E sarai, sessione autogestita #7 - apprendimento Talento

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view post Posted on 7/4/2018, 11:53     +1   -1
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La chiave che gira nella toppa: il suono più rassicurante al mondo. Vuol dire che niente e nessuno può arrivare a infastidirla e anche se sa che non è del tutto vero, in un posto come quello – casa sua – non si sforza nemmeno di restare sul chi vive.
Porta chiusa, bagno chiuso, beata solitudine.
Gira la manopola dell'acqua e lascia che il getto sempre più caldo riempia la stanza di vapore, mentre con calma studiata si sfila di dosso gli abiti da lavare e li getta, uno a uno, nel cestone; resta a piedi nudi sulle mattonelle fredde del pavimento, i pochi passi che la porterebbero all'interno della doccia che si fermano davanti allo specchio.

È uno specchio piuttosto ampio: troneggia sul lavandino e si va appannando gradualmente, velando con un tocco di mistero il corpo roseo che si riflette al suo interno.
Si avvicina assorta... osserva con attenzione un poco oziosa la sagoma vaga che si muove quasi fluttuando nel vetro opaco; solleva una mano e poggia il palmo contro la superficie poco meno fredda del pavimento. Sfregare via le goccioline d'acqua produce un curioso rumore di sfregamento e lascia una scia di goccioline più grandi, assieme ad un'immagine più nitida di lei: quasi quindici anni e un torace ancora ostinatamente piatto, spalle piccole rivestite da pochi muscoli raggruppati in fasce guizzanti, addome tonico con una muscolatura altrettanto sottile. Si squadra piantandosi le mani sui fianchi – e quelli, almeno, sembrano essere al loro posto: gradevolmente incurvati, piacevoli da vedere.
Si volta di profilo, facendo scorrere gli occhi lungo la linea delicatamente curva della schiena, dalla cervicale alle natiche: non è brutta. Si ravvia una ciocca di capelli dietro l'orecchio. È contenta di averli tagliati, adesso le stanno molto meglio; meno bene va quello stupido petto, che sembra ancora quello di una tredicenne e nemmeno provare a strizzarlo qui e là migliora la situazione. Sbuffa dalle narici, lancia un'occhiataccia a quel seno che non vuole saperne e si infila in doccia, miscelando con cura dell'acqua fredda al getto che ormai è diventato bollente. Se ne resta lì ferma per almeno due minuti, lasciandosi massaggiare le spalle dal getto caldo che le va inzuppando i capelli e chiedendosi da quando è che il suo sguardo è diventato così cupo, tanto da spingerla a evitarlo.

Quando la mattina si alza e si lava il viso e solleva lo sguardo verso lo specchio, al di sopra dell'asciugamano, sono lì pronti a trafiggerla: i suoi occhi, come due katana affilate.
Quando le capita, sente come di cadere in un posto senza luce... come se quelle iridi scure nel vetro liscio potessero risucchiarla dentro, o come se fossero l'imbocco della tana di qualche creatura che non vorrebbe mai incontrare. La immagina accoccolata sul fondo, che osserva la luce dal basso, che aspetta solo l'occasione giusta per arrampicarsi fuori e scappare e fare a brandelli qualsiasi cosa le capiti davanti, macchiando l'erba di sangue raggrumato: deve avere il corpo di serpente e tanti artigli, di questo è sicura; non ha ancora pensato a come possa essere il muso... perché non è reale, è solo una sciocchezza che si è immaginata lei. A volte si chiede oziosamente come potrebbe chiamarla, si domanda se non sia più corretto finire di pensare a come sia fatta tutta intera, ma finisce invariabilmente per darsi della sciocca e accantona i pensieri in un angolino della mente, dove si acquattano in attesa di tornare alla carica.
Il discorso è che non capisce... non capisce perché a volte si senta ribollire di rabbia come non le era mai successo prima, così, all'improvviso, o soffocare cuore e respiro nella stretta di qualcosa che non si tocca: ruggiti che riecheggiano contro la pietra, artigli che grattano contro le mura di una prigione, spire che la stritolano e le annodano la gola. È per questo che il mostro della sua anima deve essere per forza a forma di serpente e deve avere gli artigli, se no non si spiegherebbe.
La sua faccia resta immota là fuori, rilassata e inespressiva, come una casa intonacata di fresco, ma è da quegli occhi che esce la bestia. Non si punisce per un'occhiata, ma se solo sapessero cosa si agita dietro a quello sguardo.

