| *tac tac tac... il rumore dei tacchi echeggiava per i corridoi. Il suo passo era veloce, deciso, pronto a surclassare ogni ostacolo. Molti la osservavano sgranando gli occhi, altri con la bava alla bocca. I più, quando venivano superati, approfittavano per dare una bella occhiata al fondo schiena, ammirando quei fianchi marmorei decisamente volutamente fatti ciondolare. Eppure la sua presenza in quel posto era un male, un grande male, visto che erano ormai sette giorni che aveva lasciato il suo incarico, per seguire il ragazzino che era diventato Mizukage. Arrivata a destinazione afferrò il pomello e con forza lo girò, il ferro si piego sotto la sua furia. Aprì la porta, facendola sbattere con forza addosso il muro. Si fiondò dentro. Niente la stanza era vuota, proprio come gli era stato detto. *
Kiki: -bastardo di un ragazzino...-
*..... tutto cessò... gli anbu rinfoderarono le loro armi, anche se non si poteva scorgere il loro volto si poteva facilmente notare che erano sollevati. Il rospo, il sensitivo che aveva portato Gin in quel inferno fatto di sangue e cadaveri, raccolse con un solo braccio il ragazzino ormai svenuto. Se lo poggiò sulla spalla, come era normale fare per i sacchi di patate o oggetti di un discreto peso. Fece un cenno con la testa. Un fumogeno fu gettato a terra. Così come i quattro anbu erano apparsi così erano svaniti, portando con se il corpo del loro Kage. Il giovane fu condotto velocemente in ospedale dove ricevette le cure del caso, seppure i medici erano ninja di grande valore e capacità non riuscirono a rimarginare completamente le ferite del ragazzo, dandogli così due settimane di convalescenza. Kiki fu avvisata subito dell'accaduto e di corsa si recò all'ospedale. Per ben quattro giorni rimase al suo capezzale in attesa. La donna ormai si era presa a cuore il ragazzino, come una madre che affettuosamente resta vicino al proprio figlio, gli fece sentire la sua presenza. Per i primi due giorni di convalescenza, in qualunque caso, il giovane non aprì occhio. Il dolore e il sangue perso era stato notevole ed era troppo debilitato anche solo per aprire le palpebre. Il volto era pallido, addolorato. Il collo e il dito della mano sinistra erano stati ricoperti dalle bende e garze. Attaccato alla vena del braccio destro vi era un grosso macchinario, che riversava goccia dopo goccia l'antidolorifico e delle soluzioni nutritive. Il terzo giorno aprì gli occhi, il dolore era forte, non riusciva ancora a muovere il collo, ma stando sopra il lettino la possibilità di muoverlo era minima. Non parlò di nulla. Salutò semplicemente Kiki con un grosso sorriso e la ringraziò di esserle stato vicino. Il quattro giorno qualcosa migliorò, non fisicamente, nell'atteggiamento del ragazzo, infatti chiese alla sua sensei se gli avesse potuto portare degli abiti puliti e del lavoro da svolgere. Ma le sue richieste, probabilmente normali, era state pronunciate in modo freddo. Il quinto giorno... beh... il Kage sparì nel nulla, insieme al ricambio che la sua segretaria gli aveva portato il giorno prima. Kiki fu immediatamente informata del fatto e gli fu chiesto di venire subito, lei si fiondò letteralmente in ospedale... e così arriviamo al punto precedentemente raccontato.... *
*.... il cielo era offuscato quella mattina, la nebbia, come al solito, faceva da padrona in quelle terre maledette. Il vento soffiava, portando con se l'odore del sangue e l'aria pesante della pioggia. Presto sarebbe scoppiato un diluvio, ma ciò poco gli interessava. Seduto sui rami del ciliegio vicino all'ospedale, con le spalle e la testa poggiati sul tronco, Gin osservava il cielo. Indossava una veste completamente nera, un kimono. Una gamba era distesa sul tronco, l'altra aveva il ginocchio rivolto vero l'altro e l'unica parte che toccava quella superficie legnosa era il sandalo di paglia. Gli occhi rossi erano freddi e privi di animo, il volto vuoto. La mano destra frugò dentro la vestaglia, ne tirò fuori un frammento di ferro. Era lungo all'incirca cinque centimetri, lucente, e largo per lo meno due. La sua forma era irregolare ma sembrava un rombo. Quel piccolo oggetto, insignificante, rappresentava la promessa che si era fatto. Ciò che aveva giurato mentre i denti tranciavano la propria carne e l'odio che provava verso la sua debolezza. *
(quindi io sono un frammento.... un piccolo pezzetto di ferro...)
*strinse il frammento con forza, del sangue uscì dalla mano destra. Ormai non ci faceva più caso al dolore. Riaprì la mano, i suoi occhi osservarono la scheggia. *
(..prenderò con me tanti altri frammenti.. li ingloberò a me... così che possa diventare completo...)
