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| La vita a Konoha scorreva piacevolmente giorno dopo giorno, immersa nella tipica tranquillità che contraddistingueva la quotidianità della gente del villaggio. Dopo la grande battaglia di Kumo e la vittoria contro l'armata di Watashi, il popolo della Foglia aveva finalmente cominciato a ricostruire dalle macerie la propria casa, ponendo le basi per un futuro fatto di speranze, dove la prossima generazione avrebbe potuto godersi quella pace che da diversi mesi sembrava aver preso il posto del terrore e delle perdite subite durante il grande conflitto. C'era speranza, c'era ottimismo e soprattutto c'era l'impellente desiderio di rialzarsi, di cancellare gli orrori visti e vissuti in quei tre anni da incubo con una nuova era estranea ai concetti di odio e guerra. In molti credevano all'idea di un paese finalmente libero dal sangue: l'intero genere umano aveva dato prova della sua voglia di vivere e di combattere per la più sacra delle libertà; ovvero, quella di poter decidere autonomamente il proprio futuro, respingendo l'attacco di una divinità intenzionata a ridurla schiava della sua volontà, che tutto simboleggiava tranne l'indipendenza delle scelte dell'individuo. Pochi erano al corrente dei pericoli che ancora minacciavano l'apparente stabilità raggiunta dopo la guerra, ancora meno erano quelli che avrebbero mai potuto immaginare ciò che accadde quel giorno nel villaggio della Foglia e le prove che i suoi abitanti avrebbero dovuto affrontare da lì in poi.
Hikari: "Quando hai smesso di farti i tuoi soliti viaggi, io sono qui che aspetto..."
Arashi: "Scusa."
Fuoco contro fuoco e, ancora una volta, una delle tante innocenti piantine nel cortile finì carbonizzata in seguito alla timida esplosione che seguì l'esecuzione delle due tecniche.
Arashi: "Maledizione, Hikari! Spegnila, o mamma ci uccide!"
Hikari: "Guarda che è chiaramente colpa tua! E poi come dovrei spegnerla? Cosa sono, un idrante? Non so mica far piovere a comando, ma anche se sapessi farlo...Guarda che sole che c'è oggi!"
Fratello e sorella continuarono nel loro battibecco ancora per qualche secondo, prima di azzittirsi entrambi allo stesso istante.
Arashi: "Ma cosa cazz..."
Effettivamente il sole quel giorno picchiava come non mai, battendo sulle loro teste in maniera così forte che erano stati costretti a bagnarsi i capelli a più riprese durante il loro breve ma intenso duello. Ma allora, perché quell'ombra? Una folata di vento mosse la sua sciarpa e gli fece strizzare gli occhi, come se all'improvviso qualcosa avesse spostato una tale massa d'aria da poterci riempire la stiva di una nave, mentre tutto a un tratto i raggi solari venivano oscurati, dandogli l'impressione che una gigantesca nuvola si fosse frapposta tra i due ragazzi e la stella che luminosa brillava sopra Konoha. Fu questione di mezzo secondo, ma quando i due alzarono gli occhi al cielo, dovettero credere di essere entrambi vittima di una qualche sorta di illusione, perché increduli videro un gigantesco rospo che sostava a mezz'aria proprio sopra la loro abitazione. Un attimo, e l'animale sparì dal loro campo visivo.
Hikari: "Ti ho detto che non devi usarle le genjutsu contro di me, bastardo! Sono solo una genin, abbi un minimo di comprensione..."
Arashi: "Sta zitta e va a chiamare mamma. Sbrigati!"
Hikari: "Ma la pianta..."
Arashi: "Hikari, vai. ORA!"
