Testa dura, Arashi Uchiha - Sessione Autogestita #5 (Speciale)

« Older   Newer »
  Share  
view post Posted on 5/7/2017, 16:29     +1   -1

Group:
Member
Posts:
1,414
Location:
Roma

Status:


Si svegliò di colpo senza emettere alcun suono, semplicemente spalancando gli occhi all'oscurità della stanza.
Ci mise qualche secondo a realizzare cos'era successo, perché il passaggio dal nulla del suo sonno a quello più consapevole e pieno della sua modesta abitazione fu brusco e, soprattutto, non voluto. Dovette passarsi una mano sulla fronte per asciugare quel fastidioso quanto spesso strato di sudore che la bagnava, sforzandosi di non rimanere sorpreso nel trovare quel contatto estraneo, come se il corpo caldo e appiccicaticcio che stava toccando appartenesse a qualcun altro.
Gli succedeva spesso, ultimamente: non riusciva a dormire tranquillo e più di una notte l'aveva passata a sperare di poter finalmente placare il pesante battito cardiaco che pareva esplodergli in gola, per poi potersi abbandonare al vuoto e riposare senza che alcun sogno - o incubo - lo venisse a trovare.
Una speranza vana, il più delle volte: da quando era tornato da quella maledetta missione e aveva lasciato Misato lì, in quell'ospedale, a fare i conti col suo atteggiamento da bambino ferito, per poi scoprire una volta a casa che in sua assenza tutto era cambiato - sua sorella, soprattutto - i sensi di colpa avevano preso a mangiarlo vivo e lui, un po' per sopravvivere, un po' perché forse non aveva le palle, aveva deciso di ignorare stoicamente tutti quegli avvenimenti.
Sì, avrebbe resistito, lavorato, sudato. Si sarebbe allenato, si sarebbe fatto il mazzo, si sarebbe buttato a capofitto nella sua professione di shinobi e così avrebbe continuato fino alla fine dei suoi giorni, senza più pensare a tutte quelle cose.
Un piano tanto perfetto ed inattaccabile quanto inutile ed improduttivo: poteva illudersi quanto voleva, ma sapeva bene che se durante il giorno gli impegni riuscivano a tenerlo lontano dai suoi incubi, la notte questo non era possibile. Per questo aveva paura di addormentarsi, di scivolare in quel vuoto irrazionale dove non era più lui a decidere cosa pensare, desiderare e temere e puntualmente, quando si trovava sull'orlo di quell'abisso che lo separava dalle sue passioni più profonde, mentre volava per abbracciarlo tremava, urlava e si voltava indietro.
In una parola: lo rifiutava.
Così, proprio quando era sul punto di prendere sonno, ecco che tornava sveglio. Poco male, poiché era ancora in controllo, e dopo qualche minuto riusciva a calmarsi e riprendeva quel masochistico ciclo, coinvolgendo tutto sé stesso in una battaglia contro i suoi stessi pensieri.
Una guerra che spesso perdeva in partenza, ma non vedeva altre vie d'uscita da quella situazione: l'unica, era lasciare che il tempo scorresse e facesse il suo dovere.
Prima o poi sarebbe passata, ne era convinto e continuava a ripeterselo, ma più si sforzava di vedere la fine di quell'inferno più questa pareva allontanarsi.
In fondo, quella missione, la nuova minaccia del Vuoto e il rapporto che aveva con i suoi cari non erano le uniche fiamme che contribuivano ad alimentare l'incendio che gli era divampato dentro: dal giorno in cui aveva rimesso piede a Konoha, gli eventi che si erano verificati in sua assenza e poi quelli che li avevano seguiti avevano minato ulteriormente la già fragile e poco stabile tranquillità della Foglia - con ripercussioni anche su di lui, semplice chunin ed anonimo ANBU al servizio di una collettività ben più grande non solo di lui, ma persino delle sue stesse preoccupazioni.
Il ritorno di Fuyuki Hyuga e compagna, per anni creduti traditori e solo i seguito rivelatisi come alleati e sostenitori della loro causa contro Akatsuki, con tanto di doppio, triplo e quadruplo gioco.
La morte di Hyou, la minaccia più grande che il villaggio era stato costretto ad affrontare dopo Watashi.
Insomma, già questo sarebbe bastato a creare un clima di tensione e dubbio all'interno di Konoha...ma difficilmente il destino si sarebbe fermato lì, lo sapeva.
Così, ecco le notizie dai villaggi adiacenti, le voci di esplosioni, strani avvistamenti e fenomeni e disordini inspiegabili e quella costante, inopportuna e pungente sensazione di un conflitto che era sul procinto di scoppiare e che, allo stesso tempo, sembrava non arrivare mai.
Con il passare dei giorni - e ancor di più delle notti - si era reso conto che forse era quello a non farlo dormire tranquillo: certe volte il chakra bruciava dentro di lui e lo pregava per uscire dal suo corpo, come se lo spazio che trovava al suo interno non gli bastasse più e dovesse per forza essere rilasciato in qualche modo. In tutta risposta, lui triplicava le ore di allenamento, ma non erano mai abbastanza e alla fine, per quanto sfinito, non riusciva neppure a riposarsi in maniera appropriata.


"E' un inferno, mio caro.
Un inferno."


