Una bambina, Shintou Agiwara - Sessione Autogestita #1

« Older   Newer »
  Share  
view post Posted on 16/9/2017, 23:37     +1   -1
Avatar


Group:
Nukenin
Posts:
7,322

Status:


«Shintou sama! »

«Zhen sama! Non l’aspettavo così presto. »

Zhen Ma era un semplice uomo che commerciava con il Santuario. Proprietario terreno, commerciava con i suoi prodotti con il Santuario e i villaggi confinanti. Anche con Kiri si diceva. Era un uomo ricco ma umile e semplice.
Pur avendo quasi tutto, rimaneva un simpatico ometto sulla cinquantina , che si era spaccato la schiena nei campi per troppo tempo. Finchè non riuscì a comprarsene uno tutto suo. Da quel momento ad oggi, sono passati trent’anni, negli occhi vispi e gentili non vi era traccia di concupiscenza o avarizia.
Portava una barba grigio argento e i capelli corti con una profonda stempiatura ai lati.
Aveva un ottima tenuta in cui dava lavoro a molte persone – anche di altri villaggi – ed era gentile e affabile. Non vi erano lamentele da parte dei lavoratori: la paga era ottima, il vitto anche.
Amministrava la sua terra con accortezza e intelligenza.
Un uomo buono.
Un uomo che era arrivato col suo carro per prendere gli arnesi che aveva ordinato alla fucina di Shintou. Il nome dell’Agiwara iniziava a circolare tra i villaggi, per la cura, la tempra e la durezza dell’acciaio delle spade della fucina del marito di Shitsuki.
Molti ne avevano assaggiato il filo. Scudi e armature erano come burro. Normale che anche i signori della guerra, o ricchi principi e feudatari, chiedevano i servigi di Shintou.
E questo portava ryo. E i ryo portavano un ampliamento della sua fucina e far vivere adeguatamente sua moglie e la sua famiglia. Perché se servivano a casa Agiwara, i soldi di Shintou erano i soldi della sua famiglia.
Sempre che glieli avessero chiesti. Perché Rojo rimaneva un uomo orgoglioso e Shintou non era uno che entrava a gamba tesa invadendo lo spazio altrui, ma soprattutto ferendo l’orgoglio del padre di sua moglie.
Sapevano che se avessero avuto bisogno potevano chiedere. Tanto bastava.
Quindi, tornando al motivo della visita di Zhen, Shintou non lo aspettava così presto, ma era sempre stato un tipo più in anticipo che puntuale. E quindi sorrise, pulendosi la mano sporca di grasso e di fuliggine.

«Il suo ordine è pronto.»

«Lo so mio caro amico, lo so. Sempre preciso e puntuale. E sapevo che mi aspettavi per mezzogiorno ma questa piccola peste voleva arrivare subito.
La peste che ora sta nel carro vergognandosi, ma è da stamane che mi stà distruggendo chiedendomi di te e di quando saremmo partiti.
Credo si sia innamorata!»


La peste era la figlia, l’unica figli. Di Zhen Ma: Shunrei. Una dodicenne timida con occhi neri e capelli neri come l’ala di un corvo. Indossava un tipico abito tradizionale e teneva i suoi lunghi capelli annodati in una lunga e vistosa treccia.
Sensibile e dolce la piccola era sempre titubante nei confronti del fu samurai di Kumo. Ma Shintou, vuoi perché il cuore da futoneko lo aveva sempre, vuoi perché la sua dolcezza era una parte del suo carattere aveva stretto un buon rapporto con la piccola.
Quindi era chiaro come la piccola, forse, aveva una piccola infatuazione per il Fiore del Santuario.
Shintou la salutò con la mano rispettando al sua timidezza.

«Ma come?! Resti sul carro? Ma eri così contenta di venire a salutare Shintou san.»

«La lasci stare, suvvia. Quando starà più tranquilla scenderà e mi saluterà come si deve.»

E sorrise alla piccola. Mise una mano sulla spalla dell’uomo.

«Tornando a noi le servivano una cinquantina di buone vanghe, aratri e zappe vero?»

«Si Shintou san. So che le ho chiesto questa gentilezza quando aveva molto da fare ma…»

Shintou lo fermò immediatamente.

«Non si deve preoccupare. Costruire attrezzi è molto più semplice che fare una buona lama, mi creda.»

«Lei è davvero molto gentile, ma so che le ho causato molto disturbo con questa mia richiesta.
Non la ringrazierò abbastanza.»


«Non si deve preoccupare. Non è stato un disturbo affatto quindi non si angusti prima del dovuto. E poi così almeno ho avuto il piacere di guardare questo piccolo fiore

La piccola era scesa e si era nascosta dietro il padre, con fare timido. Shintou la prese in braccio schioccandole un sonoro bacio sulla guancia. E Shunrei si rilassò sorridendo.

«Lei è la prima persona con cui va d’accordo lo sa? Di solito è molto timida e scontrosa.
Ma con lei è diverso. Ha figli Shintou san?»


Shintou posò Shunrei accarezzandole i capelli. Per poi far accomodare l’uomo nella bottega e continuare la discussione. Non senza un tono malinconico.

«Purtroppo io e mia moglie non possiamo avere figli.
Sono cose che succedono… »


Sorrise. Con quel sorriso agrodolce. Zhen sembrò farsi più piccolo. Intimorito. Cercò di scusarsi per il suo poco garbo, subito fermato da Shintou con un gesto della mano.

