Quelle parole suonarono indegne persino a lui stesso. Eppure era così, Yu ignorava totalmente chi fosse davvero. Forse era quello che la gente intendeva quando lo definivano come l’acqua. Glielo avevano ben detto in passato, no? Era sgusciante, informe…difficile da definire. Ma non era anche quello il bello dell’acqua? Contrariamente al ghiaccio, resistente e duro, l’acqua era duttile. Si adattava ad ogni situazione: in un contenitore cubico, diventava cubica, in un contenitore cilindrico, diventava cilindrica. Ma, nonostante questo, non mutava mai la sua natura, era sempre acqua. Anche Gerami gli aveva detto delle cose riguardo le qualità del liquido, sul fatto che tornasse sempre trasparente anche dopo la tempesta, che fosse fonte della vita e che con la sua apparente tranquillità in realtà fosse in grado di far cadere i ponti. Tuttavia, anche sapendo questo, lo sguardo di disgusto che Fuyu gli rivolse bruciava, bruciava come fuoco sulla pelle e la cosa peggiore era che non riusciva a staccare gli occhi da quei pozzi di piombo!
Si sentì più piccolo di quanto non fosse. Improvvisamente, mentre il gelo continuava ad attanagliarlo nella sua morsa ferrea, gli sembrò di restringersi di fronte all’ANBU e a quella sua scrivania. Che cazzo voleva sentirsi dire da un Genin? Che sapeva perfettamente cosa doveva fare della sua vita? Che aveva già un piano preciso di cosa sarebbe diventato in futuro? Che conosceva sé stesso come le sue tasche? Sarebbero state tutte solo delle inutili e sporche bugie. Per lui era facile! Era un Jonin, un membro della squadra speciale, uno degli Shinobi più decorati del Villaggio, possedeva anche una di quelle dannate Kekkei Genkai.
E allora perché una parte di lui, piccola, in fondo alla sua mente continuava a sussurrargli “Patetico, Yu. Davvero, davvero patetico.”? La risposta giunse dallo stesso Fuyu.
Altre domande, domande giuste, domande che facevano male e che gelarono il Rosso sul posto. C’era del rimprovero in quelle parole, come se gli stesse dicendo che aveva dimenticato…come se gli stesse dicendo che, strada facendo, aveva perso qualcosa. Qualcosa di importante. Sentirselo dire da qualcuno come quell’ANBU, qualcuno che lo conosceva solo per lavoro, aveva un che di ridicolo. Ma forse erano quelle le cose che gli amici non riuscivano mai a dirti, quelle che nemmeno da sé si riusciva mai a dire a sé stessi. Un quasi estraneo, invece, ne aveva tutta la possibilità. E la cosa più curiosa era che faceva male ugualmente.
Faceva male anche se a dirlo era Fuyu. Perché? Perché gli sembrava di essere lacerato dalle parole di quel damerino? Perché avevano così tanta presa?!
Perché lui sembra conoscermi meglio di me stesso?
Come cazzo ci riesce?
Riuscì infine ad abbassare la testa, staccando i propri occhi da quelli del più grande. Le braccia tornate distese lungo i fianchi, i pugni stretti e la mascella serrata. Si vergognava un sacco, ma al contempo provava molta rabbia. Era diretta soprattutto verso sé stesso.
Kai glielo aveva detto che chi non aveva rispetto per la propria vita, non poteva proteggere quella degli altri. Ma forse lui aveva sempre preso troppo alla leggera quelle parole o le aveva mal interpretate. Buttarsi a capofitto tra le braccia della morte senza un’obiettivo…quella sarebbe stata una morte stupida. Ma morire perseguendo qualcosa, avendo ben chiaro per cosa si stava combattendo, allora in quel caso anche la morte avrebbe avuto un senso.
Lui per cosa stava rischiando la vita? Per riavere la sua famiglia? Per ripagare il debito che aveva con loro? Era davvero solo quello che voleva? Era davvero necessario ripagare un debito a persone che probabilmente non si sentivano per nulla in credito?
Aveva un casino assurdo in testa. Quel maledetto era riuscito a destabilizzarlo in un attimo! Il tempo utile per mettere in atto la sua prossima mossa. Lo sbattere della tazza sulla scrivania, attirò l’attenzione di Yu, ma la possibilità di reagire a quanto seguì gli fu negata. Troppo veloce, troppo inaspettato. Fuyu compose qualche rapido sigillo e dalla lastra di ghiaccio che ricopriva il tetto, uscirono come funghi cinque specchi di dimensioni identiche tra loro.
Il Rosso si trovò circondato da quelle creazioni ancora prima di capire che cosa diavolo stesse succedendo: quattro specchi si posizionarono attorno a lui, vicini, abbastanza da non lasciare troppo spazio tra l’uno e l’altro, l’ultimo chiuse quella prigione a mo’ di tetto.
