei Setsuna, ancora profondamente scossa, reggeva tra le braccia il corpo senza vita della povera Himitsu.
Un passo dopo l'altro, la Hyuga li raggiunse e, seppur non vi fosse nessuno a cantare, vederla avanzare verso di loro fu come ascoltare un lamento lontano, una musica calda quanto la fiaccola che reggeva l'orfana degli Homura, che cessò di suonare quando anche l'ultima dei tre fu adagiata sul legno, tra le braccia dei suoi genitori.
Loro l'avevano creata, loro l'avevano condannata, loro l'avevano amata, loro l'avevano uccisa.
Se ne sarebbe andata assieme a loro, legata suo malgrado in maniera indissolubile a coloro che l'avevano generata.
Anezaki si accostò alla pira sostenuta dalla zattera e lui, con sua enorme sorpresa, dovette constatare la totale assenza di lacrime dal suo volto. Era una caratteristica che l'avrebbe sempre accompagnata da quel giorno: sebbene fosse ad un passo dal piangere, dal disperarsi, la smorfia contratta sul viso della ragazzina era l'unico indizio della sua sofferenza.
Il fuoco avvolse i corpi e le testuggini, lentamente, lasciarono la presa, consentendo alla barca di abbandonarsi alla corrente del fiume.


Arashi: "Mi dispiace."

Strinse la presa che aveva sulla spalla sinistra della bambina, offrendole l'altra mano affinché potesse passargli la torcia.

Anezaki: "Sembra anche a loro."

Gli indicò la folla che si era riversata lungo il corso d'acqua e che, in silenzio, seguiva con lo sguardo la zattera che si allontanava.

Arashi: "Hai sentito Maneko, se li ricorderanno per sempre...probabilmente gli intitoleranno una piazza, una statua, magari l'intero villaggio.
Ma a te non importa, vero?"


Lei scosse la testa, girandosi per guardarlo negli occhi, mentre lui gettava in mare anche la torcia.

Anezaki: "No. Non importava neanche a papà, o alla mamma.
Mi interessa solo una cosa, ora."


Era lo sguardo di chi aveva preso una decisione e mai, per nessun motivo, avrebbe fatto marcia indietro.

Arashi: "Lo so.
Sarà difficile, non è una vita tranquilla.
Sei pronta?"


Anezaki: "Sì."

Arashi: "Hai preso le tue cose?"

Anezaki: "Non avevo niente da prendere."

Arashi: "Hai salutato i tuoi amici?"

Anezaki: "Sì."

Sospirò.

Arashi: "Va bene.
Saluta pure Setsuna se vuoi, ma potrai rivederla presto: quando ti porterò con me a Konoha, lei sarà lì."


Si rivolse verso Setsuna ed Hakurei.

Arashi: "Ho bisogno di tornare dalle mie compagne e presentare loro Anezaki.
Partiremo subito, per non far aspettare troppo Konoha.
Ci tratterremo lì per un po', un paio di giorni al massimo, dopodiché tornerò subito a Konoha per fare rapporto insieme a voi.
Prendetevi cura di quella sfera, sapete quanto è importante...deve arrivare all'Hokage, ma sono sicuro che sia in buone mani, le migliori."


Abbozzò appena un sorriso alla Hyuga: aveva apprezzato il suo operato in quella vicenda, il desiderio di protezione verso Himitsu ed Anezaki ed il coraggio con cui aveva abbracciato il suo piano. Si era fidata ciecamente delle sue deduzioni e, sebbene in molti avessero sicuramente catalogato il suo comportamento come perfettamente normale per una kunoichi di Konoha, villaggio che dava al lavoro di squadra un'importanza a dir poco fondamentale, lui non riusciva affatto a darlo per scontato, né tantomeno voleva farlo.

Arashi: "Ti ringrazio, Setsuna.
Avevo sentito parlare delle tue abilità, della tua bravura...ma dopo aver visto con i miei occhi cosa sei in grado di fare e quanto sei disposta a mettere in gioco, non posso che essere contento di avere una collega così coraggiosa.
Ci vediamo, fate buon viaggio."


Fece per andarsene, poi si bloccò e, dopo un attimo di esitazione, si voltò nuovamente, rivolgendosi stavolta al ragazzo che accompagnava la Hyuga.

Arashi: "Magari io non sono riuscito a vederlo, stavolta...ma se una come lei ti dedica del tempo, un motivo buono deve esserci.
No, anzi, sono sicuro che c'è.
A maggior ragione se sei riuscito a rimanere a stretto contatto con quella Bestia senza esser divorato, devi essere stato piuttosto astuto, su questo non ci piove.
Ben fatto, in ogni caso.
Spero di rivederti presto, magari senza il destino di un villaggio e di una bambina di mezzo."


"...già, senza questioni etiche di mezzo, saremmo amiconi."

[...]



Partirono subito dopo, lui su Buyobuyokame, Anezaki su Isshikame, entrambi saldamente aggrappati agli scuti delle sue compagne.
Percorsero il fiume che dava il nome a quel villaggio - o meglio, che lo aveva dato fino a quelo momento, stando a quanto gli aveva comunicato Maneko.
L'unica superstite degli Homura aveva salutato fugacemente quelli che erano stati gli amici della sua relativamente breve permanenza in quel maledetto borgo, forse perché ansiosa di lasciarsi alle spalle quella vita o, più semplicemente, per avere ancora qualche secondo per poter scrutare la zattera che, all'orizzonte, si portava via la sua famiglia.
La seguirono con gli occhi per tutto il corso d'acqua, senza proferire parola, osservando silenziosamente la pira di fumo che si alzava da essa.
Di tanto in tanto, una lacrima si affacciava sul volto della bambina, per poi essere ricacciata indietro a fatica.


"Per quanto puoi essere forte, Anezaki, non sarà facile."

Il viaggio fino all'isola sarebbe durato un paio di giorni, per questo aveva scelto di partire in anticipo rispetto a Setsuna ed Hakurei, che invece ne avrebbero impiegato meno di uno per raggiungere Konoha, ma avrebbero trascorso la notte a Kawagoro - o meglio, a quel che rimaneva di Kawagoro.
Ricordava ancora le parole di Yuzuki su quel rigagnolo, quindi non fu sorpreso quando questo ne incrociò un altro e vi si unì: era un semplice ed anonimo affluente destinato a perdersi in un fiume molto più grande e, di conseguenza, nel mare sconfinato.
Raggiunsero la foce continuando a seguire la zattera che si era fatta carico della famiglia Homura: avrebbero potuto superarla, ma aveva preferito non farlo per due motivi.
Primo: finché fosse stato possibile, era desiderio inespresso e allo stesso tempo ovvio di Anezaki rimanere vicino a ciò che rimaneva della sua vecchia vita.
Secondo: seguire semplicemente la corrente, specialmente con un peso sul guscio, era molto più facile che cavalcarla, sia per Buyobuyokame che per Isshikame.
Quando finalmente furono in mare aperto, però, fu costretto a chiedere loro di prendere la direzione per l'eremo e, soprattutto, di farlo il più velocemente possibile. Fu così che si staccarono dalla pira ancora in fiamme, volgendo il loro sguardo verso la zattera fino a quando il buio della notte non la inghiottì all'orizzonte.
Allora e solo allora, le lacrime solcarono copiose il viso della ragazzina, ma non un suono fu emesso dalla sua bocca.
Chiese alle testuggini di arrestare la marcia.


Arashi: "Hai fame?"

Anezaki fece di sì con la testa, gli occhi fissi sul punto dove, poco prima, la sua famiglia era scomparsa.
Frugò nella sacca, estraendo rapido una borraccia ed un kunai: lanciò la prima ad Isshikame, che l'afferrò al volo col becco e la porse alla bambina, poi scese agevolmente dal guscio di Buyobuyokame e, tastata la superficie dell'acqua con un piede, si issò su di essa e fece due passi, stiracchiandosi.


Anezaki: "Ara...Ara-shan, come...?"

L'ultima degli Homura lo guardava come se lo avesse appena visto togliersi nuovamente Ultimo Bastione per donargliela.

Arashi: "È semplice.
Concentrando il chakra nei piedi, alle estremità inferiori, applichi una forza che spinge l'acqua verso il basso e te verso l'alto.
Vedi?"


Alzò appena il piede sinistro, indicando l'increspatura della superficie liquida che ribolleva sotto di esso.

Anezaki: "Ma è grandioso!
Potrò farlo anch'io?"