«Non si deve preoccupare. Nessuna scusa…Nostro Signore ha altre vie e altri piani sicuramente per noi.»

Zhen Ma conosceva la reputazione di quel villaggio. Non che erano Jashinisti ma fedeli ad una religione e ad un Dio. Quindi non si stupì troppo della fervente fede del suo fabbro preferito.


«Vi possono essere altre cose nella vita di un uomo. Ed essere un buon padre va oltre il sangue. Lei potrà essere un buon padre…e poi in questo mondo pazzo di orfani ve ne sono pure troppi. »

Uno sguardo per terra.

« Bè semmai mia moglie lo vorrà, vedremo cosa fare. »

«Anche perché siete giovanissimi entrambi. Eppure si vede che siete molto innamorati.
Ah…mia moglie mi ha detto di dirle che la ringrazia per quando si è ammalata. Sua moglie è davvero un buon medico. Giovane e piena di talento.
Anche se fa paura quando si arrabbia. Però ha fatto rigare mia moglie dritto. È un impresa!»


Shintou sorrise inorgoglito a quelle parole. E sorrise di più all’altra affermazione. E dire che non l’avevano mai vista agitare la falce, né lanciarsi sui suoi nemici, né intonare i vari canti e sutra.

« Riferirò, la ringrazio per le belle parole.
E venendo a noi…questo è il suo ordine. Le manderò il ragazzo per aiutarla a caricare tutto sul carro.»


La fucina di Shintou era efficiente. A volte ci lavorava anche Kuma che, ai tempi, fu fabbro e guerriero. Prima che Jashin bussasse alla sua porta e le sue mani si tingessero di rosso e di vendetta.
Quel giorno l’ Orso del Santuario non c’era. Forse stava o con Chigawa o Kazora. O chissà quale altra femmina di chissà quale villaggio.
Non riusciva mai a mettere un freno ai suoi lombi. In ogni caso era una fortuna. Era un casinista pure quando lavorava, quel vecchio Orso forte come una mandria di tori e chiassoso quanto Raijin.
In ogni caso quella fucina era grande, ci lavoravano all’incirca dieci persone e Shintou era uno che sapeva cosa fare e come farlo. Quindi Zhen Ma fu non soddisfatto ma di più. Ottimo acciaio, ottima lavorazione. Avrebbero svolto egregiamente, e per molti anni, il loro lavoro agevolando i contadini e aumentando la produttività.
E per usare un termine caro allo Jashinista: e solo Dio sapeva quanto ne avessero bisogno. L’estate era stata avara.
Piogge scarse, un clima secco e una siccità come non se ne vedevano da cinquant’anni. I raccolti erano stati infruttuosi e ingenerosi.
Zhen Ma doveva far fronte ad imprevisti, problemi, manodopera e a sfamare la sua bocca, quella della sua famiglia e dei suoi lavoratori. Compito ingrato.
Di responsabilità. Ma questo era il lavoro dei contadini, purtroppo. E lui era non più un contadino ma un proprietario terreno e aveva la responsabilità di chi stava sotto di lui.
Gli attrezzi servivano per irrigare, coltivare quella terra ormai secca, per sperare bene. Quindi quel lavoro doveva essere pagato.
Impegnando i gioielli di matrimonio di sua moglie. Sacrificio. Perché altri potessero continuare a mangiare. E soprattutto Shunrei.
Shintou prese le mano di Zhen Ma e le spinse via.

«Questi servono a voi, non a me. »

Shintou sapeva dei problemi che stava attraversando. Quella era un’estate calda, afosa, secca. La siccità era un problema. Non per gli Jashinisti che dall’alto di secolari esperienze, nell’aver visto il mondo e preso contatto con miriadi di culture, avevano tecnologie e sapienza di sicuro molto più avanzate di altri villaggi.
Quindi le loro scorte d’acqua, l’irrigazione e le serre erano state sufficienti per resistere. E coltivare per la prossima stagione.
Fortunati. Non lo stesso si poteva dire di altri.
E Zhen Ma lo guardò sorpreso.

« L’estate è stata avara. Difficile. Quindi questi soldi li conservi. Anche i gioielli.»

« Ma…ma…lei ha fatto un lavoro. È giusto che sia pagato. Io insisto!»

Shintou scosse la testa e indicò un messo viaggiatore che stava parlando con il suo assistente.

« Ha fatto un’ordine. Tre volte il suo e guadagnerò cinque volte tanto.
Per cui come vede non è un problema. Lo prenda come un dono. Un aiuto da parte di un amico. Anche io ho una famiglia e so le responsabilità che gravano su di voi. Quindi non si preoccupi.
Le spade costano sempre di più…»


Zhen Ma capì e lo ringraziò. Shintou aveva preso la sua decisione, mettendola sotto forma di guadagno, Zhen Ma non rifiutò quel dono. O almeno capiva che Shintou non l’aveva fatto per pietà ma perché sapeva cosa significasse e cosa stesse provando. Le difficoltà e le responsabilità.
E poi aveva ragione: di spade ce n’era sempre bisogno. Più che di vanghe e zappe.

«Non sò come ringraziarla. Accetterò volentieri allora.
E ha ragione…le guerre non finiranno mai. È nella nostra natura distruggerci, più che coltivare. Di spade e soldati ci sarà sempre bisogno.»


Shintou lo osservò. Si pulì le mani dentro un secchio d’acqua.