Non sapeva a cosa attribuire quella sensazione, se agli eventi passati, alla mancanza dell'altro, alla sua precaria condizione emotiva e mentale o, semplicemente, al caldo che lentamente aveva preso ad avvolgere quello stanzino con l'incedere straziante della primavera, la quale avrebbe presto lasciato il posto all'estate e, con lei, all'afa insopportabile.
Forse era un insieme di cose, forse era niente di tutto ciò.
Quella notte, però, fu ancora peggio.
E strano, molto strano.


Arashi: "Cosa cazz..."

Con la coda dell'occhio vide la tenda della finestra - rigorosamente aperta, perché cominciava a fare troppo caldo in quello spazio così angusto - muoversi, ancor prima che questa venisse effettivamente spinta dal vento che vi soffiò sopra.
O meglio no, non la vide: ne intuì il movimento con una frazione di secondo di anticipo e fu questo, più che la quantità di chakra concentrata all'interno delle sue iridi e tutta intorno ad esse, a fargli capire che il suo Sharingan si era attivato, probabilmente in seguito al suo brusco risveglio, senza che lui lo volesse.
Tentò di regolarizzare il respiro e darsi un contegno, rilasciando la sua abilità oculare a poco a poco.


"Pazzesco.
E' per via dello stress, sicuramente. Sì, emozioni forti ed incontrollate, unite allo stress.
Non ricordo bene cosa stessi sognando, ma doveva essere qualcosa di brutto, molto brutto.
Maledizione, meno male che vivo da solo, rischierei di uccidere qualcuno nel sonno altrimenti."


Si alzò dal materasso, deciso a sciacquarsi la faccia: l'acqua fredda era l'unica cosa che davvero non gli mancava, e quando tuffò volto, nuca e capelli nel lavandino si sentì rigenerato per qualche secondo.
Tornò a tentoni nella stanza, ben attento a non urtare con i piedi la modesta mobilia con la quale aveva piano piano cominciato ad arredarla: negli ultimi giorni, aveva lanciato più imprecazioni per le volte che aveva sbattuto con il mignolo sul comodino al lato del letto, che per quelle in cui si era trovato a un passo dalla morte per colpa di qualche bizzarra divinità venuta a muovere guerra contro il mondo ninja.
Scostò la tenda e si abbandonò alla leggera brezza della notte, cercando di far scorta d'aria fresca per i suoi polmoni.


"Stress, heh...e nemmeno sto lavorando, sto vegetando. Vero che sono tornato da una missione da poco, ma un ANBU non dovrebbe riposarsi, non così tanto.
Forse è il contrario, forse non avendo nulla da fare mi riduco così...no?
Però, c'è qualcosa che non mi torna. Non può essere solo questo. Ok, non sono un campione di calma, tranquillità e bei sentimenti, ma così è davvero troppo."


Non ebbe tempo per andare più a fondo nella questione: avvertì un fastidioso strappo all'altezza dell'ombelico, come se il suo corpo venisse risucchiato verso l'alto da chissà quale entità sconosciuta, mentre i suoi piedi rimanevano ben saldi sul terreno.
Fece appena in tempo a scorgere un alone di fumo grigiastro, poi attorno a sé non vide più nulla.


[...]



Nonostante ebbe a disposizione solo un istante per elaborare il tutto, sapeva per certo cosa stava accadendo e dove si sarebbe ritrovato: quella sensazione non gli era nuova, l'aveva provata recentemente.
L'siola si aprì davanti i suoi occhi: dapprima il mare, sconfinato ed appena illuminato dalla pallida luce della luna, che piena rifletteva sulla sua superficie piatta.
Dopodiché, i granelli di sabbia sui quali sprofondò il suo didietro - a causa della sorpresa, non riuscì a mantenere l'equilibrio una volta giunto a destinazione e fu costretto ad un atterraggio di emergenza - quindi l'intera spiaggia, che di notte appariva ancor più vasta e sconfinata del solito. Non ebbe bisogno di gettare uno sguardo alla vegetazione alle sue spalle, per riconoscere quel posto: gli bastarono le centinaia e centinaia di testuggini che se ne stavano sul bagnasciuga, il muso puntato verso l'acqua e l'orizzonte, come se stessero tenendo d'occhio qualcosa.
Formavano un vero e proprio muro che percorreva tutto il perimetro della spiaggia - almeno, così gli parve per quel poco che riuscì a vedere - silenziose e guardinghe.
Erano, era il caso di dirlo, di vedetta.
E se loro erano impegnate, stando a quell'insolita disposizione, a fare la guardia, chi lo aveva richiamato non doveva essere poi così distante.


Shiwa: "Arashi-kun! Presto, verso la riva, presto!"

Arashi: "Shiwa, non mi abituerò mai a questa cosa...ringrazia i Kami che non stavo dormendo.
Che diavolo sta succedendo? Perché mi hai chiamato, e che ci fanno tutte quelle tartarughe qui...?"


Shiwa: "La prossima volta ti evoco direttamente in mare, così siamo sicuri che ti svegli.
Presto, presto!
La situazione è brutta...dobbiamo far scorta di piante e verdure per i minestroni, non so per quanto ancora potremo mangiare tranquilli!
E' brutta, Arashi-kun, molto brutta..."


Strano, Shiwa non era decisamente una di molte parole e, soprattutto, non era proprio tipa da farsi prendere dalla fretta e dal panico, ma questa volta sembrava davvero diversa: spingeva con il muso la sua mano, invitandolo ad avanzare verso la fila formata dalle sue simili, verso il mare.
Se lo aveva chiamato lì, a quell'ora e in quella maniera tanto inaspettata, doveva esserci qualcosa sotto.
Ma cosa?


