“Nell’immensità della tua luce, ti prego, guidami anche oggi. “
La stanza era avvolta nella penombra, una delle poche in effetti all’interno di quell’edificio che sembrava risplendere per sua stessa natura tanta era la luce che lo colpiva fin dalle prime ore del giorno; ma la sala in cui si trovava Masako al momento era nella parte privata del tempio, quella più interna e quindi sprovvista di finestre dal quale potesse entrare luce: inoltre alla porta erano state messe delle tende di seta bianca e oro, che seppur chiare riuscivano a bloccare buona parte della luce proveniente dal corridoio.
Quell’ambiente stonava col resto del tempio non solo per la poca luce, ma anche per la quasi totale assenza di arredamento: solo un piccolo altare decorato da collane e nastri dorati troneggiava sul pavimento spoglio, e Masako se ne stava inginocchiata al suo cospetto, in solenne e rigoroso silenzio, con la fronte poggiata sulle mani unite davanti al volto.
Rimase immobile in quella posizione per qualche minuto ancora, prima di aprire gli occhi e contemplare l’altare, con ancora le mani giunte ed un’espressione calma e serena. Era strano come una “damigella del sole”, una sacerdotessa che aveva consacrato (o come meglio dire, avrebbe dovuto consacrare) la propria vita unicamente al sole ed alla sua luce, riuscisse a trovare la vera pace necessaria alle sue preghiere quasi esclusivamente nella semi-oscurità… si era soffermata più volte a pensare a questo fatto, più ironico che preoccupante, ma quello non sarebbe dovuto essere uno di quei momenti: doveva concludere le preparazioni mattutine, che quel giorno erano più importanti del solito.
Alzandosi, raccolse il tessuto su cui si era inginocchiata durante la preghiera, srotolandolo e legandoselo attorno alla vita in modo sapiente, avvolgendolo a coprire la chiusura del corto kimono di seta con la sua cintura, come si potrebbe fare con un obi tradizionale; come aveva fatto durante tutto il suo percorso accademico, anche quella mattina indossava la sua veste cerimoniale, o almeno una versione personalizzata di essa: era più corto, per poter accedere rapidamente alla borsina che teneva legata a metà coscia, aveva meno “strati “ di tessuto per non risultare troppo pesante e rallentarla, ed anche le maniche erano decisamente meno ingombranti (seppur comunque mantenessero una certa lunghezza), per evitare intralci durante le esercitazioni di vario tipo.
Sua madre aveva ovviamente visto queste modifiche quasi come un’eresia, un insulto alla sacra veste della loro tradizione, ma Masako non aveva dato troppo peso alle sue proteste. Certo era comprensibile che continuasse, anche dopo tre anni di accademia, a vedere la sua decisione di approcciarsi al mondo degli shinobi abbandonando la vita sacerdotale come un comportamento inconcepibile per una Discendente del Deserto, e seppur ferma nella sua decisione l’aveva più volte rassicurata sul suo desiderio di seguire la strada degli Spiriti anche nella sua nuova vita fuori dal tempio. Ma in un remoto angolo sella sua mente sapeva che in parte il motivo per il quale stesse dando così poca attenzione alla disapprovazione della madre era che si era rassegnata al fatto che lei non avrebbe mai potuto capire. Non il vestito, non le nuove abitudini, neanche le nuove prospettive per il futuro, non più strettamente ancorato ad una sottomissione fisica e mentale nei confronti della comunità e della famiglia. Era proprio la mentalità diversa che la ragazza sentiva di avere rispetto a quella degli altri membri della famiglia.
Loro non avevano quell’energia dentro, non sentivano quel potere ribollire e pulsare.
Neanche lei ancora sapeva come potersene servire, non aveva modo di accedere a quel calore a piacimento, ma sapeva che c’era. E voleva imparare ad usarlo.
Finì di raccogliere le sue cose, e raggiunse la sala di preghiera comune dove i genitori e i sacerdoti più importanti completavano i riti preparatori mattutini, per poter dare il cambio ai guardiani notturni ed essere pronti ad accogliere i fedeli.
Sua madre Makoto, che aveva continuato a lanciare occhiate furtive all’entrata per tutto il tempo, si alzò subito appena la vide entrare e le si fece incontro, cercando di rimanere serena e distaccata ma tradendo una certa preoccupazione.
-Piccola mia, mi raccomando fai attenzione, e se la situazione si fa pericolosa non ti trattenere dall’invocare l’aiuto dei grandi Spiriti- mentre parlava le sistemava il colletto del kimono, continuando a lanciare occhiate di disapprovazione alla porzione di pelle che rimaneva scoperta tra la fine della veste ed il bordo delle calze. Sapeva che indossava dei pantaloncini sotto, anche se erano nascosti dalla stoffa del kimono, ma lo trovava comunque inappropriato per una ragazza di culto.
