Missione 2 A D* - Passato, Presente, Futuro, Test passaggio di rango per Dr.Steve

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± Maou ±
view post Posted on 27/5/2014, 12:02     +1   -1




Quella mattina vi era poca gente per le strade del villaggio, forse a causa del freddo o per il fatto che i più stavano ancora rintanati nei loro letti. Il Paesaggio era terrificante: la nebbia, Reggina incontrastata di quel luogo, sembrava pronta a divorare ogni malcapitato essere vivente, inglobandolo nella sua foschia plumbea. L'aria era umida e pesante, non era però niente di nuovo o di particolare il tutto ciò. Infondo era presto e il sole da poco aveva fatto capolino regalando al villaggio una sbiadita alba, tingendo tutto di un brillante cremisi. Mentre le strade del Villaggio erano vuote, al contrario il movimento all'interno della Residenza del Mizukage cresceva in maniera incessante. Molteplici erano le faccende che richiedevano un immediato intervento da parte di alcuni Shinobi, altri invece non costituivano un problema, se non aumentare il carico di lavoro degli addetti allo smistamento delle missioni. Rintanata nella penombra del suo piccolo ufficio Aoki, Capo Medio e Segretaria personale di Hogo, svolgeva diligentemente il suo lavoro. Il calamaio passava veloce sulle candide pagine, riempendole di parole e di numeri, anche se spesso era costretta a fermarsi, prendere un po' di tempo, per meditare su quali fossero le parole migliori o dove voleva arrivare. Era un lavoraccio il suo ma ormai si stava abituando. Improvvisamente qualcosa spezzo quella sua, monotona, routine. Un fascicolo attirò la sua attenzione. Non appena lo lesse poggiò le pagine sulla scrivania, chiuse gli occhi e iniziò a pensare. Sembrava quasi che quei fogli fossero oggetti diabolici e lei una serena e pacata donna qualsiasi. Restò in silenzio per qualche minuto, tenendo i gomiti appoggiati sulla lignea superficie della sua scrivania e le mani incrociate davanti al viso quindi aprì alcuni cassetti e tirò fuori altri documenti, altri fascicoli, questi inerenti a ricerche e studi medici. Li spulciò diligentemente, sottolineando con la penna le parti che riteneva più interessanti. Sorrise, prima di richiamare l'attenzione di uno dei suoi sottoposti.
-Fatemi chiamare Hayate Kobayashi, l'Artefice.. vorrei parlagli.-
Lo Shinobi, inginocchiato dinanzi alla sua scrivania, senza dire una parola svanì in una nuvola di fumo. Cosa poteva volere Aoki Kurage dal Chunin detentore della Hiramekarei?

– Allora, non ti ho mai avuto come Masterato quindi ti dico che di norma tendo a dare molta libertà come Master e un assoluta possibilità di movimento o decisione, nonostante questo sono anche molto severo e tendo ad approfittarne non appena vedo che mostri il fianco. Essendo una missione per farti salire di rango, non che una A, sarà molto difficile quindi stai accorto e pensa sempre bene a quello che fai.. preferisco post meditate che fatti velocemente alla come capita capita.
Allora hai piena libertà di movimento, puoi fare quello che ti pare e descrive ciò che vuoi, ovviamente a fine post vieni informato che Aoki vuole parlarti.. fai quindi un po' te.
La donna è un png appena creato, troverai la sua scheda qui, al momento c'è solo il disegno ma per lo meno sai com'è fatta colei che ti sta convocando ^^
Detto questo ti auguro un buon divertimento e buona fortuna. Enjoy :3 –
 
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view post Posted on 27/5/2014, 15:22     +1   -1
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Atto I



E
ra avido e distaccato quel dì, con l'avvolgente sovrano dei cieli che si staglia mansueto dall'alto del suo trono. Watashi aveva recato con sé disfatta e sterilità, l'idilliaca landa della sua terra natia era martoriata da tale chimera, il globo lordato da tale infamia. Eppur vi era ancora il desiderio di auspicare nell'avvenire, la benevola umanità, almeno nell'apparenza, e gli Shinobi avevano concesso tale speranza ai civili, che non avevano smarrito la volontà. Statuarie si stagliavano le cinta murarie poco distanti la sua dimora, egli indossava le amate vestigia e pazientava in procinto di un ennesima missione. La quiete circostante che sovrana regnava era assai congeniale per ponderare. Innegabile la beltà che quel loco sapeva esprimere, sotto il chiarore tenue dei fuochi astrali, che irradiavano di un opaco bagliore quel simposio destatosi all'intreccio tra il mare e la volta celeste. Cotanta beltà attraeva in maniera inesorabile Hayate, sebbene fossero passati almeno venti anni da quel fragore argenteo che proferì i primi lamenti, turbando il tedio quotidiano di una famiglia adottiva, turbando l'ormai decadimento della sua terra natia. Un tempo, Kiri, era diversa. Oblio, freddezza interiore, erano questi i dati essenziali di ogni spirito Kiriano.
Il loro intento era quello di superare i limiti umani, valicandoli come se fossero solamente degli ostacoli da sopraffare, da rendere innocui ai fini dei propri obiettivi. La monotonia del dì era peculiare: ogni giorno si ripeteva, senza luce, senza speranza, solo morte. Un indole temprata in quella fucina di odio e vendetta, i figli della Nebbia crescevano taglienti ed esiziali nelle viscere di un cinereo vulcano. Il sadismo era la loro gioia, e il sangue il loro nutrimento. Umiliati e messi alla prova nel fisico e nello spirito, affinché anche l'ultima stilla di umanità non fosse stata da loro estirpata, come un'erbaccia velenosa in un bellissimo giardino di rose nere.

Gli astrusi e contorti stereotipi che caratterizzavano l'intera Kiri prima del sorgere del sole erano già da tempo dileguatesi; i sonni angosciosi erano stati sostituiti dalle raminghe e plumbee ombre degli abitanti. Hayate ogni mattina, dopo essersi svegliato, alzava lo sguardo verso il cielo, senza riuscire a penetrare il rigido amplesso della loro protettrice, l'amorfe nebbia, che, come un'amorevole madre, vegliava sui suoi figli e sui loro peccati nascondendoli agli occhi del resto del mondo, coprendo l'orrore e la crudeltà che dominavano la realtà e che erano ignorati negli altri Villaggi, quasi come se non esistessero, come se nulla potesse loro arrecare danno. Veloci e terribile sequenze, fantasmi di un passato non molto lontano, gli si ripresentarono alla mente: un tetro angelo di morte, una grande e affilata falce, una sala nella quale il sangue e la marcescenza decoravano ogni cosa. Ma, più di tutto ciò, erano i globi oculari ad impressionare il ragazzo. Decine, centinaia di freddi occhi che lo osservavano, che si rivolgevano a lui supplici chiedendo una clemenza che non avrebbero mai più potuto ricevere, chiedendo di essere salvati da ciò che era già accaduto. In seguito aprì gli occhi. Alzando una mano pallida per nutrire i suoi perlacei occhi di una rinnovata brezza, Hayate sollevò la testa e si massaggiò il collo, unica vessazione in quel momento di ritrovata tranquillità.

I grigi banchi si muovevano sinuosi e taciti tra gli edifici di quella cittadina, adombrando le forme, alterando le immagini, facendole somigliare a satanassi, a tetre pareti d'un nero labirinto, che sembravano essere uscite dagli incubi notturni d'un pazzo. Invece, quel tetro panorama era reale. E lui ne era un attore, recitandolo in un modo encomiabile, divenendo un tutt'uno con il proprio personaggio. - Cosa si può narrare di uno Spadaccino che aspetta nel tepore dell'attesa, ove il desiderio è esaltato, ove la pazienza è ormai sull'orlo del vacillo? - Nulla. Hayate, dopo la sconfitta dell'etereo avversario, Watashi, era stato colto da un vuoto introspettivo del proprio Io, ormai rammaricato dall'impossibilità di replicare incontri inenarrabili, constatare se qualcuno su quel mondo avesse avuto la forza per sopraffarlo. Certo, in ciò vi era anche una mera paura, nascosta all'apparenza, recondita nella mente del Kiriano. L'impassibilità del suo volto, così soave tra i lineamenti, era un elemento peculiare su cui ponderare. Chi, nella storia del mondo, si era estraniato dai propri sentimenti da attenuare o affievolire la propria umanità? Nessuno. Nessun uomo, o donna, era riuscito a irrompere nell'equilibrio retto dalla coscienza, tra inconscio ed es. Vi era sempre stato un bilanciamento, e chiunque sarebbe riaffiorato dall'oblio del proprio inconscio se avesse remato verso la sponda opposta, ovvero la vita.

Lui era il preludio per la Kiri risorta, colei che era giunta alla soglia delle ceneri, protrattasi verso un periodo di stallo, di paura, sentimento avulso per quel che riguarda la gens Kiriana. Aveva ricondotto la sua terra natia sul sentiero ineccepibile che le apparteneva. La Madre era tornata a vegliare sulla propria progenie, le Spade erano tornate ad essere bramata da quest'ultima. Tentò di scacciare quei pensieri così astrusi dalla sua mente con fatica, qualcuno si era recato a disturbarlo per qualcosa, probabilmente. Uno Shinobi di Kiri si era palesato dinanzi al suo sguardo diamantino, con fare rispettoso, almeno. Gli venne riferito che era atteso alla Residenza del Mizukage per un colloquio formale con Aoki, colei che era il capo Medico del villaggio e nonché la segretaria del Burattino. Così soleva denominare la persona che reggeva i cardini delle sorti dei propri ninja, incluso Hayate. Acconsentì normalmente, essendo devoto ai propri doveri, ai propri compiti. La rugiada solcava sinuosa lo stilo dell'erbetta umida, ormai pronti anch'essi alla rinascita.

Carezzò l'elsa, e poi la lamina, delle sue Hiramekarei, così da essere certo ancora della loro presenza, di quel legame etereo che si sarebbe protratto fin quando l'Artefice sarebbe stato capace di esalare gli ultimi respiri, un momento che inevitabile si sarebbe abbattuto sul candido derma del fanciullo. Avanzò con piccole falcate misurate e l'annesso alone di regalità ed eleganza che si relegava ad ogni sua movenza, non esitava l'inespressivo sguardo, inamovibile e saldo come l'incommensurabile potere di cui era detentore e sovrano. Non vi fu né verbo o sguardo ai successivi astanti nel suo sentiero, sebbene fossero sporadici, egli si limitò solamente ad avanzare verso la meta designata, senza crucciarsi di alcunché, se non della curiosità che in quel momento l'attanagliava, dato che era sprovvisto di conoscenze su quel richiamo alla Residenza. Forse, quelle lunghe falcate, furono istanti seppur fugaci ma colmi di un connubio di emozioni, sensazioni: paura, speranza, volontà. Non fu ingente la distanza che dovette percorrere ma ponderare su taluni determinati momenti della propria vita gli rese quella traversata più celere del previsto. Il diafano profilo suo s'eclissiva progressivamente, adombrando l'ammaliante volto d'una sinistra oscurità. L'edificio cupo, come del resto tutti a Kiri mettevano in mostro le stesse sembianze, si palesò dinanzi il diafano derma del giovane Kiriano, ammaliato dalle ombre che quasi vivide prendevano forma sulle pareti sporche della costruzione. Varcò la soglia, adeguando le proprie pupille all'oscurità dell'entrata in cui vi era la penombra generata dal fragore delle candele che emanavano un aroma allietante. Una prole di astanti si riversava tra i corridoi, gli unici affollati rispetto alla desertica Kiri alle prime luci del dì. Con passo cadenzato si recò all'ufficio che era stato designato ad Aoki, colei che lo aveva convocato, senza professare alcuna parola di sorta ai passanti che lo incrociavano. Le nocche sbatterono in modo lieve sulla porta in ciliegio che lo separava dalla conoscenza per tre volte, aspettando il conseguente permesso della Segretaria. Entrò, e solamente una flebile luce solare lo accolse tra le membra di quella stanza. La sua voce calda e pacata proferì in modo indelebile per quale motivo fosse stato convocato.

