| Non poté fare a meno di correre, sperando con tutto se stesso che le anime lasciate indietro fossero abbastanza forti da rallentare la sua inseguitrice, dargli il tempo utile per nascondersi, far sparire le sue tracce, ma... Già solo raggiungere il limitare della giungla fu per lui un'impresa: respirava a fatica, i polmoni che gli bruciavano come se avesse corso per miglia e miglia, le gambe rese pesanti, tanto da incespicare in un nonnulla.
Gli effetti dell'uso prolungato della chiralina si stavano facendo sentire, rilasciando il loro strascico nel momento forse peggiore. Sputò un grumo di sangue denso e nero, cercando appoggio su un tronco, la cui corteccia, al tatto, gli parve talmente tanto abrasiva che gli sarebbe bastato anche solo sfiorarlo, per lasciarci sopra lembi interi di epidermide, mentre con la mancina si strofinò il viso, bagnato di acqua salmastra e lacrime catramose, cercando di ripulirsi gli occhi, ma a niente servì: la vista era completamente offuscata, gli occhi bruciavano come se fossero entrati in contatto con dell'acido. Evidentemente la chiralina aveva sciolto le lenti a contatto che aveva usato per camuffare il colore naturale delle sue iridi, e ora sentiva i bulbi oculari trafitti da minuscole schegge di vetro.
Non poteva finire così, non se lo meritava! Aveva ancora tante, troppe cose da portare a termine! Si trascinò malamente ancora per qualche metro, inciampando però in una radice sporgente e cadendo malamente in avanti, il corpo talmente tanto assuefatto al dolore, anestetizzato, da non accorgersi nemmeno che, nella caduta, si procurò un taglio poco sopra il ginocchio. «Alzati... Figlio di puttana...» Cercò di motivarsi, stringendo i denti e, a fatica, rimettendosi su, tenendosi per un'istante l'articolazione danneggiata in quell'ultima caduta.
Masaru. Che cazzo di fine aveva fatto, quella meretrice? Perché diavolo non era venuta in suo soccorso, vedendo che nessuno dei loro inseguitori le era corso dietro? «Se la prendo... Quella stronza...» Farfugliò, arrancando, trovando appoggio passo dopo passo, mentre una voce suadente iniziò a sussurrargli all'orecchio. "Vedi, ragazzo mio, cosa succede a voler insistere a volersi sempre, costantemente, prestarsi a favore degli altri? Eppure ero convinto ti fossi rinsavito, che avessi compreso quanto fosse inutile, tutto questo..." Gli rise dietro Jikan, quasi a compiacersi nel vederlo ridotto in quello stato. Lo Yamanaka imprecò a denti stretti, cercando di compiere qualche altro passo: cerco che era proprio bastardo il suo inconscio, nel cercare, proprio in quel momento, di volerlo ammonire assumendo quelle sembianze.
Stava per rispondergli, quando un dolore sordo lo colpì proprio dietro la nuca, tanto intenso da stordirlo completamente, spegnerlo quei pochi secondi utili per fargli capire che, ormai, non c'era più nulla da fare. Era lei, lo aveva raggiunto e ripreso, non sarebbe mai riuscito a tenerla a bada, non come era conciato adesso. Inutile quindi cercare di opporre resistenza, la catena che gli si asserragliò intorno alla gola troppo stretta per cercare di allentarla con le mani, ne, tanto meno, cercare di far peso, per evitare di venir trascinato.... Sarebbero solo state energie spese inutilmente e se la tizia aveva intenzione di portarlo in mezzo ai suoi, probabilmente avrebbe dovuto subire un gran brutto pestaggio...
Con la poca lucidità rimastagli, cercò di incanalare quel poco di chakra rimasto per creare una protezione agli organi interni, quelli che sarebbero risultati più sensibili nel caso in cui avessero iniziato a prenderlo a calci e, di fatti, ritornato sulla spiaggia, trascinato di peso, i colpi iniziarono a piombargli addosso, cadendo fitti come gocce di pioggia. E ad ogni pugno, ad ogni calcio subito, sentiva la risata di Jikan schernirlo, ferirlo ulteriormente come una stilettata nel costato.
Se non fosse stato per quella sua dannata vena altruistica, non si sarebbe mai trovato in quella circostanza. Se fosse stato egoista, non si sarebbe ritrovato con lo zigomo fratturato, le costole incrinate, una commozione celebrale. Se avesse pensato solo a sè stesso, non si sarebbe ritrovato da solo, circondato da nemici, in terra straniera. La colpa era sua, per essere stato, ancora, così dannatamente ingenuo nel volersi fidare degli altri. La colpa era sua, per averlo ingannato e lasciato lì, buttato come immondizia, non appena era diventato inutile ai suoi scopi.
Non aveva altra scelta. Si lasciò colpire, cercando di salvare il salvabile, ma ogni colpo subito, ogni osso spezzato, ogni organo lesionato da quell'assalto era un colpo mortale, sferrato per uccidere quel Kacchan ancora legato al suo passato, legato agli affetti, troppo altruista per concentrarsi su se stesso... E gli occhi cechi, ancora scuri dalla chiralina, si volsero un'ultima volta a voler guardare l'orizzonte, immaginando Masaru al sicuro, su di una nave diretta a casa.
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