Kuro Yaiba, Shintou Agiwara - Sessione autogestita #2

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view post Posted on 12/12/2017, 18:47     +1   -1
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Nukenin
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La Lama Nera del Santuario delle Tre Vie.
Eccolo lì il fu Shinta Himura rinato in Shintou Agiwara. Generale di un esercito di immortali.
Di strada ne aveva fatta. Pure troppa. Guardava dalla finestra il paesaggio invernale.
Il fuoco zampillava in un camino rustico, spandendo calore nella stanza con pietre grigie e arredata in maniera essenziale. Pochi fronzoli e poco sfarzo.
Non ve n’era bisogno.
Anche se quel poco che vi era, ad un occhio attento ed esperto, avrebbe capito subito che aveva un valore inestimabile. Gli arazzi sulle pareti avevano come protagonisti vecchie storie sullo Jashinismo. Forse avevano 500/600 anni ed erano preziosi. Intessuti con filo oro e argento.
Avevano usato solo materie prime e ricercate. Che all’epoca valevano quanto una nazione.
Il fermacarte in argento, recava il simbolo di jashin, il candelabro che pendeva dal soffitto, era in oro e bronzo finemente cesellato.
Mastri orafi erano stati chiamati a fare quel lavoro sontuoso. Le loro mani crearono un unico capolavoro che avrebbe fatto la gioia di diversi storici e antiquari.
La scrivania era di legno massello. Scura ma intarsiata con il simbolo del triangolo. E tutto intorno alle pareti correva un immane libreria. Libri, sutra, mappe, pergamene in ogni lingua e di ogni forma. Indra Makeba era una donna che teneva la mente aperta su tutto. Come chi, ora, era seduto su quella stessa poltrona, in una sala dove altri suoni e passi risuonavano.
Perché Shintou studiava. Studiava sempre perché si è per sempre allievi. E doveva imparare e conoscere per sapere guidare quell’esercito che poteva mettere sotto scacco una regione.
Ma soprattutto difendere il Santuario. Che stava divenendo un luogo di culto tra i maggiori.
Le imprese di sua moglie erano corse di bocca in bocca. Il Gobi fu solo una scintilla che avrebbe appiccato un incendio di immani proporzioni.
Non solo Sue diveniva giorno dopo giorno più scontrosa e irritabile – vuoi per vendetta, vuoi l’invidia – ma soprattutto molti sarebbero accorsi a frotte. E non sarebbero stati solo innocui pellegrini a rendere omaggio e grazie alla figlia di Jashin incarnata.
Doveva essere protetta. Altri ambiziosi avrebbero voluto metterci le mani sopra…e il solo pensiero che sua moglie andasse a Kiri…

«Come fare? Come posso fare a proteggere tutto questo? »

