Continuò a guardare Misato con aria preoccupata, mentre lo sguardo della ragazza si faceva sempre più vuoto con il passare dei minuti.
Mentre la vecchia tornava a nascondere il suo volto tra le braccia senza dire una parola, diverse lacrime cominciarono a rigare il viso della kunoichi e il timore e lo sconforto lo assalirono, anticipando di gran lunga la risposta della sua compagna.
Quando questa arrivò, ebbe la netta sensazione di essere terribilmente fuori luogo.
Avrebbe dovuto lasciare immediatamente la stanza, tornarsene a casa e lasciare alle due un po' di privacy: si sentì una specie di imbucato, un estraneo che aveva partecipato all'immenso dolore dell'ennesima famiglia calpestata e maltrattata dalla guerra.
Ma non poteva andarsene in quel momento, non dopo aver visto Misato crollare a terra, piangendo disperatamente.
"Merda...Ma com'è possibile? Perché non possiamo avere neanche un giorno di pace? Perché non può passare un giorno senza che la vita ci porti via qualcuno a cui teniamo?"
Vedendo il dolore della ragazza, involontariamente Arashi cominciò a ricordare il giorno in cui aveva perso sua nonna: ricordò il suo, di dolore, ricordò come questo avesse distrutto il suo mondo.
Così, rimase immobile a fissare il vuoto per diversi secondi e si riscosse solamente quando l'anziana si rivolse a lui, invitandolo a portare Misato via da lì.
Non se lo fece ripetere due volte.
Arashi: "Sì, andiamo...Io...Mi dispiace."
Non riuscì a dire nient'altro alla vecchia: già lui non era molto bravo con le parole, figuriamoci poi in circostanze come quella. Quindi prese Misato per mano, quella che era ancora libera e non stringeva il foglio che aveva strappato alla nonna, e la condusse di nuovo per il corridoio, verso l'uscita dell'abitazione.
Fuori il sole splendeva ancora, ma a lui sembrava che all'improvviso la luce fosse diminuita, come se la notizia di poco fa l'avesse oscurato.
"E ora...?"
Prese a camminare lentamente, mentre il suo cervello galoppava alla velocità della luce. Aveva agito troppo impulsivamente: non conosceva il villaggio e non sapeva dove andare, ma ora questo contava poco.
Quel che contava era che era lì con Misato che si reggeva a malapena sulle sue gambe, il volto ancora rigato dalle lacrime e l'espressione smarrita nel vuoto.
E cosa poteva fare lui? Odiava vederla così, ma veramente non sapeva cosa dire. Sapeva cosa si provava, sapeva cosa voleva dire subire una perdita del genere.
Arashi: "Sai..."
Cominciò a parlare mentre, stringendo forte la mano della ragazza, continuava a trascinarla per le vie deserte di Suna.
Era vero, lui c'era già passato e proprio per questo, forse, la sua esperienza poteva aiutarla.
Arashi: "Qualche anno fa, quand'ero piccolo, morì mia nonna...La stessa a cui apparteneva questa sciarpa."
Fece una pausa, sentendosi inspiegabilmente in imbarazzo perché, nonostante non fosse sicuro che la ragazza lo stesse ascoltando, non aveva mai raccontato quella storia a nessuno.
Arashi: "Lei era importante per me. Non era solo mia nonna, lei era...Era di più. Era la persona che fino a quel momento aveva dato un senso al mio mondo e alla mia esistenza."
Fece sprofondare il viso nella lunga sciarpa rossa, nonostante il caldo.
Il solo ricordo di quanto aveva sofferto in quei giorni gli faceva venire la nausea, ma continuò lo stesso.
Arashi: "Il punto è...Quando lei morì, rimasi chiuso nella mia camera per tre giorni e quattro notti. Non volevo vedere nessuno, non volevo più uscire, non riuscivo nemmeno a piangere, non so perché. Pensavo che senza di lei il mondo non avesse più senso, che non avesse più senso studiare per quella stupida accademia, mangiare, dormire, vivere...Non è stato bello."
Ancora una pausa. Si sentiva uno stupido a raccontare quella cosa, ma se c'era anche solo un briciolo di possibilità che questo potesse far sentire meglio Misato, allora doveva farlo.
Arashi: "La mattina del quarto giorno, finalmente entrò mia madre in camera. Mi tirò uno schiaffo che ancora mi fa male, poi senza dire niente mi mise al collo questa sciarpa. Mi disse che nonna aveva lasciato scritto di darmela, nel caso in cui fosse...Beh, se ne fosse andata. Poi mi disse anche che se mi avesse visto così, in quelle condizioni, probabilmente mi avrebbe tirato anche lei uno schiaffo, e aveva ragione.
Mi disse che non potevo continuare così, che nonna non l'avrebbe voluto, che dovevo imparare a convivere con quel dolore e andare avanti."
Si fermò giunto all'ennesimo incrocio con una delle tante vie di Suna: aveva parlato così tanto che gli era quasi venuto il fiatone.
Arashi: "A me è successo questo. Convivendo con il dolore, giorno dopo giorno ho imparato a sopportarlo. Bada bene, non è che è diminuito, anzi. Chi ti dice il contrario, dice una cazzata: quando perdi una persona importante il dolore non può diminuire o scomparire, è impossibile. Però tu puoi diventare più forte, puoi alleviarlo: se ci sono riuscito io, puoi farcela anche tu!"
Abbassò lo sguardo davanti a lui. Non sapeva se lei lo stesse ascoltando, ma strinse la mano della ragazza un po' più forte.
Arashi: "Io ce l'ho fatta grazie alle persone che mi sono state vicino, persone come mia madre, mia sorella...Persone come te, che mi hanno dato un motivo per andare avanti. Per questo se posso aiutarti in qualche modo, lo farò. Non voglio vederti piangere. Io ci sono, tua nonna c'è e ti vogliamo bene, non sai nemmeno quanto..."
Si bloccò, incerto. Forse aveva detto troppo. Forse Misato lo avrebbe picchiato per essersi intromesso in qualcosa che non lo riguardava.
Però, lui davvero non poteva lasciare che quella ragazza, a cui teneva tanto, venisse divorata da quel dolore che lui conosceva bene.
Così rimase lì, immobile, stringendo la sua mano e voltandosi verso di lei sorridendo: il suo mondo non finiva lì, con la perdita di suo padre, e lei doveva capirlo.