È un sollievo poter immaginare che la creatura sia qualcosa di estraneo. Che con lei non c'entri niente. Che lei sia solo un'ospite innocente, che quei sentimenti brutali non siano davvero i suoi – se no, come potrebbe guardarsi allo specchio e riconoscere ancora la sua faccia?
E non è solo quella a disorientarla.

Da quando è che prende e se ne va, lasciando una persona inerme tra le mani di qualcuno che mieterà la sua vita come un ciuffo di spighe mature in estate.

Da quando è che ha iniziato a guardare con inquietudine la sua stessa ombra, con sospetto i suoi colleghi, con irritazione i superiori che alzano troppo la voce.

Da quando è che scegliere la cosa giusta le provoca quella sensazione di insofferenza che la prende allo stomaco, da quando è tanto faticoso seguire le regole che ha sempre onorato... da quando è così seducente cullarsi nel ricordo della voce di una persona, quando le disse che ciascuno segue la via del ninja a modo proprio. Che ci sono varie interpretazioni, e che nessuna è veramente giusta in assoluto.
È come un seme che ha messo radici nell'oscurità del terreno, un veleno sottile che goccia dopo goccia sta impregnando il suo animo irrequieto; stuoli di domande che si accavallano e la tormentano nel dubbio la notte, quando non riesce a dormire, quando non capisce perché – così, di colpo - sia diventato tutto così difficile da capire, sé stessa per prima.
Seguire le sue regole di sempre la fa sentire bene: quando le rispetta, nessun senso di colpa o mancanza può venire a tormentarla – eppure sfida ogni giorno quella promessa di pace con gesti piccoli, imprevedibili, metodici.
L'acqua scorre e porta via schiuma di sapone, e riflessioni, giù per il tubo di scarico.

Se una persona brama la morte, perché dovrebbe lottare per strapparla al suo tesoro?
Se anche i Grandi del Villaggio possono cadere nelle trame nemiche, a che titolo dovrebbe fidarsi ciecamente del loro discernimento?
Se donne forti come gli abissi del mare cadono col nome della loro terra sulle labbra, e nessuno tributa loro l'onore che meritano, quale rispetto dovrebbe portare lei verso i loro debitori vigliacchi?
Se una creatura antica e potente offre la vita in cambio del silenzio, quale spavalda sete di gloria può spingere ad infrangere la parola data?




“Tu sai cosa è la giustizia, sensei?”
Il Norvegese aveva sollevato la testa massiccia dalle zampe su cui era poggiata, e l'aveva fissata per qualche istante muovendo solo le orecchie pelose – ma senza parlare.
“Come si distingue una cosa giusta, da che non lo è?” - riformula scandendo le sillabe con più cura, come se potesse rendere il messaggio più comprensibile al felino.
“Non sono sordo” sbuffa lui, poi sbadiglia arricciando il linguino ruvido - “ma mi fai la domanda sbagliata. Noi non ci preoccupiamo di cose del genere, sono paranoie tipiche di voi umani... possiamo intuire a cosa vi riferiate ma no, non ci riguarda né prenderemo mai in considerazione qualcosa del genere”, aveva risposto lapidario.
“In che senso?”

Il gatto a quel punto appiattisce le orecchie per un istante lungo il cranio, infastidito, ma non abbastanza scocciato da prendere e andarsene: si tira su a sedere sulle zampe posteriori, con la coda che si agita appena, e dopo averci pensato su... “Cerco di usare esempi che anche una Spelata come te possa capire.
Quello che di solito preoccupa voi umani, la maggior parte delle volte, è se dovreste provare sentimenti sgradevoli dopo aver ferito o ucciso un vostro simile. Anche in maniere non fisiche. Dico bene?”