Aoki-San.. Per quale motivo sono stato convocato?






 
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± Maou ±
view post Posted on 28/5/2014, 14:00     +1   -1




Toc. Toc. Toc.



Tre colpi a ritmo regolare raggiunsero la porta ma Aoki non rispose immediatamente, doveva prima finire il paragrafo che aveva iniziato. Quel gesto era stato però sufficiente ad attirare la sua attenzione. Si sistemò le pesanti lenti che aveva sul naso, scivolate leggermente a causa del tempo che aveva trascorso a leggere con la testa china. Da quando aveva letto quel fascicolo non riusciva a non pensare ad altro e, in attesa del proprio ospite, ne aveva approfittato per fare ulteriori ricerche sull'argomento. Raggiunto l'obiettivo designato alzò lo sguardo, rivolgendolo all'uscio.
-Avanti. -
Il tono di voce era calmo, quasi volesse mettere a proprio agio colui che avrebbe varcato quella soglia. La porta si spalancò e, accompagnato da un sordo scricchiolio dei cardini, fece la sua apparizione colui che aveva mandato a chiamare. Infondeva una strana sensazione, quella donna, una leggera inquietudine, forse, data dal fatto che, risultando estremamente anonima, poteva passare inosservata senza alcunissimo problema. Come assassina, probabilmente, non doveva avere problemi...
-Accomodati, accomodati pure. Prego..-
Disse la donna, facendo apparire sul volto un tenue sorriso saccente.
-Ti stavo giusto aspettando, Kobayashi. -
Sentenziò. Lo invitò cordialmente con un gesto della mano a sedersi su una poltrona li vicino. Attese qualche secondo, così che lo Spadaccino potesse decidere se accogliere il suo invito oppure no. Aprì così una cartella, che aveva li vicino, controllò velocemente le pagine quindi prese un singolo foglio, che porse immediatamente all'Artefice. Sulla pergamena vi erano diversi ideogrammi o parole senza significato, scritti a penna. A primo impatto poteva quindi sembrare una burla o una richiesta di decriptare quella misteriosa scrittura, ovviamente era consapevole che lo Spadaccino non aveva le capacità per farlo.. dopotutto nemmeno lei ne era in grado. Alzò il sopracciglio, indicandogli con il capo di controllare il retro della pagina. Stessa calligrafia ma questa volta la frase era tradotta.


“Che tutti conoscano il coraggio e il valore di chi lottò e cadde per il Shodaime. Stavamo conquistando le varie isolette e arcipelaghi che erano nei pressi dell'isola di Mizu. Eravamo sull'Isola Celata.. cercando di conquistare anche quel luogo e i suoi abitanti... molti trovarono la morte... e io fui uno di questi. Fui ucciso e il mio corpo gettato nella grotta più oscura e profonda per diventare nutrimento per la flora e la fauna locali... ma L'ambrosia mi concesse una seconda chance.. ritornare nel mondo dei vivi e uccidere il mio aguzzino così da scambiarci il posto nell'ade. Scrivo ciò per gli annali... che i nostri discendenti non dimentichino le nostre morti... e le nostre conquiste. Kisuke.



Attese che l'interlocutore assimilasse cosa vi era scritto, si sistemò quindi nuovamente gli occhialoni.
-Ho letto che Dewa ti ha insegnato le basi delle arti mediche, ero curiosa di sentire cosa ne pensasse un suo allievo. Allora?-
Il tono della sua voce, stavolta, trapelava una spiccata nota curiosa, forse vagamente saccente. Forse era curiosa di sentire cosa ne pensasse Hayate, forse lo faceva solo per riempire un po' il tempo, questo l'Artefice non lo poteva capire, quella donna era indecifrabile.
 
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view post Posted on 28/5/2014, 16:32     +1   -1
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Atto II



E
ra estraniato da quel loco, così immemore quel ricordo nella memoria, recondito in uno di quei anfratti loschi della sua mente, oscuri. Nel contempo, però, le membra della stanza parvero avvolgerlo in una stretta calorosa, quasi affettuosa, arrecandogli un effimero piacere, una parvenza di realtà in quel mondo surreale. La figura quasi sconosciuta di Aoki si palesò dinanzi le sue iridi diamantine; probabilmente proprio quel peculiare dettaglio, ovvero il mistero che si celava dietro le vesti della donna, era un particolare a cui donare una minuziosa attenzione. Di rado, o da luogo comune, coloro che prostravano un comportamento quasi innocuo, distaccato dalla follia insana della progenie di Kiri, erano da catalogare come una minaccia, le cui capacità erano adombrate da una riservatezza tale da non esibirle senonché in eventi sporadici. Probabilmente ciò che erano in grado di fare era assoggettato dall'inconscio, il quale solamente nell'attimo fuggente della soglia del trapasso emancipava la propria dote bellicosa. Il tono di voce con cui la donna presenziò l'arrivo dell'Artefice era pacato, quasi dolce, segno emblematico di una calma apparente, tipica di una nevrosi saltuaria. Almeno queste erano le ipotesi formulate dall'Efebico ad una conoscenza apparente della propria interlocutrice. Acconsentì all'invito conferitogli da Aiko, sebbene non si sedesse nel modo consueto, dato che, nel caso non vi fosse stata relazione tattile con la Spada, dal suo corpo sarebbe stata evidente la sofferenza per mancato contatto. Era un dettaglio pressoché ingente, in tale contingenza, per ovviare a tale problema avrebbe dovuto sguainare le Hiramekarei ed impugnarle, ma questo non sembrava il caso. In tal caso dovette rimediare ponendo il proprio busto sul poggia spalla dell'elemento di arredo della stanza. Non era certo per mancarle di rispetto, assolutamente, anche lei avrebbe dovuto conoscere quell'indole forzata a cui doveva sottostare il Chunin, essendo prevalentemente coinvolta nelle informazioni riguardanti il corpo militare di Kiri, quindi nelle sue debolezze e nei suoi punti di forza, o pregi.

Rimase impassibile, poche smorfie si evidenziarono dai lineamenti irreprensibili di Hayate, immerso nell'intento di ricevere la risposta a quella convocazione. Lesse con gli occhi ogni movimento effettuato da Aoki, per tentare di denotare qualsiasi forma di ostentamento, atto di indecisione o insicurezza sulle parole che avrebbero succeduto lo stridio delle corde vocali nella manifestazione di proferir voce. Sebbene vi fosse omissione di lemmi, ebbe modo di comprendere le intenzioni della donna, ovvero quello di scorgere tra quelle lettere incise sull'ormai abietto foglio qualche impercettibile dettaglio che potesse destarlo dalla lettura. Ahimè, era una conoscenza linguistica di cui non ne era onniscente - Scusate il gioco di parole, senonché assonanza - non avendo praticato alcun addestramento sulla decriptazione dei messaggi. Colse il consiglio della donna che lo indirizzò verso il prologo che si nascondeva nella pagina posteriore. Lesse minuziosamente quello scritto, tentando di estrapolarne alcune sporadiche informazioni che potessero essergli utile, qualsiasi analogia che vi si potesse celare. Dal tipo di scrittura poté intuire che fosse una sorta di diario, una monografia storica che si riferiva ad un periodo di tempo risalente all'epoca dello Shodaime, il cui nome era sconosciuto ai posteri, e riportava come firma ravvisabile all'epilogo del frammento quella di Kisuke, il Nidaime. Tali conoscenze erano stato coltivate durante i brevi trascorsi nella Biblioteca all'interno della dimora dei sette, che riconducevano il lettore alle epoche in cui non gli era stato possibile vivere i tasselli di quella storia, quasi vivide nella sua immaginazione. Alzò lo specchio di smeraldi, data l'influenza della luminosità ormai nascente, verso il volto di Aoki con un evidente accenno di curiosità dopo le parole fuorvianti di quest'ultima. Inarcato il sopracciglio, fronte corrugato. Aveva enunciato il cognome di Dewa, il medico che lo aveva addentrato nell'arte della manipolazione del chakra, o meglio medicina. Cosa vi potesse essere in comune tra i due? Quali erano gli elementi correlabili? Non lo sapeva, e ciò non fece che tediarlo interiormente, essendo disarmato difronte al suo superiore. Scorreva salda tra le dita del ragazzo la missiva, che poc'anzi Aiko aveva recapitato alla sua persona, ove v'eran contenuti i dettagli che l'Artefice avrebbe dovuto decifrare, a cui lo zelante e candido ninja di Kiri avrebbe dovuto adempiere. Rilesse nuovamente, nell'intento di cercare qualche zampillo calligrafico che, ad una prima lettura, gli era stato nascosto dalla mera disattenzione. Nulla di tutto ciò, per suo dispiacere.

- Beh, è un frammento di una storia estrapolata da un diario, apparentemente, ma può anche essere una sorta di disinformazione, o un chiarimento fallace dei fatti mitologici risalenti alla fondazione di Kiri. Non ricordo, però, che il Nidaime avesse scritto storiografie e questo Kisuke potrebbe essere solamente una persona qualsiasi dilettatasi nel redarre racconti di questa tipologia. Potrebbe darmi informazioni a riguardo? Vi sono diverse discordanze tra questo messaggio e la storia conosciuta.