Sembrava davvero una bambina a cui era stato dato il nuovo, ultimo modello del suo giocattolo preferito: aveva un'espressione rapita, sognante, incredibilmente diversa da quella mogia e triste di qualche secondo prima.
Sorrise.


Arashi: "Ti servirà un po' di allenamento ma sì, potrai fare anche questo.
Vuoi provare?
Potresti non riuscire al primo tentativo, ma è relativamente facile, non è nemmeno una delle abilità più strabilianti di uno shinobi, te lo garantisco."


La vide esitare, indugiando con lo sguardo sull'acqua scura: nonostante non tirasse un filo di vento ed il mare fosse calmo e piatto, la sua paura era evidente.

Anezaki: "Come...come?"

Bella domanda.

Arashi: "Fammi pensare."

Attivò lo Sharingan, poi si guardò attorno.
Dopo qualche secondo passato a fissare l'acqua, immobile, lanciò il kunai sotto di sé e, senza alcun preavviso, si tuffò.


Anezaki: "ARA-SHAN! Cosa..."

Isshikame: "Oh, tranquilla Ane-chan.
Vi sta prendendo dell'ottimo pesce."


Buyobuyokame: "Pft. Che schifo.
Molto meglio la verdura.
Non vedo l'ora di mangiare il minestrone di Heiwa, a casa."


Riemerse dopo qualche secondo, completamente fracico, il kunai in una mano e la sua preda nell'altra.

Buyobuyokame: "Non mi piace per niente questa cosa che mangi la carne.
Dovresti mangiare molta più verdura, sei sciupato.
E perché non ti sei spogliato, prima?
Ti prenderai un raffreddore."


Guardò Buyobuyokame, sinceramente stupito."

Arashi: "Da quando ti preoccupi così tanto della mia salute?
Non volevo spogliarmi, comunque...la povera Anezaki già ha visto più di quanto volesse vedere quando le ho dato Ultimo Bastione."


La tonalità rosea delle gote della bambina si fece pericolosamente vicina al rosso porpora, ma la sola luce della luna fece passare quell'alterazione di colore quasi del tutto inosservata.

Buyobuyokame: "Sta di fatto che ora ti morirai di freddo, se non ti sbrighi...dai, che quel pesciolino va cucinato."

Lo infilzò nuovamente con il kunai, quindi ne porse l'estremità alla testuggine, la quale lo tenne ben alto di fronte a lei; quindi, richiamato il chakra ai polmoni, lo liberò dalla bocca e avvolse con una fiammella il povero pesce.
Il risultato fu una cena non proprio deliziosa, ma quantomeno decente.


Anezaki: "È buono, Ara-shan.
Un po' troppo cotto, però. Qui è tutto bruciacchiato."


Arashi: "Ho esagerato col fuoco, sì."

Buyobuyokame: "Esagera sempre col fuoco, non so quante volte gli ho detto di abbassare quella fiamma, ogni volta rischia di bruciarmi il muso."

Sgranocchiarono così la cena, le due tartarughe vicine, lui su una e Anezaki sull'altra.

Anezaki: "Ara-shan...dove pensi sarà la zattera, ora?
Papà, mamma, Himitsu...dove pensi che siano?"


La domanda.

Arashi: "Non saprei. Isshikame, dove vanno le testuggini che non ci sono più?"

Isshikame gli restituì uno sguardo assente, vagamente assonnato.

Isshikame: "Oh, io...io sono troppo giovane per sapere queste cose.
Credo di averne vista una, forse...credo, sì. Credo che quando si sentano particolarmente stanche, non quanto sono stanco io, ma di più, credo che vadano al lago dell'isola, e poi non tornino più su."


Anezaki: "Ma cosa gli succede, poi?
Stanno bene?
Dormono, o vi guardano da laggiù?"


Aveva negli occhi quella scintilla che solo la curiosità di un bambino poteva accendere.

Isshikame: "Oh, questo io non lo so...solo Shikame-sama e Kenjin-sama hanno accesso a quel posto, io non so cosa ci sia là sotto.
Ho...scusami Ane-chan, io davvero ho troppo sonno ora, non ricordo cosa..."


La voce di Isshikame si spense gradualmente nel nulla e, sotto lo sguardo sbigottito della ragazzina, prese ad emettere dei suoni vagamente riconducibili al russare tipico degli esseri umani.

Arashi: "Tranquilla, è semplicemente sfinito.
È stata una lunga giornata, anche per una tartaruga.
Non ti lascerà cadere."


Anezaki non parve troppo rassicurata dalle sue parole: c'era altro a tenere ben corrucciata la sua fronte.

Anezaki: "Se potessi camminare sull'acqua come te, Ara-shan, potrei scoprire dove è finita quella zattera.
Avrei potuto seguirla, avere una risposta."


Per tutta risposta, lui si alzò e, sceso nuovamente da Buyobuyokame, si accostò alla testuggine addormentata.

Arashi: "Ho visto tante cose strane in questi anni, ma niente mi ha ancora convinto che quella zattera possa andare da qualche parte in particolare.
L'unica cosa che so è che potresti seguirla per tutta la vita, senza ottenere alcuna risposta.
Altrimenti, potresti scegliere di lasciarla andare via così e correre dall'altra parte, ed è quello che farei io...ma questo non significa nulla, sta a te deciderlo."


Porse il braccio alla bambina.

Arashi: "Solo perché io credo che inseguirla sia inutile, non vuol dire che tu debba pensarla allo stesso modo.
Quello che posso fare io è offrirti il mio braccio, e insegnarti come camminare."


La ragazzina, ancora titubante, afferrò il suo avambraccio.

Anezaki: "Non so come fare."

Arashi: "Neanche io, e non è questo il problema.
Non penso a come camminare sull'acqua, penso a perché voglio farlo.
Cosa devi raggiungere, Anezaki?
Dove vuoi andare?
Vuoi raggiungere quella zattera, quel puntino?
Provaci."


Un passo, poi un altro ancora, mentre l'acqua si increspava sotto i piedini della bambina e quest'ultima si aggrappava, sbigottita, a lui.

Anezaki: "ARA-SHAN! ARA-SHAN, CE LA STO FACENDO!"

La sorpresa fu tanta che, dopo qualche secondo di iniziale smarrimento, la ragazzina guadagnò una posizione ancora più eretta ed allentò la presa sul suo avambraccio, entusiasta.
Durò poco, però, perché lo sforzo fu talmente grande che, dopo appena una decina di passi, gli si accasciò addosso, sprofondando nell'acqua fino alle caviglie.


Arashi: "Hai fatto abbastanza per oggi, Anezaki.
Datti del tempo, e potrai arrivare dove vorrai."


Se la caricò in braccio per poi adagiarla sul guscio di Hissikame mentre lei, sfinita, sprofondava nel sonno, ancora sorridente. Quindi, sospirando, si issò nuovamente su Buyobuyokame.

Buyobuyokame: "Mi piace questa ragazzina."

Chinò appena il capo, in cenno di assenso alle parole della tartaruga.

Arashi: "Buyobuyokame?"

Buyobuyokame: "Sì?"

Arashi: "Avevi ragione, sto morendo di freddo."

Buyobuyokame: "Eh, te l'avevo detto."

[...]



Raggiunsero l'isola la sera del secondo giorno, come previsto e, com'era prevedibile, vennero accolti sulla spiaggia da dozzine di testuggini, alcune genuinamente incuriosite - tra queste, riconobbe Shiwa ed Heiwa e la piccoletta che, durante il suo primo soggiorno all'eremo, lo aveva avvicinato e squadrato da cima a fondo perché, immaginava, era il primo essere umano che si era mai trovata davanti - altre intimorite o addirittura preoccupate dalla presenza di Anezaki.
Vi fu un gran vociare quando scesero dai gusci delle loro accompagnatrici e, non appena ebbero toccato terra e furono usciti dall'acqua, si formò un capannello attorno alla ragazzina: le tartarughe parevano essere ben più attratte dalla novità che rappresentava quella bambina, che dal ritorno del loro eremita che, neanche due giorni prima, le aveva allertate tutte quante del pericolo che stava correndo, mettendo in agitazione l'intera isola al fine di ricevere un disperato aiuto.
Chi, tuttavia, sembrò non essere interessata ad Anezaki, correndo - si fa per dire - verso di lui, fu Heiwa.


Heiwa: "Arashi-kun! Arashi-kun!
Bentornato, Arashi-kun!
Non c'è un secondo da perdere, devi seguirmi!
Shikame-sama vuole vederti, presto!"