Si lisciò la barba. Quesito importante. Sprofondò nella poltrona. Di solito era lui quello che vedeva i potenti assorti nelle loro elucubrazioni mentali.
Il peso delle responsabilità…Giichi lo sapeva portare. Lui? Difficile dirlo dopo un paio di settimane…ma avrebbe affrontato questa responsabilità.
Non avrebbe disonorato Indra Makeba.
Anche se…anche se quando ci pensava sentiva un groppo in gola.
Mise entrambe le braccia sulla scrivania, poggiò i gomiti e mise il viso sui pugni. Lo sguardo perso nel vuoto. Il paesaggio era bello, la neve cadeva, i lavori nei campi procedevano spediti e i guerrieri si allenavano.
Aveva fortificato i confini, reso lo scambio con gli altri villaggi più prolifico – in tempi così oscuri – e iniziato ad allenare personalmente Kuma e gli altri.
Qualcuno non aveva accettato tutto questo, però. Non poteva andare tutto liscio…Ryujin jakka aveva fatto tacere sul nascere ogni velleità di mettere in discussione il suo nuovo ruolo.
Braccia e gambe furono fatte volare e la neve macchiata di rosso divenne.
Ma a tutti aveva dato una scelta: o rimanere o andarsene.
Questo lo stupì: rimasero tutti. Persino Sue…perché? Lo rispettavano? Lo temevano? O chissà per quali assurdi motivi che solo un immortale poteva fare.
Stava divenendo troppo come Giichi. La verità era più semplice. Una verità che fu Seishin – con la sua solita calma – a fargli notare: i segni non erano da sottovalutare.
Sebbene vi fosse ancora mistero sui perché del tradimento di Indra, era chiaro che lui fosse divenuto il più forte del santuario.
Il più forte…tra Jashinisti che superavano di gran lunga i 3-4 secoli. Non si era mai sentito il più forte, né il più degno eppure questi jashinisti si erano piegati di fonte a lui.
La forza del Triangolo?
In ogni caso non erano pensieri da fare. Aveva scelto questa strada e questa avrebbe intrapreso.
Si alzò…passò con i suoi occhi su quella stanza. La stanza che fu di Indra…e che ora era sua…chissà come si sentì la prima volta.
Il paesaggio era lo stesso? Nevicava anche all’epoca? Quale furono le sue mosse?
Sul tavolo vi erano alcuni incartamenti. Alcuni firmati da lei, altri in attesa. Tutto perfettamente in ordine. E poi…vide un libricino. In pelle, con le pagine ingiallite.
Un diario dove annotava alcune cose riguardanti la vita del tempio e scoprì che nulla sfuggiva al suo occhio. Un occhio vigile per tanto, troppo, tempo. Quelle pagine erano vecchie di anni, di lustri addirittura.
Silente e discreta, Indra controllava il Santuario dall’alto e senza troppi giri di parole. Diretta.
Forse leggendolo avrebbe capito di più Indra e in che modo fare del bene a quello che considerava casa sua.
La neve come cenere si posava sui tetti delle case, mentre il fuoco continuava ad agitarsi nel camino, zampillando allegro, scoppiettando e spandendo calore nella sala, mentre Shintou si immerse nella lettura.


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« Alcuni sono già arrivati. Ma non stanno causando problemi.»

Disse Kuma, braccia conserte, camminando in mezzo alle strade del santuario.
Shintou se ne restava in mezzo a loro, uno qualunque quasi, ad osservare.
Il lungo soprabito color azzurro, con i simboli dello jashinismo alla fine, lo rendevano una chiazza stonata. Così come anche il modo di andare vestito ultimamente.
Era sempre stato eccentrico ma aveva fuso la sua eccentricità con il modo di vestirsi all’occidentale. Quindi stonava.
Quindi era visibile anche se faceva di tutto per essere un qualunque nessuno. Ma i suoi occhi osservavano.
Una stretta di mano ad alcuni, un bacio a dei bimbi, qualche scherzo con dei contadini che tornavano dai campi. Shintou passeggiava.
In mezzo a loro. Perché doveva tastare, capire, osservare stando lì, come uno di loro, e parlare con tutti. Per capire.
In questo era diverso da Indra che osservava da lontano. Ricordava più il modo di Giichi.
Ma da entrambi aveva preso il meglio: Giichi stava in mezzo al suo popolo, perché solo così lo sapeva proteggere, Indra era silente e riusciva a vedere i problemi prima ancora che accadessero.
E Shintou rifletteva sui nuovi arrivi.
Il suo istinto gli diceva di non fidarsi. Qualcosa in lui vibrava. Sentiva che c’era qualcosa di strano…troppo…e molto bene ricordava in che modo quel bastardo trattò la figlia di Jashin.
Logico pensare che non fosse l’unico a crederla in quel modo. Giichi e Indra cosa avrebbero fatto?
Ma soprattutto: lui che doveva fare? Perché sia Giichi che Indra erano comandanti. Nascevano come tali e naturalmente preposti all’obbedienza e a guidare.
Ma lui…lui era un soldato. Non era nato per essere un comandante. Non riusciva a trovare il suo modo.
Rifletteva su questo quando…una sensazione. Come se l’avesse percepita ancora prima che accadesse.
Vide il bambino avanzare per salutarlo…un ombra dietro di lui. Uno scintillio di metallo dove non doveva esserci.
Un aura omicida così forte che fu quasi un muro. La punta della lama. Di tre lame…la sua wakizashi ad impattare.
Stridio di metallo e schegge arancioni nell’aria.
Il suo braccio a spostare il bambino, la falce a ritirarsi, il suo corpo davanti ad esse. Davanti a loro.
Il primo tradimento dato dal potere. La prima serpe in seno.
Kuma e gli altri scattarono. Shintou alzò un braccio.
Non era la loro battaglia. Avevano puntato a lui. E non si sarebbe fatto difendere da chicchessia. Una sfida era una sfida.
Lasciò il bambino tra le braccia di Seishin. Li guardò uno ad uno.