 
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± Maou ±
view post Posted on 29/5/2014, 17:17     +1   -1




L'osservò da dietro le sue immense lenti, attendendo pazientemente che il proprio interlocutore esprimesse qualche possibile ragionamento riguardante le caratteristiche mediche li menzionate. Ne approfittò per rimettere in ordine alcuni documenti e libri, incolonnati alla rinfusa mentre studiava il foglio che aveva al momento in mano l'Artefice. La risposta ruppe infine il silenzio. Non era però il responso che cercava, lo spadaccino infatti aveva erroneamente creduto che lei fosse interessata a qualcos'altro che non fosse un semplice consulto “medico”. Poggiò l'indice della mano sulla barra che collegava le due lenti, spingendola in alto, così da riportarle l'occhiale dinanzi gli occhi. Seguì un ghigno, un sottile sorrisetto carico di saccente consapevolezza e silenti insinuazioni.
-In realtà al momento ero interessata a un “consulto”, volevo sapere se il tuo “maestro” ha mai accennato qualche metodo che lontanamente assomigliasse a quello asserito in quell'estrapolato...-
Esordì, mantenendo un tono alquanto quieto e posato, anche se vi era una tenue derisione in quella sua spiegazione. Chiuse brevemente le palpebre, sospirando pesantemente, era palesemente combattuta. Vi era poco da dire: non si fidava di Hayate. L'aveva conosciuto tramite i documenti, i fascicoli, ma questo era normale per lei, ciò che invece la turbava era il passo seguente.
-...ma probabilmente sono stata io a non essere stata abbastanza chiara.-
Dichiarò,sottolineando ulteriormente l'inciso, creando una sorta di alibi al belloccio. Si alzò in piedi, allontanandosi dalla poltrona e dall'interlocutore. Si avvicinò all'uscio, ancora aperto, e dopo aver dato un'occhiata fuori, nel corridoio, chiuse la porta. Si voltò, tornando a fissare la sagoma dell'interlocutore, mantenendo quel diabolico sorrisetto da: “so tutto io”. Si avvicinò allo scheletro umano, la riproduzione anatomica, che in un qualche modo dava la sensazione essere qualcosa di più macabro.
-Quello che ti ho dato poc'anzi è una copia di una traduzione fatta da un famosissimo storico di questo Paese: che da anni lavora per i Mizukage. Ironicamente il messaggio originale è stato ritrovato all'interno di un rotolo di pergamena risalente proprio al periodo del primo Shodaime. Uno dei pochi documenti a noi arrivati, a dirla tutta.-
Si allontanò dalle ossa per tornare al proprio posto. Sul volto era dipinta una maschera fredda e impassibile, uno sguardo privo di qual si voglia pensiero o sensazione, anche se era palese che nelle sue viscere qualche cosa stesse confabulando. Indecifrabile, ora più che mai, la giovane si apprestò a mettersi seduta.
-... “Vi sono diverse discordanze tra questo messaggio e la storia conosciuta.”, tu dici. Sono d'accordo con te: qualcosa qui non torna. La nostra storia, sopratutto quella passata, non è così facile da interpretare. Questo è il dono che ci hanno lasciato, una miriade di domande e poche spiegazioni. Abbiamo ipotesi ma sono mere illazioni, dopo Otogakure che ci ha conquistati.. dopo Watashi e la sua Progenie.. ma sopratutto dopo Ki Momochi e la sua tirannia... non abbiamo molto su cui basarci –
Ki Momochi, il Mizukage che portò la “Nebbia Rossa”, l'uomo che uccise tutti gli anziani del villaggio e che distrusse molti antichi, e preziosi, documenti. Un uomo spietato quanto ingordo di potere, colui che in fin dei conti portò il declino in quelle terre e di cui il suo seme riuscì a dare il colpo definivo alle macerie che erano rimaste.
-Siamo comunque in pochi a sapere di questo documento: due.. tre persone, compreso te. Non credo che esistano tali oggetti miracolosi ma, sinceramente, al momento averne un campione nelle mani mi farebbe alquanto comodo. Stiamo svolgendo delle ricerche, degli studi, ma hanno per ora riscontrato sempre esito negativo.. magari con quella “Ambrosia” avremmo dei miglioramenti, se esiste. Vorrei quindi che andassi su quell'isola e cercassi per me quell'oggetto, ovviamente devi mantenere il massimo riservo. Ti farò affiancare da dieci Shinobi di mia personale fiducia, persone molto abili sia come medici che come guerrieri. Saranno sotto i tuoi ordini. Inoltre ti farò avere una delle nostre più veloci e potenti navi da guerra, annesso d'equipaggio. Ovviamente non accetto un no come risposta. -


– ok, se hai altre domande è tempo di farle altrimenti lascia pure l'ufficio della gentil donzella. Puoi andare dove vuoi, muoverti come ti pare, eccezion fatta per salpare. –
 
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view post Posted on 30/5/2014, 00:08     +1   -1
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Atto III



D
etestava essere contraddetto o redarguito sulle proprie orazioni, ma se non veniva posto un determinato contesto da trattare era razionale riflettere su quello superficiale, che, ad un primo sguardo, possa destare l'attenzione del lettore. Infatti, quel tacito silenzio, il cui significato è qualcosa di personale e soggettivo, sovrastava gli istanti che si frapponevano tra il termine dell'esposizione di Hayate e la ripresa del colloquio da parte di Aoki, sebbene avesse intrapreso nel mentre una lotta ferrea nei confronti delle scartoffie che giacevano sulla scrivania. Forse si era addentrato maggiormente nei dettagli digressivi di cui non vi era correlabilità tra quello che avrebbe dovuto affrontare, sull'accezione riguardante la sua convocazione. Ciò che risiedeva dietro il velo delle lenti, era uno sguardo quasi disinteressato, come se si fosse conformata alla pacatezza della vita, ad un atteggiamento similare alla paralisi. L'Artefice, però, fu risentito da tale comportamento; generalmente ripudiava gli interlocutori particolarmente pedanti, che dietro ad una conoscenza ponderata sulla questione tendevano ad intraprendere un'andatura boriosa all'interno di un colloquio. Rammentava, il suo pensiero, in un frammento revisionato periodo addietro, una citazione alquanto formale che poteva sintetizzare la sua riflessione su ciò che stava accadendo "Io so di non sapere e quindi so". Vigeva un ambiente quasi surreale, non analogo alla regolarità di Kiri, malgrado, tale contesto era rinnegato da parte delle eccedenti quattro Nazioni. Suddetti pensieri non erano congeniali all'ambito in cui doveva adempiere al proprio compito, ma determinate contingenze richiamavano nel suo io a bramosie mai rivelate, che si celavano negli angusti e riservati spazi del suo animo. La sua terra natia, ne aveva vissuto il decadimento durante le malevoli e alquanto opportuniste figure a cui era stato affibbiato il riconoscimento di "Kage". Hayate riconosceva solamente, nel senso lato della carica, come proprio superiore colui che aveva ricoperto tale ruolo seguendo un ideale radicato nella progenie di Kiri, evidenziandone le peculiarità e tentando di sovvertire i limiti dell'umanità. In tutto ciò egli fallì, e il suo desiderio più impetuoso era quello di colmare e di rimediare negli errori che Ki Momochi aveva compiuto. Le conseguenze di quel martirio generazionale erano stati evidenti: la soggezione del suo villaggio rispetto ad Oto, che tutt'ora aveva un certo senso di dominio sulle lande madide d'acqua e ne conservava, per risaltare codesta supremazia, una tra le Sette Spade, emblemi del potere Kiriano.

Digressioni a parte, le iridi diamantine dell'Efebico riponevano nei confronti di Aoki un inequivocabile disprezzo, celato dal mero sguardo torvo che i delineamenti del suo volto rilevavano. Le azioni che si susseguirono da parte della Segretaria erano alquanto fuorvianti: come se qualcuno potesse udire le parole che avrebbe riferito al suo interlocutore, in procinto di trattare una tesi che sarebbe dovuta essere sconosciuta ai posteri. Seguiva le sue movenze con la coda dell'occhio, donandole una certa austerità da parte del corpo candido, restio a movimenti non accurati. Rimase interdetto, in attesa di una spiegazione su quel comportamento bizzarro, non insito in una persona pacata, calma. Nuovamente il colloquio riprese, e le deduzioni di Hayate non furono di certo disattese dal sermone della donna, in effetti, almeno per quanto riguardava la parte storica, il Chunin non aveva proferito erroneamente le proprie conoscenze.

Tentò di estrapolare una qualsiasi ipotesi dalle espressioni della donna, ma esse non riconducevano ad alcunché di avvincente, destinate ad un fato irriverente. Forse, l'unica cosa che i due potevano avere in comune era l'imperturbabile aspetto che esibivano, non elargendo alcunché al proprio interlocutore e senza esporsi per evitare contingenze acrimoniose. Ciò nonostante rimase ad ascoltare, incuriosito dalle informazioni che la donna stava esponendo egregiamente, soppesando ogni lemma transitorio. "Ambrosia" era questo l'oggetto, la fonte di rinascita, di cui si narrava nel breve epigramma giunto tra le mani innocenti dell'Artefice, e che sarebbe stato l'obiettivo di quella spedizione nelle terre sopracitate, ovvero l'Isola Celata. Un dispiegamento di forza così ingente da far rabbrividire chiunque: mai aveva affrontato una missione di tale importanza e rilevanza per il progresso di Kiri. Ma, semmai avesse trovato quella pozione magica, almeno in apparenza, cosa avrebbe fatto? Era un tesoro prodigioso, chiunque avrebbe voluto sentirne le fattezze sotto i propri polpastrelli. Anche lui, a dire il vero. E se ciò era tutto falso? Una depistaggio della storia, un illazione mitologica? Beh, chi avrebbe mai potuto saperlo, dedurlo. La sola discrezione con cui poteva evincere tale possibilità era parteciparvi, anche perché, nella minaccia che costituiva l'epilogo finale del discorso vi era una profonda verità.

Si eresse, continuando a guardare la donna dinanzi ai suoi occhi. Bramava ancora informazioni, se doveva farlo, sarebbe stato a modo suo.

- Su cosa vertono i vostri studi? Se l"Ambrosia" avrà gli stessi effetti che qui sono redatti, cosa avrete intenzione di fare? Solo una cosa... Secondo lei dato un dispiegamento di forze tali e la partecipazione di un membro del gruppo elitè, non ci sarà nessuno in questo gruppo che dubiterà sulla missione? Vorrei solo avere il veto decisionale su ogni situazione, morte o vita. Se reputo un comportamento contraddittorio da parte di uno Shinobi porrò fine alla sua vita. Certo, loro non sono a conoscenza dell'ambizione di questa spedizione, ma è possibile che essendo fuorviati dal desiderio possano far prevalere sulla ragione l'irrazionale. Sono Kiriani, potrei deviare le loro supposizioni ma c'è il rischio che qualcuno possa tramare contro di me, contro la propria patria. Quindi, per concludere, sarò io a decidere. Tutto.

Concluse esibendo un ghigno ed enfatizzando con più veemenza del tono la parola finale. Era divertito, il suo corpo era già assuefatto dalle situazioni che avrebbe potuto affrontare. Inoltre, dopo aver ascoltato quelle spiegazioni si sarebbe recato nel luogo ove avrebbe dovuto salpare, per poi incontrare e colloquiare con gli Shinobi che gli erano stati affiancati.