« Una volta mi battei contro alcuni esponenti di una scuola di spade. In un dojo di Yu no Kuni.
Per farla corta il loro motto era: la spada difende la vita.
Ovviamente le loro parole erano quelle di persone che non si erano mai sporcate le mani.
È soltanto un’utopia.»


Si asciugò le mani.

«La spada è un’arma. L’arte della spada è l’arte di uccidere.
Si possono usare tante belle parole per spiegarla, ma questa è la sua natura. Un guerriero ha come scopo la violenza, la sua esistenza è votata all’omicidio.
Ma se dovessi fare un paragone tra i due ideali…preferisco questa rispetto alla cruda verità. »


«E perchè, Shintou san? »

« Per credere che vi sia speranza. Che la spada di per sé, non è malvagia ma la mano di chi la impugna.
Capire che quando si combatte e si toglie la vita veniamo segnati. E che quando lo si fa bisogna sapere per quale motivo. E non indiscriminatamente. Quello lo fanno le bestie. Un guerriero deve essere di più.

Ma ho sempre pensato…come mi comporterei se Shitsuki fosse in pericolo? E se lo fosse Shunrei? Lei non darebbe battaglia?
In fondo è questa la grande contraddizione umana: per proteggere la vita di coloro che amiamo, uccidiamo


Shintou era un guerriero da quando era nato. Ogni volta che combatteva lo faceva sempre conscio che avrebbe ucciso o lo sarebbe stato.
Ora più che mai, dopo tutto quello che aveva passato, sapeva bene cosa significasse uccidere e perché. Anche uccidere in nome di Jashin…si doveva sempre fare con onorevolezza e responsabilità. Uccidere non era un gioco. Ma alcuni lo credevano.
Per Shinta Himura uccidere era una responsabilità che ti segnava, per Shintou – Jashinista e guerriero – era una sacralità. E la si doveva fare con responsabilità e col cuore pronto. Sempre.

«Non solo fabbro ma anche filosofo. Lei nasconde molte qualità Shintou san. »

E sorrise. Di rimando anche Shintou.

« Ho solo visto, poco poco, il mondo. E comunque mi scuso se l’ho annoiata con questi discorsi.
E questo…»


Prese da un cassetto un pupazzo. Era il regalo per Shunrei. Sapeva che alcuni giorni prima aveva fatto il compleanno e non voleva farsi trovare a mani vuote.
E fu un gesto che sciolse la piccolina finalmente. Forse aspettava solo un contatto o un gesto da parte di Shintou stesso. E lo baciò candidamente sulla guancia.


Salutò i due e vide il carro allontanarsi tornando ad occuparsi delle sue faccende. Alimentò la fiamma, il maglio soffiò, i muscoli guizzarono sotto la pelle lucida e madida di sudore e gli occhi si accesero di tonalità rubino, mentre il fuoco ardeva e si infrangeva sui suoi occhi cremisi.
E iniziò a battere il ferro con peripezia e precisione. L’arte della spada era sacra.
L’acciaio era un segreto dato dagli Dei all’uomo. Ogni gesto di Shintou ricordava l’antica arte.
Lo shinmei ryuu era vivo in Shintou.

« Vedo che fai conquiste, eh?! Te le scegli sempre molto giovani.
Paura delle donne vere, cognato?!»


Chigawa. Sempre gentile.

«Gelosa Chigawa? Non pensavo potessi esserlo di me. Mi sento onorato. Oppure non hai un qualche passatempo stamane?»

I due si punzecchiavano sempre. Anche se il loro rapporto era profondo. Perché avevano passato la stessa disperazione, avevano sentito lo stesso richiamo, dolce e salvifico, della morte.
Il suicidio come atto di liberazione.
Per questo avevano un rapporto molto stretto. Ma entrambi piaceva stuzzicare il prossimo. Era un gioco che entrambi adoravano.

« Ho i miei passatempi quando decido io. E comunque non sono qui per visita di cortesia. Non metterti strane idee…ma solo perché te e Shitsuki siete invitati a cena da noi.
E mamma non vuole che fai tardi come al solito.»


« Va bene. Sarò puntuale.»

« Bravo! A stasera, cognato


La salutò con un segno della mano. Non era tipo Chigawa da baci e abbracci. E quindi andava bene così. Ma quel giorno la fucina di Shintou era affollata di gente.
Un bel via vai. Prima Zhen Ma, poi Chigawa infine Seishin. Mancava Getsumoto Agiwara, pensò Shintou.
Seishin come al solito si scusò per il disturbo inchinandosi con rispetto. Lo faceva sempre. L’educazione e i modi garbati prima di tutto.
Ma ultimamente aveva un po’ troppo rispetto, verso Shintou. Quasi lo stesso che metteva quando passava Getsumoto. Cosa strana…

«Shintou, Kuro sama vuole vederti. Nel pomeriggio tardo vi è una riunione dei guerrieri. »

Altra stranezza. Non aveva ancora passato il suo Battesimo della Falce. Finchè non batteva Hikaru non poteva dirsi guerriero del Santuario. O almeno finchè non lo avesse deciso Kuro, la Lama Nera.
E lo aveva deciso così?! Di punto in bianco? Vi erano strane cose all’opera.
Ma disse solo

«Va bene. »

E Seishin si congedò. Ma non si congedarono dalla sua testa le domande.
Ma perché preoccuparsene del resto. Kuro aveva deciso di annoverarlo? Meglio. Il resto sarebbe venuto da sé. Quindi…olio di gomito, sudore e forza di braccio che queste spade non si battevano da sole.




cysDWef




«Quindi questo è il problema. »

Esordì Kuro, alla fine della spiegazione. Problema non da poco. Non si spiegava il motivo di tale mobilitazione – in fondo le guerre si combattevano per svariati motivi il più delle volte puerili come una cagata – ma avere delle bande di mercenari o pseudo soldati che si muovevano per i confini non era un bene.