Arashi: "Shiwa, tu...non mi hai chiamato per aiutarti a cercare qualche strana verdura per i tuoi brodini, vero?
Lo sai che ti aiuto volentieri, ma a quest'ora...aspetta, no, non può mica essere per questo.
Si stanno schiudendo le uova?
Ma ormai è passato quel periodo, dico bene? E' successo l'ultima volta che ero sull'isola, se non sbaglio.
No, allora perché mi hai chiamato?"


Shiwa: "Ssssh! Kenjin sa tutto, Kenjin spiegherà tutto.
Cammina, e poi aspetta."


E così fece, consapevole del fatto che non sarebbe riuscito a cavare altro da lei.
Si avviò verso la riva, affiancando le sue compagne, mentre Shiwa continuava a mantenere il contatto con la sua mano: era come essere toccato da una pietra, ma dopo qualche secondo si rese conto di molte cose.
Forse furono le espressioni sui volti delle testuggini a farglielo realizzare: erano tese, tese come mai lo erano state prima d'ora.
Il motivo per cui Shiwa continuò a sfiorare la sua mano anche dopo averle raggiunto era tanto ovvio quanto sorprendente: aveva paura, poteva percepirlo nonostante la ruvida pelle e la salda posizione che aveva guadagnato sulla sabbia non le consentissero di tremare.
Era sicuro, però, che se avesse potuto lo avrebbe fatto e, come lei, anche le altre: tante statue di pietra che si ergevano stoiche lungo la spiaggia, piantate lì a pochi passi dal mare, impaurite e pronte a tremare come la più piccola delle foglie, eppure immobili nell'attesa come querce accanto a un fiume.
Seguendo il loro esempio, affondò i piedi nella sabbia bagnata ed aspettò.
Un minuto.
Due.
Tre, forse.
Poi, finalmente, qualcosa sembrò muoversi al largo, ad una quarantina di metri da dove attendevano.
L'acqua prese ad agitarsi e le onde si fecero via via sempre più alte, arrivando a sbattere su di lui fino a metà del suo busto, ma lo spettacolo che le seguì fu talmente grande che neppure se ne accorse.


"Ok, ora ho visto tutto. Qualsiasi cosa, davvero: posso anche morire."

Una montagna emersa dal mare: così Kenjin si rivelò a loro, colossale nella sua stazza, impenetrabile nella sua corazza.
Dovette scuotere il muso, poi per diversi, lunghi ed interminabili minuti, sembrò passare in rassegna con lo sguardo l'intero muro di testuggini che, in silenzio, aspettavano.
Avvertì un brivido lungo la schiena quando uno dei giganteschi occhi dell'immenso animale incontrò il suo sguardo e vi restò per qualche secondo, impassibile, per poi continuare a percorrere la lunga fila dei suoi simili.
Qualcosa gli sfiorò l'altra mano: Isshikame era al suo fianco e anche lui voleva tremare, ma il suo becco era saldo e fermo al contatto, oltre che freddo.



"Perdona il poco preavviso, giovane eremita.
In queste situazioni ci è difficile agire in maniera tempestiva, ma facciamo del nostro meglio.
E' per questo che abbiamo bisogno di te: una decisione deve essere presa, e in poco tempo.
La velocità non rientra nelle nostre abilità, e non parlo di qualità fisiche. Stavolta, però, dovremo essere veloci...e, soprattutto, pronti."



Il suono gutturale emesso dall'enorme bestia risuonò per tutta la spiaggia, mentre l'occhio sinistro tornava a posarsi sul ragazzo e, lentamente, le zampe poggiavano sul fondale marino ed avanzavano una dopo l'altra, causando l'arrivo di altre, alte onde sul bagnasciuga.
Nessuna delle testuggini, tuttavia, si mosse di un millimetro di fronte all'incedere di Kenjin.
Nessuno lo fece, in effetti, tranne Arashi, che fece un passo in direzione di questo facendo a pugni con il mare ed il vento che ora aveva preso a soffiare.


Arashi: "Kenjin-sama, che cosa succede?"

Urlò per farsi sentire dalla tartaruga, riuscendo ad evitare per un pelo l'ennesima onda che gli si abbattè contro, tossendo quel poco di acqua che gli entrò in bocca mentre provava a parlare.

Arashi: "V-voglio dire, sono qui!
Preavviso o non preavviso, sapete che vi basta chiamare.
Ma dovete dirmi cosa succede, perché tutto questo..."


Si girò, dando la schiena ad un'altra onda ed indicando lo schieramento delle testuggini.

Arashi: "...devo dire che mi ha allarmato non poco."

"Anzi, a dirla tutta, mi ha allarmato tanto."

Kenjin fermò la sua avanzata, e con essa le onde.


"Purtroppo, ragazzo, succede la guerra."



Spalancò la bocca e una parte di lui, forse, ringraziò i Kami per l'assenza di onde in quel momento.

Arashi: "Cos..."

Le tartarughe alle sue spalle rimasero ancora immobili e, soprattutto, mute.
Forse sapevano, o magari avevano intuito, ma lui non riuscì ad esercitare il loro stesso autocontrollo.