Per quanto fosse stata contraria all’inizio e per tutti gli anni di studio di Masako, la sacerdotessa non poteva fare a meno di preoccuparsi per lei. Non era mai stata una donna particolarmente forte di carattere, e aveva dovuto accettare la scelta della figlia anche se a malincuore, ma adesso che la sua piccola stilla di sole stava per compiere questo passo importante sentiva di doverla supportare, anche solo facendole sentire la sua premura di madre.
- Mamma, non credo ci sarà bisogno di scomodare gli Spiriti durante l’esame genin. Ho studiato e lavorato molto per essere pronta quest’oggi. - rispose la ragazza con un sorriso paziente, accogliendo le mani agitate della madre tra le sue, cercando di rassicurarla, prima di aggiungere, notando un certo disappunto a quelle parole
-… e ad ogni modo ho già richiesto i loro favori questa mattina nelle mie preghiere, saprò cavarmela. -Si scostò da lei, lasciandole le mani e raggiungendo il padre per salutarlo, prima di avviarsi verso i corridoi che portavano all’entrata dell’edificio. La donna la seguì fino alla soglia del tempio, sospirando ed osservandola allontanarsi serena e composta come al suo solito giù per la via principale che portava alla città.
Masako camminava beandosi del sole ancora giovane che l’abbracciava, anche se quella mattina al posto della solita calma di quella zona della città, si era dovuta scontrare con un vento sempre più inclemente tanto più che saliva di quota, mentre si avviava per la ripida ascesa all’accademia. Non che la cosa la disturbasse, la sabbia che le entrava nelle vesti era un elemento con cui aveva imparato a convivere dalla nascita, avendo il tempio posizionato sul limitare del deserto rispetto al centro città.
Aveva quasi raggiunto il culmine della scalinata scavata nella roccia, stava riscorrendo mentalmente tutto ciò che aveva studiato e ripassato nelle ultime settimane: ogni gradino era una nozione in più spuntata dalla lista mentale che si era fatta, la conoscenza delle armi di base, il giusto posizionamento delle mani nelle varie tecniche, opzioni tattiche e possibili controffensive.
Probabilmente fu proprio perché in quel momento la sua testa era ben impegnata a ragionare e ripassare che il colpo di scena riuscì così bene.
Appena Masako alzò lo sguardo sullo spiazzo adesso drammaticamente vuoto, la sua solita calma ebbe un attimo di cedimento: fece qualche cauto passo (senza avvicinarsi troppo) verso la zona di quello che, ne era sicura, fino a non molti giorni prima era il perimetro dell’edificio, perimetro adesso delimitato da una superficie sabbiosa, stranamente concentrata in quell’area precisa per essere il solo risultato dell’accumulo di sedimenti trasportati dalle sferzate di vento provenienti dal deserto.
Solo in quel momento si accorse della presenza degli altri due ragazzi.
Riconobbe subito la giovane appartenente alla famiglia Senshokushin, lei e Hadaka avevano trascorso gli ultimi tre anni di accademia assieme e fu sollevata di vederla quella mattina, nonostante tra di loro non ci fosse quasi alcun tipo di legame. Non aveva legato con nessuno in effetti, ma aveva sempre avuto una simpatia particolare per quella ragazzina, soprattutto per via del suo atteggiamento così cordiale, era come la sorellina allegra e spensierata che non aveva mai avuto, ma che aveva sempre desiderato. E poi le faceva sempre un sacco di complimenti, spesso anche molto lusinghieri, doveva essere stata educata bene dalla sua famiglia.
Il ragazzo invece non lo conosceva, non lo aveva mai visto, non che ricordasse almeno.
- Hadaka-chan, non sapevo che fosse oggi il tuo giorno d’esame, è un piacere vederti. -Masako tentò ti ricomporre la sua usuale cordialità e compostezza, anche se non poteva non tenersi in allerta visto lo stato di quel posto. Ma c’era poco da fare, per quanto un edificio completamente scomparso non poteva di certo essere ignorato, l’educazione veniva prima.
- Credo invece che noi due non ci conosciamo, sei anche tu un esaminando? - La ragazza lo scrutò con indiscrezione, ma facendo un rapido controllo da testa a piedi: anche se la differenza d’età con Hadaka era decisamente più evidente, notò comunque che anche il ragazzo era più giovane di lei. Ma d’altronde era normale, anzi, lei era l’unica “fuori posto” del caso, avendo già sedici anni.
- Mi presento, - aggiunse inchinandosi in modo educato
- il mio nome è Masako Tokugawa, molto lieta. -Si rivolse poi ad entrambi, con aria interrogativa:
- Immagino di stare per porre una domanda banale, e temo di saperne già la risposta, ma sapete niente di.. - mosse una mano nel vuoto davanti a sé, con l’ampia manica della veste che svolazzava alle forti folate di vento che passavano
-.. questo?- //OT- Chiedo scusa a tutti per il ritardo, ma (ovviamente proprio ora, tempismo grazie mille) questo weekend mi sono ritrovata impegnata fuori casa, e non ho potuto postare. Ma da adesso sono disponibile sempre, e sarò rapida a rispondere! OT//