«Shintou…cosa ne pensi? »

Lo trapassò da parte a parte, inchiodandolo alla parete. Gli occhi di lei, sicuri e ferrigni, in quegli di Shintou dubbiosi. Perché gli domandava qualcosa? I guerrieri si girarono verso di lui.
In attesa.

«Bè…prima di tutto dobbiamo vedere se sono mercenari o un gruppo scelto facente parte dell’esercito di qualche signorotto locale.
Se sono mercenari e spigolatori non dovremmo tenere molto: passeranno in rassegna i vari campi di battaglia raccogliendo attrezzature e armi sia dell’avversario che le proprie. Possono rivenderle, oppure possono usarle per equipaggiare altri.
Ma se sono un gruppo sciolto allora dovremmo battere i confini lo stesso. Quindi io non allarmerei nessuno al momento, ma intensificherei la guardia, terrei occhi e orecchie ben aperte e manderei sempre due tre guerrieri con i contadini. »



Kuro sama stette in silenzio. Kuma incrociò le braccia sul petto e fece un cenno d’assenso. Era la strategia migliore. Se due idioti troppo ricchi si stavano facendo la guerra era chiaro come alcune bande sarebbero andate su e giù per tagliare rifornimenti o fare assalti mirati e veloci.
Ma se erano un gruppo sciolto sarebbero diventati un problema ben peggiore. In ogni caso le falci sarebbero state snudate lo stesso.

«Sta bene. Seguiremo il consiglio di Shintou.
Pattugliate i confini giorno e notte. Avvertite Akihito sama e Getsumoto dono. Che foglia non si muova senza che io lo sappia.»




cysDWef



La cena era buona. La luna alta. La serata umida ma vi era un venticello fresco. Chigawa e Kazora più nude del solito – scusa del giorno fa caldo - Shitsuki stranamente quieta e calma, Royo che mangiava di gusto e chiacchierava amabilmente.
Shintou non era stato sgridato per la sua proverbiale propensione al ritardo. Tutto tranquillo.
Ma si sa che le cose tranquille sono inclini a finire anche troppo velocemente, come una candela.
E il puzzo del sangue, la morte, le budella tenute, la merda e il piscio stavano volando come una palla lanciata da una catapulta, verso lo Jashinista.
Che non si scansò.
I suoi sensi avevano già captato che qualcosa non andava e in un momento Katen Kyokotsu rimandò i raggi della luna, in un arco color grigio.
Avrebbe tinto quella serata di rosso. Avrebbe…perché fermò il suo attacco.
Non era un nemico. Puzzava di sangue, puzzava di paura. Ma non era un nemico. Era solo una persona qualunque che teneva per mano una bambina, con una ferita al fianco profonda da cui zampillava sangue vivo e scuro.
Shintou lo prese subito cercando di tamponare la ferita e urlando a sua moglie di aiutarlo.
La bambina era Shunrei…venivano dalla fattoria di Zhen sama! Cosa diamine era successo?!

Tamponò la ferita e il chakra corse nei tessuti cercando di cicatrizzarli, ma urgeva un operazione: il taglio era profondo. La perdita di sangue copiosa. Non sarebbe sopravvissuto così.
Anche Shitsuki lo capì come le sue sorelle che subito si prodigarono nel chiamare Sorella Tomomi e Sue.

«Sh…shintou san…aiu…aiutateci.
La..la..la fattoria del signor…»


Un colpo di tosse. Aumentò il chakra che stava infondendo. Doveva farcela; mentre Royo prese la piccola portandola in casa. Spaventata, con chiazze di sangue sul viso, le mani che tremavano, il suo vestitino strappato, zozzo, sporco di sangue, terra, fango.
Hirako la prese e se la strinse al petto, mentre i singhiozzi scuotevano quel corpicino.

«Ci hanno attaccati. Un…un…»

«Gruppo di soldati.»

Fu lapidario Shintou. Sapeva e come tale la rabbia divampava. Sapeva che poteva succedere. Da sempre era così. Eppure, sapendolo, non riusciva a rimanerne distaccato.
Era un’immortale. Ma non riusciva a guardare le cose senza provare rabbia, amore… odio. Forse non c’è l’avrebbe mai fatta.
Per lui vivere l’immortalità significava vedere quel mondo. Non osservarlo. Non era un eremita o un santo, né aveva la presunzione di esserlo o diventarlo.
Quel mondo era il suo, nel bene e nel male, e avrebbe combattuto per quello che credeva giusto. Amato, odiato, sorriso e pianto.
Ma in quel momento vi era solo rabbia. Era incazzato. Non arrabbiato.
Arrabbiato era quando Hikaru lo batteva. Arrabbiato era quando non gli riusciva una spada. Arrabbiato era quando non capiva le cose, quando non apprendeva una nuova tecnica medica o non capiva una malattia.
Li e in quel momento non vi era rabbia. Ma qualcosa di molto più profondo e maledetto.
Per lui quelle cose erano inconcepibili. Bestie. Solo bestie.
Schifose. Travestite da uomini.
Bastardi.
Il pugno si strinse con violenza tale da far tremare tutto il corpo del samurai.

