覚醒 Kakusei: scontro finale, [Fase 4]

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Jöns
view post Posted on 2/5/2018, 12:40 by: Jöns
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"Gli ordini dell'Hokage sono cercare di limitare i danni, i demoni sono alle porte, non abbiamo alcuna possibilità contro di loro, dobbiamo guidare una fuga ordinata dei genin, evitare che - " niente, non lo stava neanche ascoltando. Che razza di stupido!
Voleva perseguire in quella sua missione - che, d'accordo, anche lui pensava che il Taisei fosse al momento ancora più pericoloso delle Bestie: da loro, bene o male, si sapeva a cosa si andava incontro, mentre da quel gruppo di fanatici chi poteva saperlo.
Era molto più pericoloso, si diceva, avere a che fare con qualcosa di così ambiguo, di non etichettato, che con un mostro che ti guardava in faccia dicendoti "ti ucciderò". Non che anche nel secondo caso pensasse gli sarebbe stato facile salvarsi.
Continuava a delirare, poi lo vide allontanarsi, mentre si rendeva progressivamente conto che la barriera stava tenendo contro la carica dei Cercoteri, e così sentì scemare un po' quel sentore di morte.



E così fuoriuscirono nuove spire dal vaso. Come diceva Yuzuki: una setta che vedeva nei Bijuu delle vere divinità incarnate - non che non potesse essere comprensibile, a dire il vero. In fondo, erano delle divinità molto più credibili di qualunque altra colma di grazia e pietà. Ma, al di là dell'ingenuo integralismo delle sue parole, avvertiva anche qualcos'altro - sempre più, man mano che proseguiva nel discorso.




"Può anche essere stato così in passato... In parte."




Sì, lo aveva capito fin da allora, e non aveva mai vacillato da quel punto di vista. Non era - probabilmente "non erano" - esseri privi di emozioni, privi di sofferenza e dolore. Benchè l'orgoglio felino lo avesse spinto a tenerli quanto più possibile dentro di sè - che cosa meravigliosa! -, quel lieve passo falso era bastato al suo sguardo per averne contezza.
Mentre quelle parole incalzavano, una dopo l'altra, senza che nessuna mancasse i bersagli dei suoi timpani, sospirò e guardò la distanza tra le sue scarpe.
Poi alzò lo sguardo nel cielo della sera. Il primo astro era già ben visibile.
Chissà, si disse, assottigliando gli occhi, come sarebbe da lassù. Da quel punto privilegiato, forse, la Terra non sarebbe sembrata di particolare interesse. Quando invece, per noi, era tutto ciò si poteva chiamare "casa". Ogni cosa, ogni persona conosciuta o di cui si aveva mai sentito parlare, ogni essere umano che sia mai esistito, era nato lì. L'insieme di ogni gioia e dolore, migliaia di religioni, ideologie e dottrine, ogni ossa, cacciatore di ossa e raccoglitore di ossa, ogni creatore e distruttore di civiltà, ogni "comandante supremo", ogni condottiero e schiavo, ogni inventore ed esploratore, ogni filantropo e massacratore nella storia della nostra specie era vissuto lì. Su quel minuscolo granello di polvere. Sospeso in un raggio di sole.
Un piccolissimo palcoscenico. In una vasta e desolata arena cosmica.
Le indicibili violenze, i massacri, le stragi, i genocidi, gli orrori, i veleni, le crudeltà senza fine scambiate costantemente tra abitanti di fazioni diverse... di un puntino; quanto frequenti le incomprensioni, quanto smaniosi di uccidersi a vicenda, quanto fervente e facilmente sollecitabile il loro odio. Le ostentazioni, l'immaginaria autostima, l'illusione di una qualche posizione eletta o privilegiata, messa in discussione da una simile visione di insieme.
Non c'era forse migliore dimostrazione della follia della vanità umana, che quella possibile, distante immagine di quel nostro minuscolo mondo.