La ragazzina annuisce appena, abbracciata alle proprie gambe piegate e col capo appoggiato alle ginocchia.
“I gatti cacciano per sopravvivere. Per cacciare ci vuole un posto in cui farlo. Ci sono posti migliori e posti peggiori per farlo. I gatti più forti scacciano i deboli dai posti migliori, mangiano meglio e restano forti più a lungo; quando si accoppiano trasmettono ai cuccioli la loro forza, generando una prole sana e robusta.
I deboli, senza cibo adeguato, saranno sempre più deboli: difficilmente vinceranno una lotta, difficilmente si accoppieranno ed in questo modo è improbabile che possano trasmettere la loro natura fiacca alle prossime generazioni.
Una cosa del genere è reputata crudele da parecchi umani; tuttavia, senza questa regola naturale, permetteremmo che del sangue senza vigore contamini le nuove generazioni, indebolendo l'intera razza felina.
Giusto? Sbagliato?
… importa qualcosa?”
domanda lui, sventolando la coda folta - “è l'istinto a guidarci, e l'effetto è di preservare la nostra specie. Per quale motivo dovremmo preoccuparci di una cosa simile? Sarebbe altrettanto sensato soffrire dopo aver tolto la vita a un topo, o a un uccello.”

Le parole del Norvegese vengono accolte da un silenzio assorto.
“Sento un 'ma' inespresso, Spelata-chan” - commenta allora quello, snudando i canini candidi in un sogghigno divertito - “come se fosse la prima volta che un bipede mi rivolge una domanda del genere. Vorresti dire: sì, ma io non sono un gatto, sono una persona.
E qui io dovrei risponderti: e allora cosa me la fai a fare, una domanda del genere?
Falla ad un tuo simile e non rompermi i gomitoli mentre prendo il sole.”
borbotta, tornando a sdraiarsi pigramente sulla roccia calda esposta a mezzogiorno.


“Vedi, Spelata, è questo il problema...” riprende a parlare dopo quella che pare un'infinità, mentre lei si perdeva con lo sguardo tra le cime fronzute delle foreste di Konoha - “vi fate troppi problemi. Domande inutili. È assurdo, come vivere tutti insieme vi abbia fatto inventare una simile quantità di regole, regoline, regolette, obblighi piccoli e grandi. È incredibile come riusciate a non dormire la notte per cose che vi siete forzati da soli a fare, come se comportarvi in maniera diversa da tutti gli altri possa causare qualcosa di orribile. Ed è questa la cosa assurda... potreste vivere benissimo anche senza!
La natura non ha dettato nessuna di queste assurdità.
Lo capisci, Urako?”

Urako, non Spelata. L'ha chiamata per nome.
La ragazzina solleva lo sguardo, lo porta sul muso del gattone e vede che le vibrisse gli fremono.
“Vi basterebbe saper cacciare. Trovarvi un bel bosco. Cercarvi un compagno. Avere dei piccoli, invecchiare e crepare serenamente quando non sarete abbastanza forti da procurarvi il cibo da soli, senza rimpianti, senza rimorsi... e invece no. Voi vivete ammassati tutti insieme, nutrite chi non è più utile a nulla, curate persino i guerrieri malati perché... perché dite che è giusto.
Mi dicono che nella tua isola le cose vanno in modo meno folle che qui, nel Paese del Fuoco, eppure tu sei davanti a me e mi fai la stessa domanda di un qualsiasi bamboccio tonto della Foglia.
Tuttavia... ecco, se c'è qualcosa di sensato tra gli umani, direi che è proprio la guerra.”

La ragazzina fa una smorfia. Il gatto ghigna.
“La guerra è una delle cose peggiori che possano capitare” recita a memoria con un tono venato di rimprovero - “muoiono un sacco di persone e succedono tante cose brutte e terribili” - completa il gatto, imitando il tono acuto e pedante dell'allieva che vuole farsi maestra senza averne le competenze. “Cavolo, ma cosa ho parlato a fare finora?!
Territorio, caccia, cibo, risorse: è così che funziona tra Villaggi ninja!
Il Villaggio forte ha bisogno di campi di riso?
Benissimo.
Prende a unghiate il Villaggio piccolo e debole, e se li prende. Gli umani sconfitti non hanno da mangiare?
Peggio per loro, si vede che non erano forti abbastanza. Quel cibo che è stato tolto loro, sarà utilizzato per alimentare umani più forti, in grado di generale una prole forte. La razza umana ci guadagna soltanto, dalla guerra. E i ninja... i ninja sono la cosa più sensata della guerra.
I ninja sono i veri gatti, Urako. Non gli umani vecchi o malati che se ne restano comodi nelle loro tane, mentre i più forti combattono.
Sono i ninja che si battono come gatti per il cibo e sopravvivono, o muoiono da gatti sul campo di battaglia.”