Qualcosa nel suo tono dovette convincere la ragazza che avrebbe fatto meglio a seguire le sue direttive, perché si affrettò ad entrare in casa con gli occhi sbarrati chiamando la donna più volte. Dal canto suo, Arashi si precipitò fuori dal loro vasto cortile, gli occhi rossi che saettavano da una parte all'altra in cerca di risposte. Quando aprì il cancello di casa, uno spettacolo che mai aveva visto prima d'ora gli si presentò davanti: sembrava che ogni singolo abitante di Konoha si fosse riversato per strada. C'era chi indicava un punto in lontananza e poi si portava le mani tra i capelli, chi urlava, chi prendeva per mano i propri figli e correva verso il centro del villaggio, chi semplicemente rimaneva a bocca aperta a fissare il cielo e, addirittura, chi si gettava in ginocchio con le mani congiunte e pregava chissà quale divinità. Solo una cosa li accomunava tutti quanti: la paura che si leggeva nei loro sguardi. Provò a seguirli, cercando di realizzare cosa diavolo stesse succedendo, ma tutto ciò che riuscì a scorgere all'orizzonte fu una spessa colonna di fumo che si ergeva in lontananza, decisamente fuori dalle porte di Konoha.
"Cos'è successo? Un incendio...?"
Uno shinobi sulla cinquantina sbucò all'improvviso in fondo alla strada, percorrendola con andatura caracollante ma decisa: aveva un vistoso taglio sulla fronte e diverse ustioni alle gambe, ma procedeva spedito. Sembrava che stesse urlando qualcosa, ma il ragazzo dalla capigliatura vermiglia dovette avvicinarglisi per poter udire il suo avvertimento.
???: "Le salamandre! Le salamandre ci attaccano!"
Il fastidioso odore dello zolfo tornò a fargli visita nei suoi pensieri, insieme al ricordo dell'insopportabile calore e dell'impressione di grandezza e maestosità che aveva avuto a seguito di quel bizzarro incontro con il Re delle salamandre; per qualche secondo il battito del suo cuore sembrò quasi venir meno e chiunque lo avesse visto in quel momento, avrebbe potuto giurare di aver osservato il suo volto sbiancare all'improvviso. Fino a qualche giorno fa la potenza di quelle creature lo aveva spinto a chiedere informazioni all'Hokage in persona, perché la curiosità che avevano risvegliato in lui l'uomo mascherato che le cavalcava e l'indicibile potere che gli avevano trasmesso, lo aveva coinvolto a tal punto da desiderare ardentemente di partire alla loro ricerca, sperando di trovare in loro quella convinzione e quelle risposte che a lui tanto mancavano. Ironia della sorte, proprio quando si era messo l'anima in pace e aveva compreso quanto fosse pericoloso anche solo avvicinarsi ad esse, le salamandre si presentavano alle porte del suo villaggio e, a quanto pareva, con intenzioni tutt'altro che buone. Non poteva crederci: questo era l'ennesimo scherzo che il destino gli giocava e cominciava ad averne abbastanza. Provò ad avvicinarsi ulteriormente all'uomo per fermarlo e chiedergli informazioni, ma la folla cominciò presto ad intuire quanto stava accadendo e tutti, uomini donne e bambini, cominciarono a correre girando in tondo come formiche impazzite, urlando e sbraitando e spintonandosi l'un l'altro.
Arashi: "No...Fermi, non..."
Provò timidamente ad alzare la voce per riportare tutti all'ordine, ma non vi riuscì: i fantasmi di Watashi tormentavano ancora anche lui e sentiva che presto il terrore avrebbe potuto afferrare anche il suo cuore. Cosa significava tutto ciò? L'intento delle salamandre era forse quello di radere al suolo l'intero villaggio? Probabile, vista la connessione che lui stesso aveva scoperto con uno dei criminali più pericolosi di tutto il mondo, Hyou di Akatsuki. Avrebbero dunque vissuto una seconda Kumo? Avrebbero visto i loro fratelli, le loro sorelle, i loro amici e le loro amanti morire come era accaduto durante la guerra? Deglutì con fatica, cercando di reprimere gli orripilanti eventi che aveva vissuto sul campo di battaglia, ma non vi riuscì del tutto: l'immagine del fiumiciattolo presso il quale aveva combattuto era ancora vivida nella sua testa, così come il rosso di cui esso si era colorato a causa del sangue versato dai suoi stessi compagni.
???: "SILEEEEEENZIO!"
