Sangue del tuo sangue, Masaru Takeda - Sessione Autogestita #1

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view post Posted on 7/6/2017, 11:06     +1   -1
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// Occhei, chiedo scusa in anticipo per i 46k di roba ma volevo fare una cosa seria. Se avete domande o ci stanno problemi sapete come trovarmi. Mi auguro che il testo sia piacevole per chi legge come lo è stato per me scriverlo -forse...-. Have fun! //

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Intrepidi guerrieri; abili spadaccini; ninja senza nome; astuti mercanti. Innumerevoli dovevano esser stati gli individui a poter usufruire della fiamma fredda di quella viverna o anche solo a poterla osservare.
La percezione delle pochissime cesellature che formavano i dettagli essenziali, e della levigatura, era possibile laddove l'ottone non era coperto dall'intreccio cremisi e sfiorava la pelle -no, niente guanti quando si allenava.
E infine la fiamma monocromatica, della quale ad ogni movenza il filo fendeva l'aria in due senza troppo sforzo, emettendo un canto decisamente più soave rispetto a quando l'aveva usata l'ultima volta.

Masaru si disse soddisfatta da quell'allenamento mattutino con la sua viverna. Il fabbro aveva fatto un ottimo lavoro; non a caso andava sempre da colui che conosceva da parecchio tempo e che le aveva forgiato personalmente il suo iniziale armamentario.
La donna stava rinfoderando la spada quando udì dei rumori sospetti all'interno di casa sua, uno sguardo sospettoso andò in direzione della medesima e con passo felpato si apprestò ad avvicinarsi alla finestra, tenendo la mano sull'elsa mentre scrutava con attenzione l'interno della dimora. Non sembrava esserci nessuno e un attento controllo anche attraverso il tatto confermò eventuali dubbi.
Quando con cautela rientrò in casa, la lettera che stava sul mobile alla sua destra fu la prima cosa che notò, visto che in precedenza non c'era. La prese, la aprì e la lesse senza pensarci due volte quando l'occhio cadde sul sigillo in cera -che lei conosceva fin troppo bene.
Il contenuto dichiarava urgenza e la cosa non era affatto positiva, tanto da farle corrugare la fronte con serietà, decisa a prepararsi per un'uscita personale che poco aveva a che vedere con missioni e shinobi.

Aveva di già fatto colazione e farsi un bagno era stato il suo primo pensiero appena svegliata.
Durante la notte era solita rimanersene in biancheria intima -forse per tenere sott'occhio il sigillo-, mentre per la mattina prediligeva abiti leggeri e comodi, infatti attualmente indossava una canottiera nera e dei pantaloni verde scuro.
Per questo, una volta ridotta in polvere quella lettera e tolti i calzari di cotone, la Jinton si avviò veloce verso il suo guardaroba nella stanza da letto e scelse uno dei set di vestiti che tendeva a preimpostare per la sua divisa a seconda del tipo di missione, mentre gli abiti comuni erano disposti normalmente e con cura.
Ma la divisa non l'avrebbe indossata né il coprifronte -anche se quest'ultimo l'avrebbe portato con sé-, col rischio di attirare attenzioni sgradite. Solo l'essenziale.
Una volta scelto esaminò con attenzione che ci fosse tutto, aiutandosi con la luce diurna che dalle finestre si diffondeva in casa.
Mentre si cambiava la giovane donna ripensò al contenuto della lettera per meglio tenerlo a mente, era chiaro e semplice, ma non per questo meno preoccupante.
Preso anche l'equipaggiamento e indossati gli stivali, la kunoichi della polvere uscì di casa e le iridi grigie studiarono i dintorni con attenzione.

Pochi erano i civili e gli shinobi per le strade, numerosi gli shinobi ANBU, questi ultimi non sempre riconoscibili da chiunque -alcuni erano in borghese, di certo per non destare sospetti a potenziali minacce- ma per chi era abbastanza attento ai dettagli come lei poteva già intuire qualcosa dal comportamento o da come si muovevano.
Durante il tragitto poté osservare che dei medici da guerra stavano portando alcuni feriti, ancora non riusciva a capire di che tipo di emergenza si trattava ma era cosciente che chiedere a uno di loro sarebbe stato inutile. Non avrebbero spifferato alcunché.
Tutto quel trambusto però le ricordava di quella volta... prima dell'arrivo della Tsuchikage, di quando si era trovata per la prima volta a dover salvaguardare seriamente un civile in qualità di kunoichi, piuttosto che limitarsi a eliminare le minacce.
Ancora adesso si chiedeva se davvero aveva fatto bene a salvare quella donna, per quel poco che l'aveva osservata il suo metro di giudizio verso di lei continuava ad oscillare tra il sì e il no. Ma non la considerava una minaccia, almeno non per ora.
La strada non fu molto lunga, specie perché aveva usato le scorciatoie, infatti arrivò in una manciata di minuti. Curioso che anche quella volta si ritrovò a camminare in quelle vie, le stesse dove risiedeva l'abitazione di Kaoru, ma la casa dove doveva andare lei si trovava un po' prima della suddetta ed era più piccola.
Ancora una volta la giovane donna si trovò sola nella quiete di quel luogo, solo il tenue suono dei suoi passi -aveva messo gli stivali aderenti e con la suola morbida-, di tanto in tanto qualche rumore di fondo che proveniva dall'interno di abitazioni o da parte di un occasionale animale.
Sembrava di stare in un luogo distante dal villaggio, dove tutto era calmo e non succedeva nulla, dove i feriti neanche esistevano.