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« Ad essere sincero me lo aspettavo.
Mi chiedevo però quando e come lo avreste fatto. Però mi avete stupito…vi reputavo vermi …ma non così bassi da sfruttare un bambino per arrivare ad infilarmi una lama in petto.»






« Tutto è lecito, stronzetto.»

Aveva una benda a coprirgli il volto. Pelle scura. Aveva fatto parecchia strada? La voce era come un pugnale nascosto nella seta.

« Ma sei stato veloce. Te lo devo riconoscere…ma non cè la puoi fare.
Sei troppo onorevole e una battaglia non è mai onorevole


Ma lui questo lo sapeva molto bene. Ma aveva il suo modo di combattere che non avrebbe cambiato per tre vermi.

« Siete qui per Shitsuki…l’ho capito. Ma che c’entro io?»

La curiosità.
Uno sbuffo alle sue spalle. Lo strisciare di una catena. Lo schiocco. Scartò di lato il colpo, tagliò un pezzo di stoffa.
Era veloce e bravo. Non aveva visto il movimento. Talmente veloce che nemmeno si era avvertito.

« Tu qui comandi. Si fa per dire, ma comunque non siamo qui per lei… ma per te.
Noi vogliamo questo posto. E se abbiamo questo posto avremmo anche lei. Facile, vero?
Il problema è solo uno: tu sei un cane. Gli stai sempre addosso. Tolto te tutto sarà facile.
Noi dimostreremo di essere più forti e degni di te. La storia del triangolo…ci prendi per il culo?!
Tutte stronzate! Kuro era già morta e quella per farti contento ha raccontato ‘ste cazzate!»


Una falce ad abbattersi dall’alto. Più che falce era come un falcetto a tre lame e avevano il filo rosso. Rosso sangue…ed era vischioso… tagliò una ciocca di capelli. Bruciarono nell’aria.
Uno sputo per terra. Un grugnito d’insoddisfazione.

« Ti abbiamo osservato… triangolo?! Pfu…stronzate!
Sei solo fortunato e basta. Fortunato nell’acciaio, fortunato nel letto. Ma le cose cambiano Lama Nera di ‘sto cazzo!»