"Calma, una cosa alla volta. Parlo a te, Arashi-kun, come parlo a tutte le mie compagne.
Tu sei giovane, un bambino per i nostri standard.
C'è chi tra di noi di guerre ne ha viste parecchie. Viste, o perlomeno sentite. In poche, in verità, ne hanno combattute: i conflitti non ci appartengono, eppure vi sono dei casi in cui persino una tartaruga può decidere di abbandonare la propria casa per la guerra.
Ancora meno, tra di noi, sanno cosa vuol dire vivere nel terrore di un attacco imminente, perché quest'isola è stata per noi, nel corso dei secoli, il nostro rifugio, il luogo inaccessibile se non a pochi eletti non appartenenti alla nostra specie, impossibile da trovare.
Eppure, io lo ricordo.
Ricordo cosa significa il terrore.
La crudeltà.
La sensazione di non essere al sicuro nemmeno qui, a casa nostra.
La paura si è risvegliata lentamente, ma sono sicuro che ognuno di noi l'ha potuta avvertire. Persino tu, forse, Arashi-kun, potresti aver intuito i segnali...e di certo, se non l'hai fatto tu, li avranno colti altri per te, al tuo villaggio e nel mondo intero."



Ancora un tocco sulle sue mani: Isshikame e Shiwa lo avevano raggiunto lì dove l'acqua arrivava all'altezza del suo bacino.
Il primo, con il suo solito fare distratto, lo punzecchiò due volte con il becco.


Isshikame: "Io non so, ma è una brutta sensazione, Arashi-kun...molto brutta..."

A poco a poco, cominciò a mettere assieme i pezzi.

Arashi: "Giravano delle voci, a Konoha.
Alcune parlavano di fiamme, altre di spiriti e demoni, altre ancora, addirittura, di morte.
Nessuna comunicazione è arrivata a noi semplici shinobi, almeno ufficialmente, eppure...è di questo che stai parlando?"


La grande testuggine emise un verso molto simile ad un gemito, solo almeno dieci volte più profondo.


"Sì. Sì, la tua gente ha già colto i segnali, per quanto sia poco connessa con la natura.
Tra di voi potrebbe esserci chi ne ha ancora memoria, come me.
Alcuni di voi ebbero persino la forza di combatterli."



La sua intuizione non lo appagò quanto aveva sperato.
Serrò un pugno, frustrato.


Arashi: "Ma combattere chi?"

Il mare era ora tornato piatto, facilitandogli il compito di ascoltare le parole di Kenjin.


"I demoni, ragazzo.
Pochi della tua gente ricordano, per voi è una leggenda, un mito perso nella storia, al pari dei vostri Kami.
Cercoteri, li chiamano i tuoi. Bijuu.
Sono Nove. Bestie con le Code, che nelle vostre storie più antiche portano distruzione per i vostri villaggi.
Per noi, sono flagelli: sinonimo di morte, le loro apparizioni sono collegate a catastrofi dalla portata inquantificabile.
Ovunque si trovino, distruggono: tartarughe e umani, non fanno distinzione: sono il Male.
Ricorderai la crisi che il vostro mondo ha subito per colpa di Watashi...quella che sta per arrivare, potrebbe essere una minaccia addirittura più grave e concreta."



Watashi, sì, se lo ricordava bene.
Ricordava com'era stato combattere al fronte assieme a Misato, vederla rischiare la vita.
Ricordava cosa aveva provato quando uno dei suoi compagni, Itsuki - anch'egli un Uchiha - era stato spazzato via dalle fiamme di un mostro a tre teste: uno dei tanti bambini privati della vita dalla guerra, dimenticato per sempre assieme a tutti gli altri deceduti presenti nell'infinita lista dei caduti sul campo di battaglia.
Ricordava il conflitto finale, la donna di ghiaccio che aveva promesso di proteggerlo prima di perdersi nell'offensiva della Progenie, il ragazzo che aveva salvato da morte certa dal fiume di sangue e fango e quello che, nel tentativo di ritrovare uno dei suoi compagni, aveva miracolosamente salvato la sua, di vita.
Ricordava la paura che si era impadronita del suo corpo, paralizzandolo.



"Li ho sentiti, ma quella sensazione era ormai così vecchia, che anche quando l'ho provata, non ho voluto crederle: ho dovuto verificare io, in prima persona, i sospetti che hanno preso forma dentro di me.
Erano stati sigillati, eppure sono tornati, e non escludo che siano stati liberati da quelli della tua stessa specie...se c'è una cosa che vi accomuna, è che non imparate mai dai vostri errori, e solo un umano sarebbe tanto stolto da desiderare di far ripiombare il mondo in un incubo simile.
Sono tornati e persino io, che nei secoli mai ho avuto paura, nel momento in cui li ho sentiti ho capito di non potere nulla contro di loro.
Potrei combatterli, uno ad uno, e mai avrei la certezza di poterli vincere."



E se nemmeno Kenjin poteva niente contro quei mostri, allora lui cosa cosa ci faceva lì?
Cosa poteva mai fare un ragazzino sulla soglia dei vent'anni, contro delle leggende? Contro dei veri flagelli, portatori di sventura?



"Ed è per questo che dobbiamo prendere una decisione, Kenjin."



Si girò, sorpreso da quella voce tanto calma.
Alle sue spalle, il muro di testuggini era ancora lì, ma c'era chi tra di loro sembrava aver perso quella stoicità iniziale che tanto lo aveva sorpreso: le notizie portate da Kenjin avevano minato la loro sicurezza, così come la sua.
Tra di loro, avanzavano due figure: una tartaruga dal carapace candido come la neve e dallo sguardo vivace, intelligente ed umano - tanto che molti, a Konoha, glielo avrebbero invidiato - con Buyobuyokame al suo fianco.
Lentamente, lo raggiunsero.