Mai vista una tecnica simile! In pochi istanti si era ritrovato rinchiuso in quella misteriosa composizione di specchi di ghiaccio, ma quale fosse lo scopo della cosa e quale uso potesse farne lo Yuki, proprio non riusciva a capirlo. Non aveva mai avuto a che fare direttamente con i jutsu di quel Clan, di loro sapeva solo che fossero in grado di controllare ghiaccio e gelo, ma nulla di più. E la cosa non gli piaceva affatto. Si sentiva in trappola come un topo e il freddo continuava ad aumentare, facendogli battere i denti. Ormai era diventato insopportabile, opprimente…respirare faceva male. L’aria gelata pungeva e lacerava il setto nasale ad ogni inspirazione, ma il peggio era il corpo. I muscoli sempre più infreddoliti e rigidi non gli avrebbero permesso dei movimenti rapidi se fosse accaduto qualcosa. Almeno aveva le bolle già pronte fuori…anche se dacchè ricordasse dagli insegnamenti in Accademia, il Suiton aveva ben poca speranza contro il ghiaccio.
Posso sperare solo nelle bolle esplosive. Ma saranno abbastanza contro di lui?
Inoltre consumano un sacco di chakra…
Pensieri ancora abbastanza lucidi da poter comprendere come la situazione fosse di merda. Ma sarebbe peggiorata di lì a poco. La voce di Fuyu si fece sentire di nuovo, al di là di quelle lastre di ghiaccio. Dura, gelida...non lasciava adito a mal interpretazioni: se Yu avesse fallito quel giorno, non avrebbe avuto nessun’altra possibilità. Sarebbe morto in quel modo indegno ed inutile, senza aver mai fatto davvero qualcosa di concreto, senza aver mantenuto le promesse fatte, senza aver sfamato le sue brame e i suoi desideri. L’ANBU non scherzava, non era una provocazione quella. Suonò fredda come una sentenza e il Rosso fu certo che se non si fosse dimostrato degno, se non si fosse sbarazzato dei propri dubbi, lo Yuki lo avrebbe ucciso.
Rendersene conto fu al tempo stesso piacevole e terribile. Piacevole, perché alla fine Fuyu sembrava intenzionato a dargli una possibilità, terribile perché beh…il Genin non aveva alcuna voglia di morire. Se fosse morto, non sarebbe cambiato nulla infondo, no? Ma se invece avesse superato quell’ostacolo, se fosse riuscito a venirne a capo, allora forse qualcosa sarebbe cambiato.
Cazzo, però. Aveva paura.
In teoria non avrebbe dovuto, no? Se avesse fatto tutto ciò che doveva fare, se fosse stato soddisfatto…non avrebbe dovuto. Invece era terrorizzato al punto da non capire più se i brividi che gli scuotevano il corpo fossero causati dal freddo o dal panico. Probabilmente da entrambi.
Seguì i movimenti di Fuyu attraverso le fessure tra uno specchio e l’altro. Lo vide alzarsi dal proprio scranno gelato, dirigendosi verso una di quelle lastre con lentezza calcolata, inesorabile, facendo pesare ogni secondo come fosse un macigno mentre piano piano la paura intaccava la capacità del Genin di restare pienamente presente a sé stesso e il gelo flagellava il suo corpo fradicio. Il suo istinto gridava di stare all’erta. Una sirena, un urlo, era talmente palese che avrebbe potuto anche restarsene zitto dove stava di solito e, invece, ci si metteva pure lui ad assillarlo come non fossero abbastanza i passi cadenzati dell’ANBU che si fermarono di fronte ad uno degli specchi…o meglio avrebbero dovuto. Ma non fu così. Con un ulteriore passo, di fronte allo sguardo attonito di uno Yu che iniziava veramente a non capirci più nulla, Fuyu entrò in una di quelle lastre riflettenti.
Dove diavolo è finito?! Gli occhi verdi del Rosso, saettarono da uno specchio all’altro, ma non incontrarono mai la figura dello Yuki, oh no…Ciò che gli apparve fu un’immagine molto più familiare. Occhi verdi, capelli fulvi: in tutti gli specchi c’era lui. Che cazzo..?