 
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± Maou ±
view post Posted on 30/5/2014, 19:16     +1   -1




Fu esterrefatta da quell'atteggiamento gelido, no che lo diede a vedere, e in un certo qual modo iniziò a provare una strana sensazione nei suoi confronti: fastidio. L'Artefice era di certo una figura emblematica, difficile da leggere, e ciò era sintomo di qualcosa che non andava. Si sarebbe aspettata una qualche sorta di dubbio o di perplessità sul volto del parlante eppure, se non fossero state per le sillabe declamate placidamente, avrebbe potuto postulare che tutto ciò che aveva detto a quell'uomo era stato ignorato. Ciononostante le sue domande erano incalzanti: sintomo che il tizio non era poi così restio a dubbi e incertezze. Un normale uomo, seppur era ovvio che volesse, in qualche modo, nasconderlo. Sorrise, catturata da alcune sue asserzioni, toccandosi per l'ennesima volta l'occhiale. A un occhio inesperto poteva sembrare un tic nervoso, dovuto a un'agitazione di qualche sorta, ma ai più abili a scorgere la natura umana poteva venire il dubbio che fosse stata una movenza orchestrata per indurre in inganno l'interlocutore.
-Ricerca medica. Stiamo studiando un rimedio che permetta la guarigione nei confronti di malattie genetiche o patologie dovute a veleni e/o sostanze nocive. Con “l'ambrosia” nelle nostre mani di certo riusciremmo a concludere quel farmaco e al contempo iniziare a studiarlo per creare altri rimedi riguardanti la rigenerazione cellulare. Dubito comunque che esista qualcosa in grado di far tornare in vita i morti. Il fatto stesso che non sia raccontato il come è avvenuto un tale miracolo mi mette in dubbio sulla sua effettiva esistenza... ma nonostante ciò v'è un motivo per tale spostamento di forze. L'isola Celeste esiste; con il tempo ha cambiato molti nomi ma è reale come la nebbia la fuori. Ora credo che venga per lo più citata nelle nostre Legende popolari, qualche tuo parente ti ha mai raccontato una favola ambientata su un'isola denominata: “L'isola che non c'è?”?-
Un Ghigno perfido si paleso sulle labbra, se nemmeno questo avrebbe suscitato una sorta di interesse in quell'uomo voleva proprio dire che era un caso perso. Afferrò una cartellina arancione, porgendola allo shinobi, conteneva molteplici fogli di carta e diverse foto segnaletiche.
-Li troverai i dati dei dieci shinobi che ho scelto e quelli riguardante l'equipaggio. Inoltre vi saranno le rotte nautiche che dovrai dare al capitano dell'imbarcazione. Ah la nave che userete si chiama: “Kraken”, l'abbiamo usata molto in guerra contro la progenie di Watashi e si è dimostrata una delle più veloci e affidabili, si trova attualmente ancorata al molo. L'equipaggio sta preparando i rifornimenti. Ti è concesso il pieno controllo delle operazioni e degli uomini sotto il tuo comando, resta comunque in guardia. Dai documenti ritrovati pare che in passato vi è accaduto qualcosa di tremendo in quel luogo, che costrinse le nostre truppe a lasciarlo per sempre e non farvici più ritorno. Credo sia tutto, non appena avrà concluso la spedizione ritorna nel mio ufficio: qualsiasi sia l'esodo voglio un resoconto dettagliato.-


– ok, libero Arbitrio, Fai quello che vuoi. I png te li puoi inventare anche tu di sana pianta e ruolarli. L'equipaggio ci metterà tutto un giorno per preparare la nave. Se parti, fermati a metà viaggio: cioè al secondo giorno di navigazione. –
 
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view post Posted on 31/5/2014, 00:30     +1   -1
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Atto IV



D
ubitava dell'effettivo utilizzo di quell'oggetto miracoloso, difficilmente riponeva la propria fiducia nelle parole ove erano credeva fossero celate delle insidie, dei tranelli. Era certo, però, che qualcosa non fosse del tutto veritiera: le informazioni essenziali potevano deviare la razionalità umana inducendola verso la bramosia, desiderio inappagabile il quale, se sollecitato, è restio ad ogni forma di inibizione. Hayate non era illetterato, si destreggiava nell'eloquenza egregiamente, riuscendo a colloquiare senza preamboli e adoperando la dialettica per far proprie conoscenze che ancora non erano parte integrante del suo intelletto. Aveva assimilato ciò che gli era stato riferito, inglobando quelle frasi trasponendole in un vano della sua mente, impiegato nella conservazione delle stesse per lunghi periodi, se non eterei. Lei non ne era consapevole, ma in quel momento le aveva dimostrato la colte arte della retorica, dato che, persuadendo la donna su evidenti dettagli a lei sferzanti, aveva potuto constatare una sua indecisione discorsiva celata dalle movenze dettate dall'inconscio, il quale avrebbe rimediato a tale problematica con determinati gesti. Rimase ad ascoltare quelle parole, sebbene quello scontro freddo, quasi gelido, si protraeva affinché le due diverse forme di oratoria divenissero divergenti l'una verso l'altra. Comprese l'apparente disposizione fornita dalla donna attinente allo sfruttamento dell'Ambrosia, per poi esibire un sorriso beffardo, leggermente dileggiato, al richiamo all'illustre favola da lei enunciata.

Protese la mano per afferrare la cartellina consegnategli nella quale vi erano tutti i rapporti riguardanti il corpo militare che lo avrebbe affiancato durante quella spedizione. Era restio, caratterialmente, ad un numero così elevato di Shinobi; prediligeva condurre le proprie missioni in solitaria, non avrebbe dovuto orientare la sua personale attenzione nei confronti di taluni elementi non affidabili o per lo meno non adatti nel caso vi fossero stati scontri al limite dell'empirico. Beh, quella sarebbe stata la sua prima volta. Capeggiare un gruppo, concepire una strategia che inglobasse e da cui avrebbe potuto ottenere il massimo rendimento, era un lavoro pressoché arduo e impervio. L'onniscienza su ciò che riguardavano le abilità, le tecniche, le modalità di combattimento, era essenziale ai fini dei propri scopi, affinché l'obiettivo designato, se realmente concreto, potesse soddisfare le aspettative riposte sulla sua autorità. Diede le spalle alla donna per dileguarsi dalla stanza e porre inizio ai primi step della missione, ovvero, organizzazione, retrovia, avanguardia. Con un cenno della mano destra salutò Aoki, senza elargirle alcuna smorfia del volto.

- Un Esodo adescatore, direi.

Concluse, per poi occludere la porta di ciliegio la quale aggraziò l'ambiente con lo stridio dei cardini, un annuncio di decadenza, diremmo. Nel mentre, con cadenzate ed eleganti falcate si recava al molo, ponderava. Un giorno lo definirono sognatore, uno shinobi che aveva delle visioni oniriche rispetto al proprio futuro. Era definibile sognatore solo perchè cercava qualcosa di più profondo, voleva fare propria la mera conoscenza di quel mondo, Il "sogno" è qualcosa a cui è arduo giungervi, se non attraverso un lungo peregrinare tempestato da impervi e proibitivi sentieri. In lui, il suo desiderio, gli si stava ritorcendo contro, aveva perso la fiducia nelle capacità della progenie di Kiri, ancora labile, debole. Assai nitida era la mestizia dipinta sul volto dell'Efebico, forse in quella missione avrebbe potuto rivedere i propri impulsi, forse avrebbe potuto constatare il vero impeto dei suoi compagni. La cartellina era stretta nella morsa del braccio lungo il fianco, mentre le Hiramekarei fremevano per il preludio di quel viaggio, il cui itinere era sconosciuto, le cui difficoltà non erano state ancora rilevate. Gli orecchini di cristallo indaco che portava all'orecchio, di quelli con una corta catenina prima della gemma, avevano smesso di sbatacchiare sulle sue guance, abbandonandosi a quella gradevole corrente di brezza estiva. Il mondo gli scorreva ai lati del viso, così come gli odori, i rumori. Gli astanti che si riversavano lungo le vie anguste di Kiri, quelle pietre che in sé nascondevano i segreti più orripilanti dell'intera storia conosciuta. Estrema fermezza e totale assenza d’incertezza erano fieramente dipinte sul volto di Hayate. Dopo l'iniziale e giustificata mancanza di fiducia verso un Mizukage ancora inerme di fronte agli avvenimenti, il Spadaccino era giunto ad una proverbiale pace dei sensi.

Giunse al porto, ma era già consapevole che lo scarico dei viveri e degli armamenti sull'imbarcazione denominata "Kraken" avrebbe richiesto del tempo. Avrebbe sostato nella propria dimora in attesa che tutto fosse pronto per intraprendere quel viaggio così entusiasmante. Un'altra notte era iniziata. Un'altra notte in cui l’astro lunare era come un compagno, un'amicizia che non aveva mai avuto e di certo non poteva non concedergliela, intenta a vegliare sui ninja di Kiri, ormai confortati dal ritorno della Nebbia, ed esaltati dal ritorno delle Spade. Con il suono delicato della notte, accompagnava il sonno di coloro che si erano abbandonati alle braccia di Morfeo, sperando di poterli traghettare verso un luogo dove avrebbero riposato in pace, seppur effimera, interrotta dal risveglio mattutino ed alla ripresa di una vita faticosa, di sofferenze e stenti. Un nuovo dì si palesò nelle lande madide di Kiri, irradiando di una flebile luce l'intera costiera. Indossò gli abiti da Chunin conseguiti al termine della missione contro la progenie di Watashi e indirizzò nuovamente il proprio cammino verso il luogo di partenza, ove si sarebbe dovuto incontrare con la compagnia dell'Ambrosia. - Lord Of The Ring Style.

I troppi punti ciechi lo infastidivano data la sua abitudine di analizzare ogni singolo elemento per creare la migliore strategia ottimizzando i vantaggi e minimizzando i rischi. Il volto freddo e intangibile del giovane osservava il caos della baia, nel suo andirivieni di imbarcazioni dal molo. I sandali ammantati sul sentiero frivolo pazientavano l'arrivo dei dieci shinobi che gli erano stati affiancati, in un interminabile movimento per smaltire l'adrenalina del momento. L'occhio della volta celeste iniziò a divenire carminio, con delle sfumature cremisi. Gli occhi divennero fessure. Il carminio durò alcuni istanti poi si sostituì all'oro passando per una tonalità dell'arancione brillante; abbastanza risplendente per abbagliargli lo sguardo. E poi... Poi lo vide ed in tale momento poté sentirsi simile ad Apollo. Uno sciocco Apollo nel suo caso. Ritornò nella più tride realtà, colto dalla voglia di mettersi in viaggio fino a quel villaggio denominato "Isola Celata". Durante la notte, dopo agli sporadici ed effimeri momenti di quiete, aveva potuto analizzare ogni scheda appartenente ad uno dei dieci, catalogandoli nel migliore dei modi. Giunsero uno dopo l'altro, e poté avere un primo contatto visivo con ognuno di loro: Aina, Arashi, Chika, Meiji, Emi, Etsuo, Fukiko, Fuyuki, Hanae ed Hiroito. Un bilanciamento che verteva sulla parità dei sessi, ma ciò non avrebbe turbato molto Hayate. Il mare, una vasta e infinita landa di acqua salina e altri minerali disciolti in essa, circondava quel piccolo e patetico mondo. Le onde, non molto grandi, si muovevano velocemente e rumorosamente e quando si scontravano tra di loro o contro alcuni scogli neri si infrangevano creando meravigliosi spettacoli fatti di lacrime d'acqua pura e schizzi di schiuma bianca. Nell'aria volteggiava elegante, come se stesse danzando, mentre una brezza leggera con il suo dolce suono contornava l'ambiente surreale che si era creato.

