| *I suoi passi risuonavano lugubri, lenti rintocchi che riverberavano fra le pareti di legno. Al minimo guizzo delle torce, lunghe ombre si proiettavano lungo i muri, distorcendo la realtà. Un leggero vento le faceva talvolta muovere e l'intero creato sembrava oscillare seguendo quel ritmo. Più volte Ryushi si voltò, certo che qualcuno lo stesse seguendo. Ad attenderlo, però, vi erano solo fitte ombre, che fuggivano non appena la flebile luce le sfiorava. Rabbrividì, mentre l'aria si faceva più gelida, ed alzò lo sguardo al cielo, oltre le scure cime dei monti, che si stagliavano anche in una notte oscura come quella, giganti onnipresenti a Kumo. Cercò la luna, ma un fitto strato di nuvole, che si muovevano lente e silenziose, non gli faceva vedere che qualche rara stella, la cui fredda e distante luce non era sufficiente per illuminare nulla. Ancora una volta rabbrividì, accelerando il passo. Il sole era tramontato ormai da diverse ore e il fitto manto di tenebre aveva avvolto il Villaggio, cercando di dare agli abitanti il loro agognato riposo. Più di ogni altra cosa lo Spadaccino avrebbe desiderato riposare, dar tregua alle sue membra, stanche dalla malattia e dal viaggio. A volte, sentiva ancora i morsi della febbre farsi strada nella sua mente e, in quegli istanti, la realtà si confondeva con il sogno, l'incubo, l'allucinazione. Ogni cosa diveniva indistinta e un senso di tristezza ed oppressione gravava sul giovane. Solamente quando la sua compagna, la Samehada, lo scuoteva da quell'apatico torpore, il Mizukage era in grado di tornare a concentrarsi su ciò che aveva dinanzi. Il the, bevuto insieme agli altri kage, lo aveva certamente aiutato, ma non era stato comunque in grado di seguire le prove del torneo se non a tratti, fino a quando la sua mente rimaneva lucida e il suo pensiero legato alla realtà. Le sue dita sembravano essere divenute pezzi di ghiaccio, sebbene non fosse tanto freddo da giustificare quella reazione. Gli occhi gli bruciavano e due ampie occhiaie, il ragazzo ne era certo, li circondavano. Sospirò, tentando di sciogliere le membra indolenzite, così come il suo animo, provato da tanti avvenimenti, senza mai un istante di riposo.
Eppure, quel momento gli veniva infine offerto: perchè, dunque, non era in grado di accettarlo? Si era girato più e più volte nel futon, aspettando che il sonno lo portasse con sè, che la sua mente e la sua consapevolezza svanissero. Non desiderava altro che chiudere gli occhi e riposare, lasciando che le tenebre lo avvolgessero, che il suo corpo tornasse come prima, che la sua mente divenisse di nuovo lucida, forse, che lo stesso presente si trasformasse nel passato che sembrava mancargli tanto. Non ne era, però, stato in grado. Dopo aver passato diverse ore in quella condizione, si era alzato, ancor più stanco di prima. A fatica era stato in grado di reggersi in piedi, mentre cominciare a camminare era stato qualcosa che nemmeno avrebbe pensato di poter fare. Eppure, aveva iniziato a vagare nell'elegante portico che circondava le camere da letto, chiedendosi che cosa ci facesse in quel luogo, che cosa sperasse di ottenere. Non aveva mai desiderato divenire Mizukage, ancora meno, mai aveva pensato di esserne in grado. Ma lo era diventato, spinto forse dal desiderio di ricostruire la sua patria, che aveva perso la sua stessa essenza, la Nebbia che l'aveva resa tanto famosa. Chiuse gli occhi, fermandosi e massaggiandosi delicatamente le tempie. Una terribile fitta di dolore lo costrinse a piegarsi e dovette impiegare tutte le proprie energie per non cadere a terra. Se lo avesse fatto, ne era certo, non sarebbe più stato capace di rialzarsi.
Inspirò profondamente prima di riaprire gli occhi e tornare ad osservare quella realtà che lo lasciava tanto insoddisfatto, che tanto lo faceva soffrire. Continuare a piangere chi e cosa aveva perduto, però, non sarebbe servito a nulla. La Samehada fremette con violenza, come per ricordargli chi era, cos'era diventato e che non era mai realmente solo. Il ragazzo sorrise.*
Ryushi:"Lo so."
*Un sussurro, che persino lui faticò a sentire. Lentamente, portò un piede in avanti, riprendendo la sua avanzata. Verso cosa, nemmeno Ryushi lo sapeva. Sperava di poter riportare le cose come erano in passato, di aggiustare i torti, di riparare ciò che si era distrutto. I morti, però, non sarebbero tornati in vita, e i suoi dolorosi ricordi non sarebbero mai svaniti. Si fermò all'angolo del portico, tornando a volgere lo sguardo al cielo, tentando di scorgere anche un solo raggio della luna, ma le nubi oscuravano ogni cosa, rendendo ancor più scure le tenebre. Una nuova folata di vento e le fiamme di una delle torce guizzarono. All'improvviso, le ombre si allungarono ed assunsero fattezze distorte e mostruose. Il ragazzo rabbrividì quando vide una di queste forme muoversi, quasi allungando un artiglio verso di lui. Un istante prima che lo raggiungesse, però, la fiamma tornò a brillare vivida ed ogni cosa scomparve.
L'ombra guizzò ancora una volta, tornando ai piedi dello Squalo, al posto che sempre le sarebbe dovuto appartenere. Ryushi si appoggiò ad una delle colonne e il suo sguardo si spostò verso l'orizzonte. Le montagne disegnavano scure linee che, anche nell'oscurità più fitta, riuscivano ad essere viste. Per un istante, uno solo, invidiò Kumo e i suoi guardiani, che mai sarebbero potuto svanire, mentre Kiri aveva perso la parte più preziosa, l'unica insostituibile, della sua esistenza. Sospirò, pensando a come far tornare la patria ai suoi antichi splendori, a come ridare onore ad un nome che era diventato disprezzato e nemmeno temuto, ormai. Ancora una volta, la sua mente si lasciò andare, vagando di ricordo in ricordo, di pensiero in pensiero, prendendo strade che la ragione mai avrebbe suggerito e che raramente conducevano ad una conclusione. Rimase così, immobile, mentre il tempo sembrava essersi fermato.*
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