Una sola voce, autoritaria, sovrastò tutte le altre e come d'incanto la folla smise di agitarsi. Occhi bianchi la scrutavano con fermezza e con un pizzico di biasimo, quasi non approvassero il comportamento poco dignitoso che gli abitanti stavano tenendo di fronte alla notizia di un possibile attacco: uno Hyuga sui quaranta cominciò a farsi largo tra di loro, il coprifronte ben visibile sulla spalla e una lunga cicatrice che partiva dalla tempia sinistra e ne attraversava tutto il volto fino all'angolo destro del mento, che già da sola bastava a testimoniarne il valore dimostrato in battaglia.
Fujio: "Fujio Hyuga, jonin. Il villaggio è sotto attacco, ma l'Hokage in persona e i nostri uomini se ne stanno occupando. Stiamo affrontando una crisi, c'è bisogno di collaborazione e c'è bisogno di gente che sappia fare il suo dovere."
Nel giro di un minuto, quell'uomo sbucato praticamente dal nulla era riuscito non solo a calmare la folla, ma persino a catturare la sua attenzione e in qualche modo a infondere in tutti loro un minimo di coraggio.
Fujio: "I civili seguano le direttive date dagli shinobi. I genin si tengano pronti a scortare gli abitanti ai rifugi che gli sono stati assegnati. I chunin qui da me, a rapporto."
Senza pensarci due volte, Arashi strinse i pugni e si precipitò ad eseguire l'ordine. Assieme a lui, si avvicinarono allo Hyuga altri due ragazzi della sua età dalle folte chiome nere, entrambi parte del clan Uchiha, e un uomo che non conosceva dai lunghi capelli corvini. Il jonin li squadrò uno ad uno, lo sguardo severo e penetrante piantato su di loro, osservandoli e annuendo impercettibilmente, come se stesse valutando le qualità di un mucchio di pezzi di carne e fosse intento a sceglierne il più tenero.
Fujio: "Tu, ascoltami bene."
Allungò una mano sulla spalla dell'Uchiha più alto e magro, che reagì trasalendo e lanciando uno sguardo nervoso al suo amico.
Fujio: "Ho bisogno che tu coordini le operazioni di scorta dei civili. Metti su una squadra di genin e assicurati che ognuno di loro fornisca le giuste indicazioni per raggiungere i rifugi ai civili di questa zona. Qui c'è tutto quello che devi sapere..."
Frugò per un attimo nelle sue tasche, estraendo poi una busta sigillata contenente tutte le indicazioni del caso.
Fujio: "Tre o quattro genin massimo, ti basteranno. Ragazzo, cercherò di essere il più chiaro possibile..."
La presa dell'uomo sulla spalla del giovane si fece sempre più salda, mentre i suoi occhi si riducevano a due fessure e il tono della sua voce si abbassava fino a divenire un sussurro impercettibile.
Fujio: "...un errore, un solo errore che possa compromettere la salute del villaggio e dei suoi abitanti, e il coprifronte che porti tanto tronfiamente non lo rivedrai più neanche in sogno: verrò a cercarti personalmente e mi assicurerò che tu riceva la giusta punizione per i tuoi errori. Sono stato chiaro?"
Il giovane Uchiha annuì, gettando occhiate a destra e a sinistra come a voler supplicare gli altri chunin di tirarlo fuori da quella situazione.
Fujio: "Bene. Ora vai. E ricorda: non un errore, nemmeno uno."
Il ragazzo si allontanò in fretta e furia con andatura dinoccolata, probabilmente felice di essersi liberato dalla presa del jonin, e cominciò a cercare dei genin in mezzo alla folla urlando a gran voce dopo aver letto il contenuto della busta. Nel frattempo l'uomo si rivolse ad Arashi e ai restanti chunin, sempre con lo stesso sguardo severo e critico.
Fujio: "E una è andata...Ora voi, seguitemi. Siete assegnati alla protezione dei rifugi. Ciascuno di voi avrà un razzo segnalatore da usare in caso di estrema necessità per segnalare un pericolo e richiedere supporto."
Arashi: "Cosa? No! Io voglio..."
Le salamandre erano lì, a pochi passi da lui: il fato gli aveva dato ancora una volta l'opportunità di affrontarle, e lui doveva starsene buono buono a sorvegliare i rifugi lasciando che altri combattessero al suo posto? No, non poteva accettarlo: lui voleva diventare un ANBU, voleva servire il suo villaggio ma non così, non da codardo. Tuttavia, si pentì quasi subito di aver anche solo provato ad esternare il suo malcontento, dal momento che l'uomo lo afferrò per il bavero della sua divisa e, dando prova di una forza notevole, lo sollevò a qualche centimetro da terra, la bocca che sbraitava a pochi millimetri dai suoi occhi.
