| Una risata delicata uscì dalle labbra della donna, simile al lieve cinguettio di un uccello, tanto il suo suono era limpido, mentre, con espressione amorevole, continuava a scrutare il ragazzo che, imbarazzato per la sua nudità, si era prostrato ai suoi piedi.
Non temere, figlio... Sono secoli, ormai... che non mostro il mio vero aspetto... e l'essere uomo o donna... non mi è di alcuna importanza...
La voce le uscì leggermente rauca, come se fosse da molto tempo che non usufruiva delle sue corde vocali. Eppure, nonostante la tonalità era leggermente arrocchiata, dava una sensazione di calore che scendeva fino al cuore. E con sguardo amorevole, con quei suoi occhi verdi, fulgidi d'amore, continuò ad osservare il ragazzo, scrutando fin dentro il suo animo, vedendo ciò che attanagliava il suo cuore e che la sua voce stava dando forma. Comprendeva i dubbi del ragazzo, e, in qualche modo, il giovane seppe che quegli stessi dubbi erano condivisi da quella figura divina che, lentamente, si faceva spazio tra le radici, riuscendo a liberare le mani pallide affusolate. Una di queste si posò sul capo del giovane in una carezza affettuosa, i lunghi capelli rosa, tenui come il colore delle foglie di quell'albero, che ricadevano sul terreno, rievocando nuovamente il pensiero al salice piangente. Tanto aveva da raccontare, quella donna, e sapeva che il suo racconto avrebbe potuto far gettare ancora più ombre nel cuore del giovane, ma la verità andava cercata, trovata e, solo coi più meritevoli, condivisa.
Perdona... se ho difficoltà... a comunicare... nella vostra lingua... Per tanto tempo sono rimasta ad osservare... ascoltare... e parlare, adesso, mi risulta così strano e difficoltoso...
Un sorriso divertito illuminò il viso, mentre la figura, che ora era avviluppata all'albero solo per qualche radice che le cingeva in parte i fianchi e le gambe, si andava ad inginocchiare difronte a Tatsumaru, così da potergli parlare occhi negli occhi, l'uno accanto all'altro, come se fossero due vecchi amici che si ritrovano a contemplare la fioritura dei ciliegi.
Sono secoli, ormai... che l'antica lingua è andata perduta... Colpa dell'uomo, che ha iniziato a diventare sordo alla voce della Madre Terra... ma c'è speranza... speranza per riuscire a risentire... l'antica voce...
Lo sguardo della donna si fece velato di una leggera tristezza, che per n attimo ne offuscò la bellezza eterea, conferendole un'aurea di cordoglio che stringeva il cuore in una morsa d'acciaio.
La tua stirpe, così come la mia, era in grado di sentire la voce della Terra. Millenni fa vivevamo a stretto contatto con la natura, in completa simbiosi con essa. Vivevamo negli alberi, nei fiori, in qualsiasi cosa la Madre ci offrisse, e la contemplavamo, ascoltandone la voce, seguendone i consigli. Un giorno, però, arrivò l'uomo.... Era una creatura si simile a noi, eppure non riusciva a sentire la voce della Madre, perché superbo e altezzoso. Borioso di se, credeva che ciò che la Madre offriva tanto gentilmente, appartenesse a lui di diritto... E' stato allora che la nostra gente decise di insegnar loro ad amare e rispettare la Madre Terra, che ci ha creato, accudito, cresciuto nel suo grembo fecondo. Alcuni di noi riuscirono nell'intento, condividendo i nostri saperi con l'uomo, con coloro che mostravano di possedere lo stesso amore per la Natura che alimentava il nostro cuore. C'erano uomini, però, che non la pensavano allo stesso modo, che continuavano a persistere sull'idea che tutto gli fosse dovuto, che doveva essere la Natura a piegarsi ai loro desideri. Fu grande battaglia, e sangue e fuoco diramarono su queste lande. La mia gente non era preparata alla guerra, ai combattimenti. Da sempre vivevamo nel rispetto dell'armonia tra gli esseri viventi, ci era inconcepibile, completamente abominevole, tentare anche solo minimamente di far del male ad un'altra creatura nata dal ventre della Madre, eppure gli uomini non si fecero alcuno scrupolo. Abbatterono gli alberi per costruire i loro ripari, nonostante avessimo insegnato loro come fosse possibile vivere insieme alla natura; bruciarono intere foreste, solo per avere più spazio a loro disposizione, o anche solo per riuscire a stanarci, perché invadevamo i loro spazi. Mai ho compreso questo loro atroce egoismo...
Calde lacrime iniziarono ad imperlare gli occhi della donna, al ricordo dei dolori passati per colpa dell'egoismo e della avidità degli uomini.
La mia gente non poté fare altro che nascondersi, fuggire in cerca di riparo. La Madre Terra, in più di un'occasione, venne in nostro soccorso, ma quegli uomini avevano imparato a manipolare la natura a loro volere. Mostri abominevoli! Come potevano costringere ciò che è spontaneo a seguire i loro desideri? E fu così che i nostri animi iniziarono a diventare torbidi. Per la prima volta, provammo rabbia, odio per gli esseri viventi, eppure non tutti gli uomini si erano mostrati tanto malvagi. Coloro che avevano deciso di seguire i nostri insegnamenti ci aiutarono, ci protessero. Alcuni di loro persero la vita, per salvarci, ma non bastò. Il nostro spirito vive in simbiosi con la natura e se questa muore, anche la mia gente, inesorabilmente, muore... E furono proprio gli uomini, che noi tanto odiavamo, a darci una soluzione, un modo per riuscire a sopravvivere in qualche modo. Fu così che la nostra gente iniziò ad unirsi con quei pochi uomini che seguivano l'amore che condividevamo per la natura. E mentre la mia razza si assottigliava, nasceva un ibrido, uomini in grado di manipolare la natura senza però sovrastarla, senza darle imposizioni maligne, uomini che, come noi, continuavano a sentire al voce della Madre, a parlare la nostra lingua, la lingua antica... I primi Senju, erano. Gli avi di cui tu porti il nome.