Fu Royo ad avvicinarsi, mettendogli una mano sulla spalla. Le dita grosse da contadino nella clavicola. Una stretta forte. Forse non approvava, forse era preoccupato, forse voleva solo tenerlo lì ma Shintou Agiwara aveva una morale e un codice.
Non avrebbe perdonato i bastardi che avevano fatto questo scempio.

« Vai ci penserò io a lui.»

Semplici parole che lo liberarono. Prese le sue armi. Higanbana e Ryujin Jakka ad incrociarsi sulla schiena.

« Chiama Kuma, Royo. Digli che vado alla fattoria di Zhen Ma. Pattugliassero i confini.
Io vado ad ammazzare questi bastardi!»


E iniziò una corsa sfrenata. Con un cuore fantasma in gola, l’ansia come una spada di ghiaccio nelle viscere.
Non vide nemmeno Sue, Shitsuki e Sorella Tomomi arrivare. Lo videro saettare e sparire tra le foreste, con occhi come fuoco liquido e una voglia di uccidere che sembrava un’aura maligna velenosa capace di inquinare ogni cosa.

« Non vi sarà forza su questa terra capace di salvare quegli uomini. Hanno osato toccare un suo amico…non avrà pietà alcuna.»

Sentenziò Royo. Mentre Shunrei si aggrappò ad Hirako. Non voleva che anche Shintou morisse e urlò il suo nome a gran voce.
Ma Shintou era lontano e sordo ai richiami degli uomini. La sua falce vibrava vogliosa di sangue e morte. Il Giglio del ragno rosso si stava aprendo per quegli uomini, così come lo Yomotsu Hiraska sarebbe divenuto la loro nuova casa. E loro avrebbero sollazzato le Potenze Infernali.
Shintou avrebbe emesso la condanna. Giudice, giuria e Boia.
MORTE.


La devastazione. Quel puzzo. Merda. Piscio. Il crepitare del fuoco e la legna che bruciava. Lo riconosceva bene quell’odore.
Alcuni erano morti. I più fortunati subito…gli uomini. Le donne e i bambini…distolse lo sguardo.
Odiava una simile barbarie. Non vi era onore, solo depravazione e impunità. Giichi Ishiyaki non permetteva a nessuno di darsi alla barbarie.
I pochi che lo avevano fatto furono uccisi. Non prima che con fil di ferro spinato li si fosse cucito l’ano e la bocca. Per poi torturarli, scuoiarli e solo dopo impalarli.
Con elmetti di ferro rovente in modo tale che non si potessero riconoscere. Perché era un atto vile.
Solo le merde umane lo facevano.
Girò per la tenuta…trovò quello che stava cercando. Non fu piacevole.
Con quelli che non si erano salvati…gli avevano sodomizzati. Uomini, donne bambine. Violentati. Nessuna remora. Niente di niente.
Brutalmente.
Nessun sopravissuto. Quelli che erano ancora in vita stavano solo agonizzando. Gli dette una morte rapida, liberandoli da quel dolore. L’unica cosa che poteva fare per loro. Non senza guardarli spirare tra le sue braccia, con gli occhi di chi si chiede perché.
Non avevano fatto nulla di male. Non erano su un campo di battaglia. Non vi era una guerra. Vi era solo la follia di chi si crede onnipotente per avere un’arma in mano.
Così si dimenticavano, per un po, che non avevano il cazzo tra le gambe.
Bastardi!

Trovò Zhen Ma crocifisso sul portone di casa. Sua moglie a terra. Segni di tortura e di violenza. Liquido seminale sui vestiti e addosso.
I capezzoli erano stati staccati e vi erano segni di lividi e graffi.
Ma l’abrasione sul suo collo…quel livido…l’avevano strangolata. E forse avevano continuato a violentarla anche dopo.
Un lamento. Zhen Ma era vivo!
Cercò di tirarlo giù ma notò come qualcosa stesse tamponando una ferita al fianco.
Era al fegato…sangue nero ne impregnava le vesti…poi vide in che modo era stato crocifisso e la moglie a poche metri di distanza.
Era chiaro. Lo avevano fatto per disprezzo. Lasciarlo in vita quel tanto che bastava. Farlo soffrire e umiliarlo. E poi renderlo impotente e guardare la moglie più e più volte sodomizzata e violentata.
Vi era anche una mente perversa. Vi era una volontà.

«Shin…tou»

La sua voce un flebile sussurro. Non vi era più nulla da fare. Quella ferita era stata inferta apposta. Volevano che morisse con al quella visione traumatica negli occhi.
Strinse a sé quel corpo, strinse le mani di un suo amico. Di un uomo buono.

«Shu..shun…»

«è arrivata sana e salva da noi. Il suo uomo è stato bravo e coraggioso. »

Un lieve sorriso increspò le labbra spaccate di Zhen Ma.

«Sono contento…io…io…ho cercato…ten...tentato di proteggerle fino alla fine.
La…spada protegge la vita…se lo ricorda…Shi…Shintou san?»


La spada di Zhen Ma. Era stata infissa sopra di lui. Non solo crocefisso all’uscio della sua distrutta casa, ma anche con la spada messa sopra la sua testa per disprezzarlo. Come a dire ”prova a prenderla, ora, e a difenderti”.