E lo attaccarono tutti e tre insieme. Non vi era nulla di onorevole. Ma del resto non poteva aspettarsi niente di tutto questo.
Non tutti combattevano seguendo un codice. Il fine giustifica i mezzi, lo scopo è tutto, raggiungerlo in ogni mezzo e modo possibile. Anche lasciando da parte orgoglio e il proprio amor proprio.
Tutto per lo scopo. ‘Sticazzi su come si fosse raggiunto. L’importante era altro.
Quindi non si stupì di nulla. Né di aver approfittato di un momento di pace, né che avrebbero ucciso un bambino, né tantomeno di star a combattere tre contro uno.
Me ne frego, conto solo io, ‘sticazzi del mondo e degli altri così andava. Questo era il mondo.
Questo l’essere umano. Non che lui fosse migliore, non osava pensarlo anzi, ma almeno aveva un modus menti che non tradiva. Un proprio codice, seppur scemo, ma almeno non era così paraculo e opportunista da cambiarlo a proprio comodo solo per avere stronzate.
Perché un verme rimane verme. Sempre.
E non solo vermi…ma IGNORANTI. E qui un appunto mentale: veloce come la sua wakizashi, tagliente come il suo filo.
L’ignoranza era al condizione primaria dell’essere umano. Il saggio è colui che sa di non sapere.
Ma attenzione: non voleva nobilitare i tre scemi. C’è ignoranza A e ignoranza B. Quella del saggio è la consapevolezza di essere ignoranti, come germe della curiosità. La curiosità che nasce dall’ignoranza, che guarda alla stessa come limite intrinseco dell’essere umano, su cui si fonda tutta la sua vita. Tutta la sua impresa in questo mondo.
E stavamo parlando di uomini mortali…concetto che si allargava all’infinito per gli immortali. Eppure lì davanti a lui non v’erano tre ignoranti saggi ma tre imbecilli.
Perché il sapere di essere ignoranti, di contro al dogmatico che crede di avere la verità in tasca, sarà il gusto dello scoprire. Di non fermarsi alla superficie e di squarciare il velo di Maya posto di fronti ai nostri occhi.
E più si imparava più si partecipava alla collettività…quei tre se ne stavano staccando con un me ne frego perché chiusi nel loro essere imbecilli. Non volevano partecipare a qualcosa di storico e accrescersi ma sollazzarsi e bearsi senza avere le capacità e le conoscenze.
Vermi. Che sarebbero rimasti vermi…provava pietà per loro.
Ma fu un pensiero così veloce e una pietà così lesta, che quando la sua wakizashi saggiò le carni del nemico tutto questo fu come rugiada.
Perché la loro ignoranza era furbizia. Non erano troppi scemi per la guerra ma troppo furbi. Esentati da tutto? No.
Loro lì c’erano perché lo volevano. Non perché erano ignoranti che non riconoscevano i simboli…e quindi la loro furbizia, il loro me ne frego faccio come cazzo mi pare, perché sono furbo si sarebbe scontrata con Higanbana.
E con un qualcosa che mai avrebbero pensato.
E si ricordò di Giichi per un attimo: Una dimostrazione di forza vale più di mille parole.
Fino a quel momento Shintou aveva combattuto reputandoli ignoranti. Ma non poteva più permettersi la pietà.
Le responsabilità, di fronte al consorzio sociale, erano altissime. E solo ora capì Indra e Giichi e i loro modi.
E mentre leccò via il sangue dal filo di Katen Kyokotsu tutto intorno a loro si gelò.
Un freddo sovrannaturale.
Si tolse la giacca. Gliel’avevano strappata. L’avevano ferito…l’irezumi brillò di luce spuria e le cicatrici pulsarono.
Come se seguissero il pulsare di un cuore che non v’era più.
Higanbana…nacque diretta dal suo braccio destro, mentre Ryujin Jakka ronzava terribile nell’aria.





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« Avete fatto un piccolo sbaglio. Ma un tempo avrei sorvolato. Un tempo avrei fatto altro.
Ora ho una responsabilità e ho versato il sangue di una persona che onoravo per questa responsabilità.»






Era uno Shintou diverso.
Umile ma responsabile. Non avrebbe riso, non avrebbe scrollato le spalle ma avrebbe dato battaglia.
Quella era la sua patria. Quei tre gli invasori.
Avrebbero capito TUTTI cos’era davvero Shintou Agiwara. Il Minazuki no Hana del santuario delle Tre Vie.
Avrebbero visto l’inferno…e in esso sprofondati per sempre.
E combattè.
Perché questo faceva il Triangolo. Combattere e versare sangue. Nella battaglia era il suo posto e della battaglia lui sarebbe divenuto un Dio.
Ogni colpo di Higanbana non tagliava la carne ma lo spirito. L’anima…perché il Giglio del ragno Rosso accompagnava le anime dei morti all’inferno.
Era una strada rossa per non fargli perdere, per non fargli diventare Yokai; perché l’equilibrio che avevano decretato gli Dei fosse protetto e preservato.
E quel fiore comparve. Per loro…e non fu di buono auspicio.
Un urlo sembrò accompagnare ogni movimento di quella falce infernale. Urla di Yokai e Yurei. Onryo a sorgere come fiori spettrali.
Erano intorno a loro. Volevano quei tre.
Era come se il mondo dei morti si facesse largo per prendere il posto di questa realtà. Sembrava che fosse Shintou il faro a cui quei demoni si aggrappavano per trovare la via in questo mondo. Le sue cicatrici brillavano, ormai pregne del chakra di Oto che scorreva impetuoso nel suo essere.

