覚醒 Kakusei: scontro finale, [Fase 4]

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NGDR - 10° Anniversario
view post Posted on 14/5/2018, 13:50 by: NGDR - 10° Anniversario







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Evento


覚醒 Kakusei: Risveglio









Dentro al Gedo, 20 gennaio 249



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L'eco lieve del suo stesso respiro gli sfiorò il volto con dita spettrali, riverberando fievole contro la volta oscura che lo sovrastava: Kataritsuen aprì gli occhi, e attorno a sé vide il buio. Sopra, sotto di sé un'oscurità altrettanto vuota, priva di appigli, popolata da fantasmi immaginari di una mente alla ricerca di qualcosa a cui aggrapparsi.
Una mano salì a tastare là dove avrebbe dovuto trovarsi il suo collo – e lo trovò, sferzato da un bruciore come di carbone ardente, là dove la catena del medaglione aveva gravato fino a poc'anzi.

Nel vuoto, le palpebre si sgranarono: il medaglione.
Hajime, la sua corsa, le sue grida... l'espressione del suo volto contratto, la luce disperata nelle sue iridi, ogni singolo particolare gli balenò nella memoria, in una processione di kakejiku impietosamente dettagliati.
“Hajime...”
Il sussurro gli sfuggì involontariamente dalle labbra, istantaneamente replicato dalle mille labbra invisibili nascoste tra le ombre.
Hajime: al pronunciare del suo nome, come in un incantesimo, un fiotto di pallida luce ferì in lontananza la notte che imperava nella grande caverna.

Vide per prime le sue mani aperte davanti al volto, i palmi rivolti verso l'alto come in preghiera; vide lo specchio liscio come ossidiana su cui i suoi piedi erano appoggiati, contro cui si rifletteva l'immagine di un giovane uomo dal volto pallido, sgomento, tremante. Vide attorno a sé, alta come la volta di un grande Tempio, delinearsi il profilo frastagliato di un'ampia caverna: le sue pareti scure di roccia viva, gli scogli affioranti ai piedi delle pareti, la nebbia leggera che si levava dalle acque.
Mosse un passo, esitante, ma non sprofondò.
Lottò per placare il respiro affannato, mosse un altro passo sul lago notturno e le acque lo sostennero. Acque che non erano acque, acque che non bagnano. Si chinò e il riflesso gli venne incontro, protendendo le dita contro le sue fino al punto in cui avrebbero dovuto sfiorarsi.
L'attesa frescura dell'acqua non arrivò tuttavia a confortare i suoi sensi, solo un fragile tremolio, sufficiente a deformare il suo riflesso in una smorfia inumana.

Volle rialzarsi, un dubbio doloroso che si faceva strada nella sua anima e sul suo viso: che fosse già tutto finito?
Che fosse quello, il suo destino atroce?
Che avesse sacrificato la propria vita del tutto inutilmente... e vedersi strappare persino il conforto di un eterno sonno senza sogni?
Un dolore profondo, un tormento da levare il fiato: avrebbe quindi trascorso il suo eterno presente in quel modo? Rodendosi l'anima nello sconforto del fallimento e del rimpianto?
“Hajime... dooshite...”
E la nebbia che aleggiava si sollevò, mostrando l'esercito dormiente al di là dello specchio.

