| Rei era in una situazione interna davvero strana, particolare. Era come se stesse bollendo, acqua che in pentola si disperde nell'aria. I nervi non erano più ben saldi. Lo sapeva in cuor suo che nulla aveva più senso in quel frangente. Sentire le parole di Hika, vedere i suoi gesti, erano stati come delle pugnalate in pieno petto e, ancora di più, l'elemento peggiore, la ciliegina sulla torta fu il constatare che quei bambini forse non erano umani, ma delle marionette alle sue direttive.
Dove siamo giunti? Possibile che siamo degli automi noi stessi, vittime di una società sempre più contorta? Oramai era questo ciò che si chiedeva il nostro Genin, perso nei meandri della situazione presente.
Non poteva più accettare ciò che stava osservando. Tollerare tutto quello era impensabile. Si era ripromesso, più e più volte, di non essere istintivo, diretto, ma cercare di essere più cauto nelle scelte e nelle parole, ma in quel frangente niente aveva senso e non sapeva più cosa fare. Sentiva un turbinio di dubbi e perplessità che gli montavano dentro, senza una logica.
Noi ora continuiamo la missione, ma mi devi dire tutto ciò che sai su di essa. Te lo chiedo come compagno, devo sapere cosa potrebbe capitare appena arriviamo al porto.
Il suo tono era duro, aspro, deciso e secco. Non avrebbe più accettato giri di parole o silenzi. Era giunto il momento della verità e, in cuor suo, sapeva che se il compagno non l'avesse fatto, lui forse avrebbe provato a dargli un sonoro schiaffo.
La violenza non porterebbe a nulla, infatti provava ancora a calmare i nervi, ma tutto forse dipendeva soltanto dalle sue parole.
Ed è buffo, volendo: Hika non aveva ancora compreso il vero essere di Rei. A lui non importava la missione e la vana gloria, quella era solo un ornamento da cornice.
La base della sua esistenza era la salvaguardia del prossimo e la piena conoscenza della verità, in tutti i suoi aspetti. Per cui, sarebbe abbastanza chiaro evidenziare che il suo cuore batteva a ritmi lenti, come se si volesse quasi fermare per causa dello shock potente a cui ha dovuto assistere.
Vedere quei bambini, precedentemente attivi nel parlare, nel chiedere aiuto, nel chiamare Hika come un fratello e poi vedere, ancora di più, la loro luce negli occhi spegnersi era stato davvero molto brutto, come se una vettura avesse preso Rei in pieno, ritrovandosi con le ossa rotte.
Al solo pensiero, il respiro mancava. Gli occhi volevano pure iniziare a lacrimare, ma non doveva farlo, era chiaro a tutti che così avrebbe potuto peggiorare la situazione. Ma quei bimbi non meritavano quello che stavano vivendo, chiusi e bloccati dentro le mura della caravana, come degli esseri chiusi in una caverna con la possibilità di vedere soltanto l'ombra creata dall'esterno, e non la vita fuori, per quella che era davvero.
Doveva capire, cercare di risolvere la situazione. Però poi, come un fulmine al cielo sereno, ricordò le parole che ricevette negli uffici. L'alto ufficiale aveva detto chiaramente che doveva accettare i suoi ordini, perché Hika sapeva cosa faceva. Rei, comprese, volendo, in quel frangente, soltanto in quell'attimo preciso, che qui la bambola era lui, forse più di quei bambini indifesi. Loro erano le vittime, lui era anche un carnefice.
Rei era il pupazzo nelle mani degli altri e, al contempo, era anche colui che stava portando quei bambini in un luogo ignoto. Era questo, nient'altro che questo. Possibile che quindi essere Shinobi significhi questo? Strinse le mani a pugno, gli anelli si imprimevano nella sua pelle sempre di più, quasi a fargli male, insieme alle unghie.
Aveva troppi pensieri, troppi dubbi. Cosa doveva fare? Cosa chiedeva il suo cuore e il suo credo?
E forse lo sapeva, doveva entrare nel carro, prendere i bambini e scappare, più lontano possibile, e magari anche abbandonare la propria gente. Ma, quale sarebbe stato il vantaggio? Doveva capire prima come risvegliarli, comprendere cosa fossero e come sarebbero dovuti essere usati.
Ti chiedo, per favore, fammi capire cosa sono questi bambini e a cosa serve portarli al porto. Cosa gli faranno? Cosa stiamo facendo qui?
Il suo tono si fece ora più struggente, come senza forze. Non aveva vie di fuga, non poteva neanche scappare o provare ad usare la forza. Prima doveva fare uso della parola, sperando di ricevere così la vera risposta.
Oramai era stremato, il suo cuore era sempre più spento.
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