| *A passi lenti, Ai seguì Shiroko, quella che, un tempo, s'era definita una dea, che aveva ingannato non solo gli altri Villaggi, ma anche i suoi stessi concittadini, coloro che avrebbe dovuto proteggere. Seguì l'andamento del suo corpo, i suoi lunghi capelli, la bellezza, quasi eterea, che traspariva dal suo viso. Poi, il suo sguardo si spostò, posandosi sull'Hokage, Akane Uchiha. Un brivido lo colse anche solo osservandola, ben sapendo della sua forza e della fama che si era guadagnata in tutto il mondo ninja, persino nei più piccoli e sperduti villaggi, dove appena si conoscevano le arti e il credo degli shinobi. Una sola occhiata, invece, fu più che sufficiente per il rappresentante di Oto. Proprio come per Kiri, loro alleata, anche il Villaggio del Suono non si era nemmeno preso il disturbo d'inviare il Kokage, il protettore del Villaggio e il capo dei ninja. Era stato sufficiente mandare un semplice rappresentante, nulla più che un ragazzino dai capelli bianchi e dal lungo abito candido. Un Kaguya. Il jonin l'aveva capito non appena l'aveva visto per la prima volta, non appena aveva scrutato con più attenzione i suoi lineamenti. Il suo stomaco s'era agitato, le mani avevano improvvisamente cominciato a tremare. Era forse un'affronto quello che Oto stava facendo loro, inviare un traditore della Nebbia come rappresentante ufficiale ad un evento tanto importante? Del Kazekage, invece, non c'era ancora nessuna traccia. Un sorriso amaro si formò sul viso del ninja, pensando che, ad un torneo chunin, ben tre kage su cinque non avevano nemmeno avuto l'idea di presentarsi. Senza che nemmeno lo volesse, il pensiero gli tornò al ragazzino che li guidava, partito in missione proprio prima dell'inizio del torneo. Era assurdo, aveva pensato più e più volte, che un genin li potesse guidare con responsabilità, che potesse riportare Kiri alla gloria che, un tempo, le era appartenuta. Uno dei numerosi jonin del Villaggio sarebbe dovuto diventare il Nanadaime Mizukage, senza alcun dubbio. Eppure, la folla aveva acclamato lui. Non gli Spadaccini, tornati con la coda fra le gambe, ancora in vita solo per grazia di un genin. Non i jonin, che avevano servito Kiri tanto a lungo e tanto fedelmente. Non lui, Ai, che, tra tutti gli altri ninja, si era guadagnato il rispetto e la reputazione che gli erano dovuti. Avrebbe dovuto salire lui su quel tetto, prendere lui il potere, liberare lui la sua patria. Ma non l'aveva fatto. La paura, l'esperienza, la sensazione che fosse una battaglia già persa in partenza, o, forse, tutte quelle cose insieme, l'avevano fermato, l'avevano lasciato, impotente ed attonito, a guardare un genin che prendeva il potere. Ma, oramai, era troppo tardi per tornare indietro. Quando furono giunti a destinazione, gettò appena un'occhiata al maestoso edificio, diviso in due blocchi, che li avrebbe ospitati durante il torneo. Poi, scosse la testa in un cenno di diniego alla domanda di Shiroko. Non aveva guardie, non aveva mai avuto bisogno. Non era il Kage della Nebbia, ma solo un jonin, un sostituto, una pedina. Semplicemente, era sacrificabile.*
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