- Salve a tutti, come ben saprete io sono Hayate Kobayashi e sarò colui che prenderà le decisioni durante questa missione, la quale verte sul significativo e necessario ritrovamento di un materiale pressoché importante per il Villaggio. Scusate, ma questa prefazione è dovuta ad eventuali fraintendimenti. Primo, nessuno dovrà abbandonare questa causa se ci saranno eventuali morti. Due, tutti voi sottosterete al mio comando, che nessuno faccia di testa propria. Tre, cercate di non morire. Quattro, dimostratemi di cosa siete capaci. Non voglio deboli, non voglio persone non affidabili. Voi dovete essere il prolungamento dei miei arti, della mia mente. Mi dovrete essere leali, fedeli. Poniamo celermente fine a questa missione, per noi e per Kiri.

Concluse il discorso delll'Artefice, enfatizzando prevalentemente sui punti enunciati. Poi, per ovviare al problema del folto gruppo, decise di porre come vice un ninja degno del proprio passato, il cui legame con la propria terra natia era stato indissolubile e fedele.

- Tu, Fuyuki, farai da mio vice. Per il resto, possiamo anche salpare.

Disse, liberando delle bende le Hiramekarei che ora splendevano al salutar della nebbia. Quell'affettuosa madre che in quel momento elargiva ai partenti un discorso di commiato, divenendo più densa agli occhi dell'Artefice. Consegnò al capitano della nave le informazioni ricevute sulla via da perseguire per giungere all'Isola celata. Attanagliato nella morsa stretta il suo cuore giaceva palpitante in quel che era il petto appropriando a quell'attesa il record per gli spasmi respiratori avuti. Negli ultimi riflessi che anticipano il nascere delle tenebre, un sogno può divenire paurosamente reale. Il sogno è specchio di desideri, di ricordi e delle coscienze dannate. si mostrano in sogni angosciosi le paure e le passioni, e Hayate non ne fa eccezione. Era calato il buio, ormai, e nello sciabordare di quelle onde vi riconobbe l'angoscia e la densità del petrolio. Non v'era spuma, in quell'acqua. Come d'uno strano elemento, ogni flutto si congiungeva con un gemello senza alcuna fatica. Il mare intero, in quelle ore tarde, sembrava fatto in sé di buio, di tenebra liquida. Lesto e quieto fu il viaggio sull'inesorabile onda notturna, che lieta e dormiente aveva accompagnato la compagine in quella mansione. Adagiato sul manto ligneo dell'assito navale ponderava, scrutando la sconfinata volta celeste. Il tempo aveva reso vano il tepore solare, ora l'astro notturno troneggiava nella volta, illuminando il viaggio del giovane Artefice. Tenue era il chiarore della luna e delle stelle ammantate.

Un nuovo giorno fece la propria comparsa, mentre l'equipaggio lavorava costantemente per giungere celermente alla meta designata e gli Shinobi di Kiri sorvegliavano i punti focali della nave, ovvero poppa e prua. Continuava a revisionare quelle schede, cercando di focalizzare ogni dettaglio e trovandone altri che ad una prima lettura gli potevano essere sfuggiti. Mancava ancora molto e Hayate ne era consapevole, sperava solamente che quella convivenza forzata con la sua spedizione non potessero prendere pieghe negative.



 
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± Maou ±
view post Posted on 2/6/2014, 23:07     +1   -1




I marinai si stavano muovendo dalla parte a l'altro dello scafo, svolgendo i loro compiti. Gli shinobi invece si occupavano della manutenzione dei loro attrezzi da “lavoro” o, in casi eccezionali, parlavano con lo stesso Capitano o con l'equipaggio. I mozzi, come ogni mattina, con lo scopettone si davano da fare a pulire la nave. Lo scafo era parecchio affollato quindi per loro il lavoro era sempre continuo e estenuante. Tra tutta quella marmaglia si ergevano due figure di spicco, in primis il Capitano. Signore molto anziano, sulla settantina, ma dai riflessi di un diciottenne. Era alto un metro e settanta ma essendo sempre piegato sul suo bastone da passeggio a occhio una decina di centimetri veniva prontamente consumati. Veniva chiamato “L'uovo dei miracoli”, per via del fatto che era calvo e al contempo un vero e proprio “genio” nel manovrare il timone. Indossava sempre un abito ufficiale, come se da un momento all'altro il Kage doveva manifestarsi e lui non voleva fare brutta figura. Il volto era scavato da profonde rughe e da pesanti cicatrici. Dinanzi a un occhio teneva sempre un monocolo e solo tramite questo riusciva a leggere. La seconda figura che si distingueva dalla massa era lo stesso Artefice. Due giorni erano passati, da quando erano partiti e altri due giorni sarebbero dovuti passare prima di raggiungere “L'isola che non c'è”. “L'uovo dei Miracoli” era comunque preoccupato, anche se non voleva dire il motivo delle sue ansie. Il clima, che fino a quel momento li aveva graziati, dal terzo giorno iniziò a peggiorare. Vento e Pioggia, un mix letale se ci si trovava in mare aperto. Il Quarto poi fu il peggiore.. le onde erano così alte, e forti, che a malapena la nave riusciva a restare in equilibrio e non capovolgersi. Erano però arrivati. Le preoccupazioni del vecchio Capitano presto si palesarono dinanzi gli occhi dell'Artefice. Li dove vi doveva essere l'isola vi era un banco di nebbia fittissima, che rendeva impossibile a chiunque di vedere anche solo un palmo dal naso. Ora si spiegava il motivo per cui l'isola inizialmente era conosciuta con l'appellativo: “celata”. Gli uomini iniziarono a bofonchiare, insicuri sul voler continuare un simile viaggio, persino i dieci sottoposti di Hayate iniziarono a pensare di ammutinarsi. Era ovvio anche al meno esperto dei navigatori.. entrando nella foschia il timoniere non avrebbe potuto vedere eventuali ostacoli. Il Capitano ordino di tirare giù le ancore e di ammainare le vele, così da rallentare la loro corsa verso quel muro plumbeo. Qualche minuto e la nave da guerra si fermò del tutto. Tic tic. La pioggia colpiva ancora lo scafo e il vento fischiava. Tutti si voltarono verso colui che aveva il comando: Kobayashi. Il Capitano della nave sorrise quindi aspettò, sarebbe bastato un cenno da parte dello Spadaccino e avrebbe dato l'ordine di partire. Difatti non era lui il pericolo più grande ma tutti gli altri. Se vi era un momento per convincere i suoi sottoposti e l'equipaggio a seguirlo beh era proprio quello... cosa avrebbe fatto o detto quindi?

– ok, libero arbitrio.. puoi fare e dire quello che vuoi, ovviamente deciderò io se funzionerà. A prescindere se dici al capitano di proseguire lui prosegue, quindi puoi in quel caso puoi ruolare quando entri nel banco di nebbia, a prescindere non si vede dov'è la riva.. o effettivamente dov'è l'isola. –
 
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view post Posted on 3/6/2014, 18:28     +1   -1
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Atto V



I
l tedio quotidiano attanagliava il giovane Kiriano, oramai restio alla monotonia delle giornate, sebbene in esse poteva trovare una consueta calma, quasi non accostabile alla sua terra natia. Tempi immemori erano quelli appena trascorsi, in cui aveva tralasciato le passioni, le paure, i timori, affidandosi solo alla realtà che stava vivendo. Una realtà che aveva turbato la sua vita da un momento all'altro, trasponendo i desideri in pure ambizioni designate, ormai volte verso una concretezza che lui stesso stava impugnando. Eppure, sentiva veramente di essere in grado di arginare quei limiti che gli venivano imposti? Non possedere il potere supremo, quello a cui lui ora ambiva. Il mezzo, la bramosia con cui era stato saziato, non era stata abbastanza per colmare quell'impazienza, quell'auspicio di porre Kiri ai fastosi albori che le spettavano? Le sue sembianze, nonostante l'avvento della Nebbia, erano cambiate in modo effimero, solo il tempo di smaltire lo stupore provocato e la situazione vigente sarebbe ritornata ad essere com'era. Apatica, burattini di un mondo che ormai controllava minuziosamente gli eventi che sarebbero accaduti a quel popolo, predestinati ad un futuro senza certezze. Intanto gli addetti adempivano alle proprie mansioni, svolgendo egregiamente ogni compito che gli era ormai così congeniale da ritenerlo una propria peculiarità. In quelle ore aveva potuto osservare la disciplina ferrea che erano soliti assumere i marinai, forse dovuta dall'autorità emanata dalla figura del Capitano, un uomo senile che, non esattamente in buone condizioni, sapeva coordinare eminentemente la propria forza lavoro. I suoi connotati erano comuni a chiunque avesse navigato per decenti, con le conseguenti ferite riportate di cui ne esibiva le cicatrici e un aspetto pressoché trasandato dovuto ad un esposizione ingente all'astro solare. La luce che fluiva attraverso le fronde delle plumbee nubi era novizia, originata da un sole che con prode coraggio aveva osato sovrastare l'ingerenza delle tenebre, tormentate poiché private del proprio posteggio. Tramite lo sciabordio dei barlumi, i bagliori s'infrangevano dolorosi sulla pelle efebica del giovane chunin, mentre ciò che veniva proiettato dalle sagome dei partecipanti alla missione indugiava sul pavimento ligneo creando forme contorte.

Revisionava accuratamente le schede dei Jonin - Medici che lo avevano accompagnato, tentando di scorgere, nel peggiore dei casi, qualche segnale evidente di poca affidabilità, di minore lealtà o di ostentazione dell'angoscia in momenti nefasti. Il tempo, inesorabilmente, scandiva ogni secondo di quell'esistenza effimera, fugace, continuando a tessere le proprie angherie, i propri misfatti. Quei sinistri ancora estranei agli uomini, i quali avrebbero dovuto affrontarli a tempo debito, quando il male avrebbe reciso quel filo che lo teneva rinchiuso, accantonato. Solo pochi mesi prima esso era sfociato, quella goccia era vacillata dal vaso che ne costituiva il recipiente ed aveva diffuso in tutte le lande conosciute gli esseri abietti tramutati mentalmente da una persuasione onirica. Intanto, però, la situazione andò regredendo. La contingenza climatica che li aveva accolti aveva snaturato totalmente le proprie generalità, introducendo l'equipaggio in ambiente in preda alle intemperie. Le onde iniziavano ad aumentare la propria cresta, divenendo ruggenti ed infrangendosi fragorosamente contro l'involucro di legno che proteggeva lo scafo della nave. Per il momento, però, tutto era contenibile, dato che l'imbarcazione su cui erravano era abbastanza vigorosa e ben dotata strutturalmente. Sebbene tali caratteristiche poterono tranquillizzarlo, un senso di inquietudine iniziava a turbarlo, come se qualcosa li respingesse, una forza transeunte rigettava gli ospiti dal territorio dell'Isola Celata. Quella Notte non era come le altre. Le sorti della missione dipendevano interamente dall'abilità navale del Capitano, dalla sua congenialità ad affrontare determinati frangenti rischiosi. Il volto freddo ed efebico del ragazzo osservava in tutta la sua incredulità ciò che gli si palesava dinanzi.