Con le ultime forze strinse con forza il braccio dello spadaccino. Aggrapparsi a lui. Per affidarla un’ultima cosa…il suo bene più prezioso.

«Si…pre…prenda cura di Shunrei! »
Shintou fu una maschera di livore, odio, rabbia.

«Lo giuro. »

Quelle parole erano lapidarie. Erano acciaio. Erano sangue. Trasudavano una volontà omicida. E strinse con forza quella mano.
Forse era lui ad aggrapparsi a Zhen Ma, per non lasciarlo andare…per fermare la morte…per…per chissà quali motivi.
Sorrise quell’uomo buono.
Il braccio perse la sua forza. La vita spirò da Zhen Ma che esalò l’ultimo respiro.





ml1jLe0
AAAAAAAAAAA
AAAAAAAAAAAAAAAAAAAA!





L’urlo di Shintou fu terribile e iniziò a piovere.
La pioggia tanto sperata, tanto agognata in quell’estate torrida, ora scendeva. Violenta. Lavò il sangue dal viso di Zhen Ma, lavò quella terra lorda di viscere e sangue. Come se anche gli Dei piangessero.
Come se non volessero che continuasse ad inquinare il mondo questo odio, questa depravazione, questo schifo.
E Shintou? Shintou rimaneva lì, stringendo quel corpo morto, con la pioggia che rigava il suo volto per le lacrime che non poteva cacciare perché non era tempo per piangere.
Ma il suo urlo fu come una spada che divideva il cielo.
Non seppe dire quanto restò così. Non sapeva dire nemmeno come si alzò e si mosse da quell’intorpidimento fisico e mentale. Perché era come se fosse bloccato in una qualche specie di dimensione parallela. In un limbo. Un confine che non faceva parte né dell’uno, né dell’altro mondo e lui era lì…in mezzo. Non facente parte di nessuno. Come se la realtà si fosse disgregata.
In un certo senso era una reazione eccessiva. Ma la sua rabbia nasceva per la depravazione, l’orrore, il massacro indiscriminato e il supplizio per i più deboli. Dall’alto di uno scranno che quegli uomini non meritavano, né potevano avere. Vermi erano e vermi rimanevano.
Ma avevano peccato. Di fronte alle leggi degli uomini, dell’onore, del bushido e a quelli degli Dei. Soprattutto di fronte a quest’ultimi.
Ma in definitiva di fronte a lui. Perché gli Dei rimanevano seduti e arroccati sui loro troni, la giustizia degli uomini fallace e soprattutto di scarsa importanza. Perché, si, la legge era uguale per tutti ma cambiava a seconda dei nomi.
E quindi ci avrebbe pensato la sua falce a fare giustizia. Non il kage. Non il Daimyo. Non lo shogun o il signorotto feudale.
Erano fallaci. Mentitori. Bramosi solo di potere. Bastardi…e come tale sarebbero morti.
Seguire le tracce in quella confusione non era facile. Non era un cacciatore e i segni erano sovrapposti e poco leggibili, ma non si scoraggiò. Al Santuario apprendeva molto e da tutti.
C’era fratello Goro che andava sempre a cacciare per avere sempre carne fresca e commerciare in pelli con i villaggi limitrofi. Una volta gli insegnò come seguire le tracce.
In maniera semplice, sarebbero dovuti passare mesi – forse anni – per diventare bravo la metà di Goro, ma quella notte Jashin vegliava sulla sua lama. Quella notte Shintou seguì le tracce: l’odore del sangue, i rami spezzati, le foglie cadute, i segni per terra e sull’ambiente circostante.
Goro avrebbe detto che erano tracce fin troppo evidenti e di fatti lo erano. Non fecero nulla per nascondersi. Quanta fortuna.
E quanta stupidità. Credendosi intoccabili e non seguiti, non stavano ponendo la guardia e la giusta attenzione.
Stupidi. Ma anche puerili. Ma in fondo cosa ne potevano sapere che la falce divina si stava per abbattere su di loro?



Se la prese comoda. Anzi: se l’erano presa comoda. Tranquilli e beati.
Si erano accampati e stavano gozzovigliando. Alcool, braghe calate, piscio e sperma. Qualche puttana. Il bottino di alcune razzie.
Si…erano dei spigolatori. Ma al tempo stesso un gruppo atto a fare razzie sui confini per gli approvvigionamenti. Chiaro che la fattoria e il terreno di Zhen Ma era utile.
Fatto fuori quello, al signorotto di 'stocazzo non avrebbe avuto più cibo. Bastava vedere le loro armature: leggere, armi a breve distanze, nessuna katana più wakizashi e pugnali. Dovevano essere rapidi.
Le armi leggere e silenziose. In più erano spazzini: come iene si avventavano sui campi di battaglia, depredando e uccidendo quelli ancora in vita. Che fossero feriti gravemente o fossero moribondi un pugnale sotto la gola e passava tutto.
Il problema era che i simboli che portavano…sorrise. E la mano andò sulla spada di Zhen Ma.
Facile ridere dei contadini. Facile prendersela con chi aveva le mani piene di calli per aver lavorato, arato la terra, sudato per sfamare la propria famiglia e renderli felici.
Per chi aveva nel cuore non l’omicidio ma la vita.
Facile prendersela con gli indifesi. Facile fare i gradassi con i deboli.
Quella spada era in mano di un uomo buono. Un uomo che non sapeva cos’era l’acciaio, il sangue e la guerra.
Ma ora era nelle sue mani. Higanbana fremeva. Ma non era ancora il suo momento. Non era la notte, nemmeno, di Ryujin Jakka.
Quella era la notte solo di quella spada. E Shintou uscì dagli alberi.
Fu lento il suo incedere.
Gli altri lo videro. Non capirono. La spada brillava nella sua mano.
Alcuni continuarono a bere. Altri a scopare le puttane. Perché preoccuparsene. Erano trenta contro uno. Chiunque fosse era solo piscio e vento di fronte a loro.
I denti marci. La puzza di sudore. Tutto ciò lo nauseava. Non vi era nulla in quegli uomini che lo aggradava.
Ma anche se avessero avuto delle qualità avrebbe fatto finta di non vederle. Era lì per vendetta e per giustizia.
Soprattutto per la prima. Perché una bambina piangeva. Mille altre lo stavano facendo. Non poteva fermare le lacrime di tutti, ma se vi riusciva ANCHE solo per uno, almeno avrebbe dormito la notte.