Masaru si avviò nella casa che sapeva essere di chi l'ha chiamata e si fermò dinnanzi l'ingresso; la mano destra venne sollevata per impugnare il cordino e, nel tirarlo, suonare il campanello. Meno di pochi istanti e la porta si aprì, mostrando alla kunoichi un uomo già nella vecchiaia, alto e asciutto; questo la scrutò dall'alto in basso, riconoscendola subito.
La donna raddrizzò le spalle in un atteggiamento baldanzoso e un sorriso formale ando1 a formarsi nel suo volto.
"Prego, mi segua," le disse il servitore, scansandosi per farla entrare e richiudendo la porta prima di guidarla. Ovviamente il padrone doveva averlo avvisato per tempo.
Masaru osservò quella magione che non visitava da tempo e si sorprese nel vedere che poco era cambiata. Per quanto da fuori sembrasse piccola, dentro era invece notevolmente spaziosa -e luminosa.
Altro non era che un subdolo stratagemma per illudere i passanti e la kunoichi accennò un sorrisetto compiaciuto, Sakimoto era uno che sapeva il fatto suo; quella era una delle poche cose che riuscivano a destare realmente la sua attenzione e ad assicurare all'uomo la sua stima.
"Attenda qui prego," enunciò il domestico.

La donna occhialuta lo fissò in tralice, seguendolo con lo sguardo nel contempo ch'egli saliva al piano superiore. Una volta sparito dal suo campo visivo, la donna scrutò la stanza e sollevò una mano a togliersi gli occhiali, mentre che l'altra afferrava dal taschino superiore il fazzoletto di velluto.
Ci vedeva anche in assenza di occhiali seppure faticava di più a focalizzare i dettagli di oggetti, e soggetti, distanti rispetto a quando li indossava.
L'arredamento si discostava quasi del tutto da quello della residenza di Kaoru, non tanto per l'abbinamento di colori spenti e freddi quanto per la mancanza di oggetti che potessero dare un tono vivace a quella sobrietà, solo qualche vecchio cimelio; dava l'idea che chi ci viveva era una persona poco incline al superfluo e decisamente umile.

"Oh, siano ringraziati i Kami!"
quell'esclamazione, e i rumori di passi affrettati che l'accompagnavano -ed essendo sandali in legno, contro il parquet ne facevano eccome di rumore-, ruppero il silenzio che alleggiava in casa e fecero scattare lo sguardo di Masaru verso l'artefice di quel caos, che lo accolse con un sorriso accennato.
Si trovò faccia a faccia con un uomo che appariva più vecchio del suo domestico e molto stanco, già solo gli occhi verdi scavati nello sguardo rugoso lasciavano presagire quante potesse averne viste durante tutta la sua vita da medico di guerra, da tempo in pensione. La curva che formava la sua schiena palesava un peso immateriale che l'aveva reso gobbo, obbligandolo all'ausilio di un vecchio bastone in legno rossastro di Ipè -acquisito in uno dei suoi viaggi ed intagliato quel tanto che bastava a permettergli di stringerlo nelle calluginose mani.

"Vedere che hai risposto alla mia chiamata è per me un grande sollievo,"
enunciò Sakimoto con rinnovato vigore, alzando la sinistra per fare segno al domestico di lasciarli soli. Si avvicinò alla giovane donna tenendo lo sguardo carezzevole fisso nel suo. I sandali del suddetto cozzavano contro il parquet della pavimentazione, un suono accentuato dal peso che l'uomo immetteva in ogni passo per avvicinarsi a lei. Evitò tuttavia di lasciarsi andare ad effusioni, sapendo che non le erano gradite neppure fuori da occhi indiscreti.
Masaru fece un lieve inchino di saluto prima di rispondergli come farebbe con un caro amico:
"Non vedo perché non avrei dovuto."

Già, quando aveva visto da parte di chi era la lettera le era stato impossibile non accettare. Quell'uomo era stato per lei il padre che non aveva mai avuto e colui che era riuscito a non farla diventare mai del tutto identica a Jin.
Le aveva insegnato tutto ciò che sapeva sulle erbe mediche e sui veleni, ma anche quanto c'era da sapere sulla cultura e sulla diplomazia, essendo egli uno studioso.
Era anche stato il suo maestro per alcune tecniche del suo clan, essendo anche lui un appartenente al medesimo, ed era persino colui che si era occupato di curarla quando lei aveva finito per superare certi limiti, salvandole più di una volta la vita.

Tornando a guardarlo, la kunoichi poté distinguere chiaramente un velo di disperazione nei suoi occhi, una silente preghiera verso di lei. Erano diversi anni che non lo vedeva così; da quando sua moglie era morta. Non era mai un buon segno quando succedeva, non per una persona così pacata ed ottimista.

"Non potevo affidarmi agli shinobi né potevo farti chiamare formalmente,"
spiegò in breve l'anziano, facendole cenno di sedersi mentre lui faceva altrettanto. Lei però non raccolse l'invito, rimase in piedi; l'altro comprese, voleva arrivare al dunque.
"Dov'è Atsue?"
gli chiese senza tanti preamboli, portando una mano al fianco. Si era accorta dell'assenza della donna in questione sin da subito e sospettava di sapere già che la risposta non sarebbe stata piacevole.

Sakimoto ebbe un fremito a quella domanda, le labbra incurvate in una smorfia a mostrare i denti digrignati e gli occhi che vagavano distanti. Il respiro affaticato. Sembrava stentasse a dar voce alla risposta, come se ancora non riuscisse a credere che fosse realmente accaduto a loro.

"L'ha presa..."
sussurrò più a sé stesso che alla Jinton, "quella strega di Majo Rubi... ha preso la mia Atsue. Quel mostro..." Poi i suoi occhi s'incrociarono nuovamente con quelli della kunoichi che non mostrava emozione alcuna in quel momento.
Ma Hisoshi Sakimoto la conosceva troppo bene per non vedere oltre quella maschera che le era stato insegnato a portare, era furiosa quanto lui per quella situazione.
Sapeva benissimo a chi l'anziano si riferiva, non avevano neppure bisogno di fare delle ricerche per scoprire dove si trovasse. Era forse una delle più infide e crudeli che conosceva, come pochi altri che aveva avuto la sfortuna di incrociare e raggiungeva l'apice della sua lista nera. E senza che ci fosse bisogno di dirle nulla Masaru comprese che la richiesta dell'uomo era di andarla a riprendere.