Tra le lacrime, apparve un sorriso malinconico, mentre accarezzava amorevole il viso di Tatsumaru, quasi come se, nei suoi lineamenti, rivedesse il passato. E, mentre la donna parlava, il giovane quasi poteva rivedere, riflesso nei suoi occhi smeraldini, ciò che la donna raccontava. Vide un mondo in cui la natura cresceva incontrollata, libera da ogni genere di restrizione, ed esili creature, simili all'uomo eppure così diverse, vivere negli alberi, nelle rocce, nell'acqua, in qualsiasi cosa prendesse vita dalla Madre Terra. Erano creature di incommensurabile bellezza: eteree, vagamente androgino, più simili a ninfe che a uomini, eppure di questi ultimi avevano le fattezze. E vide gli uomini, rudi e grezzi, a loro confronto. Vide come le ninfe dei boschi cercassero di avvicinare l'uomo alle loro usanze, a vivere secondo la voce della Madre, secondo l'amore. E vide l'ottusezza di alcuni di loro, vide la loro sfacciataggine, vide il loro scempio: boschi in fiamme, alberi abbattuti per il semplice gusto di farlo, e loro, quelle splendide creature venire brutalizzate e poi uccise, usate come semplice divertimento e sollazzo. Eppure, in questa visione d'orrore, vide che vi erano uomini che avevano combattuto contro questi soprusi, contro questi abomini, e un neonato, stretto tra le braccia di una donna, affiancata da una delle ninfe. Il primo ibrido. Il primo Senju.
Gli anni passarono inesorabili, mentre il numero della mia gente iniziava ad assottigliarsi. Diventammo troppo pochi, mentre l'uomo continuava a sopprimerci come bestie, i Senju, i nostri figli, nostra unica protezione. Il nostro numero divenne talmente esiguo che decidemmo, per sopravvivere, di incarnarci direttamente negli alberi che tanto amavamo, unirci completamente alla natura. Alcuni si allontanarono dalle foreste, unendosi al mare, altri si unirono alla terra e alla sabbia, altri alle montagne e ai fulmini, mentre io...
Ed ecco che la vide. Una ninfa leggiadra, esile, coi lunghi capelli rosa ad incorniciare un viso radioso, eppure pieno di tristezza, mentre era china su un piccolo germoglio, di cui accarezzava amorevole le prime foglie. Dietro di lei un uomo le cingeva le spalle con le sue braccia forti, lo sguardo azzurro carico di una tristezza quasi comparabile a quella della donna. Fu con un tuffo al cuore che il giovane Tatsumaru riconobbe quello sguardo: lo vedeva ogni giorno riflesso nello specchio. Non mi lasciare, te ne prego... Deve esserci un'altra soluzione. La donna sorrise malinconica, accarezzando il viso dell'uomo con lo stesso amore con cui aveva accarezzato il germoglio. Non temere. Io non ti lascerò, sarò sempre al tuo fianco, nella natura che ti circonda, e nel tuo cuore. Posò delicata una mano sul petto dell'uomo, all'altezza del cuore. L'ombra delle lacrime si delineò su quei suoi occhi azzurri, mentre la figura della ninfa iniziava a diventare sempre più evanescente. Ti ho insegnato ad ascoltare, e nella voce della Madre sentirai anche la mia, quindi non dimenticare... Non dimenticare... Un ultimo bacio sulla guancia dell'uomo, e la donna svanì, la sua tenue luce verde che, fluttuando leggera e polverosa, andò ad avvolgere il piccolo germoglio. E quell'uomo, da allora, se ne prese cura, proteggendolo e aiutandolo a crescere. Dopo di lui suoi figlio, e i figli dei suoi figli, continuavano a prendersi cura di quello che, col trascorrere degli anni, divenne un grande albero, forte, robusto e rigoglioso. L'Albero sacro al suo clan.
Col passare delle generazioni, però, iniziarono a dimenticare... Sentivano la voce della Madre, eppure non riuscivano a comprenderla, dimentichi della lingua antica... Forse per via della nostra scomparsa, forse perché non avevamo insegnato bene, eppure continuarono a seguire i nostri amorevoli insegnamenti, compensando la mancanza linguistica coi loro gesti, con le loro azioni. E io ho osservato, ho continuato a farlo per tutte queste decine, centinaia, migliaia di anni. Ho visto l'orrore delle guerre susseguirsi l'uno dopo l'altro. Il mio cuore piangeva nel vedere come lo scempio verso il mondo si ripetesse, come la bestialità dell'uomo si riversasse anche sui suoi simili. Osservavo dolorante e speravo. Speravo con tutto il cuore che tutto questo avesse fine, che la pace tornasse a regnare nel mondo e nel cuore degli uomini. E ora, quest'ultima piaga, Watashi...
La donna rabbrividì leggermente, stringendosi le mani, quasi non tollerasse ricordare, gli occhi che si chiusero istintivamente, mentre rabbrividiva, evitando così al giovane Senju di vedere altro orrore.
Non potevo più tollerarlo. Dovevo fare qualcosa, avvertire qualcuno!
E gli occhi si aprirono nuovamente, le mani che si andarono a stringere alle sue.
Perché so che la speranza non è perduta.
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