Ad ogni colpo il giglio si apriva, ogni volta che venivano colpiti la loro anima sembrava che si strappasse, disperdesse in mille parti. Sensazione terribile.
Ma soprattutto terribile era lo Shinmei Ryuu. Un colpo mille colpi. Si adattava al flusso della battaglia, non avendo forma ma essendo tutto. E quel chakra…quel chakra era oscuro.
Non come il Buio di Jashin…era il nulla. Strappava le loro anime, bloccava ogni loro mossa e al tempo stesso negava la loro esistenza in questo mondo. I suoi occhi vermigli avevano una screziatura bluastra. Le sue cicatrici pulsavano della stessa luce che si irradiava fino ad Higanbana come dei rampicanti azzurrognoli che bramavano quelle anime.
Si guardarono per un lungo istante…avevano capito? Potevano fuggire?
Shintou lesse questo e la sua lama fu come mille: fasci di luce nell’aria che li trafissero tutti. Si alzarono dal suolo, sospinti da una forza che non era di questo mondo e le urla terribili dei demoni fece sanguinare a loro le orecchie.
Intorno a lui vi era la morte. E da essa non ne sarebbero sfuggiti.
Vi era l'inferno stesso richiamato da quel chakra antico e sconosciuto. Richiamato dalla volontà del Manjushage. La loro ignoranza a questo aveva portato.
Contro di loro vi era davvero il Triangolo. Perchè questo era Shintou. Questa la sua essenza. La quintessenza, la forma del suo Io. Il suo cuore era sacrificato non la sua anima che si era tramutata in un giglio del ragno rosso.
Shintou ormai era qualcos'altro.
E il giglio fu completo.
E con lui lo Yomotsu Hirasaka.
Il monte dei morti…l’inferno in terra. Strano…gli Jashinisti era padroni della morte. Incorrotti e incorruttibili da essa…eppure…eppure ora davanti a Shintou persino la morte si arrendeva.
La Falce che poteva uccidere uno Jashinista. Minazuki No Hana…il fiore del Nulla. Della fine di tutto.
Anche dell’immortalità. Il loro sangue bagnava quel fiore che ora, sbocciando, decretava la morte per ognuno di loro.
Sacrificandoli a Jashin anima e corpo.
Ne furono sottomessi a questa visione. A questa Legge che non poteva essere infranta.
E perla prima volta i loro cuori tremarono.
Paura.
Questa sconosciuta sensazione ad uno Jashinista o, per meglio dire, dimenticata.




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Uno squarcio che si ingigantì da cui sgorgò sangue, urla, morte, distruzione. Mille e mille mani che si arrampicavano, contorcevano, corpi ignudi sventrati, squassati, violentati e al centro...
Vide... vide i Demiurghi.
Sui loro troni d'ossa e d'oscurità. Perchè Jashin non era che uno dei tanti. Forse il più forte?
Di certo su quei troni vi erano alcuni che potevano contrastarlo...una visione terribile. Una visione dell'inferno.
E fu reale e tangibile perché anche gli altri lo videro e ne furono abbattuti.
Il creato intero si piegava al Giglio...Videro Shintou avanzare.
Higanbana sembrava una pietra preziosa del mondo dei morti. Aveva una luce tetra, mentre il chakra azzurrognolo scorreva impetuoso dando sostanza, nutrimento e forma a tutto questo.
Il filo indissolubile. Spezzato solo dal sacrificio. Shintou piegato da questa volontà.
Asservito ai Demiurghi, a Jashin, non poteva sottrarvisi.
I tre non capivano e tentarono di alzarsi ma la paura li bloccò per terra.
Immense nubi oscure gravarono sul cielo.