"A meno che non sia già stata presa, Shikame.
Siamo forti, ma niente se paragonati ai Nove. Non possiamo combattere, perché non possiamo vincere."



Era lei, dunque.
La sorella del grande Kenjin, una delle testuggini più sagge ed anziane dell'isola, se non la più saggia: Isshikame gliene aveva parlato, quando aveva trascorso quei giorni assieme a lui, dopo essere stato nominato eremita, ma mai aveva avuto l'occasione di incontrarla.
Per lui era un vero e proprio mito, una figura ancora avvolta da un certo velo di mistero, al pari di quei Cercoteri di cui era appena venuto a conoscenza o della formidabile potenza combattiva di Kenjin.



"E non possiamo vincere, finché non combattiamo.
Non è da te ragionare in questa maniera, Kenjin."



La gigantesca bestia dal carapace corazzato sbuffò, e l'aria che uscì dalle sue narici investì in pieno i cinque che ora lo stavano affrontando.


"Non è mio compito ragionare per vincere un conflitto, sorella. Lo è, invece, pensare alle uova che si schiuderanno la prossima stagione.
Lo è, allo stesso modo, tenere quest'isola al sicuro, affinché i nostri gusci possano crescere sempre di più.
Dovremmo accettare la nostra inferiorità e correre ai ripari, finché siamo in tempo: perché rischiare la nostra casa per una battaglia persa in partenza?"




"Perché potremmo non avere scelta, Kenjin! Tutto il mondo è in pericolo, non sarà la nostra isola a salvarci, per quanto sicura possa essere.
La guerra ci troverà, e se non saremo pronti saranno guai."



Un altro sbuffo, seguito da un grugnito piuttosto seccato che fece tremare la terra sotto ai piedi dei presenti.


"Già, e sai perché la guerra ci ha trovati?"



L'occhio enorme si posò ancora su Arashi.


"Perché loro sono stati tanto stolti da risvegliare quei mostri, sorella.
Ora dimmi, perché dovremmo combattere una guerra che non ci appartiene?
Che siano gli shinobi a sbrigarsela, che siano loro a rimediare agli errori che continuamente commettono!"



Parecchie testuggini, sulla spiaggia, chinarono il capo, quasi a volersi dimostrare d'accordo con quanto espresso da Kenjin.


"Kenjin!
Non è con il pregiudizio che renderemo sicuro questo posto, pensavo lo avessi imparato!"



L'urlo arrivò inaspettato, e lo colpì come un pugno sullo stomaco: vedere Shikame perdere la sua proverbiale calma era un qualcosa che accadeva sì e no forse ogni duecento anni, e quindi quella era la prima volta non solo per Arashi, ma anche per molte delle tartarughe su quella spiaggia.

Buyobuyokame: "Se posso permettermi, Kenjin-sama..."


"No, non puoi permetterti. Non vedrò neanche un guscio infrangersi per questa assurdità.
Voi non sapete, non potete sapere...le cose di cui sono capaci i Nove, vanno oltre la vostra comprensione."



Arashi: "Già...come Watashi."

Parlò con un filo di voce, quasi senza volerlo, eppure le sue parole ebbero un effetto strano: calò il silenzio, ed ancora una volta l'occhio penetrante dell'enorme testuggine si posò su di lui, assieme a quello della sorella.
Era rimasto paralizzato ad ascoltare le loro parole, in silenzio, senza osare mettersi in mezzo. Non sapeva se per i ricordi che gli erano tornati alla mente o per la spaventosa natura di quel dibattito, ma davvero non era riuscito a trovare nulla da dire.
Qualcosa, però, ora lo spingeva a parlare.
E sempre quel qualcosa, gli diceva che loro lo avrebbero ascoltato.


Arashi: "Io me lo ricordo, Watashi.
Tutta l'umanità se lo ricorda. E per quanto stupidi possiamo essere, perché privi della vostra saggezza, è un ricordo ancora troppo vivido e scolpito talmente a fondo nelle nostre teste, che dubito potremo commettere nuovamente gli stessi errori.
No, io sono convinto che ci sarà ancora chi combatterà.
Lo hai detto tu stesso: a combattere quelle creature, sono stati degli shinobi.
Se quel che dici è vero, allora gli shinobi li hanno liberati e gli shinobi li combatteranno.
E' per questo che non sarete da soli, se vorrete andare in battaglia.
Ci sarò io...e, ok, sì, lo so che non può bastare, ma insomma, ci saranno i villaggi. Tutti, mi auguro: non possiamo essere così ciechi da rimanere con le mani in mano.
Non saremmo da soli."


Nonostante la sua voce risultasse ferma e convinta, le sue mani tremavano: l'unico conforto che riuscì a trovare furono i ruvidi musi di Shiwa ed Isshikame.
Anche loro erano spaventati a morte, poteva sentirlo. Eppure erano lì, immobili, e nessuna delle loro emozioni traspariva dalle loro espressioni.



"Non capisco il tuo punto. Stai dicendo che dovrei mandare i miei figli, i miei protetti, a combattere creature che potrebbero schiacciarli senza nemmeno accorgersene?
Perché di questo stiamo parlando, e mi pare che voi non lo stiate capendo: così come io potrei decidere di appisolarmi ora su questa spiaggia, infischiandomene di tutti voi e distruggendovi sotto il mio peso, così quelle bestie potrebbero muovere una zampa, un muscolo o persino un occhio ed uccidervi senza che voi ve ne rendiate neanche conto."