Espressioni diverse che trasmettevano sensazioni diverse. Gioia, rabbia, tristezza, tranquillità…tutte in continuo movimento. Mutavano ad ogni secondo, senza mai restare fisse: era sempre lui, ma in momenti differenti che mostravano lati differenti del suo carattere. Mutevole, come l’acqua, il suo viso riflesso cambiava emozione ad ogni scatto pur restando sempre lo stesso viso. Fu come avere una visione completa di cos’era, di com’era, di come brillasse quando sorrideva, di come inghiottisse tutto quando era triste, di come travolgesse tutto quando si arrabbiava. Era come se Fuyu gli stesse dicendo che quello era lui: sempre e comunque, in tutte le occasioni, in tutte le situazioni, in tutti i momenti che avevano causato quelle emozioni. Era sempre lui. Un figlio della Nebbia che aveva però deciso di non conformarsi alla massa di quelli che temevano d’essere giudicati. D’altronde aveva deciso di smettere di compiacere l’altrui desiderio, era sopravvissuto alla nebbia conquistandosi la possibilità di vivere come più pensava giusto ed era giunto a quella conclusione. Meglio essere sempre sé stessi, che seguire il modo d’essere altrui. Se uno si buttava dal ponte, perché mai avrebbe dovuto farlo anche lui? Se un coglione si metteva a spargere inutile sangue al Parco, perché mai avrebbe dovuto comportarsi allo stesso modo? Per far vedere d’essere uguale? Per far vedere d’essere lo stereotipo che il mondo aveva degli Shinobi di Kiri? Se un giorno avesse deciso di uccidere, l’avrebbe fatto con una ragione e non per semplice diletto.
Sì era così. Era così che avevo deciso di vivere.
Vivere a fondo tutto, nel bene e nel male, senza più subire la vita passivamente.
Le seguenti parole di Fuyu, risuonarono forti e autoritarie andando in parte a confermare il pensiero di Yu sul significato di quella specie di carrellata di immagini. Impossibile capire da dove provenisse la voce del Jonin. Sembrava arrivare da ovunque e da nessuna parte, ma il tempo che il Rosso si prese per tentare di capirlo, fu quanto servì all’ANBU per mettere in chiaro quanto veritiere fossero le sue precedenti minacce.
Accadde tutto in un attimo, come se in realtà quegli specchi non fossero altro che veli d’acqua, le superfici riflettenti scatenarono un inferno d’acciaio. Una miriade di spiedi, infidi, rapidissimi ed impossibili da schivare in quell’area ristretta, vennero lanciati contro Yu ad una velocità impressionante. Il tempo di vedere il luccichio del metallo in aria e già era in ginocchio, con spiedi conficcati ovunque, un dolore diffuso in tutto il corpo e il sangue che colava caldo e lento da ogni singola ferita. Occhi spalancati, pupilla dilatata e un lamento graffiato che il Rosso ebbe difficoltà a riconoscere come proprio.
In realtà ci mise proprio un po’ a rendersi conto d’essere diventato un puntaspilli. Tutto si era svolto ad una velocità allucinante! Gli spiedi erano arrivati da ogni direzione e a distanza ravvicinata. Anche se fosse riuscito a schivarne qualcuno, il movimento avrebbe sicuramente causato l'essere intercettato da qualche altra arma che arrivava da altrove. E adesso era lì, in ginocchio, fissandosi la mano destra, perforata da parte a parte. Il sangue colava lungo la superficie liscia dello spiedo, gocciolando a terra sul bianco candido del ghiaccio, ormai macchiato dal liquido scarlatto.
Faceva davvero male. Tutto quell’acciaio in corpo, faceva dannatamente male. Bruciava, bruciava, bruciava, abbastanza da attutire un po’ l’impatto col freddo, almeno in quei primi momenti. A botta calda si sa, non si sente molto…ma già pochi istanti dopo quell’attacco, quando la mente del Genin ricominciò a collegare, dalla gola del ragazzo scaturì un grido di dolore. Tremava, ogni fibra del suo corpo, tremava. Di freddo, di paura, di dolore. Ogni movimento era lacerante ora. Stilettate e fitte percorrevano il suo corpo già messo a dura prova dal gelo.
E’ chiaro che quegli specchi non siano semplicemente tali, a questo punto…Kuso! Sono in una fottuta trappola di merda.
Ma non era finita. Quando bene fu ridotto in ginocchio, infreddolito, dolorante, spaventato…in poche parole perso, la voce di Fuyu risuonò di nuovo con delle domande. Di quelle che richiedevano una risposta. Ma sta volta non aveva troppi dubbi, il Rosso.
Quando la voce dell’ANBU lo raggiunse, nella sua mente passarono le immagini di molte persone. Kai, Izumi, Tsuyu, Naoki, Kohaku, Shi, Urako, Nuru, Tako-san, Okami-san, Namine, Jiyuu, Hikari, Shiro, i Rospi e molti, molti altri. Lui voleva proteggerli. Voleva proteggere ciò che aveva tra le mani, voleva proteggere le persone a cui teneva. Era pensando questo che era diventato uno Shinobi. Voleva diventare forte per poter proteggere i suoi legami. E se per farlo avesse dovuto guardare la cosa da un punto di vista più ampio, beh lo avrebbe fatto! Se per proteggerli avesse dovuto, proteggere il Villaggio, gli sarebbe andato bene. Se per proteggerli avesse dovuto sporcarsi le mani, lo avrebbe fatto. Se per proteggerli avesse dovuto farsi spietato…lo avrebbe fatto. Diventare forte. Proteggerli. Per loro, ma anche per sé stesso, non si trattava di semplice altruismo il suo. Oh no. Era Egoismo. Non voleva più perdere ciò a cui teneva. Non voleva più sentirsi una merda, non voleva più sentire quella sensazione lacerante di quando si sta per agguantare qualcosa e questa sfugge dalle mani. Lui voleva diventare abbastanza forte per non essere più chi non voleva essere. Voleva dimostrare che anche una persona nata senza abilità innata, potesse diventare qualcuno. Voleva vivere compiacendo sé stesso e i propri desideri.