«Meido Zangetsuha»


Un circolo nero. Nero come le tenebre più fitte. Lo squarcio sempre più grande. La falce alzata a mò di ghigliottina.
Shintou era schiavo dell'inferno. Parole venivano sussurrate in una lingua sconosciuta, che di terreno non aveva nulla.
Gli occhi rossi. Unica nota di colore in quelle tenebre che sarebbero scese sudi loro facendoli sparire per sempre.
La lama fu in alto...un colpo solo.
Urla…e dei loro corpi non vi fu traccia. Volarono in quel gorgo e un’immane sorriso, schifoso come l’inferno, ribollente di cruda e nuda malvagità si dipinse su quei volti. L'Inferno aveva avuto il suo sacrificio.
Ma uno di loro, con l’odore di piscio ad impregnare le vesti, con le mani che tremavano, il cuore che sembrava sul punto di esplodere, ancora era in questa realtà.
Balbettò parole sconosciute…o almeno che erano sconosciute perché messe alal rinfusa. Nella sua lingua natia e in quella del continente degli shinobi.
Higanbana e le sue lame furono nello stomaco del povero uomo ignorante che aveva osato pensare che Shitsuki fosse di loro proprietà e lui un povero coglione. Lo sollevvò da terra, squassando il suo corpo, mentre il dolore fu lancinante e la paura gelo. Un rivolo di sangue a colare dalla bocca, tossì e sputò un fiotto di sangue…Higanbana sembrava quasi suggere, come una succube, quel sangue. L’immane falce sembrava ancora più grande di quanto non fosse già in realtà.
Il dolore lo riportò a questa realtà: vide il cielo limpido e poi vide…quegli occhi rossi. Scarlatti come il sangue, con all’interno la pupilla che sembrava l’amaterasu degli Uchiha. Tanto gli stava bruciando l’anima.

«Tu riferirai agli altri chi e cosa hai visto oggi.
Sarai utile…dì a tutti quelli che incontrerai che io sono Shintou Agiwara e non permetterò a nessuno di inzozzare la mia terra.
Se vorrano venire… che siano pronti a morire



E lo scaraventò lontano. Higanbana morse la terra.

«Ricordati le mie parole uomo. Io ti verrò a cercare un giorno. Tu morirai ma oggi ti faccio dono della vita. »


La sua falce era spezzata ma non la sua vita. Scappò...sapendo. Non essendo più ignorante.
Se altri avessero voluto Shitsuki, se altri avessero avuto tale ardire ora avrebbero saputo chi fosse davvero la Lama Nera del Santuario.
La dimostrazione di forza. Respirò a fondo...vide il piccolo uomo fuggire...capì che aveva fatto, a suo modo, quel compito.
Se alcuni lo seguivano per rispetto, ora non sarebbe stato più così. Aveva dimostrato che era capace di proteggerli, di guidarli e di combattere con loro, meglio di loro e più di loro.
Che il Triangolo stava in mezzo a loro e che non avrebbe permesso a nessun nemico di mettere piedi nel luogo che lui chiamava casa.

 
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view post Posted on 12/12/2017, 20:05     +1   -1
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Sono 1000 exp per i jonin, giusto?
Bella sessione, bravo Sesshomaru *coff* Shintou, è stato tutto molto più scorrevole da leggere del solito e il cambio di argomenti ha fatto solo bene. Qualche espressione colloquiale che stride un po' coi concetti filosofeggianti, ma le si perdona.

Nice work, buon proseguimento.

P.s.: Non hai scritto la tipologia di sessione, ma immagino sia una di Intermezzo.

Edit Angy: + 1 Punto Immortalità per i sacrifici fatti

Edited by ~Angy. - 14/12/2017, 22:18
 
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