"Perdonami se l'ho chiesto a te,"
si scusò lui, "ma sei quella che ha fronteggiato quel demone, riuscendo quasi ad ucciderla e a tornare viva. Tu sai..."
"No, va bene,"
si limitò a dire lei con voce fin troppo calma e stolto era chi sottovalutava quella medesima flemma con pura indifferenza. "Andrò a prenderla."
I suoi piedi puntarono subito in direzione dell'uscita, ma nel girarsi ella si fermò prima ancora di muovere un passo e le sue iridi cineree mossero verso la mano scheletrica, che con presa salda le aveva afferrato il braccio, per poi posarsi su quelle verdi dell'uomo.

"Masaru,"
richiamò la sua attenzione anche vocalmente e con tono apprensivo, "ti prego, qualsiasi cosa accada non fare di testa tua come al solito, torna al clan." Anche questa volta colse al volo il sottinteso dell'anziano ma no, non rimase stupita dalla sua richiesta. "Non accadrà nulla," gli rispose con convinzione e per un attimo Sakimoto venne influenzato da quella imperturbabilità, finendo per credere alle sue parole. "Farò quanto in mio potere," affermò quasi in un saluto.

E lei sapeva da principio che era stato preso anche lui seppur l'anziano medico non gliene avesse parlato, al contrario si troverebbe lì con loro; dopotutto era stato un suo desiderio quello di non fargliene mai menzione.
Tornò sui suoi passi e verso l'uscita, ignorando il domestico. Si avviò in direzione della periferia a nord ovest, laddove sapeva esserci la tana dove viveva Majo Rubī, la Strega Rubino, così chiamata per le voci secondo le quali la suddetta donna usava tingere i suoi vestiti con il sangue delle sue vittime... e non era neppure l'unico vezzo inquietante che aveva.
Alla kunoichi non era mai andata a genio -era forse una dei pochi che riusciva a incuterle davvero timore. Solo una volta aveva avuto la sfortuna di incontrarla, durante un inseguimento era finita per sbaglio nella dimora della suddetta ma nonostante avesse sentito voci a riguardo, fino a quel giorno era rimasta scettica.
Si era ricreduta quando se l'era trovata dinnanzi, confrontandosi con le sue macabre capacità e riuscendo a tenerle testa. Era arrivata a darle il colpo di grazia quando purtroppo la medesima l'ebbe scagliata via furiosa e trovandosi nel lato dell'uscita Masaru aveva deciso di scappare.
Sovente Majo Rubi prendeva come sue vittime dei tipi con poco cervello e spesso di cui il villaggio ignorava l'esistenza. Ma quando le capitava qualcuno per sbaglio non ci pensava due volte a tenerselo per sé.

La palazzina di fronte la quale Takeda si fermò, una palazzina solitaria rispetto alle innumerevoli che erano accatastate insieme come libri in uno scaffale. Aveva l'aria di una struttura deserta, ma per chi sapeva era difficile dire lo stesso, per questo si teneva bene alla larga dal suddetto edificio.
Aprì la porta semi sfondata e la oltrepassò cautamente. Le iridi grigie scrutarono i dintorni con attenzione, le dita della mano priva di guanto le diedero modo di vedere laddove gli occhi e le orecchie non arrivavano mentre passi calcolati la portavano in direzione della porta successiva, quella che faceva accedere alle scale per il sottosuolo e da lì a un intrico di gallerie che poco aveva a che vedere con il clan Bakuton.
All'apparenza sembrava non esserci nessun pericolo ma ciò non la stupiva, se c'era una cosa che quella strega voleva era proprio che i suoi ospiti entrassero.
C'era poco movimento all'interno delle gallerie, ma non per questo erano inabitate; non era certa di come sarebbe andata quella volta, l'unica cosa che sapeva era di avere un limite di tempo entro il quale doveva trovare Atsue, prenderla e andarsene. Non poteva tentennare.
Prese la torcia che stava al muro -una provocazione messa lì dalla strega per invitare i suoi ospiti a entrare- e la accese per farsi luce lungo la strada; passò in rassegna svariati budelli, diversi minuti le ci vollero prima di scovare finalmente un cunicolo in cui era presente qualcuno.
Perché così semplice? Perché non c'era lei con il prigioniero? Perché da quel che poté osservare la giovane kunoichi della polvere, il prigioniero, anzi la prigioniera sembrava dormire prona nel suo letto di pietra.

La luce provocata dalla sua torcia attirò l'attenzione della suddetta verso di lei che mosse la testa per guardarla, ma con un gesto affrettato della mano la più giovane delle due le ordinò il silenzio. Nonostante ciò la donna non riuscì a trattenersi dal parlare,
"Masaru..." la sua voce era fioca e colma di dolore. I candidi capelli sporchi di sangue e non solo quelli.
"Sono venuta a prenderti, forza, andiamocene,"
disse la kunoichi mentre avanzava, osservando istintivamente dietro di sé. Non aveva tempo per le chiacchiere, di certo colei che dimorava in quel luogo si sarebbe presto accorta della sua presenza, ma non subito, poiché durante il giorno recuperava le forze per quando sarebbe calato il sole e i suoi poteri si attenuavano.
Ma nel momento in cui si avvicinò verso l'altra, Takeda poté vedere che non era così semplice come pensava. La donna che insieme a Hisoshi aveva accompagnato una piccola seppur rilevante parte della sua infanzia, adesso era stata preda di una creatura inumana; lei che palesava il suo lato materno verso chiunque incontrasse, indipendentemente da chi si trattava, e che l'aveva convinta a non abortire; lei che era la persona più gentile e serafica che avesse mai conosciuto, finanche riusciva a farla sentire sporca dentro, e che meritava almeno quanto Sakimoto qualcosa che era quasi inesistente nel suo vocabolario: rispetto e fiducia.

"È troppo tardi... per me,"
affermò l'anziana, scuotendo la testa.

"L'ho promesso a Hisoshi,"
le rispose imperturbabile la Jinton mentre studiava le condizioni dell'anziana donna. Rubi l'aveva ridotta come neanche il peggiore degli stracci; ferite ovunque, lesioni, fratture. Ma quel che era peggio, il tronco.
Le costole erano spezzate e nel metterla in posizione supina si trovò di fronte ad uno spettacolo raccapricciante, vi bastava sapere che era il motivo di così tanto sangue sparso nel letto e a terra e che non tutto era al suo posto.
Nel vedere ciò la Jinton si convinse che era davvero tardi, quello che però confondeva la kunoichi della polvere, era il fatto che Atsue fosse ancora viva. Il suo sguardo si incupì e andò ad incrociare quello dell'altra, che teneva gli occhi color indaco fissi su di lei.