Mille, duemila, innumerevoli, giacevano sotto il pelo dell'acqua: immobili, gli occhi occultati dalle palpebre abbassate, i coprifronte a stringere le ciocche fluttuanti. Fuoco, Acqua, Terra, Fulmine, Vento, e tanti altri, le cappe rosse del Kyo Dan così come i drappi blu del Taisei, ghermiti senza distinzione dalla voracità del Gedo.
Una mano si strinse contro la sua bocca, a soffocare un grido gravido di raccapriccio; indietreggiò, sentì le lacrime bruciare mentre lottavano per raggiungere gli occhi e il respiro mozzarsi, soffocarsi nella gola, strangolare il cuore che continuava stolidamente a palpitare.
Un sacrificio tanto grande, per nulla... forse... forse per lui sarebbe stata la giusta punizione. Lui, tra le cui mani erano riposte le speranze di un Continente, e che si era lasciato sfuggire la salvezza dalle dita dopo averla stretta per un breve istante. Lui, la chiave di volta, che cedendo aveva lasciato andare tutto in rovina.
Kataritsuen scivolò sulle ginocchia.
Pianse, incapace di fare altro, messo di fronte alle proprie atrocità.
Riversò dagli occhi e dalla gola tutta l'angoscia che gravava la sua anima, e la caverna riverberava innumerevoli volte l'eco dei suoi gemiti: il pianto di tutti i prigionieri sottratti alla vita, che languivano spegnendosi lentamente al di là dello specchio d'acqua. Ma il pianto non può durare per sempre.
Dopo un tempo che sfuggiva ai suoi freddi calcoli, i singhiozzi si fecero più radi, le lacrime meno copiose: gradualmente il respiro si fece regolare, più profondo, la morsa stretta attorno al petto meno soffocante; sbatté le palpebre, si asciugò le guance, si rialzò.
La luce cinerea fendeva ancora il buio, ferendogli gli occhi.
Che lo scopo di essa fosse illuminare l'enormità del suo errore, era una possibilità più che concreta... ma il giovane la fissò con un'ostinazione che divenne presto determinazione.
Strinse i pugni: una seconda consapevolezza iniziò a farsi strada nella sua mente... una a cui si era aggrappato per una vita intera nei momenti di esitazione e sconforto. Non importava quale forma prendesse il proprio crimine: lui era la guida del Taisei, ed attraverso di lui il Taisei aveva prevalso.

Lentamente si trascinò attraverso quella vuota distesa, le piante dei piedi nude contro la superficie fredda, né liquida né solida, eppure deformata in lievi increspature al suo tocco. Circolari, si espandevano incontrastate nonostante la loro fragilità, inesorabilmente arrivando ad incontrare le pareti della caverna e rifrangendosi indietro, respinte in tante onde quanti erano gli angoli creati dalla roccia. Così, in quel riverbero silenzioso, Kataritsuen seguì il sentiero di luce che l'apertura aveva inciso nell'oscurità, il lume pallido, flebile, ma forte abbastanza da ferirgli gli occhi e da permettergli di riconoscere ogni fattezza di chi riposava a pochi centimetri dai propri piedi.
Uno ad uno i volti di quei martiri gli ricordavano l'enormità di quanto aveva fatto, di quanto aveva dovuto fare. Se lo ripeté, così come aveva fatto per mesi e mesi, dal giorno in cui il Kyo Dan aveva commesso il più folle dei crimini al momento in cui lui aveva dovuto fare altrettanto.

Poteva mentire a sé stesso, riversarsi addosso fiumi di invocazioni al dovere e fare altrettanto con gli zeloti di cui si era circondato... dirsi che era stato il Kyo Dan, solo il Kyo Dan, e che non uno dei corpi su cui camminava era lì senza motivo. Non omicidio, mai, non importa la riluttanza della vittima: il chakra andava tenuto sotto controllo, e con un unico colpo di mannaia il Taisei aveva compiuto il proprio dovere millenario. Di nuovo. Lui era stato soltanto il catalizzatore di questa mastodontica responsabilità, mosso da forze irresistibili a fare l'indicibile. Nient'altro poteva contare.

Ma la coscienza era un nemico insidioso, un tarlo inestirpabile che gli mangiava il cuore anche lì, anche senza un corpo nel quale soffrire. Credeva che anni di addestramento e mesi di preparazione lo avrebbero sottratto alle passioni violente che un simile atto poteva suscitare, che aveva suscitato in Hajime, ma nessuna forma di ascesi gli avrebbe mai strappato quella consapevolezza... nessun pianto lo avrebbe mai liberato dalla colpa. Ma era finita: per lui e per i demoni. Il Gedo si era risvegliato, nonostante tutto... ed aveva portato con sé le creature, divorando ogni forma di energia esattamente come gli scritti avevano detto sarebbe accaduto.
Si cullava ancora in quella conclusione quando, dalle sue spalle, si levò un soffio d'aria. Tenue, ma inusuale abbastanza da costringerlo a voltarsi. Ne seguì un altro, dalla sua destra, e con esso questa volta giunse un lieve suono, che riecheggiò esattamente dal lato opposto della roccia.

