CITAZIONE
Narrato
"Pensato Sandayu"
-Parlato Sandayu-
-Parlato Padre-
La missione più che emozionante o monotona si era rivelata sfiancante: quella giornata sembrava non voler finire mai, al punto che una scarica d'acqua aveva oscurato il cielo rendendo il trasporto di quella che era stata presentata come una misteriosa scultura, qualcosa di molto vicino ad un inferno fangoso.
Il suo compagno era un ragazzetto quasi della sua età, che ebbe quantomeno il pregio di dimostrare impegno e più entusiasmo di quanto in effetti il lavoro ne meritasse da entrambi, cose che gli concessero di concentrarsi sul portare a termine il compito e che furono apprezzate in quieto silenzio.
Inutile dire che fu di ben poca compagnia: se la giornata era cominciata in modo grigio, il termine sembrava averlo lasciato silenzioso e cupo.
Sulla strada verso casa non poté che pensare, con vaga ironia, che alla fine gli era stato precluso anche di sapere cosa effettivamente avessero trasportato. Era proprio vero che le informazioni restavano scarne, mentre i quesiti si accumulavano.
Quando infine si concesse un bagno, nel contenitore d'acqua in legno, gli parve che il suo riflesso dimostrasse più anni di quanti ne aveva al mattino. Per quanto si mettesse in discussione, le giustificazioni scivolavano fra le dita giorno dopo giorno.
Lo stupiva anche che lo stesso Fuuma, con cui talvolta aveva provato ad intavolare l'argomento, aveva sempre reagito con pochi schivi e rammaricati silenzi, senza tentare uno sfogo a sua volta. L'unica volta che lo aveva visto reagire, dopo aver pianto ai funerali del fratello, era stato quando aveva saputo del reintegro di alcuni Hyuga su cui giravano voci da tempo. Dopo molti anni fu la prima volta che lo rivide nutrire rancore per la casata principale e per il villaggio, un rancore che in parte lui stesso condivise e che si scoprì a sospettare anche in una piega più rigida del solito nelle labbra di suo padre.
Era difficile giustificare e definire dove arrivasse ciò che era "necessario" e dove iniziasse ciò che invece scavava profonde cicatrici nelle radici del villaggio. Purtroppo quel senso di necessità sfioriva e diveniva sempre meno netto man mano che l'atteggiamento si riversava sugli altri shinobi e sui membri del villaggio,
rendendo il dubbio una replica costante su scala ridotta. Si era stupito quando si era reso conto di non biasimare le accuse del cugino: se un cadetto avesse lasciato il villaggio il suo byakugan e probabilmente la sua vita sarebbero stati estirpati senza pietà. Il fatto che ciò non solo non fosse accaduto, ma che nessuno nel clan si fosse opposto creava ai loro occhi un precedente senza senso e un affronto verso coloro che avevano perso i loro familiari. Inoltre la macchia lasciata volutamente sul nome degli Hyuga era qualcosa che dava adito ad altre supposizioni oscure che lo avevano spinto più volte a chiedersi se non avrebbe un mattino, scoperto che suo padre aveva lasciato la villa per recarsi egli stesso dall'hokage o alla sede del clan, nel peggiore dei modi.
Poteva accettare che tutto ciò che gli fosse stato insegnato fosse una menzogna: che raggiungere un obbiettivo valeva anche le sofferenze della propria famiglia e l'integrità del villaggio e del proprio clan, che non ci fosse onore nei loro nomi e nella loro storia e che i principi fossero solo vecchi ideali passati di moda.
O poteva crogiolarsi nella confusione e nel dubbio, sapendo di non potersi permettere di dubitare di quella che era l'unica realtà che ancora teneva insieme i cocci della sua esistenza, sperando di trovare la soluzione a quei dilemmi. Anche a costo di essere la soluzione, se necessario.
Quella nottata passò agitata, si rigirò spesso nel suo futon e sognò un enorme albero in fiamme, squarciato da un fulmine, mentre le radici lo soffocavano nella loro morsa..
Il mattino dopo si svegliò di buon'ora, madido di sudore e ancora in parte acciaccato per la missione del giorno prima e per la posizione scomoda tenuta durante il sonno.
In cucina trovò solo il solito biglietto conciso, che guardò distrattamente e un piccolo cesto di frutta, da cui raccolse distrattamente una mela mentre si recava all'esterno, con aria tutt'altro che riposata.
"Una rinfrescata e qualche minuto di allenamento per sciogliermi quanto basta e starò bene.."Ultimamente tra una cosa e l'altra si allenava anche più del solito. Razionalmente era convinto fosse il segno che ormai il suo corpo si era più che abituato alla routine.