Mangiaossa.



Quell'appellativo le balena in mente all'improvviso, e le sfugge una risatina amara sotto il getto di acqua calda. Ma sì, potrebbe essere un nome adatto per il suo mostro: il mostro Mangiaossa e lei, la Figlia delle Fate, che tenta di sgusciargli sotto il naso indisturbata grazie al magico soffio della Dea del Mare.



No, questa è davvero pessima, di quelle cose che puoi pensare solo sotto la doccia e che è meglio che scivolino nella fogna assieme all'acqua di scarico, di quelle che Shibuki-sensei ti farebbe pagare a suon di morsi; il fatto è che – al contrario del suo Mangiaossa – quella favoletta cretina sia una di quelle cose che non può permettersi di ignorare, o meglio: non tanto la favola in sé, quanto la portata di quello che ha scoperto giocando con l'acqua in quella stanza di ospedale. La doccia è il momento che più di ogni altro la riavvicina a quella condizione sorprendente, tanto da far tornare a galla le memorie di quella prima volta - e anche di quella seguente: un sorriso triste e rasserenato le sboccia sul viso e solleva la testa, per ricevere il getto d'acqua dritto in faccia.


«Tsuki Inaka... È il nome che mi hanno dato quando mi hanno presa prigioniera. Io sono Luna dei Campi di Grano, Principessa del Giunco ed erede della Favola di Sale.»
«Ora è meglio che tu vada... Devi avvertire le Fate che sto bene e che ti metterai al loro servizio per liberarmi... Perché lo farai, vero?»



Lei le Fate deve ancora riuscire a chiamarle. Dovrebbe farlo, sarebbe la cosa giusta, l'ha promesso - eppure i tempi della medicina non assecondano volentieri il desiderio di fuga di una ragazzina tenuta dietro le sbarre.
È una delle cose che la tormentano di più: ingannare la sua stessa benefattrice, anche se a fin di bene. Fare la cosa giusta, almeno in questo caso: fare la cosa giusta e allungare il tormento nella speranza della guarigione.


“Questa non è roba da trascurare, Spelata. Quanto riesci a controllarla?”
“Non la controllo, sensei. Succede e basta”
“E quando succede...?”
“Quando ho paura... credo... Forse c'entra l'acqua”
“Paura, eh...?
Potente, la paura.”
Dovrai imparare a controllarla. Non la paura. Devi controllare questa cosa, a costo di imparare a provare paura a comando. Mi sono spiegato?”




Non è la paura a scatenarla. A scatenarlo. Non potrà dare un vero nome a questa cosa, finché non sarà certa di cosa sia, come funzioni e di come sfruttarla: una Trasparenza in movimento... il solo pensiero di quanti e quali impieghi potrebbe avere questa faccenda le fa correre il cuore come se lo inseguisse Mangiaossa in persona, ma prima deve fare come ha detto Shibuki-sensei: deve imparare a controllarla, o resterà solo un castello in aria.
C'è voluta parecchia pratica, ma riuscire a riprodurre – anche solo parzialmente – il fenomeno in assenza di stress intenso, le ha fatto capire che non era il panico ad innescarlo. Il problema era trovare la chiave, tutta sola, perché non esiste al mondo che spiattelli a chicchessia qualcosa che potrebbe essere la sua arma segreta. La chiave per sopravvivere, anche senza essere il gatto più grosso e forte e con gli artigli più affilati.