Riabbassò lo sguardo, scrutando sommariamente la piazza. La donna terminava il suo discorso, ma ora gli era chiaro quanto fosse distante dal vero epilogo della faccenda - un atto di vanità? Possibile, ma chi se ne fregava.
Come aveva intuito tempo prima, proprio al fianco di Matatabi, proprio di fronte alle sue fiamme devastatrici. Probabilmente era questo che doveva accadere, era questo il fine ultimo che era stato loro designato dal momento che erano venuti al mondo, quando i fili avevano iniziato a tessersi fino all'ordito finale e compiuto di quel momento. Come aveva visto a Kawagoro, avrebbero dovuto essere sterminati tutti. Spazzati via dalle forze della Terra come un lieve fastidio superficiale. Le colpe dei padri che ricadono sui figli, di cui anch'essi sono complici attivi.
Sorrise.
Non avrebbero lasciato molte tracce, per fortuna. Un po' di polistirolo, forse, nulla di più - sia ringraziato il cielo! E quella pallina sarebbe rimasta lì ancora per molto tempo dopo la loro scomparsa - pazienza, solo un'altra mutazione fallita, un'altro errore biologico di programmazione, un vicolo cieco evoluzionistico. Il pianeta li stava per spazzare via come un'infestazione di pulci.
I Bijuu penetravano oltre la barriera, il mondo attorno a lui stava cambiando, le forze iniziavano ad abbandonarlo, ma sapeva come tutto questo avesse per lui il sentore dell'inevitabile. Il mondo si faceva sempre più confuso, torbido, sfocato.
Qualcosa gli parve fuoriuscire dalla terra - qualcosa di umanoide e mostruoso.
Delle urla in sottofondo, come se lo raggiungessero da lontano.
Sì, era davvero la fine. Ti sbagliavi, eh Sousui? si chiese. Buffo: poteva dirsi te l'avevo detto. Non stava accadendo tutto senza che non fosse preparato.

"Sembra che sia vero: pare che tutto mi ritorni alla memoria come in un'unico disegno confuso, ma al contempo estremamente causale. Di una causalità che, tuttavia, sento ancora apparirmi ignota. Beffarda quasi. Ma chi se ne frega, anzi: più rivedo questo elenco di avvenimenti passarmi davanti, più mi convinco che sia effetto del più puro caso e non contenga alcun messaggio al di fuori della sua nuda e spoglia cornice.
Ma questi, per quanto valgano, sono tutto ciò che ha costituito la mia vita, e mi è capitato con alterno fervore di consultarli a ritroso come un oracolo, ma al mio sguardo limitato mi sono sempre apparsi niente più che un centone, un carme a figura, un immenso acrostico che non dice nè ripete altro da ciò che ciascuno di essi suggerisca; nè adesso, in fondo, so più con certezza se io li abbia realmente vissuti, o se essi abbiano potuti porsi in atto attraverso di me. Più li vedo, anche adesso, sempre più lontani e sempre più coesi in una visione d'insieme, meno riesco a capire se in essi vi sia un realmente un filo unificatore, una trama che va al di là nella sequenza temporale e li unisce tra di loro.
Quale che sia la Verità sento che non me ne importa più molto. No, puttanate! E' dura, è durissima - è dura non sapere se quanto è accaduto contenga un qualche senso nascosto, se più d'uno, se molti, o nessuno.
Ma presto tutto questo non avrà importanza - sì, adesso lo sento scivolare, man mano che l'ombra della grande tenebra che si avvicina ingloba ogni parte del mio mondo. Non mi rimane che attenderla e tacere. Tra poco mi raggiungerà del tutto, e ogni ricerca non avrà più importanza. Tra poco mi ricongiungerò con quel principio, e non credo proprio neanche adesso che sarà un divino glorioso, o di gioia, e men che ancora di pietà. In loro vece, mi sto inoltrando in un deserto amplissimo, perfettamente piano e incommensurabile, in cui il cuore veramente spoglio e saggio soccombe beato. Sto sprofondando nella tenebra divina, in quel silenzio muto e in quell'unione ineffabile e suprema che cancella ogni eguaglianza e ogni diseguaglianza, e in quell'abisso perderò me stesso. Non conoscerò più nè l'uguale nè il diseguale nè altro: dimenticherò ogni differenza, sarò nel fondamento semplice, in quel deserto silenzioso dove non vi è mai diversità, nell'intimo dove ciascuno si trova al proprio luogo; e, al contempo, nessuno vi si trova. Ecco, sta arrivando: la divinità silenziosa e disabitata, dove non vi è opera, nè immagine.

Fa freddo. Il corpo mi è ormai estraneo. Lascio questi ultimi pensieri - che stupido, chi mi può sentire? Non lo so, ma sono fuoriusciti dal mio abisso.
Li lascio dunque, non so più intorno a chi, non so più intorno a che cosa.
"

Edited by Jöns - 2/5/2018, 19:23
 
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