La verità era che istintivamente sapeva che dietro quella fretta di affermarsi e scavarsi una strada, c'era un secondo motivo. Una parte di se aveva capito che quella indecisione nel suo giudizio era una pericolosa incognita, e se un giorno gli fosse stata consegnata la missione sbagliata e avesse dovuto fare una scelta, capire chi era nel giusto non sarebbe stato più così chiaro.
Nel chinare la testa sotto il getto fresco della fontana all'esterno, Sandayu ritornò con la memoria a un gioco che aveva fatto poco tempo prima per tentare di avere un diverso punto di vista. Se fosse stato una spia di una altro villaggio e avesse dovuto fare rapporto, cosa avrebbe scritto? Ricordava che si era stupito nel notare che la risposta non gli era piaciuta affatto e che i suoi dubbi si erano trasformati in fretta in possibili armi rivolte contro il villaggio. Eppure erano scenari possibili, non certi ne probabili, e il fattore umano poteva cambiare le cose. O almeno quella era la speranza con cui continuava a motivarsi.
Finché fosse stato sicuro che almeno lui aveva una possibilità di migliorare la situazione, non doveva preoccuparsi e doveva invece limitarsi a fare del proprio meglio per raggiungere l'obbiettivo.
Raggiunse l'uomo di legno sul retro dell'abitazione, posizionandosi e prendendo a colpirlo, esercitandosi con foga e sentendo gradualmente i muscoli riscaldarsi e sciogliersi liberandosi degli acciacchi procurati dalla notte movimentata.
Una delle poche consolazioni che lo tenevano vigile in quei giorni era la sua preparazione come shinobi. L'abitudine e la costanza avevano maturato un certo interesse per gli jutsu e per la strategia sul campo. Spesso si ritrovava a fantasticare su quali tecniche fossero andate perse nel tempo e su come applicarle all'atto pratico. Un giorno si era addirittura sorpreso a chiedere a suo padre se fosse stato per lui possibile apprendere la tecnica da cui creata e in cui eccelleva: il "Palmo dell'Hannya", nonostante lo slancio gli avesse fruttato solo un sospiro esasperato.
In quei momenti quantomeno riacquistava sicurezza in se e in qualche modo i problemi scivolavano via.
Si stiracchiò con calma, ritenendo di aver fatto a sufficienza e decidendo che era giunto il momento di tornare a far visita alla lapide di sua madre, vista anche l'assenza del padre. Si ricompose aggiustando le sacche e il copri-fronte e cambiandosi d'abito con una più sobria ma pulita accoppiata formata da una maglia in stile tradizionale bianca e un paio di calzoni di una scura sfumatura di azzurro.
Si diresse verso il cimitero con passo sostenuto, guardando solo distrattamente il villaggio ancora in buona parte sopito, lungo la strada.
Raggiunse la sterminata fila di lapidi osservandole con l'aria insoddisfatta di chi osserva un pozzo vuoto aspettandosi che si riempia, cercando con gli occhi il ripiano di pietra dedicato alla madre solo per poi chinare lo sguardo quasi per cercare di farsi una ragione di quello scambio che aveva ben poco di equo. Avanzò a passo più lento, soffermandosi un istante anche a rendere omaggio a suo cugino maggiore, il fratello di Fuuma. Era più grande di loro, poco ciarliero e molto attivo, a differenza del fratello minore, così non poteva dire di aver legato con lui quanto con lo Hyuga cadetto. Tuttavia conosceva bene il dolore che la sua perdita aveva provocato alla famiglia del parente. Avevano molte speranze in lui e lo ritenevano un modello. Quando infine si fermò sulla lapide della madre lo sguardo si fece quasi interdetto.
Una piccola rana, o più precisamente un rospo, se ne stava proprio lì. Raggiungeva spesso quel luogo quando aveva la mattina libera e suo padre era fuori in missione o per sbrigare altri compiti, ma era la prima volta che vedeva un rospo in quel posto.
La piccola creatura salto sulla lastra rigida e fuggì via, recandosi verso le sagome ben visibili dei precedenti Kage. Ci mise alcuni istanti a mettere a fuoco la figura che sostava nei pressi, passando da un istante di straniamento a un momentaneo stupore, sino a passare al dubbio.
Quella era senz'altro la figura dell' Hokage: non la aveva mai incrociata in quel posto. La osservò per alcuni istanti, dubbioso sul da farsi: probabilmente sarebbe stato opportuno salutare, ma quel posto richiedeva anche una certa privacy, e dopo l'ultima volta non era del tutto certo di voler avere una conversazione privata. Da una parte avrebbe voluto avere delle risposte ai suoi dubbi, dall'altra l'ultima esperienza gli sussurrava che sarebbero potute essere risposte spiacevoli o peggio, di circostanza. Inoltre che poteva fare? Dire all'Hokage che aveva sbagliato? Che nel villaggio c'era qualcosa di sbagliato? Senza la forza per dare peso alle sue parole sarebbe stato probabilmente uno spreco di tempo.