Fujio: "Sentiamo, cos'è che vuoi? Vuoi andare là fuori a combattere? Davvero desideri così tanto diventare un ammasso di carne carbonizzata, che andrà lentamente in putrefazione fino al punto che persino le bestie si terranno alla larga dalla tua schifosa carcassa? Ci tieni davvero così tanto a fare il martire?"
Il jonin parlò velocemente, disseminando per il suo volto saliva e alitandogli in faccia tutto il suo disappunto, mentre il tono della sua voce si faceva via via sempre più acuto man mano che l'accurata descrizione della sua ipotetica fine giungeva al termine: gli diede l'impressione di un lupo impaurito che, con la coda tra le gambe, ringhiava addosso al pericolo più per timore che per coraggio.
Akako: "Per l'amor del cielo, Fujio! Lascia in pace questi ragazzi, ne hanno già viste abbastanza, non hanno bisogno del tuo insensato terrorrismo psicologico!"
La voce di sua madre lo colse alla sprovvista e, dalla posizione in cui si trovava, dovette faticare non poco per mettere a fuoco l'esile figura della donna, accompagnata da sua sorella. Portava ancora il lungo grembiule da cucina, macchiato un po' dappertutto, che utilizzava di solito per far fronte alle faccende domestiche, che prendeva con una serietà e una dedizione tale da sembrare che stesse per andare in guerra da un momento all'altro. Intenta a legarsi i lunghi capelli in una coda e con il coprifronte recante il simbolo della Foglia tenuto alla meglio tra i denti, Akako Uchiha avanzava verso di loro con fare deciso, gli occhi fissi sull'uomo che aveva aggredito verbalmente suo figlio.
Akako: "E' giunto il momento per noi genitori di prenderci le nostre responsabilità. Per troppo tempo i nostri figli hanno pagato i nostri errori e le nostre debolezze, ora sta a noi garantirgli un futuro: siamo noi gli apripista, siamo noi che dobbiamo farci carico di tutto ciò che di sbagliato abbiamo fatto in questi anni."
La sorpresa per l'apparizione del gigantesco rospo non fu nulla in confronto a quella che provò in seguito alle parole di sua madre: nelle ultime settimane la sua stabilità mentale aveva fatto dei progressi insperati, certo, e metabolizzata la scomparsa del marito sembrava essere tornata la brillante donna che era stata un tempo, ma mai Arashi avrebbe immaginato di leggere quella determinazione nei suoi occhi, né di sentirla rivolgersi a qualcun altro che non fosse lui o Hikari con una simile autorevolezza. Lesta, si liberò del grembiule lasciandolo cadere a terra e si sistemò il coprifronte alla meglio, mentre le sue iridi diventavano di un rosso acceso e tre tomoe si andavano gradualmente a formare su di esse.
Akako: "Anche tu hai un figlio, no? Qui il tuo talento è sprecato. Vai a combattere in prima linea e non avere paura: mostreremo loro cosa accade quando si minacciano i nostri bambini."
La donna si avvicinò a Fujio, posando una mano sul braccio possente che ancora stringeva Arashi nella sua morsa.
Akako: "Quelle lucertole proveranno sulla loro viscida pelle cosa vuol dire far arrabbiare una madre."
Il jonin allentò la presa, lasciando il rosso libero di tornare con i piedi per terra, mentre i suoi occhi bianchi continuavano a scrutare curiosi quelli di sua madre: le parole di Akako sembravano aver avuto un certo effetto su di lui.
"Ehi, da quando mamma è così...così..."
"Stupida? Idealista? Ingenua? Comincio a capire da chi hai preso."
"Tosta. Mamma è una tipa tosta."
Fujio: "Hmpf, non c'è bisogno di scaldarsi tanto...Stavo giusto ricordando a questi ragazzi quanto è importante che ognuno faccia la sua parte."
Akako: "Appunto. Vai alle porte, ci sarà bisogno di te. Di loro me ne occupo io, dammi la missiva."