"Kaede sta bene..."
le disse d'improvviso, sapendo che la giovane aveva quella domanda a balenarle nella testa, "...è scappato ma... temo sia ancora quaggiù..."
Se possibile, la ninja occhialuta corrugò di più la fronte.
"Allora lo troverò," rispose fermamente, "e farò quel che devo". Se quella specie di demone riusciva a trovarlo prima di lei sarebbe stato un problema, ma soprattutto non poteva più permettersi di lasciarlo rimanere in vita.
Lui che poteva esserle un fatale punto debole e lei non era neanche la persona più adatta a fare da madre, per questi motivi gli era rimasta distante e aveva preferito che fossero i due anziani a crescerlo. Ma adesso...

Il tocco lieve della mano di Atsue, che debolmente andava a stringere la sua, riportò la sua attenzione dalla parte oppodta del cunicolo a lei. L'altra mano la teneva costantemente al muro per poter percepire se rischiava di arrivare lei.
"So cosa stai pensando..." le disse quasi in un sussurro, "...non farlo... lei non sa di Kaede..."
"Gli eviterò comunque una sorte peggiore di quella che avrebbe per mano sua,"
rispose seria.
Ma l'altra insistette,
"no... è solo un ragazzo... giurami che non lo ucciderai... che lo porterai al nostro clan."
Le iridi grigie della mora rimasero ferme su quelle azzurrine dell'anziana per un lungo istante, non poteva perdere troppo tempo a discutere e, visto che era il suo desiderio, decise di accontentarla.
"E sia," rispose con accondiscendenza, per poi chiedere "devo lasciar detto qualcosa a Hisoshi?"
"Il ciondolo..."
rispose Atsue, riferendosi alla collanina che teneva al collo, "...riportaglielo." La Jinton non si mosse, sapeva che non era tutto lì. "...lei mi ha lanciato una jutsu... affinché io non muoia... per queste ferite..." spiegò con dolore l'anziana, confermando i sospetti dell'altra, poi le prese a fatica la mano destra con entrambe le sue e se la portò alla guancia, che in quel momento era bagnata dalle sue lacrime. Un gesto fatto a voler sentire in quegli ultimi istanti il calore umano di chi conosceva, come se questi potesse alleviare le sue sofferenze.
E nonostante la persona che Masaru poteva essere, ella la lasciò fare, non sentendosi in diritto di negarle quel sollievo.
"Ti prego... liberami da questo tormento..."
Lo sguardo di Atsue era supplicante e colmo di una disperazione assoluta e ancora una volta la kunoichi si sentì di dover accettare. Non sarebbe stato un problema, del resto era abituata a farlo, a togliere vite, anche se quella volta in particolare non avrebbe provato nessuna soddisfazione.

Seppure una parte di lei era nervosa per il troppo tempo che stava scorrendo, perché ogni secondo era prezioso per poter trovare Kaede e andarsene da quel buco infernale, un'altra parte sapeva che non poteva permettersi di avere fretta nel compiere quella richiesta. Con calma quindi impugnò un kunai nella destra e si inclinò verso la donna.
"So che ti sarà difficile ma ti chiedo di rilassarti," la istruì con un tono inusualmente rassicurante mentre la sinistra -spogliata del nekote- veniva posta sotto il collo per avere un'idea precisa della direzione in cui colpire, "stai tranquilla, non sentirai nulla."
Ed era la pura verità, poiché la kunoichi della polvere conosceva i punti precisi dove una persona poteva sentire più dolore e quelli dove invece era nullo o ridotto al minimo, una conoscenza dettata dalla necessità di estorcere eventuali informazioni o per utilizzarla in combattimento e indebolire l'avversario, e per la prima volta si trovava ad usarla per alleviare le sofferenze di qualcuno.
Il suo sguardo era fisso sul punto da colpire, laddove poggiò la fredda lama. Nel frattempo l'anziana teneva i suoi occhi su quelli di lei, rifuggendo con la mente dalle ombre di quel luogo, di quella situazione, attraverso la calma fredda presente in essi; le sue braccia andarono a circondare il braccio sinistro della più giovane, che la lasciò fare per niente infastidita; oltre che un ultimo gesto di affetto nei confronti di Masaru, un saluto grato, era anche un volersi aggrappare a quella che ella definiva la sua ancora di salvezza.
Un altro istante di esitazione e infine diede il colpo di grazia, preciso, rapido e indolore. Così i lineamenti della povera Atsue si fecero meno tirati in quella maschera di agonia e mutarono in uno sguardo più sereno mentre la morte leniva il suo dolore nell'avvolgerla.
Le sue mani persero forza nel tenere il braccio di Masaru, ma prima che potessero crollare quest'ultima gliele afferrò gentilmente, ponendogliele sopra il petto.
Prese la collanina per metterla in tasca, riafferrò la torcia da terra e, prima di lasciare la defunta, le lanciò un ultimo sguardo solenne.

Nell'uscire da quel budello controllò che non ci fossero brutte sorprese ad attenderla, trovando le gallerie ancora deserte. Tutte eccetto una, che si trovava più avanti, e nel fondo di essa stava una figura rannicchiata al muro.
Un atteggiamento del genere difficilmente poteva esser attribuito a chi voleva la sua vita. D'un tratto un sibilo rimbalzò tra i cunicoli senza una precisa direzione e fino alle orecchie della donna, la quale si irrigidì, lanciò un fugace sguardo dietro di sé e allungò il passo.
Ma lungi dal farsi mettere nel sacco, la kunoichi avvicinò la figura che aveva percepito con cautela, preparandosi al peggio. Nel coprire la distanza con essa poté constatare tuttavia in modo sempre più evidente che sì, non si era sbagliata; un ragazzino di circa undici anni in maglietta bianca e pantaloncini scuri stava nell'angolo buio in fondo a quel vicolo cieco, forse nella speranza di potersi fondere con esso e diventare invisibile; le gambe erano strette al petto e le braccia circondavano le ginocchia per coprire la testa, di cui erano visibili solo i capelli corvini, come quelli di suo padre.
Le iridi grigie della donna osservarono per un momento la fragilità di quella creatura che lei stessa aveva dato alla luce. Dannazione... era ancora troppo debole e avrebbe risultato il creare una debolezza a lei da parte dei suoi nemici, nel caso in cui la voce si fosse sparsa riguardo a loro due. Se solo non avesse accettato quel giuramento verso Atsue.

