Capitolo 6, I codardi muoiono più volte
Erano passati quasi cinque mesi dall'ultimo colpo della banda, e Yoshi Rokuda aveva lentamente capito chi fosse Takeshi Tabata. Un uomo allegro e violento. Affabile e volubile. Stravagante e imprevedibile.
Prima di entrare nella banda, Yoshi Rokuda lo vedeva come il suo eroe. Il suo idolo. Un modello a cui ispirarsi. Tentava di imitarne i gesti, le movenze, di carpirne quanti più segreti possibile, tanto che un giorno Takeshi gli disse chiaramente se volesse essere come lui, o se volesse essere lui.
Neanche Yoshi sentiva di conoscere esattamente la risposta.
Nell'anno nuovo le particolarità del suo carattere si andavano sempre più accentuando, specialmente la volubilità. Sedeva come sempre sul dondolo affianco alla finestra a fumare la pipa, mascherando una strana forma di inquietudine dietro maschere di estrema cordialità, cortesia e disponibilità verso gli altri. Ma finanche quando scherzava, o si insinuava nelle costole del figlio per fargli il solletico, Takeshi guardava Yoshi con occhi malinconici. Come se i due fossero costantemente intrappolati in una comunicazione privata. Yoshi era certo che lui avesse capito che quanto successo a Shizou Miyama poteva essere giunto alle sue orecchie. E forse intuiva che, in lui più che in chiunque altro, iniziasse ad albergare il timore che presto quella stessa sorte avrebbe potuto toccare anche a lui. Iniziava a credere che lui avesse saputo fin dall'inizio il motivo che lo aveva spinto a unirsi a loro, anche inconsapevolmente e che ora gli appariva chiaro.
Era certo insomma che Takeshi riuscisse a prevedere ogni sua azione, ogni suo pensiero. E stesse recitando la parte dell'ingenuo perchè Yoshi si cullasse in una stupida tranquillità, e commettesse un errore.
La bambina strappava i primi radi fiori della primavera, e Yoshi la osservava dalla finestra disteso sul suo letto. La sentiva canticchiare una filastrocca di cui gli giungevano solo alcune sillabe sporadiche. Decise di alzarsi, e quando si voltò riuscì a mascherare abilmente il mancamento del suo cuore quando vide Takeshi seduto nella sedia all'angolo della stanza, che lo fissava con quel suo sorriso sottile e indecifrabile.
"
Da quanto tempo mi stai osservando?" gli chiese.
Silenzio.
"
Tu finirai per spezzare tanti cuori."
"
- Che vuoi dire?"
Ebbe l'impressione che ci fosse un attimo di smarrimento in lui. Come se l'ambiguità di quella frase gli avesse provocato un leggero dispiacere.
Gli avvicinò dunque un lungo cofano di legno al lato della sedia che la tensione gli aveva impedito di notare sino allora. Glielo passò dalle mani in modo vagamente cerimoniale.
"
E' un regalo."
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- E' pesante."
"
Non ci vuoi guardare dentro?" e i suoi occhi infiammati dalla luce strizzarono nervosamente, come eccitati.
Yoshi restò fermo per un po'.
"
Lo so che oggi è il primo aprile."
"
- Non è uno scherzo."
Si decise allora ad aprirlo. Il barlume della lama lo colpì negli occhi, e sentì il bisogno di strizzare gli occhi allo stesso modo di Takeshi durante il giorno, almeno fu quello che pensò istintivamente in quel momento.
Passò lo sguardo da destra a sinistra e da sinistra a destra diverse volte, dalla lama splendente e affilata all'elsa scarlatta e finemente lavorata, sino al pomolo a forma di drago.
"
- E' come la tua spada."
"
E' la mia spada."
Silenzio.
"
Non ti piace?"
"
- E' un regalo straordinario!" rispose, tornandogli in viso quel sorriso ingenuo che lo caratterizzava sino a qualche mese addietro. La tirò via dal cofano come una reliquia, quindi la sfoderò e si piazzò la lama di fronte al naso.
"
Attento che quel metallo non luccica soltanto."
"
Sei sicuro di volermela dare?"
"
Bhe, ho pensato che la tua katana potrebbe spezzarsi in due la prossima volta che provi a utilizzarla. E a me non serve più così tanto."
"
E probabilmente non ti sbagli. Sul fatto della mia spada intendo."
Sorrisero. Takeshi cercò di trovare le parole giuste. Qualcosa che non gli era mai venuto molto facile. Di solito partiva sempre a briglia sciolta, ed era per questo che le cose si erano messe in quel modo. Sentì sua moglie chiamare tutti a tavola.
"
Sì piccolina, arriviamo subito."
"
Io non posso. Sono troppo emozionato per cenare", quel sorriso sempre stampato in volto come un tatuaggio.
Takeshi lo fissò silenzioso.