Si sta impegnando, accidenti: lo fa da mesi, si allena tutte le volte che ha tempo di chiudersi in bagno e concedersi una doccia calda e poi tornando a trovare la sua paziente, sottoponendo i minuscoli miglioramenti al suo giudizio severo; col tempo ha isolato gli ingredienti fondamentali, esercitandosi a miscelarli – traspirazione della pelle e chakra, fondamentalmente, facilitata enormemente in caso di sudorazione forte o di atmosfera satura di vapore acqueo. L'obbiettivo finale sarebbe quello di ottenere una jutsu utilizzabile anche in condizioni ordinarie, anche senza aver corso mezz'ora o essere bagnata fradicia: un obbiettivo che cancella momentaneamente i morti che la perseguitano nei suoi incubi, i dubbi quotidiani, la rabbia che aggredisce all'improvviso e il disorientamento traditore, qualcosa che la tranquillizza e le regala un piccolo germoglio da coltivare. Un pensiero felice.
Il suo germoglio, suo e di nessun altro.

Uno dei motivi per cui è tanto importante farcela.

Ci ha pensato tanto, le sere prima di prendere sonno, ha carezzato quell'idea tante volte mentre si rivoltava tra le coperte: aveva sempre sentito il bisogno di qualcosa di speciale, qualcosa che sapesse fare solo lei, qualcosa che le dia quella scintilla che la differenzi da tutti gli altri. Sapersi nascondere non le bastava, checché ne dicesse una certa persona.
Non era mai stato un bisogno così pressante, finché aveva pensato di essere davvero unica per qualcuno – per un essere umano che non fosse sua madre, in sostanza; una volta strappato via brutalmente anche quell'appiglio, si era trovata sola in un campo brullo, con la crudezza di un risveglio improvviso nel nulla.
Lei non è nulla di speciale, non lo è mai stata, né può diventarlo in virtù delle chiacchiere melense di qualcuno.
Avrebbe dovuto costruirselo da sola, quel suo essere speciale, col sudore della fronte – e fin qui c'era arrivata... poi sono arrivate anche loro, Hitomi e Yukiko – ma non le donne che potreste pensare voi: queste Hitomi e Yukiko sono due neonate rosee e cicciottelle, le nuove nate di casa Yakamoto. E così si è trovata a non essere neanche più l'unica figlia, ha deciso di onorare la memoria di due donne forti come gli abissi del mare da sola, col mezzo più potente a sua disposizione... rivestire di nuove carni due nomi forti e belli, confrontarsi nella sua piccolezza con due persone gigantesche. Due veri gatti, come direbbe il sensei.

Onorare in silenzio, distinguersi scomparendo.
La logica le avrebbe dato della sciocca, dell'insensata.
Non era quello che avevano fatto le due ANBU della loro vita?

Chiude gli occhi, sente l'acqua gocciolare sul capo, sulle spalle, lungo il volto, la schiena, le gambe, i piedi. Si focalizza sulla sensazione di calore che pervade la pelle bagnata: la sente tutta, dalla testa ai piedi, espandersi sotto il getto caldo e carezzevole dell'acqua; lascia che il respiro si faccia calmo e regolare ed è allora, gradualmente, che libera energia. Il chakra. Il suo chakra, chakra che viene da lei, la sua energia che esala dalla pelle e la circonda, la abbraccia, la copre di sé, la rende uno con l'aria e il vapore...
Non ha voglia di diventare ANBU, non è quello che desidera.
Yoton Hitomi, Yuki Yukiko: la loro strada era stata l'obbedienza completa, una cosa che per un gatto non sarebbe mai stata appropriata.
Il sensei non avrebbe mai capito la loro scelta, avrebbe detto che è una cosa da cani, ma lei no: lei non è un gatto, anatomicamente parlando - può permettersi delle vie di mezzo che un felino sdegnerebbe con disprezzo. Non ha ancora capito quanto fare suo della filosofia felina, né come integrare i capisaldi del suo sensei – inoppugnabili, in guerra – con le esigenze che la vita in comune impone agli esseri umani.
Se volesse fare la cosa giusta, dovrebbe tirare fuori il diario di Yu e riempirlo di pensieri finché non riuscirà a trovarne il capo: lo sa che la farebbe sentire meglio. Ma lei adesso non ha voglia di farlo.
Non ha voglia di scrivere? Di capirsi meglio? Di sentirsi meglio?
Non lo sa dire.