"Vieni Kaede,"
chiamò lei suo figlio con voce non troppo severa.
Il ragazzino sobbalzò terrorizzato e gli occhi scattarono verso l'alto ad incrociare quelli identici della madre, che avanzava verso il muro. Però invece che obbedire egli indietreggiò, fissandola con una diffidenza che lei non raccolse, ma che comprendeva.
Lo sguardo della kunoichi non lo lasciò un istante, vedendo com'era cresciuto rispetto a quando l'aveva rivisto... Ed erano tanti anni da quella volta; era affascinata da come assomigliasse a lei anche in quell'aspetto, quando aveva la sua età.
Ma non poteva permettersi il lusso di soffermarsi troppo su quel sentimento -una scusa più che buona per tentare di soffocare quel poco di affetto verso di lui-, così posò entrambe le mani sul muro dove prima stava Kaede.

"Presto,"
insistette lei, stavolta più severa, frattanto che il muro si sgretolava, "dobbiamo sbrigarci prima che lei arrivi, ma non possiamo tornare indietro, ci servirà un'altra uscita." Fu costretta a sfiorare il limite impostole dal sigillo per abbreviare il disintegrarsi in polvere della parete, la quale svanendo cominciò a mostrare l'uscita secondaria che Masaru sapeva da principio esserci.
Del resto, quell'uscita l'aveva creata lei stessa quando aveva fronteggiato anni prima la strega, erigendo quel muro per evitare che la seguisse.
A separarli dall'uscita che si celava lì dietro una decina di metri buoni di corridoio, metà dei quali erano baciati dalla luce del sole che entrava diagonalmente da quell'apertura sul soffitto.
Ancora troppo lenta, maledizione! Masaru si maledì per aver eretto quella parete con un simile spessore.

La sentiva mentre teneva i palmi saldi su quel muro... La sentiva, si stava avvicinando a quella galleria usando una velocità e un'agilità inumane muovendosi tra quelle strettoie.
Trattenne a stento una smorfia Takeda nell'aumentare la capacità di disgregazione, che le stava costando parecchio. Si sentiva ardere laddove il suo corpo mutava a causa della sua maledizione.
Il giovane intanto spostò lo sguardo prima sulla direzione dalla quale sarebbe presto arrivata Majo Rubi, poi su Masaru, non sapendo che fare.

"Mi ricordo di te,"
le disse, "tu sei quella kunoichi strana che venne a casa nostra. Dov'è Atsue? È morta vero? L'hai uccisa tu!"
E vuoi perché andava di fretta, vuoi per il dolore, la donna disse schietta più del dovuto:
"Se fosse morta per causa mia non saresti in piedi ora," confermando la sua seconda domanda.

Di lì in poi era indubbio quello che sarebbe successo; Majo Rubi era arrivata nel cunicolo dove si trovavano loro -poco visibile per la quasi totale assenza di luce nella medesima galleria, eccetto per l'unica torcia che attualmente stava nel pavimento vicino a loro- e se non erano gli occhi a rendere ovvia la sua presenza, ci pensava l'eco della sua inquietante risata sommessa;
Kaede sentì pungere gli occhi per le lacrime ma le trattenne, guardando con disprezzo Masaru che ormai aveva distrutto un quarto di quel muro e lei, lei era irritata da tutta quella situazione seppur non lo desse a vedere.

"Va avanti Kaede,"
disse con voce affaticata, dato che lui in quella fessura ci poteva passare, ma soprattutto perché doveva passare avanti a lei.
Il bambino tuttavia non la ascoltò e continuò a spostare lo sguardo spaurito tra lei e la figura distante, forse sperando che quella di Takeda su Atsue fosse una bugia e che quest'ultimi li avrebbe presto raggiunti.
Fantastico, ora ci mancava solo il ragazzino a ignorarla!

"Masaru!"
chiamò Majo Rubi ridendo ancora una volta con la sua voce che riecheggiava calda e sensuale, intrisa di un macabro gaudio. Dando esattamente l'idea di una donna estremamente bella nel fisico ma crudele e sadica.

"MUOVITI KAEDE!!"
gli urlò contro e il giovane parve cadere dalle nuvole; un ultimo sguardo terrorizzato in direzione di colei che stava coprendo una distanza sempre più corta in un modo inquietante, come facesse parte di quel buio, e le gambe del ragazzo scattarono in automatico nella direzione opposta, oltrepassando il muro.
Nel frattempo Masaru raccolse le forze, lasciò entrare in circolo l'adrenalina, la sua mano si mosse con gesti precisi e coordinati, reindirizzando così la medesima polvere di quel muro per scivolare al seguito di Kaede, la destra invece andò all'elsa della katana e con uno scatto fulmineo si girò mentre estraeva la lama, la quale cozzò contro il braccio che la strega aveva mutato in arma, evitandole di venire trafitta proprio in mezzo agli occhi.
Purtroppo la kunoichi non resse la forza di quello scontro, già provata per aver utilizzato una jutsu oltre il limite che le era concesso, per questo si ritrovò letteralmente spinta all'indietro e la sua mano perse la presa sulla viverna in ottone, che finì a poche spanne da lei.
Rubi approfittò dell'occasione per lanciarsi su Masaru con i suoi lunghi artigli, allungando in modo innaturale il braccio, quest'ultima teneva la mano stretta al cuore e respirava con affanno mentre tossiva polvere, il suo istinto le urlava di spostarsi ma lei non lo fece, rimase statuaria dov'era.
La lama arrivò persino a toccarla lì, alla base del collo, ma proprio lì si fermò e l'altra ritrasse l'arto mutato con un grido agghiacciante. Stringendoselo al petto mentre rivoli di fumo salivano dall'arto.

