Infelice.
Dimentico della conversazione che stava intrattenendo, si voltò col suo mezzo sorriso verso le luci. Gli era parso di sentire qualcuno avvicinarsi, ma era tardi per vederla in viso: la figura premette contro le sue spalle - capelli morbidi e folti, un profumo di ragazza. Lo morse sul collo, per gioco, poi fece guizzare la lingua sul suo orecchio... E allora le domande furono tante che Kūya si accorse di star sognando; si svegliò. Decise di non aprire gli occhi immediatamente. Piuttosto, si crogiolò per qualche istante nel tentativo di ricostruire quel che era successo - invano, di capire chi gli ricordasse così tanto quella sanguisuga. Ci rinunciò. Si sedette sul bordo del letto, arrendendosi alla realtà di quell'ennesimo giorno dopo. Le lenzuola erano stropicciate e umide di sudore; un odore sgradevole era fermo nell'aria, nella penombra della stanza. Un fastidioso prurito. Fece per grattarsi dietro l'orecchio, ma smise tutto d'un tratto. Si chinò in avanti, per entrare nel timido fascio di luce che filtrava dalla finestra, e scrutò le proprie dita con fare contrariato. Era sporcizia quella sotto le unghie? No, erano - ... grumi di sangue. Merda.
Il rubinetto protestò con un sonoro stridio, come di ruggine, e l'acqua spense il suo flusso in un gocciolare sempre più lento. Kūya uscì bruscamente dalla doccia; afferrò un asciugamano e vi si avvolse. Strofinandosi i capelli, si mise di fronte allo specchio: passò la mano sulla sua superficie fredda, liberandone un tratto dalla condensa. Dall'altra parte lo attendeva un volto inespressivo, il suo, occhi puntati su di lui. Piegò la testa quanto bastava per mostrare i graffi che aveva sul collo. E poi tornò a guardarlo, e ancora... Dopo qualche momento, il ragazzo riprese ad asciugarsi; posò il telo, prese una boccetta di medicinali dall'armadietto e ingoiò un paio di pillole. Attraversò il bagno a grandi passi e andò a prendere dei vestiti dal guardaroba: una tuta scura, non troppo ampia, comoda e leggera. Scelse una maglia dal colletto alto, tirandolo su abbastanza per nascondere la ferita. Si guardò attorno. La sua sacca era abbandonata sul pavimento accanto al letto; la afferrò per la cinghia e si voltò per andarsene. Si fermò sulla soglia della cucina, un sospiro - che disastro... Tornato a casa quella sera, si ripromise, avrebbe lavato i piatti e fatto un po' d'ordine. E forse avrebbe potuto invitare qualcuno, prima o poi... Dopo due settimane che l'aveva affittato, l'appartamento non era ancora stato inaugurato come si doveva. E così i pensieri continuarono a scorrere nella sua testa, mentre beveva qualche sorso da una bottiglia di vetro. Una rapida occhiata alla finestra, alle strade che s'intrecciavano al di sotto - ai primi segni di attività nel quartiere. Da diversi giorni aveva preso l'abitudine di alzarsi presto, o almeno prima del solito; in un modo o nell'altro, non importava. Le chiavi di casa tintinnarono fra le sue dita, ma proprio in quel momento una busta sbucò dallo spiraglio della porta d'ingresso, scivolando ai suoi pedi. Carta bianca.
Espira. Inspira. Espira... In armonia con il suo fiato, Kūya sollevò il capo e si alzò, lentamente, liberandosi dalla sua posizione di riscaldamento. Si concesse un piccolo momento di contemplazione: una brezza insolita gli accarezzava la pelle, e aveva un sapore distante... - veniva forse dall'altopiano, da un paese straniero? Aveva soffiato sulle dune del deserto, per arrivare fino a lui; sul tetto del condominio, dove si ritirava ad ogni risveglio in preparazione alla sessione di allenamenti. Socchiuse gli occhi al bagliore del sole. Si assicurò di avere quelle sensazioni con sé, e con una piccola rincorsa scattò in avanti, gettandosi oltre l'edificio per atterrare su una terrazza sottostante. Girò sui sandali, balzò in aria e si aggrappò a un balcone poco lontano; e ancora, si lasciò cadere in una strettoia fra due palazzine, saltando da una parete all'altra fino a che non poté scendere a terra, nell'ombra di un vicoletto. Da lì continuò a correre, scegliendo il suo percorso in un intricato labirinto di cunicoli e muretti. Rallentò il passo una volta raggiunta la strada principale, e si inserì con disinvoltura nel flusso della folla che assaltava il mercato mattutino. Decise di rileggere la lettera, quasi volesse un accompagnamento per i suoi pensieri. La tirò fuori dalla tasca, un po' spiegazzata, e la aprì davanti a sé:
Kamimura Kūya, ti è stata assegnata una missione di grado D. [...] Il punto d'incontro è davanti alle porte del Villaggio, alle ore...
In fondo al testo, un timbro ne attestava la provenienza dagli uffici dell'ottavo Kazekage. Il ragazzo alzò lo sguardo, passandosi una mano sopra le labbra; il denaro gli sarebbe tornato utile di lì a poco, per pagare le spese dell'appartamento, e non poté che sorridere al suo desiderio di rendersi indipendente dal sostegno dei genitori, degli altri. Eppure le premesse della missione erano alquanto misteriose, per essere la sua prima... Ma presto un'ombra cadde sulla sua testa, interrompendo il corso dei pensieri; le case si ritirarono dietro di lui, si fece meno la folla. Davanti ai suoi occhi si stagliava, immenso e profondo, lo squarcio nella roccia che costituiva l'unico ingresso al Villaggio della Sabbia.