Il mare, estesa pacata e quiescente, era ora retta da un senso di malsana follia, rifiutando l'avvento dell'Artefice, uno degli emblemi della Kiri labile. Non era quella la linfa che madida lambiva le coste della sua terra natia, come una tutela per quella progenie, ormai assuefatta dalla sua presenza. Non vi era la frescura del giorno iniziato, carica di futilità e nitidezza nuova. Non vi era il frullare cadenzato delle ali di volatile al di sotto del cielo di zaffiri quiescenti, o il berciare terso dei marinai che si recavano nelle zone nevralgiche della nave a cui erano stati assegnati. No, Affatto.

Tutto sembrava pallido e spento.

Tacito era l'ambiente, nonostante i rumori assordanti importunavano la traversata. Stenti, Paura. Ormai si stava allontanando da quell'armatura che aveva eretto sulla propria figura, fatta solo di sangue, dolore e morte. Non sarebbe durato, diremmo, se non avesse avuto quell'incondizionata emozione e in tal caso non avrebbe potuto usufruire del coraggio nelle situazioni meno vantaggiose e combattive. Aveva ostentato troppo quel mero carattere di cui era dotato in parte, ne aveva esaltato le caratteristiche fino a sforare il limite massimo, fino a far traboccare quello stato emotivo in cui sostava durante periodi di intensi cambiamenti emozionali. La natura gli scorreva ai lati del viso, la vista, nonostante tutto, deviava il suo sguardo per ammirare le beltà di cui era dotata, un luogo così familiare, così simile a quello che aveva lasciato a Kiri per riportare l'Ambrosia nel proprio villaggio natio. Il cuore parve rincuorarsi, il vedere tale immagini lo trasportò in una realtà priva di dolore, di pensieri, di paure. Poteva paragonarlo ad un sogno, a metà tra l'onirico e l'incubo, la bellezza e la crudeltà. La prima per ciò che esso l'aveva indotto a fare, a sperare, la seconda per come, invece, si era palesato. Gli mancava quel velo protettivo, che lo faceva sentire al sicuro nonostante non fosse a casa propria, che ormai aveva rabbrividito interamente il suo corpo con le sue gelide dita e, ora, che non vi era più sentiva come un'astinenza. Quella era fittizia, non aveva alcun legame con la sua Protettrice, era nefasta, con un indole malvagia, restia ai viaggiatori. I muscoli incominciavano a risentire di quel dolore fisico, se avesse continuato così per ancora molto tempo, in caso di scontri, avrebbe perso, sicuramente. L'acido lattico che fluiva per ammortizzare i movimenti incominciò a ridursi, divenendo sempre minore. Poggiò il polso della mano destra sulla fronte per destarlo dal grondante sudore che s'era fatto strada, nonostante il tempo non ottimale.

I volti sconcertati dell'equipaggio erano, ora, riflessi nelle sue iridi diamantine. Chiuse gli occhi, uno sbattito di palpebre e ciò che ritrovò non fu quello che si augurava al loro dischiudersi. Ancora quello scenario apocalittico, ancora quella biforcazione angusta, di cui non conosceva la retta via. Sentirsi sopraffatto dalle emozioni, dalle sensazioni, da quella responsibilità che flemmaticamente ne attanagliava lo spirito, logorandolo dall'interno, inducendolo a rifugiarsi nel proprio io. C'era un ma. Lui cosa avrebbe dovuto fare? Poche volte si era trovato in situazioni del genere, ove le proprie risposte avrebbero dato un esito positivo, o no, alla missione. Un ingente peso aggravava i suoi pensieri, le congetture che elaborava per indurre gli uomini, suoi sottoposti, a credere alle sue parole, quelle che avrebbe proferito per persuaderli a sostenerlo. Le sue palpebre si socchiudevano al freddo, gli occhi umidi disegnavano i lineamenti dei volti di ogni jonin che si era posto dinanzi alla sua autorità. Le labbra un poco dischiuse, sentiva ad ogni respiro l'aria glaciale che gli riempiva la bocca e scorreva sulle screpolature della pelle, perché nel silenzio e nell'inquietudine sono le cose piccole ad attirare l'attenzione dei suoi pensieri.

Come avrebbero potuto affrontare quella nebbia? Ponderava, analizzando celermente nella propria mente tutte le informazioni acquisite durante le prime quarantotto ore. Se si fossero fermati, ancorando lì, in quella zona la nave avrebbe dovuto subire ripetutamente le angherie delle onde, la frustrazione del vento, la veemenza della pioggia. Prima o poi le assi si sarebbero deteriorate e frantumate dopo l'attacco inevitabile delle acque. Quei banchi plumbei si sarebbero potuti potrarre per giorni, settimane, e in quell'interminabile periodo i viveri sarebbero diminuiti, inducendo gli uomini all'ammutinamento. Ecco, quella idea balenò tra i suoi pensieri, come un barlume che si distanzia dal flusso, libero e svincolato dal resto. Farsi una strada, attraversandola, sebbene con un passo lento, sarebbe stata una decisione più legittima in quel caso. Ora non gli rimaneva altro che persuadere i suoi uomini, dilettandosi nell'oratoria, unica forma congeniale in quel contesto.

- Voi, Shinobi, credete di avere paura di fronte a questa nefandezza? Non è nebbia, noi ne conosciamo solamente una. Colei che ci protegge, colei che ci nasconde. Non possiamo tornare indietro, sarebbe disonorevole. Volete morire con questo peso, con quest'angoscia che non vi permette di riposare? No, io non potrei. Se accetto una missione tento ogni soluzione che mi possa concedere il suo epilogo. Siamo Shinobi di Kiri, impavidi, silenti. Abbiamo le doti, abbiamo le conoscenze, abbiamo la forza per vincere. Quindi, perché arrendersi? Perché fare queste smorfie di inquietudine, di paura? Noi siamo ninja senza paura. Ricordatelo. Se ci sono imprevisti dobbiamo valicarli, non possiamo fermarci. Volete ritornare a primeggiare sulle restanti nazioni? Ecco, allora fatemi vedere cosa siete capaci di fare. Arashi ed Emi, create delle barriere di vento che ci permettano di diradare la fitta nebbia, Capitano lei prosegua con velocità bassa e faremo in questo modo finché non saranno avvistate le lande dell'Isola Celata. Facciamolo per Kiri. Fatelo per me.

Concluse, sebbene sapesse che la sua capacità non fosse al livello di quei jonin, già il rango li distanziava quindi ciò esplicava una differenza di potere ingente, seppur non insormontabile. Avrebbero potuto anche non accettare quel discorso, denigrando la figura dell'Artefice e non ritenendola appropriata come guida. Ne era conscio, ed era quella la paura che più assillava. Sapeva che alcuni, retti dalla disperazione, potevano remargli contro, ma sperava che il primo passo verso di lui di uno dei dieci avrebbe dato il coraggio al resto dell'equipaggio di seguire quell'esempio. Era tutta una reazione a catena e lui ambiva ad esserne il preludio.




 
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± Maou ±
view post Posted on 6/6/2014, 21:09     +1   -1




La tensione di cui l'aria era pregna divorava la lucidità degli uomini a bordo dell'ammiraglia di Kiri, ora più che mai concentrata nell'ascoltare le parole dell'Artefice. Va da se che la situazione enigmatica stava rientrando e i dubbi dei partecipanti a quella particolare missione stavano lentamente rientrando. Il Capitano della nave sorrise, ordinando di prepararsi a muoversi mantenendo una velocità bassa. I due Jonin, che lo spadaccino chiamò, si misero uno a poppa e l'altro a prua e iniziarono a comporre diversi seal con le mani. Una barriera di fuuton si venne a creare: sufficiente a non avvolgere il vascello con la plumbea foschia e liberare di qualche metro la visuale, permettendo per lo meno al marinaio posto sulla cesta del'albero maestro di poter scorgere gli ostacoli più vicini. Una mossa furba, che era riuscita a fare due cose: liberare leggermente la vista e al contempo instaurare la fiducia nei confronti dei suoi sottoposti. Il viaggio così continuò, lentamente, mentre la speranza si manifestò nei cuori di tutti gli “abitanti” della “Kraken”. Tutto mutò in un attimo, la speranza divenne terrore. Il silenzio in urla e incitazioni alla guerra. Un sibilo, quindi un tremendo fragore di legno infranto. La nave vacillò, rischiando di far cadere a terra tutti coloro che non avevano capacità di ancorare i piedi a terra tramite il chakra. Sullo scafo una gigantesca voragine, dovuta a una palla di cannone. Non vi fu nemmeno il tempo di virare che altri due colpi raggiunsero l'ammiraglia. Una palla di cannone colpì l'albero maestro, spezzandolo, mentre il secondo colpì nuovamente lo scafo, formando un'altra voragine. Dalla nebbia quindi fuoriuscì un immensa nave, cui prua era a forma d'incudine. Si dirigeva a tutta velocità verso lo scafo di Kiri. Alcuni jonin tentarono di intervenire utilizzando la tecnica del Drago Acquatico ma furono contrastati da altri Draghi d'acqua creati probabilmente dagli “abitanti” dell'altra nave. BAM! La prua della nave nemica si infilò nelle viscere del “Kraken”, seguì così un vero e proprio assedio. Centinaia di nemici salirono sulla nave che ospitava l'Artefice. I nemici erano vestiti tutti di nero e in volto indossavano una maschera che aveva i tratti di un oni, l'unico che si distingueva era il capitano dell'altra nave.



Fu proprio lui a raggiungere per primo il timone del “Kraken” , usando una tecnica di smaterializzazione, decapitando così “L'uovo dei Miracoli”. Sorrise, mentre i propri uomini ingaggiavano battaglia con i marinai e i Jonin di Hayate. I Mozzi e i marinai, anche se abili guerrieri, morivano a una velocità incredibile.. come se i nemici fossero in grado di usare il chakra, e gli stessi jonin combattevamo dimostrando una certa difficoltà a gestire quell'immensa orda nemicai. La nave ormai era avvolta dalle fiamme e dalla morte... L'Artefice era nella stiva, caduto li a causa dell'albero maestro che aveva fatto crollare le tavole che gli stavano sotto i piedi... cosa avrebbe fatto ora?


– allora combattimento libero, divertiti... puoi uccidere e combattere come ti pare (libero arbitrio) i tuoi uomini stanno combattendo sulla “kraken” ma anche sulla nave nemica... ma sono palesemente in difficoltà, sia per via del numero che per la forza del nemico, e per quanto combattano pian piano vengono uccisi (compresi i Jonin)... decidi quindi che fare e come comportarti. Se vai dal capitano Nemico ti dico che questo è risalito sulla propria nave ed è praticamente al timone.. godendosi semplicemente lo spettacolo. Quello sarà l'unico png che controllerò io.. per il resto... divertiti. –
 
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view post Posted on 10/6/2014, 10:43     +1   -1
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Atto VI



I
l pulsare nella sua mente si fece più leggero, alleviava il suo pensare creandogli spasmi di tranquillità accarezzando la sua efebica pelle. L'eco del suo parlare si spense nel tenebroso cielo costante nell'essere imbrunito, illuminato dalle poche lucciole che vi si inoltravano, così maledettamente procelloso da apparire quasi caustico e utopistico nei confronti di popoli interi che sotto la sua veglia indifferente si sgozzavano e scannavano vicendevolmente senza logiche apparentemente valevoli o assennate. Tale momento era un esempio. Rimembrava la sua mera promessa, che malgrado infondata e menzognera costituiva per il suo animo un motivo di speranza, una ragione per la quale combattere, una premessa per vivere, un desiderio tanto difficile da portare a termine per colui che era chiamato ninja di Kiri. Un tacito silenzio ereditò l'antecedente colloquio tra Hayate e l'equipaggio, domando con ferrea formalità quei momenti di stasi, in cui nulla era precluso. Le immagini nella sua mente che fino a poco prima erano a cardine d'una situazione confusionaria e caotica iniziarono a riordinarsi come preda d'un eccentrico incanto. Lo sguardo del prode Spadaccino si levò al cielo per poi calare sul capitano che celere stava riassettando la nave per proseguire nella traversata.