Lo afferrò con il becco per la manica, tirandolo con tutte le forze che aveva in corpo: non l'aveva mai vista così agitata.

Arashi: "Un attimo, Heiwa...ehi, un attimo!
Ho capito, arrivo, ma devo prima sistemare Anezaki!"


Heiwa: "La cucciola?
È di lei che vogliono parlarti!
Kenjin ha ordinato di tenerla d'occhio qui, sulla spiaggia, di non farla muovere e di portare te da Shikame!"


Si scambiarono uno sguardo, nel quale lesse tutta la preoccupazione della testuggine.
Si rivolse a Buyobuyokame un'ultima volta, prima di seguire la sua compagna nella foresta che seguiva la spiaggia.


Arashi: "Assicurati che Anezaki stia bene.
Rispetta il volere di Kenjin, dille che per ora deve rimanere qua e che tornerò il prima possibile per mostrarle il resto dell'isola e presentarla alle altre."


Si prese il tempo per sincerarsi che il messaggio fosse arrivato alla sua compagna, prima di allontanarsi definitivamente.
Il percorso che seguirono fu lo stesso che, la prima volta, lo aveva portato all'immenso lago sulla cui superificie aveva duellato con la stessa Buyobuyokame: lo riconobbe, nonostante la poca luce che filtrava tra gli alberi, perché era l'unico vero e proprio sentiero che si addentrava nella foresta su quell'isola, come fosse stata l'unica strada battuta dall'uomo.
Giunti sulla riva del lago, Heiwa lo intimò di salire su di lei e lui non se lo fece ripetere due volte.
Diversa fu, invece, la sua reazione, quando ella, una volta guadagnato il centro del lago, gli chiese di fare un bel respiro e di aggrapparsi forte al suo collo.


Arashi: "Cos...che hai intenzione di fare?"

L'occhiataccia della testuggine lo convinse ad affrettarsi a prendere quel respiro.
Quello che accadde poi, se non si fosse prefissato di afferrare il collo della tartaruga come fosse l'ultimo appiglio che lo tenesse ancora alla sua stessa vita, probabilmente lo avrebbe lasciato senza fiato al punto da affogare nel lago.
Heiwa si immerse ad una velocità impressionante nello scuro e freddo specchio d'acqua: fu come prendere un centinaio di schiaffi gelidi e sferzanti in faccia senza alcun preavviso, roba che avrebbe mozzato gambe e respiro anche al più impavido degli shinobi.
Fu costretto, tra l'altro, a tenere gli occhi chiusi per buona parte del tempo, perché questi presero a bruciare al contatto con il liquido - nonostante si trattasse di acqua dolce, l'impatto improvviso con questa e la sua temperatura proibitiva, la resero ben più fastidiosa di qualsiasi altro mare salato.
Quando li riaprì, si rese conto che finalmente poteva tornare a respirare, perché in qualche modo erano tornati a galla e solo allora si rese effettivamente conto di quanta acqua doveva aver ingoiato.
Tossì un paio di volte, sputacchiando qua e là: quanto erano rimasti là sotto? Un minuto? Due?
Ma soprattutto...


Arashi: C-cosa è...cosa è questo posto?"

La pozza da cui erano emersi rifletteva le pareti calcaree di quella che sembrava una grotta, creando uno strano gioco di luci sulle pareti stesse: a tratti erano viola, a tratti azzurre, a tratti bianche.
Heiwa si prese il suo tempo per rispondergli, trascinandolo prima verso una sporgenza rocciosa sulla quale lo issò.


Heiwa: "Il cimitero. Il nostro cimitero.
Ogni buona tartaruga di una certa età lo sa."


E così, quello era il posto che gli aveva accennato Isshikame, quello dove le testuggini andavano a morire una volta resesi conto della loro imminente dipartita.
Strano però: guardandosi attorno, non vide alcun guscio o traccia che potesse lasciar intendere la funzione di quel luogo.
Al contrario, alle sue spalle vi era quella che pareva essere un'enorme entrata di una grotta, larga almeno tre volte tanto quella in cui si trovava in quel momento.
Heiwa la indicò col muso, senza dire altro.
Infreddolito, con i vestiti bagnati - non poté fare a meno di pensare che quella era la seconda volta, in due giorni, che finiva così - le diede le spalle ed imboccò quell'immenso passaggio.
Era un tunnel gigantesco, poco illuminato al contrario della precedente grotta, che percorse in circa cinque minuti, a passo sempre più veloce e cadenzato.
Arrivato alla fine, ciò che vide lo stupì ogni oltre previsione, nonostante si aspettasse uno spettacolo del genere: un antro vastissimo, del quale era impossibile stabilirne la lunghezza poiché la fine si perdeva in qualche punto imprecisato, lontano dall'entrata, costeggiato da dozzine e dozzine di carapaci ormai vuoti disposti in cerchi concentrici, come fossero tante tartarughe riunitesi lì per parlare l'una con l'altra.
Regnava al suo interno un silenzio pesante e surreale, accompagnato da una luce naturale simile a quella che illuminava la grotta che lo precedeva, ma più tenue, come se qualcuno l'avesse smorzata per non svegliare i gusci dormienti.
Davanti a lui, Shikame.


"Bentornato, Arashi-kun.
Mi scuso con te per la convocazione improvvisa, ma come ben sai ogni nuovo arrivo su quest'isola è sempre fonte di curiosità e preoccupazione."


Lui abbassò lievemente il capo.

Arashi: "Capisco perfettamente, Shikame-sama.
Anezaki è la figlia di Yuzuki e, come lui era nostro amico, sono sicuro che anche lei lo sarà."


La testuggine emise un grugnito che gli ricordò vagamente un cenno di assenso.

"Ne sono certa, così come sono certa del tuo giudizio.
Buyobuyokame ci ha raccontato che cosa hai fatto, il coraggio che hai avuto e la tua determinazione nell'aiutare Yuzuki.
Hai agito bene, mi spiace che tu non abbia trovato un aiuto tempestivo qui all'eremo, ma la distanza era tanta e il tuo piano di evacuazione richiedeva troppo tempo...abbiamo comunque provato a metterci in moto, ma non è stato necessario.
So che hai comunque salvato ogni vita di quel villaggio, nonostante questo."


Il suo sguardo si fece più cupo. Ogni vita?

Arashi: "Non proprio.
Yuzuki è morto, e sua moglie e la figlia più piccola lo hanno seguito."


"È vero, e questo è un peccato. Un dolore che colpisce non solo te, ma tutte noi: Yuzuki era nostro amico.
Aveva, tuttavia, una missione da compiere...e aveva commesso i suoi errori, in passato, che l'hanno determinata.
Noi non gli abbiamo mai chiesto di raccontarceli, né di scontare chissà quali pene. Gli abbiamo solamente offerto il nostro appoggio quando lo desiderava.
Apprendere della sua militanza nel Taisei è stato uno choc, ma sono sicura che anche tu hai visto quanto di buono c'era in lui."


Tacque per qualche secondo, soppesando le parole della testuggine nell'innaturale silenzio della grotta.
Quando Yuzuki gli aveva confidato della sua militanza nel Taisei, che si era evidentemente protratta fino al giorno della sua morte, era rimasto sorpreso dal fatto che questa fosse passata del tutto inosservata agli occhi dell'intero eremo: aveva sempre considerato le seu compagne come neutrali ed imparziali e forse proprio per questo, in fondo, non poteva escludere che tra i loro protetti vi fosse anche chi, proprio come il padre di Anezaki, faceva parte di organizzazioni a lui sconosciute.
Non era il villaggio di appartenenza, il credo o l'orientamento politico a definire il contratto che si stipulava tra uomo e tartaruga, bensì la semplice fiducia che quest'ultima riponeva nel primo, pertanto l'intera questione poteva riassumersi in una scelta: fidarsi, o meno, del giudizio di Shikame.


Arashi: "Non credo fosse in dubbio la sua bontà: ha sacrificato la sua vita per salvare quella delle sue bambine e di Kawagoro, in maniera del tutto indipendente dalla sua appartenenza al Taisei.
So bene perché scegliete di appoggiare qualcuno, quando lo fate, l'idea di contestarvi la firma di un contratto non mi passa nemmeno per la testa.
Dovremmo controllare meglio, però, chi si unisce a noi. Se Yuzuki ci ha tenuto nascosto il Taisei per anni, qualcun altro potrebbe fare lo stesso."


Shikame abbassò lo sguardo, visibilmente preoccupata.