"Ma che..."

Uno dietro l'altro i sussurri iniziarono ad avere un senso: parole, domande... accuse.

"Sciocchezze..."

"Quale follia ti ha condotto a risvegliare quell'abominio?"
"La nostra morte non ti ha insegnato nulla..."


Una lieve vibrazione sotto i suoi piedi, il pelo dell'acqua stravolto da molteplici increspature... quindi, lentamente, qualcosa emerse dai recessi oscuri dell'antro. Mani cadaveriche perforarono lo specchio, artigliandone la superficie e spezzandone il riflesso limpido, a fatica portandosi dietro corpi rattrappiti e scheletrici. Nove, fragili e tremanti, si levarono in piedi con enorme fatica, i loro respiri un rantolo spezzato ma tagliente, quasi assordante.

"Paura? Non averne ragazzo, sei uno di noi ora."
"... più o meno."


"Chi siete?!"

Domandò, la voce roca, l'eco presto assimilato ai precedenti. Le creature mossero qualche passo verso di lui, stringendo il cerchio e strappando l'ombra al suo rifugio. Come catrame, denso e colloso, il buio in fuga dalla luce dell'apertura rimase attaccato al loro pallore, presto cingendolo in un manto impenetrabile... finché solamente il lume degli occhi poté tradirne la natura. Da fantasmi a spettri.
Era questa la sua punizione dunque? Essere tormentato da chi aveva condannato?

"Ahahahah..."
"Non nella maniera in cui tu credi, ragazzo."

"La statua è uno strumento instabile, lo è sempre stato."
"Duemila anni e nessuno con le palle di distruggerla."

"Nessuno con i mezzi, direi..."

Non gli risposero, ma a mano a mano che si avvicinavano gli strascichi alle loro spalle assumevano forme sempre più definite. Strappati alla roccia o ancora attaccati per mera fortuna, più lembi delle vesti presero ad isolarsi, levitando leggeri sulla spinta di un vento impercettibile. In ordine crescente dalla sua destra, il simbolismo non sfuggì all'attuale guida del Taisei.

"Voi... ma come...?"

Doveva trattarsi di un trucco, un'illusione. Le loro anime non potevano trovarsi lì dentro.

"Scemenze, di nuovo."
"Non è sveglio come credevate..."

"Ahhhh dateci un taglio! Si, siamo noi ragazzino, i primi nove!"
"E no, non sei morto. Sei dove pensi di essere."


Gli occhi di Kataritsuen dardeggiavano da uno spettro all'altro, il corpo si voltava ancora ed ancora, conteso tra l'incredulità e l'angoscia. Gli spiriti dei nove martiri originali, il loro sacrificio aveva tenuto a bada i demoni per due millenni.

"Già. Ottimo lavoro a proposito."
"Stai scherzando? Ha permesso che li liberassero, ha ridato vita a quella cosa..."

"E smettila di girare come un coglione!"
"Se mi vomita addosso lo affogo..."

"SILENZIO!"

Si impose un ultimo sussurro, intenso abbastanza da graffiargli i timpani e il petto. Kataritsuen si voltò istintivamente verso la sua origine, dal lato opposto rispetto all'uscita, trovandosi ad un passo dalla figura con nove lembi. La sorpresa lo fece cadere all'indietro, mentre lo sguardo rimaneva fisso su quello dello spettro, che riluceva come argento.

"Alzati, non c'è tempo da perdere."




Edited by ¬BloodyRose. - 14/5/2018, 18:21
 
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