Cos'era accaduto? Ma è semplice. La strega poteva avere tutte le capacità che voleva ma, esposta ai raggi del sole perdeva ogni potere e prendeva persino fuoco, diventando un mucchietto di cenere e rimanendo tale.
Quando infatti Masaru era caduta, era finita nella parte di corridoio esposta ai raggi, che andavano a formare una barriera tra le due, e Majo Rubi aveva appena rischiato di perdere il braccio. Anche il suo lungo kimono rosso non toccava la luce né lo facevano i suoi capelli neri, come fossero dotati di vita propria.
Fu il turno di Masaru di restare piacevolmente divertita.
"Non questa volta, strega," affermò beffarda la kunoichi, mantenendo i suoi occhi su quelli neri come pozzi dell'altra, che in quel momento aveva allungato innaturalmente il collo, avvicinando il viso a pochi centimetri da lei -appena prima di dov'era la luce- ed osservandola con sguardo minaccioso per incuterle timore, mostrando persino le fauci che meglio si addicevano a un rettile.
Neanche un istante dopo però, mentre la Jinton si riprendeva, abbassò lo sguardo per assicurarsi di essere totalmente esposta ai raggi e... la caviglia era rimasta dall'altra parte.
Anche Rubi l'aveva notato e con la mano artigliata si avventò su di essa per afferrarla, così da poter trascinare Takeda di nuovo a sé.
Un soffio ci mancò che potesse riuscire nell'impresa; la kunoichi era scattata con una capriola all'indietro ed aveva afferrato per tempo la sua viverna, riponendola nel fodero scarlatto. A seguito di ciò prese a correre verso l'uscita che ormai non era che a pochi passi quando...

"Dove pensi di andare?"


In un colpo dal muro di destra uscì una parete secondaria dinnanzi la ninja, lontano rispetto a dove si trovava lei, ma Masaru non si lasciò prendere dal panico e con una jutsu scattò in avanti con maggiore velocità. Impugnò due lame da lancio, si girò continuando a sfrecciare nella stessa direzione, mantenendosi sulla sinistra, e fulminea scagliò le medesime lame contro la strega di modo da distrarla.
La strategia funzionò e il muro parve fermarsi, mancavano pochi centimetri prima che questo potesse congiungersi con la parete di sinistra, era praticamente lì, raggiunse quel maledetto spiraglio e un boato riecheggiò nella galleria, segnalando la totale chiusura del muro, che ebbe privato così di quella scappatoia la donna, la quale non era riuscita a superarlo. Majo Rubi aveva congiunto le mani, facendo saltar fuori anche l'altra parte del muro per chiuderlo prima.
Cosicche la kunoichi rimase al buio... rinchiusa là sotto... non più ai livelli di combattimento che aveva un tempo... con una delle peggiori compagnie che le potesse mai capitare sulla faccia della terra.

La kunoichi della polvere si irrigidì e indietreggiò, girandosi poi indietro a cercare la sua avversaria in quel buio. La torcia era ormai spenta e distante da dove si trovava lei.

"Credevi davvero di potermi lasciare così? Senza salutarmi?"


La giovane donna si girò più e più volte, muovendosi, poiché percepiva la presenza dell'altra pericolosamente vicina e ogni volta in una direzione diversa, al punto che sentiva il profumo ipnotico che l'altra emanava per attirare le sue prede -seppure funzionava solo con l'altro sesso.

"Ho anche sigillato l'altro ingresso, così siamo certe che non verrà nessuno a disturbarci."


Cercò di colpirla lanciandole contro punte affilate create con la polvere stessa che stava al suolo, puntando sempre alla fronte o al cuore. La precisione era millimetrica grazie anche alla percezione che aveva del chakra, tuttavia Majo Rubi era troppo veloce e mai una volta riuscì a sfiorarla.

"È stato divertente avere quella Atsue con me,"


Masaru attaccò nuovamente nella direzione della voce, lasciandosi scivolare addosso i suoi tentativi di provocarla.

"Peccato che l'hai uccisa, l'avevo tenuta in vita per dopo."


La ninja occhialuta ne ebbe abbastanza di quel buio, era da idioti pensare che accendendo una palla di fuoco nel palmo rischiava di farsi beccare. L'unica a trarne svantaggio era proprio la sua nemica!
Senza pensarci due volte la kunoichi della polvere formò veloce i dovuti sigilli e creò nella mano una palla di fuoco, che le mostrò finalmente il volto dell'artefice dei suoi guai, la quale in quel momento aveva ripreso fattezze più umane rispetto a prima.
Le sorrideva quella donna dai lunghi capelli neri mentre la fissava, un sorriso che poco aveva di gentile. Il contrasto con la pelle diafana era innaturalmente netto ma la bellezza delle sue forme e del suo profilo rasentava la perfezione assoluta. Uno specchietto per le allodole.
Takeda si trattenne dall'indietreggiare stavolta e mantenne il suo sguardo fisso su di lei, non volendo mostrare il timore che quella creatura riusciva a incuterle.

"Quel ragazzino volevo lasciarlo,"
continuò l'altra; i drappi della sua lunga veste ondeggiavano mentre ella lentamente avanzava verso Masaru, "sai, per quando ci saremmo incontrate, però l'hai fatto fuggire. Ma sono certa che ne troveremo altri-" si mangiò le parole non appena si fermò di fronte alla donna e le nere iridi scesero verso la lama della kunoichi, che attualmente si trovava conficcata nel suo cuore.
"Temo di dover rifiutare l'invito, altri impegni urgono la mia presenza," le rispose con scherno la Jinton. Un altro istante passò, durante il quale la suddetta attese di vedere Majo Rubi crollare senza vita a terra... peccato che non fu così.