Deglutì, inorridito al solo pensiero di trovarsi sotto il carapace della testuggine, mentre questo lentamente si abbassava verso la sua testa senza lasciargli alcuna via di fuga.
Faceva paura, sì...eppure, la stessa paralisi da guerra che lo aveva preso in occasione della battaglia di Kumo e che ora gli era tornata alla mente, non lo afferrò nuovamente: era arrivato al punto in cui non riusciva più a distinguere se le sue mani stessero tremando per timore o per eccitazione.


Arashi: "Mandarli a combattere...no.
Io combatterò, di questo ne sono sicuro. Se il mio villaggio mi chiamerà per fronteggiare questa minaccia, non avrò scelta.
Questo eremo, però, non parteciperà a questa guerra a meno che tu non lo vorrai, Kenjin-sama, ma il mio è un discorso diverso.
Come ha detto Shikame-sama, potremmo non avere scelta: tu stesso hai visto e vissuto l'orrore che hai descritto a tutti noi e, se ho capito bene, è l'intero mondo ad essere in pericolo, come in occasione di Watashi.
Persino quest'isola potrebbe non essere risparmiata da questo conflitto. Persino qui, potrebbero trovarci.
Non sto dicendo di attaccare alla cieca un nemico così grande, ma di prepararci. Difendiamoci, non facciamoci trovare impreparati."


Tutte le altre tartarughe, Shikame inclusa, osservavano in silenzio quello scambio di battute: da esso dipendeva il futuro di quell'eremo, e lo sapevano bene.


"Questo è scontato, ragazzo.
E' per questo che, una volta avvertito il pericolo, sono andato a cercarlo.
E' ovvio che ci difenderemo, e sappiamo farlo bene. A differenza tua, però, noi non siamo cacciatori: se gli shinobi vorranno sigillare nuovamente queste bestie, se oltre che a proteggersi da esse vorranno muovere guerra contro di esse, potremmo non essere d'accordo."



Arashi: "Da quel che mi hai riferito, però, è l'unico modo.
Abbiamo sconfitto Watashi quando abbiamo deciso di affrontarlo sul campo di battaglia, dopo esserci nascosti ed aver risposto colpo su colpo alla sua Progenie.
Questi mostri hanno smesso di tormentarvi quando qualcuno, in passato, li ha trasformati da flagelli a miti, leggende perse nel tempo e nella storia, e lo ha fatto combattendo.
Tu dici di averle viste, di aver provato sul tuo carapace quell'orrore, Kenjin-sama: è per questo che sai come liberartene, lo hai già fatto una volta."


Una zampa sollevata con una velocità sorprendente, che poi andò a sbattere nuovamente sul fondale marino.
Colto alla sprovvista, venne investito da un'onda alta almeno tre metri, mentre l'eco di quel tonfo sordo riempiva le orecchie dei presenti e l'acqua si abbatteva violentemente sulla riva.
Le altre testuggini la fronteggiarono senza troppe difficoltà, ma lui si ritrovò nell'arco di qualche secondo con il sedere sul bagnasciuga, costretto a sputacchiare un po' ovunque, completamente fradicio.



"Io? Io sono un sopravvissuto. Io ho avuto fortuna, a differenza di altri miei compagni che sono morti, in quell'occasione.
Io non ero altro che un cucciolo, e la mia corazza non aveva neanche la metà delle cicatrici che ha ora.
Io, come mia sorella, sono qui perché ho visto altri morire. E non lo hanno fatto per gloria, non lo hanno fatto nel nome di chissà quale ideale o vittoria.
Non hanno combattuto.
Semplicemente, sono morti perché la morte li ha trovati, e nessuno di noi dovrebbe fare quella fine, non più.
Su questo dovremo riflettere.
Su questo, rifletterò.
Per il momento, non avrete il mio supporto nella caccia a quei mostri.
Non avrete nemmeno la mia parola, soltanto il silenzio.
E loro, loro non avranno il mio guscio, né quello di qualunque altra tartaruga su quest'isola.
Avranno soltanto la mia rabbia, se mai dovessero venire a cercarla."



Altre onde si abbatterono sulla riva, ad annunciare che Kenjin aveva ripreso la sua marcia.
Si rimise in piedi frettolosamente, cercando di non farsi investire nuovamente dall'acqua, ed osservò assieme agli altri presenti la gigantesca testuggine passare sopra le loro teste, il naso all'insù ed un'espressione sbalordita dipinta sul volto.
Lo vide camminare sopra di loro senza nemmeno degnargli di uno sguardo, eppure nessuna delle sue zampe si andò a posare su di loro: persino gli alberi sul limitare della foresta furono risparmiati dall'incedere della testuggine, mentre questa si inoltrava dentro di essa, verso il centro dell'isola.
Non poteva dire di conoscerlo bene, in fondo, ma nel suo comportamento c'era un che di familiare.
Possibile che Kenjin avesse, in quel momento, paura?
Possibile che quella reazione non facesse parte solo del suo essere restio ad accettare cambiamenti e decisioni drastiche, ma fosse anche dovuta ai ricordi di quanto aveva passato?



"Che testa dura."



Sgomente, le tartarughe rimaste sulla riva guardavano ora Shikame, ora Arashi, come in attesa di ordini.

Arashi: "Non pensavo avrebbe reagito così, io..."