Lo Hyuga, non senza qualche esitazione, consegnò un'altra busta alla donna, per poi rivolgersi ai tre ragazzi che avevano assistito increduli alla scena.
Fujio: "In ogni caso, sarei comunque tornato alle porte del villaggio una volta date le direttive a questi tre. Ma visto che ci tieni tanto, lascio a te il compito di fare da balia a questi bambini troppo cresciuti. Anche perché anche tu dovresti essere destinata alla protezione dei rifugi, visto che è ciò che compete al tuo rango."
Sottolineò quell'ultima parola quasi con disprezzo, ma la sua espressione sollevata fece pensare ad Arashi che, forse, l'essersi liberato del comando di quei tre chunin non gli dispiaceva affatto, anzi.
Fujio: "Seguite alla lettera gli ordini di questa donna, da questo momento è il vostro caposquadra."
Detto ciò l'uomo si allontanò da loro, dirigendosi verso le mura senza più degnarli di uno sguardo, Nel frattempo Akako tirò un sospiro di sollievo, evidentemente soddisfatta di aver troncato sul nascere una discussione che, a causa dell'evidente tensione, avrebbe potuto farsi molto più accesa del previsto. Quindi si avvicinò ad Hikari, baciandola sulla fronte e abbracciandola.
Hikari: "Mamma, non c'è bisogno..."
Akako: "Sii forte, bambina mia. Sei una kunoichi del villaggio della Foglia: proteggi gli abitanti, indica loro la strada e portali al sicuro. So per certo che farai un ottimo lavoro, non correre rischi inutili."
Le due rimasero avvinghiate ancora per qualche secondo, poi sua madre sciolse l'abbraccio e rivolse alla ragazza un'ultima occhiata severa.
Akako: "Dico sul serio, fai attenzione e quando hai portato a termine il tuo compito, dritta ai rifugi. Ora vai."
La ragazza annuì, quindi volse il suo sguardo verso quello del fratello e per qualche secondo rimasero così, immobili, affidando al silenzio il difficile compito di esprimere quanto gli passava per la testa.
Hikari: "E comunque è colpa tua, per la pianta!"
Arashi: "Sì, certo...Fa' attenzione."
Akako: "Pianta? Quale pianta?"
Arashi: "Niente ma', lascia stare."
"Hikari, tu e la tua maledettissima boccaccia..."
Una linguaccia, un sorriso e la ragazza si diresse verso il chunin che era ancora alle prese con la formazione della squadra di genin e che, da quanto Arashi poté vedere, non se la stava cavando troppo bene: sembrava sempre più impacciato e nervoso man mano che i secondi passavano e il tempo a loro disposizione andava scemando. Nel frattempo, sua madre aprì la busta e ne lesse il contenuto rapidamente, per poi rivolgersi a lui e agli altri due giovani.
Akako: "Bene, i razzi di segnalazione ci verranno consegnati una volta arrivati ai rifugi, lì ci organizzeremo meglio per la protezione dei civili. Seguitemi e statemi incollati al culo, non voglio che nessuno si perda in tutto questo caos: ignorate richieste di aiuto, per quelle ci sono già i genin, il nostro obiettivo è raggiungere il rifugio assegnatoci il prima possibile. Arashi, vieni avanti con me...Andiamo."
[...]
Le strade di Konoha erano a dir poco in subbuglio: intere famiglie si apprestavano a seguire le indicazioni degli shinobi e si dirigevano in fila indiana verso la loro meta, scortate ai lati da genin che intimavano loro di affrettare il passo o, altre volte, di procedere in maniera più ordinata. Non mancavano scene che ai suoi occhi non erano altro che pura follia: vide un uomo anziano rifiutarsi di abbandonare la sua abitazione, perché deciso a proteggere tutti i suoi averi fino alla fine, madri con neonati tra le braccia che chiedevano di poter passare avanti alla fila, bambini che capivano a malapena cosa stesse accadendo e, nonostante tutto, sembravano quasi divertirsi in mezzo a tutto quel trambusto.
Arashi: "Sicura di potercela fare? Potrei portarti al rifugio e sistemarti lì, non credo ci sarebbero problemi, posso occuparmi io di tutto il resto."
