| *Fino a pochi istanti prima, un caldo tepore lo aveva avvolto, facendo riposare le sue stanche membra, rilassare la sua mente, calmare il suo animo. La stanchezza, i brividi, le visioni, ogni cosa era svanita, lasciando la sua mente lucida, i suoi pensieri chiari, i suoi muscoli riposati. Ma, da diversi istanti, un gelo pungente, penetrante, gli sfiorava la pelle, facendolo rabbrividire visibilmente. Era immobile lungo il corridoio, come la notte precedente, lo sguardo ancora fisso sulle sagome dei monti, che, nella splendida luce mattutina, si stagliavano in tutta la loro possenza. Gli occhi si mossero, lenti, seguendo le linee frastagliate, gli speroni e i crepacci, fermandosi talvolta ad osservare l'argenteo scintillio di un fiume, che non appariva più che una sottile linea da quella distanza. Fece salire lo sguardo, incrociando per qualche secondo il disco luminoso del sole e passando poi da una nuvola all'altra, seguendo il loro lento, continuo movimento nel cielo. Era una splendida giornata, in cui l'azzurro era interrotto solamente, qua e là, da alcuni ciuffi bianchi, candidi come mai prima d'allora.
Un naturale sorriso sorse sul viso di Ryushi, mentre anche la Samehada, per una, rara volta, fremeva rilassata. Una folata di vento improvvisa fece rabbrividire il giovane, che si strinse ancor di più nell'ampio cappotto che gli era stato dato, cercando di scaldarsi un qualche modo. Il vento si alzò ancora, più forte di prima, e un nuovo brivido colse lo shinobi. L'intera situazione, il presentarsi nudi, solamente con le proprie armi, in un tempio sconosciuto, gli sembrava ridicola. Si sentiva vulnerabile, esposto e, in una certa misura, anche imbarazzato. Non riusciva a comprendere come un simile rituale potesse soddisfare gli dei, ma già dalla conversazione avuta con la Raikage la notte precedente aveva intravisto l'enorme, incolmabile distanza che sorgeva fra i due Villaggi, fra due stili, modi di concepire la vita completamente diversi, quasi antitetici. Ripensò a ciò che Shiroko gli aveva detto, alla fratellanza fra gli uomini, al combattere per amore, e sorrise. Ne era consapevole, non sarebbe mai riuscito a comprendere i sentimenti che spingevano gli stranieri a ragionare in quel modo, a vivere nelle menzogne pur sapendo che erano tali. Eppure, era ospite in quel Villaggio, in qualità di capo di Kiri, e di certo non avrebbe infranto delle tradizioni, rischiando di offendere la Raikage. O gli dei.
Ancora una volta, sorrise a quel pensiero. Perchè mai a degli esseri immortali, sommi e perfetti sarebbe dovuto importare se fossero andati nudi o meno? Anzi, perchè mai si sarebbero dovuti interessare alle vite dei mortali, misere formiche al loro confronto? Se anche gli dei esistevano, non era nè da venerare, nè da temere: non si interessavano alle vicende degli uomini, a ciò che accadeva nel mondo. Si limitavano a rimanere immobili, ad osservare, ad aspettare qualcosa che non sarebbe mai accaduto. Il sorriso si allargò, mentre si chiedeva come si potesse credere a simili sciocchezze, senza preoccuparsi di ciò che la vita era realmente, dell'orrore che permeava ogni aspetto del mondo, anche il più piccolo. Una nuova folata, l'ennesimo brivido. Il sorriso gli scomparve dal volto e lo Spadaccino sbadigliò, tirandosi, tendendo le braccai verso il cielo. S'allungò sempre più, fino quando non sentì il massimo sforzo dei muscoli. Gli sembrava di potersi alzare ancora, di poter arrivare a sfiorare il cielo, cercando il tepore del sole, dei suoi caldi raggi. Tornò a distendersi, riportando le braccia lungo i fianchi e sbadigliando nuovamente.
Rimase immobile ancora per qualche secondo, riprendendo ad osservare quel panorama, che lo affascinava. Seguire i contorni delle montagne, che si stagliavano nel cielo, osservare le verdi vallate fra una parete rocciosa e l'altra, i fiumi che scorrevano silenziosi e meravigliosi, sentire i versi degli uccelli alti nel cielo lo rilassava. Poi, tutto venne interrotto. Una voce, limpida, che riempiva l'aria ed esortava i suoi fratelli a radunarsi, a partire, lo riscosse dal suo torpore. La Samehada fremette, impaziente, preoccupata, in un certo modo divertita, sembrò addirittura a Ryushi. Il ragazzo si stiracchiò ancora una volta e poi prese ad avanzare, i piedi nudi sulla soffice erba, che talvolta lo solleticava, facendolo sorridere involontariamente. Gli sembrava quasi impossibile che, fino al giorno prima, la sua mente fosse distrutta, il suo corpo provato, che le allucinazioni lo tormentassero senza pietà. Ripensò alla ragazza che vi aveva visto, al campo di battaglia, al corpo sulle sue spalle. A sè stesso. E rabbrividì. Sentiva come della verità in fondo a quella follia, ma non riusciva a capire perchè, o in cosa consistesse. Eppure, ogni volta che ci pensava, il suo cuore accelerava all'improvviso i battiti, il suo corpo tremava, la sua stessa compagna fremeva, infastidita. Scosse la testa, svoltando l'angolo della casa e trovandosi dinanzi la Raikage, che gli sorrise gentilmente. Fu quasi faticoso per il chunin ricambiare quel semplice gesto cortese, sorridere a sua volta, augurando il buongiorno a Shiroko. Sapeva quanto i suoi sentimenti fossero falsi quando lui si avvicinava, quanto fosse infastidita dalla Samehada, quanto temesse quell'arma. Ma il Mizukage non riusciva a capacitarsi di come una ninja tanto potente potesse provare paura dinanzi a lui, o di come potesse essere ancora così ingenuo, credendo negli dei, nell'amore del mondo, nell'utopica fratellanza di tutti gli uomini.
Eppure, infine riuscì a sorridere, cercando di essere gentile e rispettoso insieme, cercando di dimenticare i tormenti che aveva ancora nell'animo. Rimase immobile, a pochi metri dalla Raikage, attendendo gli altri rappresentanti dei Villaggi, col vento che lo faceva rabbrividire e l'erba che gli carezzava i piedi.*
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