Uno di loro gli si parò davanti. Diceva qualcosa? I morti parlano? I vivi possono ascoltare?
Non gli dette importanza. Un arco grigio argento.





tumblr_n81wo6IW6E1s4jyduo1_500






Non era lì per fare un soliloquio. Era li per uccidere. Il primo era caduto. Il primo sangue versato proprio con quella lama.
E Higanbana si mostrò. Luce cremisi sulla sua lama. Gli occhi come demonii scappati dal più profondo degli inferni.
Sentì ronzare. Quel ronzio che solo Higanbana e le sue sorelle d’acciaio emettevano. Era come se gli parlasse.
Era come il loro cuore. Il loro respiro.
E il suo chakra corse sul filo di Higanbana accendendola di tono bluastri.
Uno di quei bastardi lo infilò da dietro con una picca. Shintou girò lentamente la testa e... sorrise.
Ancora. La falce si mosse. Una torsione del corpo e il braccio sinistro caricò il colpo e lame penetrarono nel collo, nella testa e nel petto.
Uno spruzzò di sangue incendiò l’aria accendendola di toni scarlatti.
I fuochi parvero attenuarsi mentre le urla corsero per il campo. E Shintou, picca ancora nella schiena, si gettò in mezzo a loro.





tumblr_n4cilg1kM51tv7a6ao1_500





Lo shinmei ryuu era vivo. Ascoltava il ronzio della sua falce, il peso inesistente, farsi tutt’uno con essa. La sua anima in Higanbana, Higanbana in lui.
Arma e braccio. Braccio e arma. Ad ogni respiro un colpo. Ad ogni colpo un battito di un cuore che non vi era più.
Essere come acqua…mutevole…una forma che ne racchiudeva infinite.
Precisione nei movimenti, la bellezza e la velocità dello shinmei ryuu, il suo continuo mutare in mille forme diverse, adattandosi al campo di battaglia e al cuore del maestro che possedeva Ryujin Jakka, ed ora una nuova forma.
Non una strada, mille vie, ma un nuovo cammino.
Lo shinmei ryuu non più tecnica di spada, ma di falce.
Aveva inventato non una nuova tecnica, ma proprio un nuovo stile. Non si era adattato al campo di battaglia, trovando nuovi segreti, nuove tecniche per primeggiare, ma riforgiandosi in qualcosa di nuovo.
Così come Shintou.
Sia Shintou che lo Shinmei Ryuu in quella notte sorsero dalle loro ceneri. Sotto quella luna pallida, mentre le grida accompagnavano questa rinascita come un neonato che si affacci alla vita.
Il sangue scorse, le ferite si aprirono sul suo corpo, il dolore fu una strada da seguire per capire, per migliorarsi ancora e marchiarsi a fondo nella mente questa notte.
Hikaru…il loro scontro ormai era vicino.
Ogni suo colpo, ogni sconfitta, ogni ferita ricevuta da Hikaru era stato un motivo per trovare questa nuova strada. Era stato l’acciaio da cui partire per riforgiare una tecnica millenaria.
Combattere Benkei era stato il maglio con cui battere e forgiare questo nuovo Shinmei Ryuu.
Shintou era come il Primo. Come il Primo ebbe Ryujin Jakka così Shintou ebbe Higanbana e Ryujin Jakka. Due sorelle. Due modi. Due strade che si erano fuse in un tutt’uno imprescindibile.
Come l’uomo e lo Jashinista. Come Shinta e Shintou.
Ogni volta che abbassava e alzava Higanbana la sentiva sempre più leggera. Ad ogni colpo sempre più sua.
Non era più un corpo amorfo. Non era più altro. Nata dal suo cuore malandato, forgiata da Jashin in persona…era più sua di quanto non fosse mai stata Ryujin Jakka.
E con entrambe si batté.
Un'utilità quelle merde almeno l'avevano. fargli capire che era pronto per il suo BATTESIMO.
Per Hikaru. Per divenire finalmente una falce del santuario.
Quindi fu come un demone della guerra in mezzo a loro. Pelle nera come ebano, quei segni bianchi a ricordare le ossa. Il sangue che correva. Il suo. Quello dei bastardi che venivano spazzati via come spighe di fronte alla falce Higanbana.
Loro erano il grano, l’offerta votiva al suo Signore. Una dannazione eterna li attendeva.
La falce rutilò nell’aria: evitò un fendente dall’alto, una spazzata dal basso. Due gambe e un urlo.
La picca che si infilò nella sua spalla fu un male piacevole. La lama che lo sbudellò, aprendolo dallo stomaco alla gola, no.
Parò due attacchi e il chakra scorreva in Higanbana accendendola ad ogni fendente.
Le cicatrici pulsarono.
E più pulsavano, più il chakra di Oto scorreva impetuoso e più la sua tecnica acquisiva forza. E più forza acquisiva più quel chakra diveniva potente.
I suoi dardeggiarono mentre le lame, come artigli di uno scheletro, artigliarono la testa di uno. Uno strappo secco.
Testa e vene si portò dietro, insieme a un pezzo di spina dorsale.
Tre lame lo colpirono al busto. Rise, sollevando i suoi occhi a domandarsi chi erano le zanzare che lo avevano punto.
Un fendente orizzontale: colpì lo stomaco. Uno si salvò. La spada di Zhen Ma rutilò nell’aria impalandosi sulla schiena di quel verme.
Quella notte fu..
rossa.