"Su questo hai ragione.
Il ritorno delle Bestie Codate ci ha ricordato pericoli che credevamo morti e sepolti assieme a loro.
A tal proposito, cosa mi dici della bambina?
Sapeva chi era suo padre, cosa faceva?"


Domanda a cui non aveva una risposta chiara: probabilmente no, Anezaki era troppo piccola per venire a sapere della militanza del padre tra le fila del Taisei, ma qualcosa doveva pur aver sospettato.

Arashi: "Non credo.
Yuzuki non nominava quasi mai l'organizzazione, e teneva le sue figlie ben lontane da quei discorsi: per tutto il tempo abbiamo parlato in codice, praticamente, quando si sfiorava l'argomento Taisei o Bestie.
In ogni caso, anche se fosse venuta a conoscenza di qualcosa in questi anni, non ha alcun legame con quell'organizzazione...in effetti, non ha alcun legame con nessuno, se non con me: Yuzuki me l'ha affidata, per questo è qui."


Gli occhietti della testuggine si fecero grandi per la sorpresa e, per mezzo secondo, il suo becco si aprì, conferendole un'espressione sbigottita che mai le aveva visto sul muso.

"Oh...Yuzuki ha fatto questo?
Quelle bambine erano tutto per lui, la fiducia che riponeva in te - in noi - era più grande di quanto pensassi.


Si fermò un attimo, pensierosa, per poi riprendere.

"E sia.
La bambina è una tua responsabilità, e come tale è anche nostra.
Qualsiasi cosa vorrà fare, saremo pronte ad aiutarla, come con suo padre prima di lei: quest'isola è casa sua."


Prese quelle parole come il sigillo ufficiale sull'approvazione dell'accoglienza di Anezaki all'eremo: la parola di Shikame, al pari di quella di Kenjin, era probabilmente l'unica ad essere percepita come vera e propria legge tra le sue simili.

Arashi: "La ringrazio, Shikame-sama."

"Cosa vorresti fare con lei?
Le darai un posto dove stare, o farai di più?"


Ci pensò su mezzo secondo, prima di darle la risposta più sincera che gli venisse in mente.

Arashi: "No, farò di più: la addestrerò.
Vuole diventare una guerriera, che tradotto significa kunoichi."


"Mi sembra un'ottima idea, se questa è la sua volontà saprai cosa insegnarle.
Prendi uno dei gusci."


L'ultima frase, pronunciata come un invito, lo lasciò spiazzato: Shikame indicò col muso la prima fila del cerchio più esterno, quello dove, presumibilmente, se ne stavano i carapaci meno datati dell'intero cimitero.
Interdetto, spostò lo sguardo da Shikame ai gusci e poi di nuovo dai gusci a Shikame.


Arashi: "Ehm...perché?"

"Perché la loro funzione, qui dentro, non è solo quella di starsene lì fermi per la nostra memoria.
Alla piccola servirà un equipaggiamento, un'armatura. Non può certo tenersi Ultimo Bastione, quella spetta a te.
Parte del suo primo addestramento sarà qui, con noi: ci aiuterà a forgiare la sua armatura e, se ci riuscirà, avrà il nostro appoggio anche quando dovrà combattere."


Si avviò verso il primo dei gusci della fila, titubante, cercando di evitare di sentirsi come una specie di tombaiolo, come se stesse profanando chissà quale sacra sepoltura.

Arashi: "Shikame-sama, insomma, siamo sicuri che..."

"Come pensi sia stata forgiata l'armatura che hai indossato fino a questo momento?
Ovviamente è impossibile ottenere un'altra opera come Ultimo Bastione, a meno che Kenjin non decida di spogliarsi interamente del suo carapace...ma le sarà di aiuto, almeno un po'.
Prendilo, è questo il lascito che le nostre compagne hanno deciso di donarci quando sono venute qui a spirare."


Si caricò il carapace sulle spalle, frastornato, quindi si girò nuovamente verso la testuggine.

Arashi: "Cosa dovrà fare?"

"Romperlo come si deve, per ora. Scuto per scuto.
Al resto penseremo noi, poi, ma ci vorrà del tempo.
Troverai Heiwa alla fine del tunnel, ti riporterà su."


Dal modo in cui lasciò cadere l'ultima frase, capì che quella conversazione era finita.
Chinò appena il capo, poi fece per voltarsi.


"Augurale buona fortuna da parte mia, Arashi-kun.
Ah, e...Kenjin si congratula con te per quanto hai fatto a Kawagoro.
Ha bofonchiato qualcosa come "beh, almeno sappiamo che il nostro eremita non è un completo incapace"."


Che detto da lui, in effetti, era come un complimento.
Sorridendo, imboccò il passaggio alle sue spalle.


[...]



Anezaki: "Ma non ci riesco, mi sanguinano le nocche! Guarda!"

La ragazzina gli porse il dorso della mano destra, sbucciato in più punti come se avesse passato la notte a grattuggiarlo forsennatamente contro gli scogli della spiaggia.

Arashi: "Devi concentrare il chakra nella mano.
Continua a provare, o non potranno mai forgiare la tua armatura e tu non sarai mai una guerriera."


Se, poco prima di partire per Kawagoro, gli avessere detto che da lì a qualche giorno si sarebbe trovato sull'isola, alle prese con il più classico dei capricci di una bambina appena divenuta sua allieva, probabilmente non solo non ci avrebbe creduto, ma si sarebbe messo a ridere come un matto.

Anezaki: "Ma questo guscio è troppo duro!
E poi guarda quant'è grande, ci metterò una vita Ara-shan!"


Heiwa: "Ehi, bada a come parli!
Guarda che la mia trentanovesima sorella ci teneva molto alla linea, non è mica colpa sua! È tutta genetica, avessi visto che zampe lunghe e sexy che aveva!"


Quella situazione era a dir poco assurda: si girò verso Heiwa, con un sopracciglio alzato.

Arashi: Trentanovesima sorella?"

Heiwa: "Che c'è? Non pretenderai mica che mi ricordi tutti i nomi di tutte le sorelle che ho, vero?"

Arashi: "Certo che no, ma ti ricordi perfettamente l'ordine in cui siete nate."

Heiwa sbuffò appena, divertita.

Heiwa: "Scherzi? Mica vado in ordine di nascita.
Nossignore, è in ordine di morte. È la mia trentanovesima sorella morta, se ti interessa poi ci sono quelle ancora in vita, io sono la cinquantadue, poi ce ne sono altre..."


Arashi: "No, ok, poi me lo dici, ora dobbiamo allenarci."

Aveva appena intravisto il cipiglio spazientito di Shiwa, segno che Heiwa era sul punto di buttarsi in un'ampia disquisizione di tutto il suo albero genealogico, ragion per cui si affrettò a stroncare sul nascere ogni suo tentativo di prendere la parola.
Quando lo aveva visto uscire dalla grotta, aveva piantato gli occhi sul carapace che portava sulle spalle e, estasiata, gli aveva comunicato che apparteneva ad una delle sue sorelle, l'ultima ad esser morta. Lì per lì, aveva temuto una sua reazione offesa, quando le aveva spiegato perché Shikame gli aveva affidato proprio quel guscio, invece sembrava essere parecchio felice della cosa.
La sera stessa, dopo aver presentato Anezaki all'eremo, aveva condotto la bambina sulla spiaggia e le aveva spiegato il suo compito: rompere, scuto per scuto, quel carapace, da cui poi le tartarughe avrebbero ottenuto un'armatura.
La ragazzina era rimasta a bocca aperta e, in preda ad una gioia incontenibile, aveva voluto cominciare da subito il suo addestramento.
Quella vivacità, tuttavia, durò poco: il tempo di scoprire che concentrare il chakra in una mano per spaccare un guscio, non era così facile come credeva.
La mattina dopo erano ancora lì: Heiwa che li teneva d'occhio assieme a Shiwa ed Isshikame, Anezaki che sotto il sole colpiva il carapace e lui che supervisionava il tutto.


Isshikame: "Cos'è che sta cercando di fare, esattamente?"

Doveva essere, più o meno, la ventesima volta che Isshikame gli ripeteva quella stessa domanda, con l'aria di chi si era appena svegliato: era sempre stato un tipo piuttosto ingenuo e poco propenso al ragionamento, ma di fronte a tanta insistenza dovette incrociare le braccia, trattenersi dall'alzare gli occhi al cielo e concludere che quell'allentamento tanto particolare non solo era una novità assoluta per la tartaruga, ma probabilmente anche completamente privo di senso.
Non poteva dargli tutti i torti, visto che la ragazzina era riuscita a malapena a fare due passi sull'acqua due sere prima, figuriamoci se nell'arco di poche ore avrebbe mai potuto concentrare abbastanza chakra nella mano per spaccare gli scuti di un guscio.