Gli ordini vennero eseguiti, i Jonin avevano riversato nella figura Efebica la propria fiducia, divenendo asserviti alle condizioni dettate. I due provvidero ad erigere una barriera di vento in modo tale che la nebbia si fosse diradata, quell'insulso banco plumbeo che non aveva alcunché di correlabile con l'adorata Protettrice. Sollevato da quel peso logorante, ora, architettava congetture per adempiere al meglio alla missione e fornire una tipologia di sbarco soddisfacente date le condizioni nefaste del mare. Con l'unghia dell'indice si fregava la fronte corrugata, nel mentre le onde sontuose remavano con inerzia sulla stiva lignea della nave, pressoché resistente ai colpi subiti. Quei pochi metri che venivano percorsi sembravano interminabili, data la celerità della nave, modesta, e la corrente discordante che rallentava l'andatura del viaggio. Strinse l'impugnatura della Spada, l'Elsa, che stranamente fremeva, come se qualcosa stesse per accadere, difatti l'ambiente ittico era in agitazione, sebbene tutto ciò fosse celato agli occhi dell'Efebico, non conscio di quello che sarebbe accaduto di lì a poco. La speranza di proseguire senza alcuna difficoltà sembrò essere una parvenza, un velo, che si dissolse quando uno stridio sinistro colse la mente del giovane Kiriano.

Qualcosa di inaspettato, improvviso, gravò sulla coscienza di Hayate, incredulo a ciò che le sue iridi diamantine osservavano ed a cui i suoi sensi minuziosi erano orientati. All'inizio, per sua speranza, credette che quel fragore intenso fosse dovuto ad un onda pressoché veemente o a qualche asse di una nave che era transitata in quel lembo di mare tempo addietro. Ahimè, dovette affrontare una disillusione aspra, dato che era stato il preludio di un attacco da parte di un altro vascello, di cui ancora non conosceva le credenziali, malevoli o benigne. La tensione che aveva in quel momento era indescrivibile, tremava a dire il vero, non perchè avesse paura, ma era esaltato da quella situazione. Ovvero era una paura indiretta, l'unica cosa che gli facesse provare quell'"emozione" era un entusiasmo spasmodico. Ma ciò che lo distolse da quei pensieri insensati, secondo la nostra ragione, fu l'apparizione della sagoma di una nave, quindi le sue congetture erano risultate veritiere. Beh, avrebbe ingiuriato ciò che vi era ancora di quei Kami surreali, il "Kraken" stava per essere inghiottito da una preda superiore nella gerarchia, divenendo cumulo nell'araldo dell'avversario. In un istante le palpebre di Hayate si chiusero come tenaglie, evitando alla tensione infame di assalire ogni prezioso contenuto della sua mente maniaca. La pelle ribolliva, quasi macchiandosi a contatto con quel sentimento ostile. L'atmosfera che si era venuta a creare era insopportabile, quasi soffocante, l'umidità confortante abbracciava Hayate in una stretta asfissiante.

In un attimo effimero il pavimento che reggeva il suo peso non resisti all'impatto dello speronamento, nel mentre i punti nevralgici per il funzionamento della nave stavano celermente divenendo soggetti di una demolizione incondizionata da parte dei colpi di cannone. Un tonfo sinistro lo colse al suo arrivo nella stiva, sulle macerie che giacevano da poco in essa, rischiando di lacerarsi qualche parte del suo candido derma. Così non fu, difatti con uno scatto fulmineo riuscì a sfuggire al crollo della parte superiore. Udiva le urla provenire sopra il suo capo. I fragorosi incoraggiamenti degli avversari, le strazianti lamentele e agonie dei suoi uomini. Era la fine? Sarebbe stata quella la sua fine? Difficile pensare che da solo avrebbe potuto affrontare una moltitudine di uomini dotati di un potere ingente, la cui veemenza, ahimè, era celata agli occhi dell'Artefice.
Forse facendo finta di essere un altro, il peso delle responsabilità gli sarebbe scivolato più facilmente addosso. Ancora una volta un abile ed inconscia maniera per sfuggire dalle conseguenze delle proprie azioni. Aveva l'aria tesa e non era difficile leggere una sorta di paura nei suoi occhi, azzurri come il cielo. Senza che nemmeno lui sapesse il perchè, un brivido attraversò la schiena del chunin e una vago sentimento di fastidio e rabbia gli sorse nel petto, scuotendolo.

Poteva mai abbandonarli? Lasciarli al loro nefasto destino? No, non avrebbe potuto. Uno dei valori etici di Hayate era "se devo morire, allora lo farò combattendo" Però mai come questa volta era titubante. Forse perché la falce argentea avrebbe potuto mietere la sua vita? Non lo sapeva. Non sapeva di cosa sarebbe stato capace se vi fosse stata la possibilità della recisione del legame che lo teneva ancora ancorato alla vita. Chissà se a Caronte erano stati dati degli ordini ben specifici per l'Artefice. Queste, però, erano solo congetture, in quel turbinio inconscio di pensieri che balenavano nella sua mente operosa. Lasciò che la mano destra scendesse lungo il fianco, in un mero movimento, quasi inesistente, e che accarezzasse l'elsa della spada. Un tepore unico quando assaporò al tatto quella dose di piacere, o adrenalina, che gli regalava quella lamina d'acciaio che tra le proprie spire aveva assimilato la linfa di vita per eccellenza: la vita. Quella di molte persone, senza distinzione di sesso, avevano permesso a quell'arma mietitrice di trapassare i propri corpi, di reprimerli da una vita che aveva regalato loro soltanto dispiaceri. Gli uomini sono finiti, imperfetti e con questo non possono raggiungere la completezza divina. Nella sua, ora, vi era solamente un continuo apparire di immagini, risalenti a quell'evento, sembrava che quel dito andasse a rallentatore, gli occhi di Hayate erano spalancati, mai aveva avuto una paura tale, paura di morire. Era come se quelle emozioni represse nel momento in cui era caduto in uno stato catatonico stavano riaffiorando poco a poco. Le palpebre ritiratesi in un posto sicuro lasciando l'occhio nudo.

Non poteva essere più Hayate. Non doveva sapere neanche chi fosse, cosa il suo cuore bramasse. Per affrontare una delle emozioni più dicotomiche, la paura, doveva liberarsi della sua stessa anima. Vivere in simbiosi con il sadismo, l'essere impavido. Accostarsi al nulla, solo con esso avrebbe potuto dare sfoggio delle proprie doti da Spadaccino, da uomo. Probabilmente quell'insania sensazione lo aveva manovrato come un burattinaio il suo pensiero, o nel caso opposto, qualcuno, o qualcosa, aveva arrestato l'inevitabile inerzia. Seppur folle, in quel momento, rimase razionale. Ponderò sulla decisione da perseguire, risalendo alla natura primordiale dei pirati, se gli assalitori erano tali. Dalle storia narrate lungo quelle pagine ingiallite del tempo della Biblioteca, aveva potuto osservare come cardine autoritario della compagine vi era il Capitano, colui che deteneva il comando. Solo chi era in grado di sottometterlo avrebbe potuto ricevere la dedizione e l'abnegazione dei marinai. Uscire dal buco in cui era rovinosamente caduto non era ottimale, si sarebbe ritrovato nella calca degli uomini che si fronteggiavano l'un l'altro e divenendo facile preda della predominanza numerica degli avversari. Ecco, poteva recarsi sul ponte dell'altra nave disponendo come via d'uscita la cavità che si era venuta a creare dopo la collisione. Così fece, confluendo il chakra verso i piedi e camminando sulla curva del rivestimento in legno dell'imbarcazione.

Dischiuse gli occhi e ciò che si parò dinanzi al suo sguardo diamantino fu tutt'altro che una scena empirica. Osservava i suoi uomini perire ai colpi degli avversari che, madidi, torturavano le anime agonizzanti dei Kiriani. Un evidente smorfia di dolore si palesò sul viso dell'Efebico, tralasciando ogni qualsiasi pensiero ingiurioso che in quel momento proferiva nella propria mente. Una rabbia repressa logorava il suo animo, il quale stava per essere trafitto anche dall'esterno. La mente dell'Artefic sembrò infrangersi, come uno specchio caduto, con i frammenti che gli dilaniavano il capo, che tormentavano il suo corpo. Una tempesta scuoteva il suo folle animo, che sembrava lacerarglisi nel petto, alla disperata ricerca della sua compagna, del suo folle pensiero, delle sue emozioni che lo inebriavano, che rappresentavano la brutalità nascosta nel cuore del giovane. Al posto di quel calore, però, al posto di quella coscienza, non era rimasto nulla all'infuori d'un divorante vuoto, un abisso di nulla, la più terribile sensazione che animo umano potesse mai provare. Un velo di nebbia illusoria si posò sul campo da battaglia, inebriando i cuori dei Kiriani di una sensazione confortante, e divorando quei banchi plumbei non erano altro se non un dettaglio irrisorio.

Quei pochi asserviti al capitano avversario si frapposero tra di lui e il suo obiettivo. Fu ostico sconfiggerli. L'Artefice sguainò la spada tentando di deviare i fendenti avversari, molti di essi lo colpirono, seppur superficialmente, ma nel contempo, lentamente, avrebbero dilaniato e dissanguato il suo corpo, irrogandolo di un rosso cremisi, contrapposto alla purezza dello stesso. La lamina si rivoltava nel petto del suo avversario, contorcendo quei muscoli che ormai erano inermi, innocui al volere dello Spadaccino. Gli occhi diamanti erano cangianti, il sangue, ora, era il colore predominante. Tutte le sensazioni, inglobate in una parte recondita del suo animo, tentavano di riaffiorare ma quel sigillo posto era ermetico, solamente qualche evento, non di poca importanza, avrebbe potuto forzarlo, irrompendo con veemenza su quella chiusura interiore. I sandali ammantati nelle briciole, nel liquido, continuavano ad avanzare, nel mentre, alle sue spalle, i Jonin di Kiri cadevano, morivano. Ogni qual volta che uno di loro oltrepassasse la realtà terrena un colpo effimero, ma docile, percuoteva lo spirito dell'Artefice. Avrebbe posto lui fine a questo problema, così l'avrebbe definito. Nei suoi occhi vi era solamente la figura del Capitano, già grondante di sangue.

- Hey, tu. Hai paura di combattere? Affrontami.

In quell'attimo, una strana sensazione lo colse. No, non poteva essere. Eppure era cosi. La Paura.






gdroff/ Utilizzo il fiuto e il velo di nebbia, se devo mettere calcoli riferisci e io faccio, enjoy. // gdron.
 