"
Sai cosa ha scritto Gonkuro Fukuda di me? Ha detto che mi fidavo di due uomini su diecimila. E che anche con quei due ero assai cauto. Queste cose mi stanno davvero stremando. Insomma... la sto prendendo alla larga per dire che in questi mesi mi sono sentito alle strette, e sono stato troppo offensivo e irascibile. E sarei felice se tu accettassi questa spada come un modo di porti le mie scuse."
"
- Io sarei anche più irascibile nella tua situazione."
"
No, no. Non mi sono comportato bene. Con nessuno, tra quelli che mi stanno vicino. A volte stento a riconoscermi quando faccio così. Quando sono così arrabbiato."
Yoshi lo vide guardare oltre le finestra, richiamato dagli schiamazzi della figlia di ritorno in casa, con un'espressione di malinconia malcelata. Forse, pensò, non voleva celarla in alcun modo.
"
Faccio un viaggetto al di fuori del mio corpo. Guardo le mie mani rosse e la mia faccia cattiva. E mi chiedo come può un uomo ridursi così.
Ormai sono diventato un problema anche per me stesso."
Yoshi non sapeva cosa rispondergli. E sentiva di non sapere neanche se quegli occhi lucidi fossero dovuti alla luce intensa del tramonto diffratta dai monti a sud, o a qualcos'altro.
Stava varcando la soglia della mezza età, e dal giorno del suo ultimo colpo viveva in una casetta nelle campagne di Tetsu no Kuni. La sera si sistemava su una sedia a dondolo a fumare la pipa, mentre sua moglie si strofinava le mani rosa e consumate dai lavori di casa sul grembiule, e felice gli raccontava le novità dei suoi due figli. I bambini conoscevano le sue gambe. Il pizzicore dei suoi baffi sulle loro guance. Non sapevano come loro padre si guadagnasse da vivere, nè perchè nell'arco della loro breve vita avessero cambiato casa tanto spesso. Di lui non conoscevano neanche il nome. Nel registro cittadino era censito come il signor Homura, un allevatore e investitore in materie prime. Un uomo ricco e agiato. Dalle maniere semplici.
Aveva due ferite mai del tutto rimarginate sul petto - una da arma bianca e l'altra per una scheggia arrivatagli in un'esplosione -, e una sulla coscia a causa di una freccia che gliela passò da parte a parte. Gli mancava l'estremità del dito medio sinistro, ed era sempre molto attento a celare la sua mutilazione.
Soffriva anche di un'infiammazione alle palpebre, che lo costringeva a strizzare gli occhi più del normale. Come se il creato fosse per lui una visione troppo intensa. Le stanze sembravano riscaldarsi quando c'era lui. La pioggia cadeva più dritta. Gli orologi rallentavano. I suoni venivano amplificati.
Si considerava un guerrigliero di una guerra civile di origini antiche e mai terminata. Un qualcosa che esercitò immediatamente un fascino vicino all'adorazione su molti, specie sul giovane Dai. Non provava alcun rammarico per le sue rapine, nè per i trentaquattro omicidi che rivendicava.
Aveva visto passare un'altro inverno tra quelle terre impervie. E il cinque marzo del 212 compiva trentaquattro anni.
Quando Fuyuki si fosse ridestato dall'ascesa, avrebbe notato qualcosa mancargli sul viso. Non sapeva dire cosa, ancora ottenebrato dal burrascoso atterraggio al Cielo. Era ancora a terra, così come gli altri quattro, e sentiva il suo viso sfiorato appena da un flebile raggio di luna che filtrava da i rami di una conifera. Per il resto, davanti a loro era buio. E avrebbe dovuto continuare a esserlo forse, anche guardando l'astro della sera, agli occhi di Fuyuki.
Forse allora avrebbe capito. Non aveva più gli occhiali.
"
State tutti bene, figlioli?"
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- Più o meno" rispose Naum massaggiandosi la testa, e poi vide Chiaki e Fuyuki in buone condizioni, quindi decise di addentrarsi oltre le schiere biancastre di Butsuon, illuminate appena in quella tenera notte opalescente.
Dopo un quarto d'ora di marcia, tenendosi lontani dalle strade, giunsero nei pressi della prigione. La osservarono dall'alto di una collina che odorava di gelsomino.
"
E' come ricordavo, purtroppo" esordì Rokuda, che prono scandagliava la zona con un binocolo.
Il complesso era una fortezza quadrata che avrebbe potuto contenere un piccolo villaggio, con mura alte dieci metri e due ingressi, avrebbe detto il vecchio. Da quella posizione riuscivano a vedere nitidamente la grande porta est. Un fossato a circondare la fortezza, colmato in ampiezza solo dai due ponti ad est e a ovest del complesso, in corrispondenza dei portoni. Diverse decine di guardie ruotavano attorno al fossato con le armi nel fodero e l'elsa sempre in pugno, e dalle dodici torri ben visibili nel perimetro, delle sagome scure appollaiate. Fortunatamente sembravano non averli ancora visti.