Ovattati attraverso la porta e la cortina d'acqua risuonano i vagiti sincronizzati delle sue sorelle, dalla stanza della mamma.
Gira ambo i rubinetti, il flusso si arresta; nuda, gocciolante, avvolta di bruma carica di sé, discosta la tenda impermeabile e poggia un piede dopo l'altro sulle mattonelle fredde del pavimento.
Controlla con decisione il suo respiro, imponendosi un ritmo calmo e profondo: se loro piangono, lei arriverà a momenti. Lo fa sempre, rapida come se le bruciasse il terreno sotto i piedi... due gemelle a quell'età. Verranno su viziate, poco ma sicuro.
E mentre sente i passi frettolosi della mamma risalire le scale gira rapidamente la chiave e spalanca la porta, stringendo a sé il suo manto di nulla, senza guardare nello specchio. Si arresta in piedi accanto alla porta del bagno, in attesa, l'aria fredda del corridoio che le fa drizzare la peluria sottile su tutto il corpo.



“Sei tu che cercavi la perfezione, vero, Spelata?
Quella cosa che chiamate Nindo. Tu cerchi la perfezione, no?”

La ragazzina solleva il mento dalle mani intrecciate, mentre il sole affonda tra le chiome degli alberi attorno all'Eremo in un tripudio di fuoco celeste.
“E tu dove l'hai...”
“Non ha importanza. Ha importanza questo però. Ha importanza che tu abbia desiderato la perfezione, che abbia deciso di farti addestrare da ninja, che tu abbia stretto un patto con l'Eremo. Rifletti bene, porcocane.
Nella tua immensa stupidità umana, hai seguito la strada più diretta per ottenere quello che volevi, che è un desiderio più che legittimo, per una creatura impacciata e folle come voi bipedi. È stupefacente. È la cosa che mi fa pensare che nonostante le tue domande inutili, tutto il lavoro che sto facendo con te non sarà tempo buttato. Che quel vecchiaccio di Sosui non si sia sbagliato del tutto, sul tuo conto.
Tu diventerai un gatto, Spelata, se non ti lascerai distrarre lungo il cammino.
E quando diventerai un gatto vero, Urako...

… mi porterai il cuore della tua prima preda.”

 
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view post Posted on 8/4/2018, 22:42     +1   -1
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I passi si fanno sempre più vicini.
Vede la sua ombra sempre più grande contro il muro color crema, le falde della vestaglia che svolazzano per il movimento rapido; sente ormai il suo respiro affannoso chiaramente tra i fruscii degli abiti da camera e il ciabattare rapido.
Poi il viso della donna, Yakamoto Noriko, fa capolino dietro l'angolo.
Gli occhi cercano la porta della sua stanza.
Li vede fissarsi in un punto preciso: la soglia della porta del bagno.

Dove si trova lei.



Dove si trovano... i suoi piedi.



Osserva un'espressione di disappunto dipingersi sul suo viso, il tempo sembra rallentare vertiginosamente ma un istante dopo la donna è già entrata in camera sua, in uno svolazzare di vestaglia: ascolta in silenzio i mormorii rassicuranti che rivolge alle gemelline mangia-e-dormi e i fruscii di lenzuola e vestiti, il cuore velocissimo nel gelo dell'attesa, poi un richiamo a voce più alta - “Tesoro, quante volte ti ho detto di asciugare il pavimento dopo che ti fai la doccia? C'è una pozzanghera enorme fuori dalla porta!”

E sotto la coltre di niente, Urako sorride.
Ridacchia.
Deve premersi una mano sulla bocca per non scoppiare a ridere sul serio: divertimento, gioia forse, mentre indietreggia cautamente e cerca di ricomporsi, di riprendere fiato - “Sì mamma, scusa, faccio subito!” risponde diligente appena può, da davanti allo specchio... che non può riflettere nulla, se non i mobili immacolati del bagno e il vapore leggerissimo ancora sospeso nell'aria.

 
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