"Oh, invece era esattamente la reazione che mi aspettavo da mio fratello.
E' del tutto normale, e tu hai fatto bene a dire la tua. Lui ha solo bisogno di tempo, per capire cosa è giusto fare.
Come tutte noi, del resto.
Dobbiamo proteggere quest'isola, Arashi-kun...mi dispiace aver fatto la tua conoscenza in circostanze così particolari, ma sono sicura che potremo rimediare, in futuro.
Di tempo, però, ora ce n'è poco e a noi spetta il compito di correre ai ripari: su questo, almeno, siamo tutti d'accordo."



Aveva dannatamente ragione: se c'era una cosa sulla quale anche Kenjin era stato d'accordo, era la necessità di difendersi.
C'era un'isola da proteggere, e quella doveva essere la priorità. Gettò uno sguardo al muro di testuggini alle sue spalle, lasciandolo poi libero di spaziare per tutto il perimetro del loro rifugio e, infine, posandolo sul mare aperto che aveva davanti.


Arashi: "Il mare rappresenta i nostri confini.
Se mai dovessero raggiungerci, è quella la strada che dovranno percorrere. O il mare, o il cielo...se per il secondo possiamo farci ben poco, a parte starcene con gli occhi all'insù e pregare affinché nessuna calamità ci caschi addosso, il primo è invece la nostra casa.
Dì loro di entrare nel mare, Shikame-sama. Che circumnavighino in lungo e in largo l'isola, che tengano gli occhi aperti.
Tutte quante.
Che nuotino, tutte le nostre compagne in grado di farlo velocemente. Che veglino sul fondale marino e stiano pronte a tornare indietro in tempo, per riferire quanto vedono.
Niente dovrà entrare nel raggio di cinque chilometri dalle spiagge di questa isola senza che voi lo sappiate.
E qualora ciò dovesse accadere, chiamatemi: anche se la mia presenza non dovesse costituire chissà quale vantaggio o certezza, sarò pronto a difendere ogni granello, albero, uovo e tartaruga di quest'isola."


La testuggine dal carapace bianco annuì, lo sguardo piantato sulla figura del ragazzo.

"Puoi dirlo tu. Malgrado il comportamento di Kenjin, si fidano di te.
Sei il nostro eremita."



Arashi: "E' vero, ma ora non hanno bisogno di me.
Hanno bisogno che sia una figura che da sempre gli è vicina, a spiegargli quanto è necessario fare.
In questo momento, c'è una di voi che ha bisogno di me più di tutte le altre messe insieme, ed è piuttosto grossa e incazzata, credo.
Quindi...Buyobuyokame, Shiwa, potreste seguirmi?"


Si allontanò dalla riva, dirigendosi verso la foresta, seguito dalle sue due compagne.
Dietro di sé poté sentire gli ordini impartiti da Shikame ed avvertire i gusci che, silenziosi, si immergevano sott'acqua: vide Isshikame guidare le sue simili, quasi a voler dare il buon esempio, prima di essere inghiottito dal bosco.


[...]



Il lago era proprio come se lo ricordava: talmente piatto da risultare, ad una prima occhiata in superficie, impossibile da distinguere da una qualsiasi lastra di ghiaccio.
Le sue profondità erano inaccessibili, e l'acqua non consentiva di scorgere il fondo.
Vi mosse qualche passo, accompagnato da Buyobuyokame e Shiwa, mentre le poche testuggini che non erano state convocate da Shira - perché troppo anziane o, al contrario, giovani - se ne stavano sulla riva, chi a sonnecchiare, chi a gettare sguardi incuriositi nella sua direzione.


"Lo so che sei qui."

Arashi: "Kenjin-sama!"

Urlò con tutto il fiato che aveva nei polmoni, quindi compose i sigilli e, impastato il chakra, sputò tutto il fuoco che riuscì a trovare dentro di sé.
La superficie dello specchio d'acqua si trasformò subito nell'inferno che già, in precedenza, era stato teatro del suo scontro con Buyobuyokame.
Malgrado i suoi sforzi, non ebbe risposta e, in fondo, neanche se l'aspettava: sapeva che, nonostante il suo obiettivo fosse quello di dargli quanto più fastidio possibile nella speranza di farsi notare, le sue fiamme non avrebbero mai potuto raggiungerlo, al pari del tocco di una mosca insignificante che si posava sul suo carapace.


Arashi: "Lo so che puoi sentirmi, Kenjin-sama!
Rimani in silenzio, non mi interessa avere una risposta qui ed ora."


Ansimò, incerto su come continuare.
Alla fine decise, dopo qualche secondo di esitazione, di parlare senza pensare troppo, a ruota libera: aveva ben chiaro il concetto che desiderava esprimere nella sua testa, si trattava solo di farlo uscire fuori.


Arashi: "Tempo fa, proprio qui, mi hai detto delle cose.
Mi hai detto che mi faccio troppi problemi, che penso troppo, che sono il vostro eremita e come tale devo comportarmi.
Tu e Buyobuyokame, ricordi?
Mi avete detto che non importa quanto faccio e come lo faccio, ma farlo e basta.
Io non lo so quante guerre hai combattuto, quante cicatrici hai per i tuoi scontri e quanti fratelli e sorelle hai perso per colpa di questi Cercoteri, ma provo a immaginarlo.
Che lo vogliamo o no, che ci nascondiamo o meno, sai che prima o poi potrebbe arrivare il momento in cui, pur fuggendo da essa, la guerra ci troverà, come lo sa Shikame-sama."