Arashi: "Rompere quel guscio, spaccando uno ad uno gli scuti.
Shikame-sama ha detto che le sarà utile, che senza non potrà avere la sua armatura...ho pensato che, mettendogliela su questo piano, come una specie di gioco al termine del quale vi è una ricompensa, sarebbe stato più facile per lei imparare."


Isshikame si lasciò sfuggire un suono gutturale vagamente riconducibile a una risata piuttosto divertita.
Lui, d'altro canto, sbuffò l'ennesima volta quando Anezaki colpì il carapace, senza ottenere alcunchè.


Arashi: "È ovvio che non ce la farà mai, così.
Non possiede abbastanza chakra per rompere quel coso, né è capace di padroneggiarlo."


Di nuovo quel suono.

Arashi: "Oh insomma, ma si può sapere cosa hai da ridere?"

Isshikame gli restituì un'occhiata sognante, per poi tornare ad osservare la bambina.

Isshikame: "Perdonami, Arashi-kun, è che...beh, è normale.
La tua idea mi sembra buona, ma non stai considerando ogni cosa. Non è un semplice animale da addestrare, è una bambina e, come tale, non conta soltanto il gioco e il premio finale.
Ci sono molte cose che una bambina può fare, come te, in quanto essere umano.
Non è un problema di chakra, Anezaki-chan non riesce a sentire il guscio!"


Arashi: "Sentire il guscio?"

Isshikame: "Sì, come hai fatto tu con il mio la prima volta che ci siamo allenati qui, sull'isola.
Ricordi?"


Vagamente: ricordava di aver poggiato una mano sul carapace di Isshikame, e di essere rimasto sorpreso dalla totale assenza di calore.

Isshikame: "Non puoi rompere un carapace del genere, senza conoscerlo.
Metti una mano sul mio."


Sembrava essere diventato improvvisamente più serio e deciso, come se sapesse bene ciò che gli stava chiedendo e cosa ne sarebbe seguito.
Si affrettò ad eseguire, ma la sensazione che ebbe la prima volta, non fu diversa da quella che provò in quel momento, quando le sue dita incontrarono il guscio della testuggine.


Arashi: "Freddo. Duro.
Sento che ci sei, che sotto questo guscio tu vivi...ma suppongo sia solo perché ti vedo qui, davanti a me, e ti conosco.
Non percepisco nient'altro, dovrei?"


Isshikame annuì vigorosamente.

Isshikame: "Sì, dovresti.
Alcune cose le ignori, Arashi-kun, ma è normale, non sei stato ancora addestrato per questo.
Ora prova a mettere le mani sul guscio di Heiwa-san."


Eseguì ancora una volta, ma non percepì alcun cambiamento.

Isshikame: "Noti qualche differenza?"

Arashi: "No, nessuna. Potrebbero essere lo stesso guscio, per quanto ne so."

Entrambe scossero la testa, divertite.

Heiwa: "Stavolta fidati dei tuoi occhi. Non lo vedi che il mio carapace è molto più grande?
Muovi le mani, toccalo tutto.
Cerca."


Gli pareva quasi una mancanza di rispetto nei confronti di Heiwa ma, visto che l'invito proveniva dalla stessa proprietaria del guscio, si affrettò a passare le mani su di esso un po' ovunque.
All'incirca all'altezza dello scuto posto appena sopra la zampa sinistra, si fermò.


Heiwa: "Oh, hai trovato."

Arashi: "Qui è più...cedevole.
Sento il calore."


Isshikame annuì di nuovo, stavolta soddisfatto.

Isshikame: "Ogni guscio è diverso, perché ogni guscio ha il suo proprietario, e il suo proprietario la sua storia.
Capisci cosa voglio dire?"


Arashi: "Forse.
Heiwa, esiste davvero, per Anezaki, una via semplice per spaccare il guscio della tua trentanovesima sorella?"


Heiwa: "Certo che c'è."

Arashi: "Grazie."

Non gli serviva altro: Isshikame aveva pienamente ragione. Si era focalizzato così tanto sul far utilizzare il chakra ad Anezaki, che aveva tralasciato di insegnarle tutto il resto, che in realtà era la parte forse più importante dell'arte del combattimento.
Si avvicinò alla bambina a grandi passi, chinandosi accanto a lei davanti al guscio.


Arashi: "Perdonami Anezaki, non ti ho ancora insegnato tutto."

Passò le mani sul carapace vuoto e rimase così per diversi secondi, la fronte corrucciata e gli occhi chiusi mentre Anezaki lo guardava incuriosita.

Anezaki: "Ara-shan...? Cosa stai facendo?"

Lui non rispose subito, limitandosi a scuotere la testa.
Dopodiché, aperti gli occhi, concentrò il chakra in un dito e fece pressione sul penultimo scuto partendo dall'estremità posteriore del guscio, posto proprio sulla verticale di quella che avrebbe dovuto essere la coda della tartaruga.
Questo, con grande stupore della bambina, si alzò appena e andò a depositarsi a terra, sulla sabbia, accompagnato da un tonfo sordo.


Arashi: "Ti ho costretta a focalizzarti sulla cosa sbagliata: non devi rompere questo guscio, devi...smontarlo.
Ogni scuto può cadere come questo, se sai dove si trova e perché è più debole in un punto piuttosto che nell'altro.
Forse la tartaruga che possedeva questa casa, ha ricevuto una ferita proprio qui, dove io l'ho toccata, e per questo lo scuto era già stato danneggiato.
Una volta che ne hai tolto uno, gli altri saranno più facili da staccare."


Anezaki continuò a guardarlo con un misto di curiosità e confusione, come se non avesse ancora afferrato ciò che lui stava cercando di spiegarle.

Anezaki: "Quindi non devo colpirlo con tutta la forza che ho?
E come faccio a sapere dove devo toccarlo? Come hai fatto tu?"


Arashi: "Non ho fatto niente di speciale, niente di più di quello che hai visto: l'ho studiato.
Osservalo, toccalo, ascolta il suono che emette quando lo colpisci: ogni indizio che ti darà questo guscio, sarà uno scuto in più che potrai rimuovere.
Una volta che avrai capito dove colpire, basterà concentrare un minimo di chakra su quel punto esatto e il resto verrà da sé...proprio come ho fatto io.
Isshikame, Heiwa e Shiwa sono lì per aiutarti: tocca i loro gusci se vuoi, studiali, ascolta le differenze tra quelli e questo che hai davanti."


[...]



Lasciò l'isola la sera stessa, chiedendo ad Heiwa di utilizzare la tecnica del richiamo nella stessa, particolare maniera in cui l'aveva vista farlo proprio con lui quando si erano incontrati la prima volta, facendosi portare alle porte del villaggio della Foglia.
Fu costretto ad aspettare la mezzanotte, perchéla testuggine aveva bisogno di molto riposo prima di utilizzare una simile quantità di cakra per soddisfare la sua richiesta e, soprattutto, doveva prima aver consumato almeno tre porzioni abbondanti del suo minestrone preferito.
Se ne andò con gran rammarico di Anezaki, che tuttavia era riuscita quel pomeriggio a staccare dal guscio il suo secondo scuto e, quindi, in preda all'euforia, era finita a gambe all'aria sulla sabbia, sfinita, annunciando una sacrosanta pausa che avrebbe trascorso a giocare con Isshikame.
Lo Sharingan gli aveva da tempo rivelato la perfetta normalità del chakra della ragazzina - fatto assai strano se paragonato a quello della sorella più piccola - eppure non poté non essere sorpreso dai passi da gigante che aveva compiuto in soli tre giorni. Heiwa, quasi a volerli giustificare, buttò lì che era mertio di Arashi, che era un bravo maestro, ma lui in cuor suo sapeva che il merito della crescita di Anezaki era tutto da attribuire alla tenacia della bambina, qualità tutt'altro che scontata.
Prima di partire, dichiarò che sarebbe tornato presto per portarla a Konoha, dove avrebbe continuato ad allenarsi, ed in effetti uno dei motivi che ora lo spingevano a tornare al villaggio era proprio voler raccontare i recenti sviluppi all'Hokage e chiederle, dopo Oshoku, di poter accogliere tra loro anche una seconda ragazza decisa a diventare una kunoichi.
Oltre a questo, doveva ovviamente fare rapporto assieme a Setsuna ed Hakurei e raccontare come era avvenuta la cattura della Bestia, assicurandosi che la pietra finisse nelle mani dell'Hokage e, soprattutto, chiedere scusa per la sua sparizione improvvisa dal villaggioe provare a spiegare le sue motivazioni.
Quando giunse alle porte, poi, il karma volle proprio giocare con lui, perché le guardie erano le stesse ragazze che aveva ingannato alla partenza qualche giorno prima e, quando lui si presentò a loro con un sorriso colpevole ben stampato in faccia, ci mancò poco che queste non lo riempissero di botte seduta stante.
Se questo non avenne, probabilmente lo dovette al ritorno già avvenuto di Setsuna ed Hakurei, che forse avevano già comunicato il suo ruolo nella vicenda che si era appena conclusa, anche se si sarebbe aspettato di ricevere a breve una visita - tutt'altro che di cortesia - anche da parte di Nahoko Hyuga, che lo avrebbe strigliato per bene.