Perché io esisto. Ed esistere non è un peccato.
Desiderio e Brama. Alla fine questo era. Lui combatteva per proteggere i suoi compagni, la sua famiglia, ma combatteva anche e soprattutto per sé stesso. Alla fine era un egoista quando veniva definito un ragazzino con tendenze masochistiche all’autodistruzione ed era un egoista anche adesso. Ma un egoista diverso. Era un egoista con degli obiettivi. Ed era disposto a tutto per raggiungerli. Quante volte lo aveva detto? Lo aveva urlato in faccia a Shizuka, lo aveva detto a Shi in quel sushi bar, lo aveva detto parlando con Urako a casa propria…Sì. Il primo tra tutti restava comunque trovare Kai. Per lui aveva accettato d’essere un’esca, aveva sopportato settimane di attesa e assenza di informazioni, aveva accettato d’essere messo alla prova. E ora era in ginocchio? Lui? Quello che sbandierava ai quattro venti che avrebbe fatto qualsiasi cosa, quello che si era ripromesso di non arrendersi?!
Col cazzo.
Sfilò bruscamente via lo spiedo dalla mano. Bruciava, ma sorrise e ridacchiò mentre si rimetteva in piedi, la voce appena un po’ graffiata a causa dell’urlo di poco prima. Lasciò che il chakra scivolasse via dal suo corpo, andando a formare la traccia per una delle bolle che aveva lasciato di sotto. La intercettò sulla veranda, e la riempì d’un chakra denso ed instabile. Sarebbe stato coinvolto nella sua stessa tecnica, forse. In teoria le bolle non ledevano il proprio utilizzatore, ma in quel momento il suo controllo era lievemente alterato, avrebbe potuto anche farsi del male da solo...ma sapete cosa c’era? Non gli importava. Se non avesse fatto nulla sarebbe morto ugualmente, tanto meglio lasciarci le penne senza restare immobili a subire.
Sono un’egoista, Fuyu-san. Ghignò guardando uno degli specchi con le proprie immagini in continuo mutamento. Lo sono sempre stato. Ma ora sono un egoista con uno scopo. Non sono così nobile da dire di combattere unicamente per il bene del Villaggio, queste ipocrisie le lascio a quelli di Konoha. Non che fosse sbagliato farlo, ma…non era da lui e, in generale, non credeva all’assoluta abnegazione. Combatto per me stesso. Combatto per proteggere le persone a cui tengo. Combatto per dimostrare a quelli come te che anche uno Shinobi senza Kekkei Genkai può diventare qualcuno! Il ghigno passò, il volto del Genin prese un’espressione più seria prima di continuare. Se per fare questo dovrò iniziare a guardare la cosa in maniera più ampia, ben venga!
Non mi tirerò indietro. Di questo puoi stare certo.
Ah, eccolo lì. Fortezza e Superbia così finemente intrecciate, così strettamente legate da essere difficile distinguere dove finisse l’una ed iniziasse l’altra. Desiderio di proteggere le persone a lui care e Brama di dimostrare a Kiri e al mondo ninja stesso che anche quelli come lui valevano qualcosa. Una volta gli era stato chiesto se desiderasse il Potere. Che cosa fosse poi, questa cosa che tutti chiamavano Potere, solo loro lo sapevano…Dal canto suo poteva significare molte cose e non tutte erano riconducibili al conoscere tecniche dall’innata pericolosità. Anzi quella era solo un’infima parte. Ciò che lui voleva era avere la forza per perseguire i propri obiettivi. La volontà, la tenacia e la testardaggine di cadere a terra trenta volte, ma rialzarsi trentuno. Era chiaro, le ferite passate bruciavano, gli errori passati lo laceravano, ma senza di essi Kyōmei Yūzora non sarebbe stato Kyōmei Yūzora. E lui, non era tipo da lasciare che lo prendessero per un puntaspilli troppo a lungo.
Richiamò la bolla agganciata poco prima sulla veranda, e la fece risalire sul tetto lanciandola verso quegli specchi dall’esterno, caricata di energia esplosiva. Forse non sarebbe servito a nulla, ma meglio morire combattendo che subire restando passivi.