Fu una carneficina alla fine. Le sue mani erano lorde di sangue, il suo volto rosso cremisi. Schizzi di sangue sui suoi vestiti; arti, gambe, visceri per terra. Non riusciva più a tenere le sue armi.
Troppo sangue.
Staccò le teste e le mise sulle lance, sulle spade, sulle picche.
Un’offerta al suo Dio.





cysDWef





Ritornò al Santuario dopo un paio di giorni. Si dice che il signorotto locale venne ritrovato con il capo mozzato, gli occhi sgranati e la bocca atteggiata in una smorfia di dolore e terrore.
La testa era infilzata sulla spada di Zhen Ma.
Chiunque fosse stato lo avevano descritto come uno shinigami. Con una falce enorme e rossa.
Lo spirito di Zhen Ma divenuto Yokai – Onryo – per vendicarsi dell’affronto subito e dell’ingiustizia ricevuta. Che la sua anima fosse ritornata portata da un Corvo nero con occhi color rubino e un disegno sul corpo che ricordava le ossa.
Leggende.
La verità, che molti dicevano, era che assassini e mercenari furono incaricati di fermare e assassinare per evitare una guerra disastrosa per i commerci.
Sempre e solo il vil denaro muoveva la mente di quegli uomini. Di Zhen Ma e dell’atrocità subita? Tragico incidente.
Non potevano farci nulla. Ma uno shinigami aveva fatto giustizia.
Lo aveva fatto per le lacrime di una bambina…un demone.
Ma anche i demoni possono piangere. E Shintou sapeva, fin troppo bene, quanto per Shunrei, da ora in avanti, sarebbe stato difficile.
Ma tornò con quel pupazzo che le aveva regalato. Costruì la tomba per i suoi genitori e rimise in piedi quella fattoria.
Era sua. Era di suo padre e suo padre aveva un sogno. Quel sogno lo aveva ereditato Shunrei.
E sempre Shintou avrebbe vegliato su quella bambina. Per non farla sentire sola, in una casa troppo grande con un silenzio assordante che gli sussurrava ricordi dolorosi distrutti da una notte terribile.
Perdere i genitori…Shintou aveva perso la madre. Poi il padre…schiavo dei suoi demoni che solo ora se n’era liberato. Ma quanto dolore aveva patito? Quante lacrime versate? E quant’altre rigettate dentro, fino in fondo alla sua anima?
L’abbracciò forte e le schioccò un bacio sulla guancia. Le tenne la mano durante i funerali dei suoi genitori. Furono sontuosi.
Non avrebbe mai potuto fermare quelle lacrime, quel dolore malsano nel petto, ma aveva fatto giustizia. Non Divina…ma più umana.
Aveva il potere per farlo…lo fece…senza rimorsi. Quello non era il dolore che amava Jashin. Né lo avrebbe gradito. Non voleva vederla piangere e i crimini restare impuniti per una legge degli uomini fallace e per le ambizioni di un verme.
Zhen Ma era un amico. Lo aveva fatto per lui e..
Per una bambina.




41712 caratteri.
Ho editato perchè ho copiato inavvertitamente, bachata e postare di notte non è un bel connubio, lo stesso pezzo tre volte.
Ho chiesto il permesso ad un narratore, Gaeshi, per poter editare sennò leggevate lo stesso pezzo ripetuto tre volte in diverse parti.
A voi la palla.


Edited by .Adramelech - 17/9/2017, 15:01
 
Top
view post Posted on 17/9/2017, 16:57     +1   -1
Avatar

Artificial Flower's Lullaby

Group:
Member
Posts:
9,697
Location:
Il dojo del Nirvana

Status:


Gli apostrofi rimangono il tuo nemico di sempre, eh?


CITAZIONE
«Vi possono essere altre cose nella vita di un uomo. Ed essere un buon padre va oltre il sangue. Lei potrà essere un buon padre…e poi in questo mondo pazzo di orfani ve ne sono pure troppi. »

Uno sguardo per terra.

« Bè semmai mia moglie lo vorrà, vedremo cosa fare. »

*La player della moglie si triggera malissimo*



Poi boh, cominci con fiori, sorrisi, felicità e serenità e mi concludi con scene di morte e torture barbariche. Fortuna che non sto per andare a mangiare.

RIP Zhen Ma, ottimo lavoro, quasi fin troppo dettagliato.
1000 exp a te
 
Top
1 replies since 16/9/2017, 23:37   233 views
  Share