"Oh beh, ho fatto quello che era il mio dovere, checché ne dicano loro."

Una delle due ragazze lo prese per il braccio e lui, scherzosamente, le chiese se lo stesse per accompagnare al più vicino chiosco di ramen per riscuotere la cena che lui le aveva promesso.
Lei mise il broncio e allora capì che no, non erano diretti a un chiosco, ma alla sua abitazione: lo avrebbero accompagnato fin lì e, probabilmente, tenuto d'occhio fino a quando l'Hokage non lo avrebbe convocato per stare a sentire il suo racconto.
 
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view post Posted on 2/4/2018, 20:20
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Letto con piacere in mattinata nonostante la lunghezza, come al solito i tuoi post vanno giù che è un piacere^^

Come ben sai però il mero approfondimento di bg non è passabile di Exp, su 64k sforzandomi sono riuscita a ricavare 4-5k di allenamento che tra dialogo e tutto si riduce a meno della metà, cioè quando il pg studia il guscio delle due tartarughe per capirne la conformazione e infine svela il mistero alla bambina. Diciamo che più che allenamento proprio Arashi sta imparando ad insegnare alla piccola e in tal senso posso cogliere anche altro, da un paragrafo precedente, in merito al camminare sull'acqua.

Prossima volta consiglio di concentrarti di più sull'allenamento vero e proprio del personaggio (o sul racconto di una missione) o di separare le due cose in due topic diversi :superman:
    +500 P.ti Exp
 