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± Maou ±
view post Posted on 14/6/2014, 21:08     +1   -1




Sorrise, come se lo stesso Demonio gli avesse raccontato una barzelletta, e nel farlo fu diabolico. Solo quel misero gesto era in grado di gelare il sangue di chiunque non fosse stato impavido o irretire i sensi di coloro che già erano scossi o spaventati. Quel capitano, il nemico misterioso, che aveva decapitato con tanta facilità “L'uomo Fortunato” era uno dei pochi individui, sulla faccia della terra, a saper adoperare un'antica quanto temibile arte. Il Quattrocchi, infatti, dal sorriso diabolico e dai capelli corvini era capace ad utilizzare uno “stile” molto famoso a Kiri, un modo di combattere che aveva reso famosa un'intera casata. Terrore. Il Capitano del vascello nemico era in grado di incutere il terrore nel cuore del nemico, proprio come uno dei Sette Spadaccini: Il Diavolo. Com'era possibile che quel uomo possedesse tale dono? Solo chi aveva studiato gli antichi rotoli ed era divenuto detentore della Kubikiri poteva fare ciò. Eppure era così, anche se il nemico non era un soldato di Kirigakure o non impugnasse la leggendaria spada del boia. La sua figura si dissolse, divenendo da prima opaca quindi increspandosi, come un'immagine riflessa in uno specchio d'acqua appena colpito da un masso. Rumore di passi.. tum, tum, tum. Eppure dinanzi agli occhi dell'Artefice non vi era altro che il nulla. Nemmeno il suo naso sopraffino era in grado di percepire quell'odore, per via del puzzo di sangue o della cenere, oppure più semplicemente qualsiasi arte stesse usando il suo nemico aveva come effetto quello di nascondere la sua essenza. Un sibilo che seguì un fendente che si manifestò alle spalle dello spadaccino, atto a raggiungere il capo del giovane Chunin. Lo scontro così aveva avuto inizio, l'avversario era a nemmeno mezzo metro da lui. Impugnava una sciabola decorata da gemme e pietruzze. Sorrideva, divertito da ciò che stava facendo.

-Tu hai paura di me ragazzo?-

Chiese, freddamente, ma in quelle parole vi era nascosto un tono oscuro quasi provocatorio e gioioso.

– lo scontro inizia, puoi raccontare il primo scambio di colpi. Sarà un combattimento alla pari, lui non userà particolare tecniche solo affondi e sferzate, mentre per la difesa tenderà ad eludere. –
 
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view post Posted on 2/7/2014, 23:43     +1   -1
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Atto VI



R
ispondeva solamente all'inesorabile principio del piacere, indotto da una forza vitale ingente generata dalla paura. Una paura crescente, che all'avanzare del tempo, diveniva più temibile, che forniva un enfasi maggiore al duello incombente. Molteplici erano le sensazioni dell'Artefice, che si susseguivano una dopo l'altro, inebriandolo di pensieri novizi, di un inquietudine repressa ormai riaffiorata. Quello sguardo languido, che celava un oblio intenso il quale non faceva altro che inorridire l'Efebico, indegno di sostenere uno scontro del genere. Probabile, forse no, forse si. Inoltre ponderò su ciò che osservò, ovvero le movenze ed il posizionamento che il Corvino perseguì, e ne dedusse una correlazione con la sua terra natia. Come poteva essere diverso, d'altronde, un essere che fosse dotato di un carisma negativo del genere, di un comportamento alquanto subdolo che verteva ai propri fini? Non sapeva accostarne una figura che presentasse le medesime convenzioni esposte, ad un primo sguardo, dal Corvino. Però, da un certo punto di vista, egli poté denotare, attraverso sommessi frammenti nozionistici nella sua mente, come fosse abbastanza similare a quello utilizzato dal possessore della Kubikiri: Il Diavolo. Stranezza, casualità, erano le ipotesi del giovane Efebico che nulla poteva dinanzi al potere ignobile dell'ignoranza. Avrebbe affrontato l'avversario senza conoscere le avversità contro le quali si stava per scontrare, relegando l'ansia in ascesa che l'avrebbe potuto attanagliarlo.

Senza che ricevesse alcuna risposta, il Corvino si dissolse, delineandosi nell'aria rarefatta, diventando evanescente, quasi invisibile, alle iridi diamantini dell'Efebico. Tentò di colmare quella mancanza visiva servendosi dell'utilizzo dell'udito, quella olfattiva, ma nulla poté rendere nitide le immagini che dinanzi al suo sguardo si susseguivano come tante sfaccettature di uno specchio frantumato. Poi un attimo, così fugace quanto effimero, colse l'Efebico di soppiatto, ed una lamina d'acciaio stava per recidere il volto angelico dal corpo. Non seppe ben dire quanti secondi si frapposero dalla visione del fendente al riflesso celere di cui l'Artefice poté vantarsi; rapidamente serrò nel palmo della sua mano l'elsa della spada la quale fremeva per l'imminente scontro. Forse in quel momento l'intero spazio circostante diventò un tutt'uno con la mente del Kiriano, immergendosi in una sorta di panismo, includendo nel proprio io la natura. Eccolo, le Hiramekarei poste come una cinta di difesa alla base del collo di Hayate che, ora, protetto, poteva annunciare il preludio della tragedia incombente. Doveva ucciderlo, era l'unica priorità per lui, non poteva permettere che una vile e sciocca persona potesse rimembrare uno stile che non gli era degno, ben al di sotto della sua dignità. Quelle parole così trite, così irrilevanti, emisero un suono sommesso, che all'udito del giovane non sembrava essere veritiero. Hayate non si era mai prostrato dinanzi al pericolo, non aveva avuto una cagione per relegarsi e non affrontare le avversità. Certo, forse spiritualmente quelle sensazioni erano divenute contrastanti. Chi può mai affermare di non provare paura? Nessuno. Esse sono insite nell'animo degli esseri viventi, così come la Speranza, le Illusioni. Ignorarle sarebbe un comportamento infantile, ripudiarle lo sarebbe altrettanto. Quindi, cosa fare? Hayate aveva trovato un modo intangibile per rimediare a ciò: viverle ma nasconderle.

In fin dei conti la Paura poteva permettere al giovane, e quindi agli uomini, di trovare una forza inconscia, mai rivelata, destinata a riaffiorare quanto l'attaccamento alla vita era labile, quasi evanescente. Ma, digressioni a parte, l'Efebico come risposta alla frase del Corvino esibì solamente un ghigno divertito, nel mentre la Spada era inebriata dal bramoso potere del Chakra. L'ambiente surreale era uno sfondo degno per quello scontro, massimizzando la concentrazione degli spettatori sul ponte della nave avversaria, ove il destino degli uomini Kiriani sarebbe dipeso dalle capacità, ancora non rivelate interamente, dell'Efebico. La brezza marina lambiva i corpi dei duellanti, ne scompigliava i capelli offrendo un connubio di colori che, simili a bagliori, predominavano come stelle lucenti, il male ed il bene. Lesti erano gli scatti, silenti i movimenti; stridii ferrosi elargivano agli uditori una melodia straziante, per quanto astrusa essa potesse essere. Le Spade cozzavano l'una contro l'altra nel tentativo di ferirsi, di aprire uno squarcio nella difesa avversaria. Durante i repentini scambi l'Artefice poté notare una certa tendenza del Corvino ad eludere i suoi attacchi, piuttosto che pararli, e le capacità combattive di entrambi erano ad un medesimo livello. Se avessero continuato così, ovvero abbandonandosi all'inerzia, la fatica avrebbe preso il sopravvento, divenendo l'unica protagonista. Alcune ferite, però, sebbene superficiali, venivano inferte da entrambi. I vestiti, strazianti, emettevano un grido di dolore ogni qual volta venivano lacerati, come se un parte di carne venisse dilaniata dall'interno.

Hayate, però, doveva dare una svolta a quel duello. Ponderò, in quei brevi momenti di stasi, su come avesse potuto infliggere un danno maggiore al suo avversario. Eludeva, principalmente, quindi non si limitava semplicemente a deviare o parare il colpo. L'unico modo che egli conosceva, in questo caso, era quello di utilizzare prettamente il chakra in una ninjutsu, oppure, quello che più gli aggradava, era di celare nell'atto di un fendete fittizio un colpo improvviso, disarcionandosi dagli schemi consueti dello stile della Spada. E così fece. Uno scatto celere, diverso dagli altri, in esso vi era un spinta maggiore, ingente, rispetto ai precedenti. L'intenzione primaria stava per essere messa in atto, con un affondo similare, ma, nel momento in cui avrebbe eseguito il colpo, un fendente avrebbe sostituito l'intenzione originaria, auspicandosi che il Corvino potesse eludere, anticipatamente, l'avversità incombente.

- Non c'è paura nel mio animo.







 
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view post Posted on 8/8/2014, 14:16     +1   -1
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Paura?

Sembrò quasi sorridere a quelle parole. Un sorriso così particolare e strano che sembrava quasi dolce. Così come il colpo...ah dolce nettare. Dolce ambrosia che dava piacere...il piacere della battaglia.
Daltronde vi era un divertimento maggiore di quello? Cosa vi era di più dolce? Persino il sangue era come una calda bevanda che dava ristoro, persino il suo profumo era inebriante...persino la spada di hayate era sensuale, maligna, perfetta nel suo filo e nella tempratura.
Era un orgasmo!

Persino il proprio dolore...perchè dava forza, dava energia, dava nuova linfa. La paura era qualcosa che si poteva controllare, che si poteva far propria e tutti avevano paura. persino nella battaglia il colpo migliore non era mai portato senza la paura di esser colpiti e uccisi: infatti la paura creava l'apertura perfetta per uccidere.
Ma perchè fermarsi qui? perchè? Poteva essere idvertente e inebriante.

Il sangue sgorgava dalla ferita facendo credere ad hayate che Kiri avesse vinto, che la sua lama fosse riuscita nell'intento ferale...sbagliato!

Oh...un buon colpo ma come sempre portato con la paura...

Il tuo animo non ne ha? Il solito sbarbatello. La paura tu la provi sempre, anche adesso.


La nebbia si faceva sempre più fitta e un hakra si spandeva nell'aria, abbracciando ogni cosa.

x7h7eBl




Tu hai paura...se non ne avessi saresti morto. Per cui se sei morto perchè combatti? I morti non hanno cause. Tu si? Per cui sei vivo? Vivo e senza paura?

Vuoi prendere in giro te stesso dicendoti questa cazzata? Bravo bel bimbo...bravo...


La nebbia sempre più fitta, quelle parole dapertutto, intorno a lui, dentro di lui, il freddo acciaio che si puntò prima sulla guancia destraa, poi sul fianco, infine lo vide davanti a sè.
Un illusione? La nebbia sembrava celare mille spade...quelle parole sembravano ferirlo e aprire squarci sul suo corpo. Nulla di tutto questo però...irreale?

Cominciava a far freddo...

CITAZIONE
Ricominciamo! Fai come ti pare, massima libertà ;)
 
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28 replies since 27/5/2014, 12:02   655 views
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