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Siamo sommersi da merda, insomma."
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Doveva capirlo già da un po', scimmione mio."
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Non ha importanza. Masao Ryuzaki è lì dentro, e noi lo tireremo fuori da lì. Questo è quanto."
"
Sicuro, ma dovremo cercare di tirare lui vivo da lì. E al momento non so proprio neanche come riusciremo solo a entrare."
- Egoista?
C'era qualcosa di diverso nella sua voce. Un'increspatura nuova. Una nota stonata dell'aura imperturbabile e inamovibile che ormai lo caratterizzava. Sentì una fitta al petto. Era davvero... rabbia?
No, si disse. Ma il cuore batteva sempre più forte e sapeva che, incatenando la sua mente a quelle parole, le sue visioni inamovibili a quei pensieri, sarebbe stato perduto, e la sua mente non avrebbe più spaziato come la mente di Dio.
Era davvero ancora schiavo di tutto questo, anche adesso, anche dopo la sua scelta. Il suo cuore avrebbe dovuto essere di ghiaccio, proiettato solo alla meta finale del suo destino.
Eppure.
"
Ridi, mostro. Tu uccidi il cuore."
Quel volto increspato, le labbra piegate giù. Il disgusto. Ancora, sempre più, mentre la sentiva continuare. Gli ci volle un po' per rispondere quando lei ebbe finito. Restò a fissarla con quella strana espressione, immobile.
"
- Io ti ricordo sempre Mira, come ricordo sempre ogni eroe che ha combattuto e versato il suo sangue per costruire il Nuovo Mondo. Ma non ti ricordo come tu ricordi te stessa. E, dalle tue dichiarazioni, che ho così brutalmente dovuto estorcerti, mi appare chiaro che la vera natura della tua anima... sia l'ambizione."
Kai poggiò la testa sulla fronte e se la massaggiò sui polpastrelli, quindi cercò di riaversi.
"
Io sento il peso di ciascuno di loro. Di ogni orrore che ho compiuto, di ogni caro che ho sacrificato, di ogni piccola vita che ho spento per poter salvare l'umanità. Lo sento e ognuno di loro viene a reclamarmi ogni notte, ma è proprio per questo che devo continuare."
Il tono di voce in crescendo, il volto contratto.
"
Per far sì che il loro sacrificio non sia stato vano, per rendere onore alla memoria che tutti quegli eroi meritano. E io posso sopportarlo. E' questo che deve fare che ha il coraggio di rendere il mondo un posto migliore.
In fondo... quale codardo non vole renderlo un posto migliore?"
Silenzio. Poi nel suo sguardo parve sorgere qualcosa. Una nuova forza e consapevolezza.
"
Ecco perchè sono diverso da te, da chiunque altro di voi traditori" e digrignò i denti. Ora non aveva più dubbi su cosa stesse provando.
"
Tu, pazza maledetta. Avrei subito dovuto capire l'odio e l'invidia che covavi segretamente per chi è migliore di te, l'odio che covavi per me. Non ti è mai importato nulla di Kirinaki, di nessuno di noi, proprio come a Jagura.
E osi rinfacciarmi i metodi che ho usato per scovare le cellule avverse a Kirinaki, per il bene di tutto quello per cui abbiamo combattuto e abbiamo sofferto in questi anni?
Pazzi egoisti esaltati! Non ho mai fatto nè tenuto niente per me, a differenza di chiunque altro, e soprattutto a differenza tua!
Dopo tutto quello che ho fatto per voi. Bastardi!
Vigliacchi!
Traditori!
La Luce del Giudizio vendicherà chiunque abbia sofferto per mano vostra, e a causa della fiducia che ingenuamente ti ho concesso."
Era da qualche secondo che nell'indice di Kai sembrava si stesse convogliando del chakra puro, perlaceo e scintillante, che cresceva sempre più in densità e potenza, senza mai superare tuttavia il diametro dell'indice. Un'energia nuova e abbacinante. La fronte aggrottata, la bocca deformata in una smorfia di rabbia e disgusto, un suono in sottofondo, simile a una voce.
Lo sentirono già prima, e poi ancora una volta. Alla terza, fu chiaro cosa fosse.
"
Kai!"
Tutto cessò di botto. La Luna insanguinata lasciò il posto alla cella in un istante, gli spiriti alle catene ai polsi. Mira vide un uomo a pochi metri da lei, immerso nell'ombra della cella. La porta di questa chiusa dietro di lui.
Kai era piegato di fronte a Mira, con un respiro pesante ma appena accennato, quindi inspirò profondamente, si ricompose e chiuse infine la mano e abbassò la testa.
"
- Che cosa c'è?"
"
Lui ti vuole vedere. Dice che ci sono delle nuove."