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view post Posted on 30/6/2018, 22:05
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Arrivata a quel punto, avrebbe dovuto essere abituata alla visione della morte, alla perdita. Aveva a che fare con essa ogni giorno, e che fosse sul campo di battaglia o nelle stanze asettiche dell'ospedale non faceva molta differenza. Eppure eccola li, spezzata dal peso della responsabilità disattesa, dal dolore per un decesso ingiusto che aveva creduto ingenuamente di avere eluso. Non riusciva a credere che il corpicino di Himitsu fosse a pochi passi da loro, esanime fra le braccia della sorella maggiore; si sentiva come un fiamma tempestata dalla pioggia battente, cenere di un fuoco ardente che tentava disperatamente di appigliarsi a qualcosa per superare la tempesta e tornare a risplendere. Non era affatto facile riprendere le fila di quella situazione straziante, non con quella sensazione addosso. Si sentiva responsabile. Come se non avesse fatto abbastanza per evitare l'inevitabile, continuava a colpevolizzarsi, a chiedersi se, agendo diversamente, avrebbe potuto salvare la piccola Himitsu da quel destino crudele. E l'unico appiglio, l'unico balsamo che in quel momento aveva il potere di aiutarla a rimettere insieme i cocci del suo cuore in frantumi per la morte della bambina che, sognante, aveva riposto su di lei la massima fiducia, era quella mano sulla sua spalla. Hakurei era li con lei, ancorato alla sua spalla per darle forza, per consolarla nel suo piccolo, per dirle chiaro e tondo che lui non sarebbe andato da nessuna parte. E vi si appigliò a quella mano, stringendola e stingendo i denti, metabolizzando quella triste realtà come tempo prima aveva metabolizzato la perdita di Arashi Kaguya, stretta nell'abbraccio effimero delle piume d'osso di Higyo. Ricordava bene le parole dell'avvoltoio barbuto, il giorno in cui aveva saputo della sua dipartita. 'Sei una guerriera.' gli aveva detto. 'Estirpa ogni goccia di dolore con le lacrime, accetta la realtà e continua a combattere.'. E aveva ragione, su tutta la linea. Piangersi addosso non avrebbe cambiato assolutamente nulla: Himitsu sarebbe rimasta fredda fra le braccia di Anezaki e non avrebbe riaperto gli occhi soltanto per spegnere la loro disperazione. Doveva rialzarsi, doveva spiegare nuovamente le sue ali e volare, dare battaglia per quello in cui aveva sempre creduto, combattere per non dover più piangere altri innocenti. Lentamente i suoi singulti si placarono e la mano destra, posta sulla spalla sinistra su quella dell'allievo, piano scivolò via, andando a intercettare le ultime lacrime col dorso. Ben lungi dallo sparire era il suo dolore, profondo e meschino, ma con o senza Himitsu e gli Homura la vita sarebbe andata avanti e non poteva permettersi di essere spettatrice. Non lei.
Come un fulmine a ciel sereno o uno scossone alle fondamenta di una struttura oramai fragile dopo le intemperie, la titubante voce di quell’uomo dalla stazza imponente, venuto a chiedere conferma di quanto accaduto in quel lasso di tempo, la ridestò momentaneamente dal suo silenzioso stato d’accettazione e rassegnazione. E francamente le sue parole, così come il suo repentino interessamento alle sorti di coloro i quali erano stati tacciati di follia, le fecero davvero ribrezzo. Quanto facile poteva essere rammaricarsi, col senno di poi? Ce li avevano portati loro gli Homura a morire, per salvare un villaggio che altrimenti sarebbe stato cancellato dalle mappe con una zampata; erano stati loro a condannarli, e a condannare le loro anime al peso della responsabilità. Se soltanto li avessero ascoltati per tempo e avessero creduto alla genuinità delle visioni di Himitsu e alla parole accorate di suo padre Yuzuki, a quest’ora tutti sarebbero sopravvissuti. Dell’amarezza si dipinse sulle labbra della fanciulla Hyuga, ben celata dallo sconsolato volgere del capo verso verso la direzione opposta e sostituito ben presto da un sospiro profondo. Si. Era dannatamente facile rendere onore a qualcuno che fino a pochi minuti prima consideri un ciarlatano, giustappunto quando il sangue è stato oramai versato. Avvertì l’allievo titubare alla richiesta di recuperare i corpi dei coniugi, ma con grande dignità Setsuna si levò dal suolo, trascinando con sé il suo copri capo piumato. Non doveva indugiare, soltanto perché lei non si era ancora ripresa. Non era giusto nei suoi confronti trattenerlo, e non era giusto nei confronti degli Homura che avevano più che diritto a una degna sepoltura. –
Penserò io alla bambina, voi andate. – un sussurro carico di determinazione, accompagnato da un cenno del capo nella direzione in cui avevano lasciato i corpi esanimi dei due coniugi. Non avrebbe lasciato Anezaki sola in quel momento tanto doloroso, e non avrebbe permesso agli abitanti del villaggio di allungare le mani sul corpicino di Himitsu. Non erano degni di toccarla, né tanto meno di rammaricarsi per lei o per la sorella maggiore. Seppure con un certo rammarico nel lasciarla sola in un momento di palese e sconcertante fragilità, Hakurei le rivolse un debole cenno d’assenso e le assicurò che sarebbero ritornati subito. Setsuna sorrise debolmente e per un po’ rimase sola, in compagnia di quel sordo ed ingenuo capo villaggio e una Anezaki distrutta dal dolore, attaccata morbosamente al cadavere della sorella minore.
Nonostante il suo dolore e i suoi sensi di colpa, che le impedivano praticamente di avere la mente libera e che, a volte, tendevano a paralizzarla sul posto a causa di qualche sporadico ma prepotente pensiero catastrofico circa la sua condotta in quella faccenda, la giovane fanciulla dai capelli cobalto aiutò come poteva gli abitanti del villaggio. Specie nell’allestimento del funerale e nella costruzione della zattera che avrebbe accolto i corpi dei coniugi Homura e della loro secondogenita. Anche Anezaki, raccolto il coraggio di andare avanti, lottando con le unghie e con i denti contro i sentimenti oscuri che s’affacciavano per irretire il suo animo bellicoso, fece la sua parte. Silenziosa, si avvicinò a lei e diede il suo contributo nella costruzione dell’ultimo giaciglio dei suoi famigliari.
Quando tutto fu pronto e la zattera venne trascinata sino al fiume, che attraversava l’intero villaggio fino a sfociare nel mare, assicurata poi con delle robuste corde alle due sponde opposte, ecco che arrivarono Hakurei e Arashi con in braccio rispettivamente i corpi di Chihiro e Yuzuki. Erano oramai alle porte dell’imbrunire e la luce morente del sole di quel giorno infausto accompagnò le loro falcate sino alla zattera, dove adagiarono i corpi prima di mischiarsi alla folla che si era riunita per dare l’ultimo saluto ai suoi incompresi Eroi. Setsuna fece quello che probabilmente avrebbe voluto fare la stessa Anezaki, ma che per una questione di dolore e, più probabilmente, di forza fisica, non riuscì a fare: prese fra le braccia il corpicino di Himitsu, trattenendo le lacrime che quel corpo freddo e rigido a contatto con la pelle faceva scaturire con estrema semplicità, e lo condusse lentamente sino alla zattera, solenne, sotto gli occhi di tutti. La adagiò morbidamente fra coloro che le avevano donato e tolto la vita, rimpiangendo attimo dopo attimo di non essere riuscita a preservare il suo sorriso ammirato, la sua innocenza di bambina. Le posò un bacio sulla fronte, sporgendosi e sussurrando qualcosa che soltanto il suo cuore avvertì, stringendosi in una morsa invisibile. –
Gomennasai.. – disse alla piccola, carezzandole il volto gelido prima di allontanarsi, scura in volto e in lotta con i sentimenti che quella richiesta a vuoto le facevano scaturire. Si affiancò silenziosa all'allievo, mentre Anezaki, con grande forza e una punta di rabbiosa amarezza, afferrava la fiaccola e s’avvicinava ai corpi della sua famiglia per compiere l’ultimo gesto, prima che alle due sponde venissero rilasciate le corde e la zattera si avviasse verso l’ultimo viaggio degli Homura. Quello fu il suo estremo saluto.
Fu penoso. Fu doloroso. Probabilmente levarsi un rene con un kunai avrebbe reso un’effetto simile eppure non comparabile al patimento che in quei momenti stava provando. Quello spettacolo era sbagliato. Non c’era giustizia, nel veder scivolare la zattera in fiamme lungo il fiume, sotto gli occhi di una bambina forte ma non abbastanza da superare con uno schiocco di dita la perdita di tutta la sua esistenza. Doveva ricominciare d’accapo, la piccola Anezaki. Doveva trovare la forza di lasciarsi tutto indietro, di prendere la sua vita tra le mani e decidere come vivere il resto della sua esistenza. Era per forza di cose una cosa errata. –
Perché..? – sussurrò al vento, mentre i suoi occhi bianchi osservavano il rapido avvilupparsi delle fiamme e lo scorrere del legno sull'acqua. Aveva uno sguardo enigmatico, forse un po’ distrutto per chi sapeva interpretarlo, come di chi sta sforzandosi a non versare più lacrime. Era ferito, appena infervorato. - Perché deve sempre finire così? – proseguì, in quella sorta di sfogo personale rivolto a tutti e a nessuno. - Quante altre persone dovrò vedere morire senza poter fare nulla per salvarle? Quante altre volte fallirò? – e a quell'ultima domanda a se stessa una lacrima traditrice le solcò il volto, mentre abbassava finalmente lo sguardo e sospirava via quella pesantezza d’animo. Sapeva che quel risultato non era dipeso da lei, non del tutto almeno.. ma sapeva che le faceva male e che glie ne avrebbe fatto ancora, per un po’ di tempo. La risposta dell’allievo al suo fianco arrivò presto, come fosse la voce della sua stessa coscienza che cercava di ridestarla da quello stato.
Ascoltò le sue parole con estrema attenzione, nonostante quella visiva fosse totalmente rivolta al fuoco che consumava la zattera e i corpi senza vita dei tre Homura. Appena ebbe finito, volse appena il capo in sua direzione per incrociare il suo sguardo smeraldino, anch'esso rivolto verso la zattera infuocata. Aveva ragione da vendere, e in cuor suo lo sapeva piuttosto bene. Non era facile però passare così velocemente sopra il dolore, e nonostante apprezzasse davvero il suo tentativo di rimetterla sulla giusta carreggiata, l’unica cosa che fu in grado di fare fu abbozzare l’ombra di un sorriso. –
Hai ragione.. – rispose. - ..sei molto più maturo di me, sotto questo punto di vista. Alle volte sembro proprio la stessa bambina d'allora, con tanti sogni e una bella faccia tosta. – e sospirò mesta. Non era effettivamente cambiato nulla, o quasi. - Quello che ho detto al demone è vero: sono solo una semplice umana con la grossa presunzione di voler cambiare il mondo. – si prese un po’ in giro, sorridendo imbarazzata e abbassando lo sguardo. Era stanca, di piangere e di provare quello che stava provando. - Grazie, Hakurei. Sono fiera dello shinobi che sei diventato. – era sincera mentre glie lo diceva. Non si conoscevano da lungo tempo, ma quel poco che avevano avuto modo di condividere l’aveva convinta della sua genuinità, del suo essere assolutamente razionale senza però omettere il buon cuore. Lui parve sorpreso di sentirle dire una cosa del genere e solo dopo una lunga pausa riuscì effettivamente a mettere due parole in fila, per ringraziarla e per spendere per lei parole belle, Il suo pensiero, in un certo senso, la rincuorava: forse la sua presunzione non era del tutto vana, del tutto inutile. Sorrise di rimando all'allievo, un po' più calma rispetto a prima, mentre s'asciugava quell'unica lacrima traditrice che era sfuggita al suo controllo. - Credo che dovrò lavorare un po' per estraniarmi da tutto questo, e forse non riuscirò mai ad essere indifferente a tanto dolore. Sono fatta così. - con tutta se stessa cercava di ammorbidire la tensione di quel dialogo profondo, di ritornare quella di sempre; la stessa che poco tempo prima era messa in prima fila contro il demone dalle due code. - Quel che è certo è che continuerò a lottare, proprio per non far parte di questa giostra del tutto sbagliata, per non deludere chi si è sacrificato per noi. E' il minimo che posso fare per loro, e per me stessa. - affermò con decisione, inspirando l'aria della sera inquinata dal fumo prodotto dalla pira sul fiume, oramai abbastanza distante. Sentire la vicinanza di Hakurei era stato importante per lei, e tanto le bastava per auto convincersi di doversi assolutamente riprendere da quella batosta infame voluta dal destino beffardo, - Sono molto vanitosa. Andare contro corrente è sempre stata la cosa che mi ha resa quella che sono. - ridacchiò, alleggerendo il tono grave e ripristinando quella che somigliava alla normalità, pensando al suo modo eccentrico di vestirsi, al suo lottare sempre contro tutto e tutti per i suoi ideali. Era sempre stata ribelle, da quel punto di vista. E mentre la zattera non era che un punto luminoso in mezzo al fiume lontano, attesero che l'omelia silenziosa terminasse. Il suo dolore non sarebbe passato con uno schiocco di dita, ma quanto meno c'erano delle basi adesso su cui lavorare.
Pochi minuti dopo fu Arashi a prendere parola, avvicinandosi a loro con Anezaki al seguito. Annuì con determinazione alla sua raccomandazione sulla sfera contenente il Nibi. Non era una sprovveduta e l'avrebbe difesa con le unghie e con i denti, rimettendoci la vita se necessario.


(Cascasse il mondo, quella sfera finirà dritta nelle mani di Akane-sama. Non permetterò a nessuno di rendere vano il sacrificio degli Homura e della piccola Himitsu.)