La strega afferrò saldamente la mano che teneva l'impugnatura e conficcò ancor più la lama, coprendo anche quella pochissima distanza che era rimasta tra loro due nel contempo. Voleva farla sentire piccola come una formica sotto il peso della sua presenza, accentuato dai suoi due metri di altezza.
Ma no, testarda per com'era Masaru non si mosse, ricacciò indietro con grande sforzo la paura che in quel momento era viva in lei e spavalda mantenne lo sguardo gelido fisso su quello dell'altra. Non diede a vedere neppure di esser rimasta sorpresa. Non le avrebbe dato alcuna soddisfazione, neanche dopo aver compreso che la sua idea di colpire al cuore, rispetto alla prima volta in cui la sconfisse, aveva fatto cilecca.

"Sei insistente,"
affermò in un risolino divertito mentre con il dorso della mano le sfiorava il viso e i capelli in delle carezze, "ma vedi, adesso è inutile. Così come è inutile che mascheri la tua paura, perché io la posso sentire ed è tale che potrei sentirla persino a chilometri di distanza da te."

La mortale tuttavia continuò a protrarre il suo silenzio, non tanto per evitare di farla incazzare ulteriormente visto chi aveva il coltello dalla parte del manico né per trovare il momento giusto, ma piuttosto perché la stava studiando in cerca di un secondo punto debole.

"E sai,"
cominciò in seguito Rubi, facendo scendere lentamente la mano fino al petto di Masaru, "devo confidarti che sei stata fortunata," -come prego?- "se io fossi morta, saresti morta anche tu."
Quell'ultima frase lasciò perplessa la donna occhialuta, che assottigliò lo sguardo, credendo si trattasse di una minaccia. Ma quando la vide sorridere in modo inquietante -e quando non lo era?- e con compiacenza; quando sentì la sua mano stringerle il petto proprio laddove si trovava il sigillo; quando successivamente riconobbe quel dolore, quella sensazione orribile e fin troppo familiare ormai per non sapere di che si trattava, solo allora comprese.

"C-come... ?"
biascicò Masaru con un filo di voce. La mano che stringeva la viverna si strinse ancor più ad'essa fino a che le nocche sbiancarono mentre l'altra afferrava il polso della donna, cercando futilmente di staccarsi quella di lei da dosso. La palla di fuoco che aveva creato nella mano si spense miseramente, tuttavia Majo Rubi afferro' la torcia senza muoversi da dove si trovava e la accese, conficcandola nella parete, poiche voleva che la osservasse.
Il dolore si faceva via via più intenso e la kunoichi della polvere boccheggiò tra gli spasmi. Rubi l'afferrò in un abbraccio prima che ella potesse crollare a terra e la forzò a stare in piedi mantenendo la mano laddove si trovava il sigillo.

"Come ho fatto a prendere il controllo del tuo sigillo? Ma è molto semplice,"
affermò divertita quella arpia, "diciamo che mi sono intrattenuta con il caro Takashi quando è venuto a trovarmi e mi ha lasciato un bel regalo. Peccato che lui sia durato poco, breve ma intenso."

Nel comprendere quanto accaduto, la postura della Jinton si fece visibilmente rigida e stavolta le fu difficile celare la sorpresa nel suo sguardo.
Ciò spiegava il perché le azioni che quel vecchio scellerato voleva farle fare non sortivano più alcun effetto nel regredire il suo sigillo, o il perché stranamente le scritte su di esso impresse sembravano esser mutate. Ma in particolare rendeva chiaro il perché Masaru avesse iniziato da un po' di tempo ad accusare fitte lancinanti e imprevedibili al petto.

"Cosa vuoi da me... ?"
si sforzò di chiederle Takeda tra i denti digrignati, continuando a fissarla con occhi di ghiaccio sotto una smorfia di dolore, misto a rabbia e disprezzo. Se aveva preso il controllo del sigillo piuttosto che limitarsi ad ucciderla, era ovvio che aveva in mente qualcosa.
Rubi continuò a tenere la mano sul suo petto e si inclinò ancor più verso di lei, che allontanò il suo viso nel tentativo di ritrarsi da quella presenza.

"Cosa voglio?"
ripeté divertita, "all'inizio desideravo intensamente strapparti quella insignificante vita che ti tiene ancorata in questo mondo. Dopotutto, mi hai quasi uccisa," per accentuare le sue parole Rubi affondò gli artigli nella carne, aumentando con quel gesto l'effetto del sigillo. E con esso aumentò il dolore dell'altra donna, che buttò polvere dalle labbra, si contorse ed estrasse a forza la katana ancora conficcata nel cuore della strega, "e non hai idea dei metodi più fantasiosi che sono riuscita a concepire. Ma non l'ho fatto, ho perso così tanto tempo a cercare il modo più consono per punirti, che alla fine sono arrivata alla conclusione che mi piace la tua persona," a un certo punto la lasciò andare e le diede le spalle, facendo qualche passo avanti, "d'ora in avanti ti verrò a cercare ogni volta che avrò bisogno dei tuoi servigi e sono certa che farai tutto quello che ti dico. Ho ragione, Masaru?" le chiese con un tono falsamente addolcito.

A quella rivelazione Takeda non riuscì a nascondere di essere davvero preoccupata. Sarebbe stato meglio se quella strega non arrivasse ad esser attratta da lei e si limitasse ad ucciderla.

"Mi lusinghi,"
continuò a farsi beffe di lei con la sua spavalderia nonostante tutto, come la prima volta che la incontrò, "ma è meglio se ti cerchi qualcun altro."

In quel momento si avvicinò in uno scatto a Rubi, che ancora le voltava le spalle, e formò un arco orizzontale nell'aria, all'altezza del collo, volendole tagliare la testa con la lama che aveva reso ardente nel tempo in cui discutevano. Era la sua ultima occasione.
Successe tutto così in fretta; l'inumana donna inclinò di poco la testa, guardando la sua preda con la coda dell'occhio; in meno di un istante si voltò verso di lei e con la mano afferrò direttamente la lama, bloccandola a pochi centimetri dal suo collo; un altro istante, rivoli di fumo risalirono dalla pelle bruciata ma la strega rimase imperturbabile e affatto infastidita, tenendo lo sguardo su quello inebetito di Masaru.

"Risposta sbagliata."