-ma prima...-
*la sua voce era rauca. I dottori gli avevano detto che sarebbe rimasta così per due settimane all'incirca e che non la doveva sforzare più di tanto. Sul suo viso apparve un segno di disgusto a sentire quella sua voce rovinata in quel modo, seppure momentaneamente. *
(...devo ritornare alla residenza e ricominciare con il lavoro...)
*Scese dal tronco. Atterrò morbidamente, circondato da una nebbia nera come la pece, nebbia che nasceva dalla sua anima. Nascose la mano offesa dentro la veste, e lentamente andò per la strada. I cittadini l'osservavano con aria incuriosita, tutti sapevano chi era ma nessuno decise di avvicinarsi a parlare. Paura? No, perplessità. I suoi capelli bianchi ormai erano diventati lunghi e raggiungevano perfettamente le spalle, cadevano come le fronde di un salite piangente, sfiorandole. Erano lisci e ben curati, seppure sarebbero stati meglio legati a formare una coda. Alcuni ciuffi, quelli della frangetta, ogni tanto scivolavano da dietro le orecchie per ritornargli a coprire il volto e ogni volta la sua mano destra si propinava a risistemarli. Così, in una solitaria camminata, il giovane raggiunse la sede del potere. Entrò, senza degnare di uno sguardo le guardie che sorvegliavano l'ingresso. Il suo vagare era sereno, nessuno lo ostacolava nel cammino. Nessuno cercava di parlargli, troppa era l'incertezza su come quel giovane si sentisse. Molti, i meno esperti o i più timidi, quando lo incontravano per il corridoio cambiavano letteralmente strada, entrando dentro alcune porte che probabilmente a loro non serviva accedere. Tac.... tac.... i sandali di paglia percorrevano la superficie lucida, marmorea. Il suo percorso era stato tracciato, a breve avrebbe superato la sala ovale, dove tenevano le pergamene delle missioni, l'avrebbe superato e avrebbe percorso le scale che lo avrebbero condotto al piano superiore, quindi alle sue personali stanze. Qualcosa però attirò il suo sguardo, freddo e al contempo delicato, come un tramonto su un deserto di ghiaccio dove i colori del cielo si mischia no a quello della terra. Le gambe si fermarono, gli occhi si mossero sulla stanza ovale. Non era consueto vedere un normale cittadino aggredire un jonin, probabilmente perché si era consci che chi osava tanto avrebbe poi trovato la morte. Sentì le parole del viandante, parole che non gli portarono alcun sentimento se non seccatura. Come osava costui pretendere di avere un colloquio con lui? Era un estraneo al villaggio, doveva ringraziare che i poliziotti alle porte non lo avessero decapitato seduta stante, eppure osava richiedere... come se gli fosse dovuto, eppure osava insultare... probabilmente non considerando le leggi del villaggio che ora lo ospitava. Silente, come uno spettro, si avvicinò. Osservò semplicemente i presenti e udì gli ultimi frammenti del discorso di quel tipo. Ora che era più vicino notava alcuni particolari, come la cicatrice e le scarpe, e questo lo incuriosì. Nessuno dei presenti si era accorto di lui, probabilmente troppo occupati a osservare il teatrino e la reazione dello jonin. Fu il ninja infatti a tirare fuori dalle proprie vesti due kunai pronto a far pagare l'offesa subita con la morte. Era pronto ad attaccare e quindi tingere di rosso quella stanza, ma una voce si alzò su tutte. Era una voce debole, stanca, ma non per questo era difficile da riconoscere. *
-fermati-
*una parola, pronunciata come se avesse voluto pugnale il ninja alle spalle, lui che era un semplice genin. Si, lui. Perché da quando era diventato Mizukage, da quando il suo fato lo aveva rinchiuso in quella scatola nera piena di sangue e potere, aveva conosciuto e vissuto cose che mai avrebbe potuto pensare di conoscere. Era cresciuto, rapidamente, nel dolore e nel proprio sangue. La mano sinistra era ancora nascosta sotto alla rientranza della toga, mentre la destra era rilassata, distesa sul fianco. I suoi occhi fissavano lo straniero, occhi di chi avrebbe fatto volentieri del male a quell'essere ma che non poteva per via della propria curiosità. *
-... volevi il Mizukage...-
*disse, facendo un nuovo passo in avanti. Il Jonin serro i pugni e con rapidità nascose nuovamente le proprie armi. Un nuovo passo in avanti, mentre la gente, che si era avvicinata per osservare meglio la lite, ne faceva uno indietro. *
-.. e ora mi dirai cosa vuoi....-
*quella voce tanto rilassata... quella non era una richiesta, quello era un ordine. Le bende del collo erano ben visibili. Bende candide che avevano lo scopo di coprire tutta quella tenera superficie, ormai violentata dalle mani putrefatte di un morto. Cicatrici che gli sarebbero rimaste per sempre a forma di cinque tagli, uno per ogni dito che aveva afferrato la sua trachea. *
Gdr off/ ed ecco il mio arrivo... xD mi sento tanto una prima donna ç_ç scusate per l'attesa... Gdr on/
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