Quello era poco ma sicuro. Gli dispiaceva separarsi dall'Uchiha; aveva mostrato grande coraggio sul campo di battaglia, nonché intelligenza. Aveva fatto di tutto per proteggere le bambine, arrivando persino a consegnarsi al Matatabi come un pazzo suicida, il che non lo rendeva del tutto dissimile da lei. I suoi ringraziamenti nei suoi confronti furono superflui, seppure molto apprezzati. - Non devi ringraziarmi, Arashi-san. Ho fatto solo quello che andava fatto, quello che era giusto fare. Sono certa che nella mia stessa posizione, sia tu che Hakurei avreste fatto lo stesso. - sorrise, rispondendo ai suoi generosi ringraziamenti per quanto fatto. Mostrò un po' di imbarazzo non appena le disse che era orgoglioso di avere una compagna come lei, seppure non credesse al momento di essere chissà quale valore aggiunto. Un cenno del capo e un sorriso furono la risposta a quel complimento, come a voler indicare che la cosa fosse reciproca. - Anche voi fate buon viaggio, e prenditi cura di lei. Per qualsiasi cosa sarò a vostra disposizione. - disse infine, guardando Anezaki e salutandola con un cenno del capo, rispettoso e poco invadente. Non poteva fare altro per lei, se non rispettarla e rispettare il suo dolore, mettendosi a disposizione per qualsiasi cosa avesse bisogno. Fu allora che le loro strade si divisero.

Lei a Hakurei rimasero a Kawagoro per la notte, ospitati dal capo villaggio. Fu una notte difficile per lei, piena di incubi crudeli che non facevano che rigirare nella ferita fresca come un coltello intriso di sale. Dovette fare appello a tutta la sua buona volontà per dormire almeno qualche ora, recuperando un minimo le forze che, ne era certa, le sarebbero servite lungo il viaggio di ritorno.
Partirono di buon'ora, salutando rispettosamente il loro ospite e avviandosi a piedi in direzione della Foglia. Setsuna decise di non evocare l'avvoltoio barbuto per lasciarlo riposare ancora un po', dopo tutto quello che aveva fatto per loro. E poi non credeva avrebbero corso grossi rischi, specie perché avrebbero viaggiato in incognito e con poche soste. Non ci voleva chissà che ad arrivare a casa, quindi gambe in spalla si avviarono, lesti, con la pietra contenente il Nibi nascosta opportunamente sotto la giubba protettiva, all'altezza del seno. Li sarebbe stato più difficile perderla di vista, e più difficile trovarla considerati i vari nascondigli che una donna come lei poteva avere sul corpo.
Fu un viaggio calmo, prima di accedere alla foresta che li separava dalla porta sud del villaggio. Sino a quel momento non aveva attivato la sua innata per paura di dover patire lo stesso dolore che aveva patito fra i monti a nord di Kawagoro, dove un lancinante mal di testa l'aveva colta e destabilizzata abbastanza da metterla fuori gioco. Se era il Nibi e il suo chakra la causa di quella reazione, nulla poteva dirgli con certezza che non sarebbe successo ancora una volta. Dopotutto il demone era con loro, rinchiuso in una innocua sfera che pareva più un detonatore di un qualche ordigno. Preferì quindi non rischiare, ma qualcosa parve turbarla ad un certo punto. Cominciò ad essere guardinga, come se si sentisse osservata, braccata. S'arrestò un momento per guardarsi bene intorno, e Hakurei s'arrestò con lei.. ma non ebbero tempo di fare nulla, poiché un gruppo di uomini bardati di bordeaux li avevano letteralmente circondati senza che loro se ne accorgessero e uno di questi, quello che pareva essere il leader, le fu subito alle calcagna. La immobilizzò da dietro, strattonandola e puntandole un kunai al collo. Lei non oppose resistenza, ma trattenne il respiro, guardando Hakurei. -
Consegnami la sfera ragazzo, se non vuoi che tagli la gola alla tua amichetta. - intimò rivolgendosi ad Hakurei, pressando maggiormente il freddo metallo sulla sua gola. Strinse i denti lei, ma poi le venne da sorridere. Pessima scelta cercare di prenderla in castagna, specie con quella distanza ravvicinata. - Spiacente. Hai preso la ragazza sbagliata. - disse, strattonando il braccio armato del nemico e assestandogli una gomitata sulla bocca dello stomaco che lo lasciò col fiato sospeso. Subito gli altri furono addosso a lei e Hakurei, ma nessuno dei due si fece trovare impreparato. Setsuna attivò senza pensarci due volte il byakugan, allontanandosi con una capriola all'indietro e guadagnare terreno per un attacco frontale. Oltre a colui che le aveva puntato contro il kunai, due stavano venendo in sua direzione e lei li accolse in grande stile, parando i loro assalti armati e rispedendoli al mittente con palmi di chakra ben assestati. Inutile che si rialzassero e tentassero nuovamente di attaccarla, poiché la sua vista le permetteva non soltanto di vederli da ogni direzione ma anche, in un certo senso, di anticiparli, persino quando cercavano di attaccarla lateralmente. Un affondo col kunai da parte del loro capo s'infranse nell'aria, schivato dalla donna dai capelli cobalto che rapida passò alla controffensiva, assestando un colpo chakrato che incrinò le ossa dell'avambraccio del nemico, che urlò di dolore. Gli altri due furono sistemati con un po' di botte e qualche pugno ben assestato. Non ci sarebbero stati prigionieri quella volta, quindi sfruttò le sue conoscenze mediche per colpire i punti vitali e metterli a tacere una volta e per sempre. Non poteva permettersi di rendere vano tutto, di lasciare indizi e possibilità aperte; per quanto disprezzasse uccidere, faceva parte del suo lavoro da kunoichi. E poi era infervorata. L'adrenalina le scorreva in corpo, così come la rabbia per aver perso Himitsu e nel constatare quanta scelleratezza potessero avere quei luridi vermi del Kyo Dan nel mandare dei sicari disposti a tutto per la libertà di un demone che li avrebbe distrutti tutti. Non lo accettava. Si avvicinò dunque al capo, dopo aver sistemato i due scagnozzi, ancora dolorante per un colpo alla mascella. Gli si sedette sul ventre e lo prese a pugni, ancora, e ancora, e ancora. - Non vi permetterò di distruggere il mondo per la vostra vanagloria e sete di potere! - gli urlò contro. - Non renderete insensata la sofferenza di quella bambina! - continuò, pensando ad Anezaki mentre affondava con le nocche chiuse sul volto oramai irriconoscibile dell'uomo che aveva avuto l'ardire di minacciarla apertamente.
Fu solo dopo aver sfogato la rabbia che s'arrestò, rendendosi conto che l'uomo sotto di lei aveva smesso di muoversi. Aveva le mani sporche di sangue, e inorridita se le guardò. Ansimò piano, sollevandosi, chiudendo gli occhi a quanto aveva fatto. Poche volte aveva ucciso e mai con quella ferocia. Un po' la spaventava, per quanto credesse fermamente di aver fatto la cosa giusta. Come detto, non potevano permettersi di avere spie alle calcagna con un fardello come quello che portava addosso. Si guardò attorno in cerca di Hakurei, chiamandolo con voce strozzata dall'affanno e trovandolo a terra a pochi metri di distanza. Si precipitò da lui e il suo cuore perse un battito nel vederlo in quello stato pietoso, ricoperto da testa a piedi di sangue. -
Hakurei-kun, resisti! - gli disse, cominciando a trattare le ferite con il chakra curativo affinché potessero essere momentaneamente risanate sino all'arrivo all'ospedale. Fatto questo, asciugò la mano destra nella veste oramai sporca e morse a sangue il polpastrello prima di effettuare i sigilli del richiamo ed evocare il maestoso Higyo. Quest'ultimo, apparso immerso nella sua solita nube di fumo, la osservò sconcertato. - Che cosa diavolo è successo qui?! - chiese, ma non c'era tempo da perdere. - Ti spiegherò tutto in viaggio, Higyo-san. Dobbiamo andare a Konoha, e di volata. Siamo stati assaliti, volevano la pietra del Nibi! - disse concitata, aiutando l'allievo a sollevarsi per raggiungere il dorso del rapace che, compresa la situazione, schioccò la lingua nel becco e permise loro di salirgli in groppa senza fare ulteriori domande. Aveva capito. Dunque, con un paio di battiti d'ali, furono in alto nel cielo e da li a poco avrebbero raggiunto casa di volata. Aveva mantenuto la promessa che aveva fatto ad Arashi.



Si. Non vado d'accordo con le autogestite.
 
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view post Posted on 1/7/2018, 21:25
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♫ Peace ♫

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E finalmente dopo mesi si chiude il cerchio, siete un gran bel trio, me fiera :asd:
Ottima giocata *seguono tante lacrimucce*, dai che voglio vedere Setsuna riprendersi e spaccare i culi più di prima U.U

I caratteri ci sono, tutto regolare. Per te:
    +500 P.ti Exp


Edited by ~Angy. - 1/7/2018, 22:54
 
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