La kunoichi indietreggiò di un passo e le sue gambe scattarono di lato nello stesso momento in cui la mano di Majo Rubi si mosse fulminea verso di lei.
Un rantolo di dolore riecheggiò nel cunicolo e la giovane donna si ritrovò inchiodata al muro per il braccio. Con la sua stessa spada. Ancora rovente.
Ricapitolando, aveva la stessa spavalderia di quando l'aveva incontrata per la prima volta, ma c'era sempre quel problema di fondo, rappresentato dalle limitazioni che un tempo non aveva, altrimenti era certa l'avrebbe zittita o se non altro sarebbe riuscita a scappare.

"Vedi? È questo che mi piace di te,"
riprese a spiegarle Rubi, avvicinandosi a lei, divertita da quello sguardo sicuro di sé e freddo che l'altra continuava a mostrarle, una maschera che nonostante quanto era successo e la posizione in cui si trovava, portava con costanza. "La tua indomabilità. Il tuo non volerti piegare così facilmente. E sì, è vero, avrei potuto scegliere qualcun altro con cui divertirmi un po'. Ma con te sarà diverso, sarà qualcosa di totalmente nuovo," disse con folle eccitazione nello sguardo. "Adesso però non è più tempo di giocare, se non ti piegherai a me," mentre parlava la sua mano impugnò l'arma e spinse la tiepida lama ancor più a fondo, creando altre crepe nel muro, "dovrò forzarti io e non sarà piacevole."
La sinistra di Takeda scattò ad afferrare il braccio della donna, artigliandolo con il nekote nel futile tentativo di farle mollare la presa. La testa era abbassata, i denti serrati a bloccare i gemiti, il respiro erratico e i piedi spingevano nel terreno per non far restare appeso il corpo, dato che le aveva impalato il braccio in un punto scomodo.

La strega lasciò andare l'elsa e s'inclinò in avanti fino a che il suo viso non si trovò a un soffio da quello di lei, il quale in quel momento era rivolto in direzione del braccio impalato, insieme al resto del corpo, e il di lei sguardo non era visibile a causa delle ciocche che lo coprivano parzialmente.
"E adesso dimmi di nuovo. Farai tutto quello che ti dico, senza battere ciglio. Ho ragione, Masaru?"

Dopo aver fallito anche quell'ultimo tentativo era ormai chiaro alla kunoichi della polvere che non aveva scampo contro di lei. La strega si era impuntata con la giovane, l'aveva messa alle strette e aveva vinto quella battaglia su ogni fronte, perché qualsiasi cosa avrebbe fatto o detto in quel momento, lei l'avrebbe annientata.

Lentamente annuì.
"Hai vinto," rispose con rassegnazione, "farò ciò che desideri." Lo disse, ma non lo pensava, perché quello che aveva intenzione di fare era guadagnare tempo, il tempo necessario a trovare una scappatoia da quella situazione.

"Visto? Non era così difficile,"
la sua voce era un sussurro gentile e il suo sguardo palesava una macabra soddisfazione. Con un dito artigliato toccò la sua preda sotto il mento e la costrinse a guardarla nelle iridi, tanto nere che neppure la tremula luce della torcia riusciva a illuminarle. E nel fissarla la donna si convinse ancor più che doveva trovare una soluzione al più presto, ma soprattutto...

"E ti avverto, se mi accorgo che stai mentendo,"
in quel momento l'artiglio che ancora le teneva la testa ferma venne affondanto quel tanto che bastava a far scendere un rivolo di sangue, "non riuscirai a formulare abbastanza suppliche da convincermi a terminare la tua agonia."

...stavolta non poteva permettersi il minimo margine di errore.

"Oh,"
disse d'improvviso Majo Rubi, osservando l'artiglio sporco di sangue mentre si rialzava, "il tuo sangue ha una sfumatura così delicata, esattamente ciò che cercavo."

Masaru impallidì visibilmente, in quel momento il suo sguardo era un misto di rabbia e preoccupazione.
"Come diamine dovrei fare a eseguire i tuoi ordini se mi dissangui fino alla morte?" le chiese schiettamente in un tentativo di farla desistere da qualsiasi cosa avesse intenzione di farle in quel preciso istante.
Rubi lanciò un'occhiata alla viverna. Un altro gemito di dolore da parte della mortale riecheggiò nel sotterraneo, seguito dal clangore della katana che l'altra lasciò cadere senza alcun interesse.

"Tranquilla, non morirai se non lo vorrò io,"
le rispose la strega, forse una delle risposte meno consolatorie che la kunoichi potesse ricevere.

Takeda scivolò a terra mentre si teneva il braccio leso, osservando Majo Rubi con la coda dell'occhio. Ma nonostante vide muoversi la mano fredda di quella donna, che aveva allungato innaturalmente il braccio per afferrarla, ella non oppose più alcuna resistenza, sentendo la risata sommessa e compiaciuta della strega, lasciandosi trascinare inerme ovunque ella la stesse portando, con il cuore in gola al solo pensiero di cosa diamine la aspettasse da lì in poi.



// Well... dopo questo post mi sento in colpa nei confronti della mia cocca. Masaru, ma cherie, sappi che te vogghiu bene anche se a fatti non si nota.
Spero di non aver fatto casini che mi sono sfuggiti e che sarebbero comprensibili vista la lunghezza. A voi. :flower:

EDIT: aggiunti i codici. Aggiustato il possibile.

Fun facts: La lettera con cui inizia il post ha il colore del sangue di Masaru e il vezzo di Majo Rubi di tingersi i vestiti deriva dalla leggenda metropolitana giapponese di Manto. //

Edited by Eldastorel - 7/6/2017, 16:40
 
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view post Posted on 12/6/2017, 21:16     +1   -1
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Confermo, 46k senza paura. Non conoscevo il bg del tuo secondo PG ma con questa role (e qualche info di approfondimento ricevuta in off), mi ci hai fatto appassionare perchè al suo interno c'è tutto; il mistero, la passione, un po' di sano e macabro sadismo verso il proprio pg - che non ce lo facciamo mancare mai noi giocatori di ruolo xD - un figlio ritrovato e un nemico cazzuto.
Chapeau madame, seguirò il continuo in quest.

.. eora è proprio il caso di dire: diamo fuoco alle polveri :fire:
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