Aprì la sua divisa: lui non poteva vederlo, ma sotto di essa se ne stava la maglia che le tartarughe gli avevano donato, leggera e impenetrabile.

Arashi: "L'armatura che mi avete dato, è per quel momento.
La indosserò per voi e per quest'isola, quando saremo tutti in pericolo...e visto che già lo siamo, la indosso tutt'ora.
Per liberarmi da quella paura.
L'unico modo per levarcela di torno, per non vivere ancora nel terrore della guerra, è prepararci a combatterla e finirla ancora una volta, una volta per tutte: per ora possiamo pure scappare, difenderci, ma alla fine arriva sempre il momento in cui si deve designare un vincitore e uno sconfitto, ed è proprio lì che serve lottare.
E proprio come mi avete ricordato voi...quanto lotteremo, come lotteremo e perché, alla fine non importa: quel che conta è farlo e basta, specialmente quando non c'è scelta."


Non sapeva se le sue parole erano arrivate alla colossale testuggine che riposava sul fondo del lago, e mai lo avrebbe saputo: l'acqua rimase piatta e calma, ma sotto di essa si agitavano forze forse a lui incomprensibili.
Era l'eterna lotta delle correnti che agitavano quello specchio, ciò che lui voleva animare e portare alla luce col suo discorso: una lotta nascosta dalla torbida e stagnante superficie.


Shiwa: "E-ehi, stupido sputafuoco...sei sicuro che ti abbia sentito?"

Ci pensò su ancora qualche secondo.

Arashi: "Sì.
E in ogni caso, valeva la pena provare: possiamo prepararci quanto vogliamo, ma senza l'aiuto di Kenjin-sama, in caso di attacco da parte di una di queste bestie quest'isola è spacciata.
Io sono sicuro che ci proteggerà tutti, se dovessimo trovarci in pericolo e questo è fuori discussione.
Ciò che ho provato a spiegarli, è diverso: se il nostro mondo dovesse avere un'occasione, anche solo una, per mettere definitivamente fine al conflitto che verrà, allora è giusto che anche noi facciamo la nostra parte, Kenjin-sama compreso, o che quantomeno non ci precludiamo questa possibilità.
Dobbiamo farlo anche e soprattutto per difendere quest'isola."


Buyobuyokame sembrò approvare: gli sfiorò il braccio con il becco, richiamando la sua attenzione.

Buyobuyokame: "Lo sai che a me piace combattere, vero, Arashi-kun?
Chiamami se avrai bisogno di me, voglio vedere se questi Cercoteri sono così temibili come dicono."


Gli scappò un sorriso, forse più per la tensione che per altro, quindi le invitò a seguirlo di nuovo sulla terraferma.

Arashi: "Per ora dobbiamo stare in guardia e sperare che non ci trovino mai, Buyobuyokame.
Francamente, su queste bestie ne so quanto te.
So solo che se Konoha o quest'isola dovessero essere attaccate, risponderò al fuoco...ma io da solo posso fare ben poco, dovremo aspettare soprattutto la risposta dei grandi villaggi, e stare a vedere come affronteranno questa crisi: da quanto ha riferito Kenjin-sama, non credo proprio che il mondo degli shinobi se ne starà a guardare."


A quelle parole, Shiwa si illuminò all'improvviso.

Shiwa: "Ah! Arashi-kun, a proposito...vuoi portare qualcuno qui?
La tua famiglia, o magari quella ragazza di cui parlava, quella con cui fai i cuccioli! Starebbero al sicuro qui.
Le trateremmo bene, e potrebbero aiutarci a fare i minestroni!"


Famiglia?
Misato?
Magari. Per la prima volta, la sua espressione si fece veramente triste.


Arashi: "Grazie, Shiwa. Ci ho pensato, ma no...Il loro posto non è qui e voi non siete obbligate ad offrire loro un riparo.
Mia madre, mia sorella, Misato...loro, purtroppo, sono più o meno come me. Guerriere, in tutto e per tutto: non si sognerebbero mai di lasciare Konoha o Suna durante un conflitto, purtroppo.
A dirla tutta, poi, secondo quanto ha detto Kenjin-sama, nessun posto è veramente al sicuro: starsene qui sull'isola o in uno dei grandi villaggi non fa differenza, siamo tutti in pericolo."


Anche Shiwa si rabbuiò vistosamente.

Shiwa: "Hai ragione.
Quindi, è tutto qui?
Aspettiamo?"


Arashi: "Per ora, è tutto quello che possiamo fare.
Chiamatemi alla minima novità, subito.
Ora riportami indietro, a Konoha: devo prepararmi anch'io."


//Beh, che vi aspettavate? Le tartarughe si difendono - ma va?
Però, siccome Arashi mette la pulce nell'orecchio, ho pensato che se da una parte fosse chiaramente scontata questa reazione, dall'altra non lo è assolutamente la decisione di scendere o meno in campo per combattere apertamente i Cercoteri.
Questo lo deciderà soprattutto Kenjin, dipende da come accoglierà le parole di Arashi...e per fare questo, mi rimetto al giudizio di chi leggerà e valuterà questa autogestita: se ho ruolato bene le tartarughe(=+), allora a seconda di come si metterà il conflitto potrebbe decidere di dare man forte alla "causa" di Arashi e alle sue ragioni, altrimenti(=-) le ignorerà bellamente.
Ai posteri l'ardua sentenza.//
 
Contacts  Top
0 replies since 5/7/2017, 16:29   236 views
  Share