Sua madre gli lanciò un'occhiataccia, una di quelle che era solita rivolgergli quando lui e Hikari rompevano qualcosa in casa giocando.
Akako: "Il punto non è se posso o non posso. Il punto è che tutti quelli in grado di combattere devono dare una mano, e io sono in grado di farlo."
Arashi: "Ma ti hanno dimesso da poco dall'ospedale..."
Akako: "Arashi, apprezzo la tua premura, ma per troppo tempo me ne sono stata con le mani in mano. Ho lasciato andare mio figlio in guerra senza essere al suo fianco. Ho lasciato a voi giovani il compito di salvare questo mondo, mi sono tirata indietro: la morte di tuo padre è stato un duro colpo, ma stavolta non ho scuse per starmene buona imbambolata mentre tu pensi a sistemare tutto. Se non combattiamo noi genitori, se non siamo noi a darvi il buon esempio, chi lo farà?"
Un sorriso gli si dipinse sulla bocca: davvero, mai avrebbe immaginato di trovare in sua madre una forza di volontà tanto ferrea. Per mesi aveva temuto di non vederla più arrabbiarsi come una iena con lui e Hikari, di averla persa per sempre nel mare di dolore che aveva circondato la sua famiglia.
Akako: "No, oggi la gente di Konoha potrà dire di aver visto una madre e un figlio battersi insieme per la sicurezza di questo villaggio. Oggi noi faremo la guardia, spalla contro spalla, per assicurarci che neanche un capello venga torto a tutta questa gente. Oggi più che mai, voi giovani capirete cosa vuol dire essere uno shinobi della Foglia."
"Pfff, shinobi della Foglia? Ma guardati, non sei altro che una delle tante pedine sacrificabili: Konoha non è poi tanto diversa dagli altri villaggi, giocherà con la tua vita esattamente come un bambino gioca con i suoi soldatini giocattolo...Hai già dimenticato il massacro del torneo? Tutti quegli psicopatici mandati a morire nella gabbia? Non siete altro che carne da macello da poter scambiare per un'insignificante, insulsa fetta di potere."
"Sta' zitto. Qui non si tratta di essere un soldato, ma di difendere le nostre case e le nostre famiglie. Non si tratta di combattere per la gloria o per il potere: il nemico è alle porte e se non reagiamo farà una strage, altro che gabbia...Finché ci sarà anche solo uno shinobi pronto a proteggerla, questa gente non sarà mai carne da macello."
"Quindi hai scelto di schierarti con la Foglia? Hai deciso di proteggere quella stessa gente che anni fa ti ha portato a perdere interesse nel tuo stesso mestiere? Le salamandre potrebbero avere le loro buone ragioni per attaccare Konoha...Da quando chi combatte per un ideale diverso dal tuo è un tuo nemico?
"Da quando quell'ideale viene usato per giustificare una carneficina...Quante volte devo ripetertelo? Quali che siano i loro scopi, c'è modo e modo di raggiungerli. Non è una scelta, è un obbligo. Persino tu dovresti avere un minimo di riconoscenza verso il villaggio che ci ha cresciuto: nessuna ragione potrà mai essere tanto valida da giustificare l'eventuale massacro di così tanti civili."
Poteva avvertire il disgusto dell'altro in risposta a quelle parole, poteva sentire il suo disappunto crescere dentro di lui, mentre le salamandre avanzavano verso le mura di Konoha e lui se ne stava lì ad aspettare che altri, più preparati, le affrontassero. Quella parte di sé bruciava di voglia al solo pensiero di poter incontrare, ancora una volta, quell'immensa creatura che tanto lo aveva stupito e il membro di Akatsuki la cui identità, celata da una maschera, rimaneva tutt'ora una fastidiosa incognita: voleva capire, voleva vedere oltre, ma di sicuro non era quello il momento. No, ora doveva stare al suo posto e combattere se si fosse rivelato necessario, esattamente come sua madre. Doveva farlo per la lettera di suo padre, per la sua famiglia e soprattutto per tutti quegli sguardi terrorizzati di donne e bambini che aveva incontrato lungo la strada, assaliti dai fantasmi di una guerra ancora troppo vicina per poterla dimenticare: era per loro che doveva fare la sua parte.
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